VIOLAZIONE DA PARTE DELL'INTERMEDIARIO FINANZIARIO

 

Cass.Civile SS.UU., con le sentenze del 19/12/2007, n. 26724 e n. 26725 effetti della violazione, da parte dell'intermediario, dei doveri d'informazione (nullità del contratto e risarcimento del danno)

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito che la violazione dei doveri di informazione del cliente e del divieto di effettuare operazioni in conflitto di interesse con il cliente o inadeguate al profilo patrimoniale del cliente stesso, posti dalla legge a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, non danno luogo ad una nullità del contratto di intermediazione finanziaria per violazione di norme imperative. Le suddette violazioni, se realizzate nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto, danno luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento del danno; se riguardano, invece, le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto, danno luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento (o inesatto adempimento), con la conseguente possibilità di risoluzione del contratto stesso, oltre agli obblighi risarcitori secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale.

Quando si omette di informare correttamente qualcuno circa i rischi connessi ad un prodotto acquistato, non emerge nullità dell’acquisto, perché non si incide su un vizio genetico, ma funzionale, con la conseguenza che saranno esperibili altre azioni (risoluzione, risarcitoria, annullamento, ecc.).

Va riaffermata la tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime(norme di comportamento), tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità.

Nel caso specifico in cui l’intermediario ometta di informare correttamente il risparmiatore circa i rischi connessi all’acquisto di prodotti finanziari, del pari, può rilevarsi come la violazione degli obblighi informativi (ove non si traduca addirittura in situazioni tali da determinare l'annullabilità - mai comunque la nullità - del contratto per vizi del consenso) è naturalmente destinata a produrre una responsabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discende l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni. Non osta a ciò l'avvenuta stipulazione del contratto.

la tutela del risparmiatore esce sicuramente indebolita. Pronunciata la «nullità virtuale» per violazione di norme imperative, il cliente ha diritto a vedersi restituito l’intero investimento, mentre l’esito dell’azione risarcitoria consiste nel rimborso delle perdite legate dal nesso causale con la condotta antigiuridica dell’intermediario. Solo se le inadempienze dell’intermediario stesso sono talmente gravi da giustificare la risoluzione del contratto, l’investitore può ottenere la restituzione delle somme investite, maggiorate degli eventuali danni ulteriori (arg. ex art. 1458, 1° co., c. c.).
Nei casi di risoluzione per inadempimento, pertanto, la piena tutela dell’investitore viene recuperata grazie ad una tecnica (la risoluzione stessa) che costituisce il più drastico sviluppo della responsabilità per mancato (od inesatto) adempimento contrattuale.
L’applicazione dei rimedi risarcitori, oggi sostenuta dai supremi giudici, trovava del resto già concordi i più recenti interventi giurisprudenziali di merito, la cui correttezza è quindi confermata.

Testo integrale della Sentenza n. 26724/2007
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Testo integrale della Sentenza n. 26725/2007 (HTML)

Per ottenere l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito, l'investitore, ad esclusione delle ipotesi di inadeguatezza dell'operazione, in cui la questione del nesso causale fra inadempimento e danno si pone in modo del tutto peculiare, è infatti tenuto a fornire la prova di aver subito un danno cagionato da un cattivo investimento operato in ragione dell'inadempimento dell'intermediario ai propri doveri di comportamento;

ciò importa la necessità di analizzare le problematiche concernenti

  1.  la prova della diligenza dell'intermediario,

  2.  la prova del nesso causale fra negligenza, evento dannoso (inteso come scelta dell'investimento da parte del cliente) e danno subito dall'investitore ed, infine,

  3. la prova dell'ammontare del quantum risarcibile.

L'allocazione soggettiva degli oneri probatori è chiaramente delineata:

  1. l'intermediario è tenuto a dar prova della sua condotta diligente; mentre

  2. l'investitore deve dimostrare il danno subito nonché il nesso causale con l'inadempimento

    dell'intermediario.

Il punto sull'orientamento della giurisprudenza è ben espresso dal Tribunale di Parma , secondo cui « incombe sul cliente, in altri termini, dimostrare che il danno patito è conseguenza immediata e diretta della condotta colposa (inadempiente) dell'intermediario (cioè che se previamente ed esaustivamente informato avrebbe “desistito” dall'impartire l'ordine di acquisto dei titoli in oggetto) e non, semplicemente, dall'andamento sfavorevole del mercato ».

 

Cass. 15 febbraio 2016, n. 2900
Regole di condotta e giudizio di «meritevolezza» del contratto

La Suprema Corte Cass. sulla scia dell’insegnamento delle sezioni unite 26724/2007, ritiene infondati i motivi di impugnazione del ricorrente, il quale contestava la decisione della Corte di appello che aveva ritenuto la nullità del contratto stipulato con l’investitore: la violazione di norme di condotta, questo l’argomento del ricorrente, non potrebbe comportare la invalidità del contratto. ma semmai potrebbe essere motivo di responsabilità.

