• RESPONSABILITA' AMMINISTRATIVA CONTABILE

 

Come precisato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 1° dicembre 2010, n. 355, occorre ponderare l'eventuale ampliamento della giurisdizione contabile in quanto l'estensione dei casi di responsabilità, se non ragionevolmente limitata in senso oggettivo, potrebbe determinare un eventuale rallentamento nell'efficacia e tempestività dell'azione amministrativa dei pubblici poteri, stante la preoccupazione dei soggetti a cui è demandato l'esercizio dell'attività amministrativa.

 

I giudici contabili accedono alla teoria della "finanza pubblica allargata". In questo caso, non sussiste danno erariale laddove all'esborso effettuato da un'Amministrazione pubblica corrisponda un conseguente introito di un'altra Amministrazione pubblica, realizzandosi un mero spostamento di somme all'interno di una finanza sostanzialmente unitaria. (Corte dei Conti Sardegna, Sez. giurisdiz., 15 gennaio 2016, n. 5).

I giudici contabili sardi entrano nel merito del danno erariale scaturente da un errore da parte dei dirigente pubblico, in merito al calcolo del valore assoggettato ad ICI, a cui è seguito il pagamento di sanzioni, interessi e spese di notifica, ritenendo esclusivamente rientrante nella lesione alla finanza pubblica nel suo complesso, i soli interessi da corrispondere e le spese di notifica, in quanto ripristinatori delle somme non ricevute, restando escluso dal danno erariale il pagamento delle sanzioni amministrative

ILLECITO AMMINISTRATIVO CONTABILE

non diversamente, sotto tale profilo, dell’illecito civile – è l’esito di una fattispecie complessa che trova il suo compimento quando la condotta antigiuridica abbia prodotto un danno concreto e attuale”.

 

Corte costituzionale n. 371 del 1998. Concentra l’attenzione sulla «combinazione di elementi restitutori e di deterrenza» connotante, entro il quadro legislativo riformatore sviluppatosi nel corso degli anni ‘90, la responsabilità amministrativa e contabile. Dottrina del rischio.

 

L’istituto della responsabilità amministrativa ha subito una profonda trasformazione per effetto del processo di riforma avviato con le leggi del 1994 e del 1996, tanto che la Corte costizuzionale con due sentenze emanate nel corso del 1998 (la n. 371 e la n. 453) ha affermato la natura non più solo risarcitoria ma anche sanzionatoria della responsabilità amministrativa. Tale peculairità giustifica l’esistenza, costituzionalmente garantita, di una giurisdizione esclusiva sulla responsabilità amministrativa che altrimenti non avrebbe piu’ senso mantenere distinta dalla responsabilità penale, che pure conosce le pene pecuniarie (SSRR, 23 giugno 1993, n. 890 e SSRR, 4 marzo 1996, n.9/A).

Per la Corte Costituzionale 371/98 non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. - dell'art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 - <> - in quanto, premesso che il legislatore ha la facolta' di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita', ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilita' sia ascrivibile, senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta', la norma denunciata si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilita' amministrativa e contabile, alla stregua di peculiari connotazioni cui fa riscontro la revisione dell'ordinamento del pubblico impiego attuata dal decreto legislativo n. 29 del 1993 attraverso la c.d. <>, in una prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati dell'azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione. Pertanto, nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l'istituto in esame, la disposizione risponde alla finalita' di determinare quanto del rischio dell'attivita' debba restare a carico dell'apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilita' ragione di stimolo e non di disincentivo.

- Riguardo alla legittimita' costituzionale di norme che limitano, in riferimento a molteplici settori della Pubblica Amministrazione, la responsabilita' di amministratori o dipendenti pubblici ai soli casi di dolo o colpa grave, v., tra le molte, S. nn. 1032/1988, 164/1982, 54/1975.

- Relativamente alla facolta' del legislatore di stabilire quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita', quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilita' sia ascrivibile, cfr., fra le altre, S. n. 411/1988. red.: G. Leo

 

Scelte discrezionali non sindacabili in base all’art. 1, comma 1, della legge 20/94

La giurisprudenza contabile, in piena armonia con quella della Corte di Cassazione, è pacifica nel consentire il sindacato delle scelte discrezionali, in presenza di atti contra legem o palesemente irragionevoli ovvero ancora altamente diseconomici (così, tra le tante, Corte Conti, Sez. III, 23 settembre 2008, n. 281; Corte Conti, Sez. giur. Abruzzo, 7 gennaio 2004, n. 1; id. Sez. I, 1 aprile 2003, n. 115/A; Corte Cass., Sez. Unite, n.7204/06; id., n. 1376/06; id., n. 5083/2008).
In altri termini, il comportamento contra legem o irrazionale del pubblico agente non è mai al riparo dal sindacato, non potendo esso costituire esercizio di una scelta discrezionale insindacabile; l’art.1, comma 1, legge 20/94 non può rappresentare, infatti, uno schermo di protezione per le decisioni irragionevoli o assunte in violazione di norme di legge, che abbiano causato un danno erariale (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Campania, 26 marzo 2012, n. 377; id, Sezione giur. Lombardia, 27 gennaio 2012, n. 30; id. Sezione giur. Campania, 24 gennaio 2011, n. 104; id., Sezione giur. Sicilia, 15 ottobre 2010, n. 2152).