La Corte di Cassazione, coerentemente con quanto affermato da Cass. 776/2014, osserva che il contratto di intermediazione finanziaria ha tendenzialmente natura atipica ed è pertanto soggetto alla valutazione di meritevolezza in concreto di interessi ovvero della causa in concreto.

Sicché, se la violazione delle regole di condotta conduce ad un giudizio di responsabilità e non di invalidità, è pur vero che quest’ultima può essere predicata a monte ove il contratto di intermediazione finanziaria non superi il giudizio di meritevolezza ex art, 1322 c.c. E’ la stessa Corte di appello d’altronde ad aver ritenuto di dover pervenire al giudizio di nullità in ragione di un vizio strutturale e genetico e non della violazione di una regola di condotta.

Tale sindacato sulla meritevolezza, secondo la Suprema Corte, può essere peraltro effettuato in sede di legittimità e soprattutto d’ufficio, per le medesime ragioni per cui è possibile rilevare la nullità di un contratto.

In definitiva, ribadendo un passaggio già presente in Cass. 19559/2015, si afferma la nullità del contratto sotteso al giudizio, poiché «l’enorme alterazione dell’equilibrio contrattuale» si risolve in un «tessuto di regole e vincoli contrattuali congegnati in modo tale da esporre il cliente esclusivamente a conseguenze svantaggiose», mentre l’interesse dell’intermediario è sostanzialmente «privo di effettivi margini di rischio».

Il caso

La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del contratto a natura mista avente ad oggetto la stipulazione di un mutuo da restituirsi in rate mensili, da utilizzarsi per l'acquisto di strumenti finanziari con costituzione di un pegno a favore della banca sui titoli acquistati e l'apertura di un dossier titoli appoggiato su di un contratto di conto corrente. La banca ricorreva in Cassazione.

Premessa

La Corte rileva che le stesse Sezioni Unite, con la pronuncia n. 26724 del 2007, hanno affermato che in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti dì violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro"; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso, (cfr.la successiva in termini n. 8462 del 2014). Le S.U. hanno affermato il medesimo principio anche in ordine alla violazione da parte dell'intermediario "del divieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente qualora abbia un interesse conflittuale (a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l'estensione del suo interesse nell'operazione ed il cliente abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all'operazione)".

Decisione

Fatte queste debite premesse, i giudici di piazza Cavour adeguano il suddetto principio, osservando la definizione di "causa" del contratto non più come funzione economico sociale in astratto, ma inteso nello schema negoziale, ove l'interesse dell'investitore è quello di ottenere rendimenti stabili o crescenti e l'interesse dell'intermediario quello di acquisire investitori mediante proposte appetibili ed adeguate, operare nel mercato in modo continuativo e dinamico e realizzare gli investimenti secondo i piani concordati. Tuttavia, le due rispettive cause, “si intrecciano” nella incidenza del rischio che rappresenta, si, la massima realizzazione dell'autonomia privata, ma, al tempo stesso, il suo stesso limite a tale autonomia, essendo tutta la normazione di settore rivolta a dettare regole di condotta per l'intermediario che inducano l'investitore non professionale ad una scelta responsabile mediante un'informazione puntuale ed adeguata ed una preventiva conoscenza del profilo effettivo dell'investitore medesimo oltre che ad una precisa comunicazione preventiva e scritta in ordine ai prodotti finanziari. Entro questa “cornice rigidamente predeterminata” dalla legge primaria e dalla normazione secondaria sia in ordine alle cause di nullità che alle regole di condotta dell'intermediario, i contratti d'intermediazione finanziaria, che hanno ad oggetto i prodotti e gli strumenti finanziari o i servizi d'investimento così come definiti nell'art. 1 del T.U.E. hanno tendenzialmente natura atipica e sono soggetti alla valutazione in concreto della meritevolezza del regolamento d'interessi che ne costituisce il tessuto causale. La Corte intende dare continuita ad un indirizzo recente (Cass. 2736 del 2013) che ha ritenuto enucleabile in particolare dall'art. 1 del T.U.F. il cd. contratto d'investimento il quale "si presta ad assurgere a forma giuridica di ogni investimento di natura finanziaria, ai sensi del citato art. 1, comma 1, lett. u).

La Corte giunge quindi alla soluzione della questione: il contratto d'investimento è, quindi, un contratto atipico ed, in quanto tale, deve essere valutata la meritevolezza degli "interessi" ex art. 1322 II comma codice civile. E' tale anche quel contratto caratterizzato da una peculiare combinazione di titoli obbligazionari e di quote di un fondo comune d'investimento, nel contesto di un'operazione di finanziamento garantita dal pegno costituito sui medesimi strumenti finanziari e finalizzata sia alla restituzione del finanziamento erogato che alla realizzazione dell'investimento". La scomposizione in tre contratti è meramente apparente dal momento che l'intero regolamento d'interessi ha lo scopo concreto di garantire una remunerazione ai risparmi dell'investitore mediante l'acquisto di titoli, pagati con l'importo finanziato con il mutuo acceso con esso, garantito da pegno, costituito dai titoli acquistati. Si tratta, pertanto, afferma la Corte, di uno scopo d'investimento che, come precisa esattamente la sentenza n. 776 del 2014 "non può mai sottrarre il contratto che lo persegue alla disciplina dettata dal d.lgs n. 58 del 1998, solo perché le parti lo abbiano qualificato in altre e fantasiose guise, atteso che la nozione di contratto d'investimento finanziario costituisce uno schema atipico". In ogni caso, nello specifico, si tratta di un contratto atipico nel quale non se ne precisa né il costo, né il rendimento, né le caratteristiche. Non viene evidenziato il rischio collegato all'investimento in fondi che, avendo natura azionaria, espongono il cliente a rischi molto elevati. Inoltre non essendo conosciuto il prezzo di acquisto delle obbligazioni non se ne può mai prevedere il rendimento. Più in generale, il contratto d'intermediazione finanziaria, o come ritenuto da Cass. 2736 del 2013 "d'investimento", esprime un regolamento d'interessi meritevole di tutela. La Cassazione ovviamente opta per una soluzione negativa che determina la conseguenza dell'improduttività degli effetti del contratto fin dalla stipulazione, inidoneo a vincolare le parti al reticolo di regole che ne compongono la struttura. L'autonomia privata, infatti, deve essere esercitata in modo corretto ordinato e ragionevole. Può essere estesa, in conclusione, anche ai contratti atipici d'intermediazione finanziaria o d'investimento, con riferimento al T.U.F. ed in particolare alle norme di tutela dell'investitore non professionale, la affermazione precettiva delle S.U. (Cass. 26642 del 2014) secondo la quale "il legislatore, predisposta una struttura normativa significante, ha "voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore significato non espresso costituito dall'interesse dell'ordinamento a che certi suoi principi cardine (buona fede, tutela del contraente debole, parità quanto meno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati." La Corte, quindi, da continuità al principio già emesso con sentenza n. 19559 del 2015: “l’interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell'utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse relative alla gestione di fondi comuni che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., ponendosi in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 38 e 47 Cost. sulla tutela del risparmio e l'incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace ove si traduca nella concessione, all'investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice, e nel contestuale mandato conferito a quest'ultima per l'acquisto dei prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi”.



Sentenza 15 febbraio 2016, n. 2900

Presidente: Di Palma - Estensore: Acierno

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d'Appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del contratto denominato "for you" sottoscritto da Alessandro M. con il Monte dei Paschi di Siena, con conseguente condanna alla restituzione delle somme versate in esecuzione del contratto e con gli interessi legali decorrenti dai singoli versamenti all'effettiva restituzione.

A sostegno della decisione assunta la Corte territoriale ha affermato che il contratto in questione ha natura mista avendo ad oggetto la stipulazione di un mutuo da restituirsi in rate mensili, da utilizzarsi per l'acquisto di strumenti finanziari con costituzione di un pegno a favore della banca sui titoli acquistati e l'apertura di un dossier titoli appoggiato su di un contratto di conto corrente. Nel regolamento negoziale è stato previsto il recesso anticipato del cliente con pagamento di una penale determinabile ex contractu.

Con la somma mutuata sono state acquistate obbligazioni Interbanca e fondi comuni d'investimento della s.p.a. Ducato Gestioni.

Tale contratto ha violato, secondo la Corte territoriale, sotto molteplici profili, il T.U.F. e il Regolamento Consob di attuazione n. 11522 del 1998. In primo luogo ha violato l'art. 21 che impone all'intermediario di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza e di curare che l'operazione proposta sia adeguata al profilo d'investitore del cliente. Nella specie, nel contratto quadro non è definito il tipo di prodotto acquistato e non si precisa quali siano le caratteristiche dell'investimento. Non si evidenzia il rischio collegato all'investimento di fondi che essendo azionari sono esposti a rischi molto elevati. Infine non si precisa il prezzo al quale vengono acquistate le obbligazioni con conseguente impossibilità di calcolare il loro rendimento.

La perizia di parte al riguardo ha, inoltre, evidenziato che il cliente avrebbe realizzato una perdita sicura perché i titoli avevano un rendimento medio inferiore al tasso d'interesse da pagare sul mutuo. La perdita, in un periodo di flessione delle borse, era sussistente anche per la parte d'investimento di fondi.