Occorre precisare che la ratio di tale principio – sancito dal novellato art. 1, comma 1, della legge 20/1994- va individuata nell’esigenza che il giudice non si sostituisca all’amministrazione nel valutare quali siano le migliori scelte e i migliori strumenti da utilizzare (C. conti, Sez. Riun., 3 giugno 1996, n. 30/A).
Ne consegue che non sono vagliabili le condotte discrezionali che violano regole non scritte di opportunità e convenienza, mentre, quelle che si pongono in contrasto con norme espresse o principi giuridici –come si ritiene sia avvenuto nella fattispecie in esame- non possono essere considerate immuni dal sindacato giurisdizionale.

 

PRESCRIZIONE - L’art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, nel testo sostituito dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639, stabilisce che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, “decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.

 

Debbono essere mantenuti nettamente distinti il profilo del perfezionamento di una obbligazione a carico dell’amministrazione pubblica, (ad es. la stipulazione dei contratti), dal profilo della concretezza ed attualità del danno derivante dall’obbligazione stessa, ancorando, quest’ultimo, al pagamento conseguente all’obbligazione.

Le SS.RR, nel risolvere la questione del dies a quo della prescrizione nelle ipotesi di danno collegate alla realizzazione di lavori pubblici, hanno ritenuto che i pagamenti determinano la lesione degli interessi patrimoniali della Pubblica amministrazione, ma che “il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore..”, concludendo nel senso che le condizioni cui è subordinata la decorrenza della prescrizione, ossia concretezza ed attualità del danno, “esistono al momento della conclusione del procedimento di collaudo e salvo che non si siano verificate anteriormente..”.

le SS. RR., con la sentenza n. 14/2011/QM, anche nell’ipotesi di danno indiretto hanno ritenuto che il dies a quo della prescrizione vada individuato, non già nella data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna della pubblica amministrazione, ma nella data di emissione del titolo di pagamento nei confronti del terzo danneggiato, ribadendo che prima del pagamento vi è solo una situazione di danno potenziale, che proprio perché tale, può anche non attualizzarsi, a dispetto della attualità e concretezza dell’obbligazione risarcitoria.(cfr. anche Corte dei conti, Sez. III d'Appello, 18 febbraio 2015, n.91; Sez. II d'Appello, 23 dicembre 2014, n.756; Sez. I d'Appello, 15 maggio 2013, n.323; Sez. II d'Appello, 28 gennaio 2014, n.28; Sez. II d'Appello, 23 luglio 2013, n.479).

La costante giurisprudenza di questa Corte, leggendo ed interpretando il richiamato art.1, comma 2, in correlazione alla regola generale posta dall’art. 2935 c.c. (“la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”), si è espressa nel senso che, ai fini della decorrenza della prescrizione, non è sufficiente il compimento della condotta illecita, ma occorre (anche) un evento dannoso avente i caratteri della concretezza, dell’ attualità e della conoscibilità obiettiva da parte della Pubblica Amministrazione (così, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. Campania, n.143/2012).
In altri termini, il momento della esteriorizzazione obiettiva del danno ingiusto costituisce il dies a quo della prescrizione, perché solo nel momento in cui lo stesso si manifesta all’esterno diviene obiettivamente percepibile e conoscibile, con la conseguenza che, prima di questo momento, non è configurabile una inerzia giuridicamente rilevante, in capo al titolare del diritto, nel far valere il diritto stesso.
Orbene, dall’ applicazione dei principi testè delineati alla fattispecie vagliata in questa sede, emerge che l’esordio del termine quinquennale di prescrizione deve essere identificato nel momento conclusivo dei controlli eseguiti in sede ispettiva (20.11.2007, data della relazione dell’Ispettorato Generale di Finanza), in quanto l’illiceità del relativo esborso non avrebbe potuto ritenersi obiettivamente conoscibile prima di tale momento (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Campania, 26 ottobre 2011, n.1856).