Le violazioni indicate non attengono all'infrazione di regole di condotta secondo la Corte d'Appello di Genova ma a vizi strutturali e genetici del contatto per essere stato predisposto un regolamento d'interessi in violazione di una pluralità di norme cogenti.

Si riscontra nel contratto in questione anche il conflitto d'interessi. È la stessa banca ad ammettere di aver preventivamente informato il cliente che gli acquisti eseguiti si riferiscono ad operazioni in cui il Monte dei Paschi aveva interessi in conflitto trattandosi di titoli emessi da società collegate. Tale informazione è avvenuta in palese violazione dell'art. 27 del regolamento Consob dal momento che non è stata portata a conoscenza del cliente la natura e l'estensione del conflitto e non si è acquisito il consenso del medesimo. Inoltre è stato violato il principio relativo alla libertà d'investimento sancita negli artt. 24 T.U.F. e 37 Reg. Consob per aver previsto che il recesso del cliente sia gravato di una penale particolarmente onerosa, in quanto sostanzialmente equivalente all'investimento. Infine, la previsione del pegno ha costituito un'ulteriore limitazione alla possibilità di recedere dal momento che il disinvestimento non avrebbe potuto essere immediato perché la banca avrebbe dovuto provvedere preventivamente alla vendita dei titoli al fine di utilizzare le somme ricavate per estinguere il debito del cliente e, solo all'esito, autorizzarne la liberazione dopo il pagamento della penale. Anche queste disposizioni contrattuali hanno costituito violazioni di norme imperative che unitamente alle altre hanno determinato la nullità del contratto nel suo complesso.

È stata invece rigettata la domanda risarcitoria proposta dall'investitore, perché generica.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso il Monte dei Paschi di Siena con sette motivi di ricorso. Ha resistito con controricorso Alessandro M. che ha, altresì, proposto anche un motivo di ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 21 T.U.F. e dell'art. 1418, primo comma, c.c. per avere la Corte d'Appello ritenuta la nullità del contratto quadro stipulato dalla parte ricorrente con l'investitore sulla base della assunta violazione di norme di comportamento endocontrattuale inidonee a determinare l'invalidità del contratto, non essendo stata accertata la violazione di norme imperative.

L'art. 21 T.U.F. detta esclusivamente una regola di condotta che può integrare esclusivamente un'ipotesi d'inadempimento. Peraltro il contratto in questione rientra in un tipo esplicitamente previsto dall'art. 1, comma sesto, del T.U.F.

Il motivo si chiude con rituale quesito di diritto.

Nel secondo motivo la medesima censura è formulata sotto il profilo del vizio di motivazione. Difetta tuttavia il momento di sintesi richiesto a pena d'inammissibilità ex art. 366-bis, ultima parte, c.p.c., ratione temporis applicabile.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 21 T.U.F. e dell'art. 27 Reg. Consob, per avere la Corte d'Appello ritenuto che gli investimenti compiuti siano stati eseguiti in conflitto d'interessi e che tale accertamento integri una violazione di norme imperative e concorra alla dichiarazione di nullità del contratto.

Il motivo si chiude con rituale quesito di diritto.

Nel quarto motivo la medesima censura è formulata sotto il profilo del vizio di motivazione. Difetta tuttavia il momento di sintesi richiesto a pena d'inammissibilità ex art. 366-bis, ultima parte, c.p.c., ratione temporis applicabile.

Nel quinto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 1, lett. d), T.U.F. nonché il Reg. Consob, per avere la Corte d'Appello affermato la nullità del contratto per violazione del principio della libertà d'investimento desunta dalla disciplina negoziale del recesso che, secondo la sentenza impugnata, vanificherebbe tale facoltà per l'investitore. L'art. 24, afferma il ricorrente, riguarda esclusivamente la gestione di portafogli e non il contratto dedotto nel presente giudizio. Ugualmente a tale esclusiva fattispecie si riferisce l'art. 37 Reg. Consob. Infine, non trova applicazione il Regolamento della Banca d'Italia 1° luglio 1998 che disciplina l'attività delle società di gestione del risparmio con riferimento all'offerta di quote di fondi comuni d'investimento.

La censura si chiude con rituale quesito di diritto.

Nel sesto motivo la medesima censura è formulata sotto il profilo del vizio di motivazione. Difetta tuttavia il momento di sintesi richiesto a pena d'inammissibilità ex art. 366-bis, ultima parte, c.p.c., ratione temporis applicabile.

Nel settimo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 c.c. per avere la Corte d'Appello erroneamente stabilito la decorrenza degli interessi legali dalle date dei singoli ordini litigiosi, ovvero dalla sottoscrizione del piano finanziario. Così operando è stata violata la regola contenuta nell'art. 2033 c.c. secondo la quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno del pagamento solo se l'accipiens era in malafede, e non anche, se come nella specie, di tale condizione non vi fosse prova.

La censura si chiude con rituale quesito di diritto.

Il primo, terzo e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto censure relative all'accertamento dell'invalidità del contratto "for you" stipulato da M. Alessandro in qualità d'investitore e dal Monte dei Paschi di Siena in qualità d'intermediario. La scissione in tre diverse censure aventi rispettivamente ad oggetto la contestazione della violazione di tre norme contenute nel T.U.F., l'art. 21 relativo agli obblighi informativi; la medesima norma ma in relazione al conflitto d'interessi e l'art. 24, comma 1, lett. d), relativo alla facoltà di recesso senza aggravi di penalità, rappresenta in forma plastica la qualificazione giuridica del contratto assunta dal ricorrente, ritenuto consistente non in un modulo unitario ed atipico ma come la risultante di tre contratti autonomi ancorché legati da un collegamento funzionale.

Da tale premessa è conseguita la considerazione separata ed atomistica, in astratto, delle regole contenute nelle norme formanti oggetto dei singoli motivi di ricorso, al fine di facilitarne la sussunzione nella violazione di regole di condotta incidenti non sulla validità ed efficacia del contratto stesso ma sulla valutazione in sede di esecuzione del contratto, dell'adempimento degli obblighi posti a carico dell'intermediario dalle norme selezionate.

La prospettazione di parte ricorrente poggia sui principi affermati dalle S.U. di questa Corte con la pronuncia n. 26724 del 2007 secondo la quale:

"In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6 della l. n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro"; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, c.c., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso" (cfr. la successiva in termini n. 8462 del 2014).

Le S.U. hanno affermato il medesimo principio anche in ordine alla violazione da parte dell'intermediario "del divieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente qualora abbia un interesse conflittuale (a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l'estensione del suo interesse nell'operazione ed il cliente abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all'operazione)". Tali principi, tuttavia, sono stati elaborati e costituiscono jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte con riferimento ad operazioni finanziarie, riversate in contratti caratterizzati da un margine di rischio in ordine alla natura e qualità degli investimenti previsti nel contratto quadro o inadeguato rispetto all'investitore o non adeguatamente illustrato o infine privo della preventiva comunicazione scritta ed acquisizione del consenso in ordine alle operazioni finanziarie nelle quali fosse ravvisabile il conflitto d'interessi.

L'orientamento sopra delineato si è, di conseguenza, affermato e stabilizzato con riferimento a modelli contrattuali caratterizzati, sotto il profilo della causa in concreto e del conseguente scopo pratico del regolamento d'interessi voluto dalle parti (secondo la definizione di "causa", non più come funzione economico sociale in astratto, desumibile dall'impianto codicistico ma secondo quella ormai attualmente consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. n. 10490 del 2006 e 23941 del 2009) su uno schema negoziale nel quale l'interesse dell'investitore è quello di ottenere rendimenti stabili o crescenti, a seconda del contenuto del contratto quadro concluso e l'interesse dell'intermediario quello di acquisire investitori mediante proposte appetibili ed adeguate, operare nel mercato in modo continuativo e dinamico e realizzare gli investimenti secondo i piani concordati. Elemento intrinsecamente connesso all'intreccio causale sopra descritto è l'incidenza del rischio, da considerarsi elemento connaturato a qualsiasi investimento finanziario, attesa l'intrinseca imprevedibilità della prevalenza dei mercati ai quali si rivolgono gli intermediari. La conformazione del rischio costituisce, pertanto, un profilo di primario rilievo del contenuto del regolamento d'interessi nei contratti aventi ad oggetto la richiesta di acquisto, vendita, negoziazione di prodotti finanziari o la gestione di portafogli destinati agli investimenti, dal momento che esso rappresenta, per un verso, la massima realizzazione dell'autonomia privata, costituendo, la determinazione personale relativa al margine di rischio affrontabile, il nucleo della scelta dell'investitore e, per l'altro, il limite più significativo alla predetta autonomia, essendo tutta la normazione di settore rivolta a dettare regole di condotta per l'intermediario che inducano l'investitore non professionale ad una scelta responsabile mediante un'informazione puntuale ed adeguata ed una preventiva conoscenza del profilo effettivo dell'investitore medesimo oltre che ad una precisa comunicazione preventiva e scritta in ordine ai prodotti finanziari rispetto ai quali può configurarsi un interesse dell'intermediario al collocamento e alla negoziazione sul mercato (conflitto d'interessi). La normazione primaria e regolamentare sono rivolte alla massima trasparenza informativa in ordine agli investimenti che l'intermediario si appresta a realizzare per l'investitore in modo che egli sia al corrente del margine effettivo di rischio relativo ai rendimenti possibili ed alle perdite pronosticabili nei limiti della prevedibilità oscillante dei mercati. Entro questa cornice rigidamente predeterminata dalla legge primaria e dalla normazione secondaria sia in ordine alle cause di nullità che alle regole di condotta dell'intermediario, i contratti d'intermediazione finanziaria, che hanno ad oggetto i prodotti e gli strumenti finanziari o i servizi d'investimento così come definiti nell'art. 1 del T.U.F. hanno tendenzialmente natura atipica e sono soggetti alla valutazione in concreto della meritevolezza del regolamento d'interessi che ne costituisce il tessuto causale. A tale determinazione è giunta la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2736 del 2013) che ha ritenuto enucleabile in particolare dall'art. 1 del T.U.F. il cd. contratto d'investimento il quale "si presta ad assurgere a forma giuridica di ogni investimento di natura finanziaria, ai sensi del citato art. 1, comma 1, lett. u). L'atipicità del contratto riflette la natura aperta ed atecnica di prodotto finanziario (come già evidenziato da questa Corte con riferimento alla disciplina recata dalla l. 2 gennaio 1991, n. 1, previgente art. 1: Sez. 1, 19 maggio 2005, n. 10598), la quale, se da un lato costituisce la risposta del legislatore alla creatività del mercato ed alla molteplicità di prodotti offerti al pubblico dai suoi attori, dall'altro risponde all'esigenza di tutela degli investitori, consentendo di ricondurre nell'ambito della disciplina di protezione dettata dal testo unico anche forme innominate di prodotti finanziari".