 

Domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio

L’onere per il convenuto di proporre, con la comparsa di risposta e dunque nei termini di costituzione in giudizio stabiliti dall’art. 166 c.p.c. (ossia “almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione”), “le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, onde evitare di incorrere nella decadenza specificamente prevista dall’art. 167, comma 2, c.p.c., come modificato dall’art.2, comma 3, lett. b-ter), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n.80 (così, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. Lombardia, 22 aprile 2009, n. 274).
D’altro canto, l’art. 171, comma 2, c.p.c., come sostituito dall’art.13 legge 26 novembre 1990, n.353, nel consentire la costituzione tardiva del convenuto, specifica che “restano ferme per il convenuto le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c.”.

 

 

Cassazione civ. SSUU. 29 settembre 2003, n. 14488.Giurisdizione e competenza - Giurisdizione della Corte dei Conti – dipendenti pubblici – responsabilità amministrativa – atti discrezionali – sindacabilità in ordine alle spese per sfilate di moda sostenute dal rettore del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II di Roma – sussiste. Riileva che “la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti. E si intende, allora, che la violazione dei criteri sopra indicati possa assumere rilievo anche nel giudizio di responsabilità, dal momento che l’antigiuridicità dell’atto amministrativo costituisce un presupposto necessario (anche se non sufficiente) della “colpevolezza” di chi lo abbia posto in essere”.

Il giudice, rispetto agli atti discrezionali, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, precisando che, una volta accertata tale compatibilità, l’articolazione concreta e minuta, dell’iniziativa intrapresa dall’amministrazione rientra nell’ambito delle scelte delle quali il legislatore ha stabilito l’insindacabilità, sempre che esse non manifestino "un’assoluta e incontrovertibile estraneità" rispetto ai fini dell’ente, siano, cioè, palesemente irrazionali.

La verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti, con la conseguenza che la violazione di questi criteri può assumere rilievo anche nel giudizio di responsabilità amministrativa, dal momento che l’antigiuridicità dell’atto amministrativo costituisce un presupposto necessario (anche se non sufficiente) della "colpevolezza" di chi lo ha posto in essere. Il merito amministrativo non riguarda, quindi, il profilo della legittimità dell’azione amministrativa, perché anche se presuppone che la legge determini i fini che debbono essere necessariamente perseguiti dall’amministrazione, lascia, comunque, a quest’ultima la possibilità di valutare e di scegliere come tali interessi debbano essere perseguiti nel caso specifico. Solo che l’insindacabilità nel merito, di cui all’art. 1 della legge 20/1994 (come modificato dalla legge n. 639/1996), non priva il giudice contabile della possibilità di controllare la "conformità a legge" dell’attività amministrativa.

La Corte dei conti non esorbita dal limite esterno alla propria giurisdizione valutando, ai fini della declaratoria di responsabilità, la scelta discrezionale operata dal rettore di un convitto nazionale di far svolgere, con contributi a carico dell’amministrazione, una sfilata di moda presso il medesimo convitto.

 

Responsabilità civile e responsabilità amministrativo-contabile

Mentre nel sistema della responsabilità civile viene protetto l’interesse del danneggiato, con la conseguente progressiva dequotazione del profilo soggettivo della condotta del danneggiante, nel sistema della responsabilità amministrativa la prospettiva si inverte.

 

Grado di colpa dell’agente

Mentre per la concezione psicologica la colpevolezza consiste nel nesso psichico tra l’agente ed il fatto, per la concezione normativa la colpevolezza consiste nel giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso della volontà.
Nel primo caso, la colpevolezza consiste in un nesso psichico astratto, fisso ed eguale in tutti i casi, perciò non graduabile, necessario per stabilire l’an della responsabilità, ma estraneo alla valutazione del quantum della stessa.
Diversamente, secondo la teoria normativa della colpevolezza l’atteggiamento antidoveroso della volontà caratterizza sia il dolo che la colpa: il fatto doloso è un fatto che non si doveva volere; il fatto colposo è un fatto che non si doveva produrre.

In tali casi, è possibile graduare la responsabilità, in base alla maggiore o minore antidoverosità del comportamento.

In sostanza, la diligenza non va valutata in relazione ad un modello fisso ed astratto, ma rispetto ad un parametro concreto, che tenga conto di tutte le circostanze del caso. Tale parametro è costituito dall’agente-modello, ossia dall’uomo giudizioso ejusdem professionis et condicionis

 

 

 

GIURISPRUDENZA

CORTE COST 184/2007

 

con la sentenza n. 184/2007 la Corte ha ribadito che la disciplina della responsabilità amministrativa rientra tra le materie di competenza dello Stato, in quanto in tale ambito i profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla (la Corte dei conti), ovvero fanno riferimento a situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, che l’art. 117, secondo comma, lett. l), cost. attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato

 

CORTE COST 183/2007

Con la sentenza n. 183/2007, la Corte costituzionale ha, invece, precisato i termini di applicabilità della disciplina del c.d. “condono contabile”, previsto dall’art. 1, co. 231-233, della legge finanziaria 2006

 

 

 

PRASSI


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