La medesima qualificazione come contratto atipico assoggettabile al paradigma dell'art. 1322, secondo comma, c.c. è stata attribuita, ancorché senza indicazioni in ordine al giudizio di meritevolezza sugli interessi perseguiti e realizzati, anche in ordine al prodotto "for you" sia dalla sentenza n. 1584 del 2012 sia dalla successiva n. 776 del 2014. In entrambe le pronunce è stato condivisibilmente affermato che il contratto in questione ha ad oggetto uno strumento finanziario ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. b), c) e j) e che deve considerarsi unitariamente essendo costituito "da una peculiare combinazione di titoli obbligazionari e di quote di un fondo comune d'investimento, nel contesto di un'operazione di finanziamento garantita dal pegno costituito sui medesimi strumenti finanziari e finalizzata sia alla restituzione del finanziamento erogato che alla realizzazione dell'investimento" (Cass. 1584 del 2012).

Coerentemente con quanto già affermato, la successiva pronuncia n. 776 del 2014 conferma che il contratto "for you" è un contratto unitario perché unitaria ne è la causa. La scomposizione in tre contratti è meramente apparente dal momento che l'intero regolamento d'interessi ha lo scopo concreto di garantire una remunerazione ai risparmi dell'investitore mediante l'acquisto di titoli, pagati con l'importo finanziato con il mutuo acceso con esso, garantito da pegno, costituito dai titoli acquistati. Si tratta, pertanto, di uno scopo d'investimento che, come precisa esattamente la sentenza n. 776 del 2014 "non può mai sottrarre il contratto che lo persegue alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 58 del 1998, solo perché le parti lo abbiano qualificato in altre e fantasiose guise, atteso che la nozione di contratto d'investimento finanziario costituisce uno schema atipico".

Alla luce del corretto inquadramento della fattispecie negoziale come contratto unitario di natura atipica, in ordine al quale deve essere valutata la meritevolezza degli "interessi" ovvero della causa in concreto obiettivata mediante il tessuto delle condizioni contrattuali, devono essere esaminati il primo, terzo e quinto motivo di ricorso, nei quali si contesta l'invalidità del contratto per contrarietà a norme imperative statuita dalla Corte d'Appello.

In primo luogo deve rilevarsi che la qualificazione giuridica di regole di condotta, attribuite dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla violazione (lato sensu) degli obblighi informativi e al conflitto d'interessi non espressamente e preventivamente comunicato dall'intermediario presuppone che il contratto d'intermediazione finanziaria, o come ritenuto da Cass. 2736 del 2013 "d'investimento" esprima un regolamento d'interessi meritevole di tutela. Nell'ipotesi contraria i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e posti a base della censura di parte ricorrente non possono essere applicati. La fattispecie contrattuale atipica è interamente assoggettabile al T.U.F. e alla normazione regolamentare Consob, ma la violazione di regole di condotta può essere scrutinata soltanto su di un contratto valido e produttivo di effetti vincolanti sulle parti, non nell'ipotesi in cui si debba escludere la stessa configurabilità di un testo contrattuale per il giudizio negativo exart. 1322, secondo comma, c.c.

In secondo luogo, tuttavia, non ci si può sottrarre alla preventiva necessità di accertare se la qualificazione giuridica del contratto come atipico, svolta per la prima volta, quanto meno in modo espresso, in sede di giudizio di legittimità sia ammissibile, in un giudizio a critica vincolata. In particolare si deve accertare se la sussunzione nello schema del contratto atipico appartenga all'ordinario giudizio di attribuzione del corretto nomen iuris alla fattispecie dedotta in giudizio o se si debba ritenere che il giudizio sulla meritevolezza degli interessi introduca un tema d'indagine nuovo.

Si deve, inoltre, esaminare se l'esame della censura mediante il paradigma del contratto atipico introduca una questione rilevabile d'ufficio da rimettere preventivamente all'esame delle parti in ossequio al principio del contraddittorio exart. 384, terzo comma, c.p.c.

Ritiene il Collegio che, come rilevato in una recente pronuncia relativa a fattispecie del tutto simile (Cass. 22950 del 2015) "la sussunzione del negozio nell'ambito (o fuori dell'ambito n.d.r.) dei contratti meritevoli di tutela è giudizio di diritto" rimesso all'esame della Corte di legittimità mentre la ricostruzione del contenuto del contratto è opera insindacabile del giudice del merito. Ne consegue che il giudizio di meritevolezza, sulla base della ricostruzione del tessuto negoziale risultante dalla sentenza impugnata costituisce un'operazione di qualificazione giuridica del tutto rientrante nella funzione officiosa del giudice di legittimità, non introducendo una nuova o diversa questione rilevabile d'ufficio, dal momento che l'oggetto dell'indagine, rispetto alla declaratoria di nullità per violazione di norme imperative che ha costituito l'oggetto dell'esame del giudice del merito nel presente giudizio, è sostanzialmente sovrapponibile, dovendosi applicare non tanto il parametro del proibito quanto quello dell'agiuridico (come efficacemente sottolineato da Cass. 22950 del 2015) al fine di formulare il giudizio di meritevolezza. La soluzione negativa determina la conseguenza dell'improduttività degli effetti del contratto fin dall'origine dal momento che non sussiste una ragione giustificativa plausibile del vincolo, il quale non merita tutela e non è coercibile, restando indifferente per l'ordinamento. Il contratto atipico, all'esito del giudizio d'immeritevolezza, deve ritenersi inefficace fin dalla stipulazione, inidoneo a vincolare le parti al reticolo di regole che ne compongono la struttura. Tale è la conseguenza della "irrilevanza giuridica" del medesimo. La valutazione da svolgere è, pertanto, del tutto simile a quella riguardante l'accertamento della validità o invalidità del contratto ex art. 1418 c.c., anzi deve ritenersi che l'indagine relativa alla tipicità od atipicità del contratto, alla sua unitarietà o scindibilità, costituisce un accertamento preliminare indefettibile. Per queste ragioni deve escludersi che si tratti di una questione rilevabile d'ufficio da sottoporre preventivamente al contraddittorio delle parti in quanto l'operazione da svolgere attiene alla correzione in diritto della motivazione della sentenza di secondo grado ex art. 384, ultimo comma, c.p.c.

Infine, la enucleazione della natura giuridica di contratti provenienti dalla prassi dei mercati e dalle modificazioni socio economiche del sistema degli scambi e degli investimenti, e, conseguentemente, la definizione del perimetro della loro legalità ha un rilievo pubblicistico generale così come la rilevazione officiosa delle nullità (S.U. 14828 del 2012), attualmente estesa anche alle nullità di protezione (S.U. 26642 del 2014), inerenti ad un ambito della realizzazione dell'autonomia privata contiguo a quello dell'intermediazione finanziaria.

Anche l'esercizio della funzione nomofilattica sui contratti atipici, in conclusione, consiste nella tutela degli interessi generali, superindividuali (S.U. 26642 del 2014), così come il rilievo delle nullità. L'autonomia privata deve essere esercitata in modo corretto ordinato e ragionevole. Può essere estesa, in conclusione, anche ai contratti atipici d'intermediazione finanziaria o d'investimento, con riferimento al T.U.F. ed in particolare alle norme di tutela dell'investitore non professionale, la affermazione precettiva delle S.U. (Cass. 26642 del 2014) secondo la quale "il legislatore, predisposta una struttura normativa significante, (...) ha voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore significato non espresso costituito dall'interesse dell'ordinamento a che certi suoi principi cardine (buona fede, tutela del contraente debole, parità quanto meno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati".

Passando al concreto esame della meritevolezza degli interessi realizzati mediante il contratto for you, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha già fornito una risposta negativa con riferimento specifico a tale fattispecie contrattuale, del tutto coincidente con quella esaurientemente descritta nella sentenza impugnata.

Nella specie, il contratto "for you" prevede un finanziamento bancario a tasso fisso con utilizzazione della somma per l'acquisto di obbligazione Interbanca 01-16, zero coupon e di fondi comuni d'investimento della s.p.a. Gestioni Ducato. Viene costituita in favore della banca garanzia pignoratizia sui titoli. Il recesso anticipato del cliente può essere esercitato mediante pagamento di penale affidata ad una complessa formula matematica. La ragione dell'investimento per il cliente risiede in una finalità previdenziale.

Secondo la ricostruzione del contenuto effettivo del contratto, non censurabile in questa sede, i prodotti acquistati, sia le obbligazioni che i fondi d'investimento, vengono soltanto denominati. Non se ne precisa né il costo né il rendimento né le caratteristiche. Non viene evidenziato il rischio collegato all'investimento in fondi che, avendo natura azionaria, espongono il cliente a rischi molto elevati. Inoltre non essendo conosciuto il prezzo di acquisto delle obbligazioni non se ne può mai prevedere il rendimento.

I rendimenti secondo l'accertamento svolto, incensurabilmente, dal giudice del merito mediante consulenza tecnica d'ufficio, sono stati stabilmente inferiori di circa due punti al tasso d'interesse corrisposto per il mutuo. Infine il recesso anticipato è pressoché impossibile perché assoggettato ad una penale molto elevata (a titolo di esempio il consulente tecnico d'ufficio evidenzia come la penale da versare pari a euro 57000 circa è superiore al capitale mutuato pari a 52000 euro circa, per il cui rimborso sono stati pagati ratei mensili regolarmente dall'inizio del rapporto).

Infine il pegno esclude la possibilità di un disinvestimento immediato o rapido dal momento che la banca è autorizzata, quando il cliente comunichi la volontà di recedere, alla vendita dei titoli ed ad utilizzarne le somme per estinguere il debito così differendo la liberazione dell'investitore solo una volta accertato l'integrale pagamento della penale (pagg. 9-11 della sentenza impugnata).

La Corte d'Appello ha concluso che nella specie non vi è stata la mera violazione di regole di comportamento ma un insieme di vizi strutturali e genetici del contratto che determinano come conseguenza la violazione delle norme cogenti del T.U.F.

La rilevanza dell'insieme delle violazioni, colto esattamente dalla Corte d'Appello, ancorché senza farne conseguire le conclusioni più corrette sul piano della qualificazione giuridica del contratto, evidenzia l'enorme alterazione dell'equilibrio contrattuale realizzato con il modello contrattuale For You, in quanto caratterizzato da una promessa, il raggiungimento di un beneficio economico futuro a fini previdenziali, radicalmente disatteso non dall'andamento imprevedibile dei mercati, ovvero da un rischio che poteva essere contenuto nel nucleo causale del contratto atipico in questione, ove accompagnato dalle cautele previste dal T.U.F. e dalla formazione regolamentare Consob, ma dal tessuto di regole e vincoli contrattuali, congegnati in modo tale da esporre il cliente esclusivamente a conseguenze svantaggiose oltre che a non consentirgli un'effettiva facoltà di recesso mentre l'interesse dell'intermediario è sostanzialmente privo di effettivi margini di rischio dal momento che esso lucra gli interessi del mutuo, colloca prodotti (anche in conflitto d'interessi) ed opera sul mercato. Tale rischio non può identificarsi con la possibilità che il mutuatario investitore sia inadempiente, trattandosi di un'evenienza comune a tutti i contratti onerosi.

Deve, pertanto, pienamente condividersi il recente orientamento di questa Corte, in ordine al medesimo contratto (Cass. 19559 del 2015) così massimato:

L'interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell'utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse relative alla gestione di fondi comuni che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., ponendosi in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 38 e 47 Cost. sulla tutela del risparmio e l'incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace ove si traduca nella concessione, all'investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice, e nel contestuale mandato conferito a quest'ultima per l'acquisto dei prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi.

Il settimo motivo è infondato, derivando dall'asimmetria informativa tra le parti la prova presuntiva della conoscenza da parte dell'intermediario dello squilibrio giuridico ed economico del contratto. Ciò induce ad un giudizio affermativo sulla malafede confermato dall'accertamento, incensurabilmente compiuto dalla Corte d'Appello in ordine al conflitto d'interessi in capo al Monte dei Paschi di Siena, contestato nel ricorso solo in ordine all'adempimento dell'obbligo di porne a conoscenza l'investitore, peraltro disatteso a pag. 10 della sentenza impugnata con argomentazioni non specificamente censurate.

Nell'unico motivo di ricorso incidentale viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione il rigetto della domanda risarcitoria azionata dal M. ma la censura non si chiude con la sintesi richiesta a pena d'inammissibilità dall'art. 366-bis, ultima parte, c.c. ratione temporis applicabile.

In conclusione vengono rigettati il primo, il terzo, il quinto e il settimo motivo di ricorso. Vengono dichiarati inammissibili gli altri motivi così come il ricorso incidentale.

Le spese del procedimento vengono compensate in ragione della parziale novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi primo, terzo, quinto e settimo. Dichiara inammissibili i motivi secondo, quarto e sesto nonché l'unico motivo di ricorso incidentale. Compensa le spese del presente procedimento.


 

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