R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 82, primo comma
La responsabilità amministrativa troverebbe fondamento nell’art. 82, primo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), ai sensi del quale «[l]’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo», e la relativa giurisdizione sarebbe attribuita alla Corte dei conti dal successivo art. 83. (corte Cost sentenza n. 203 del 2022)
Cost. art. 28
Con l’entrata in vigore della Costituzione, poi, sarebbe stato positivizzato, all’art. 28, il principio di responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici secondo le leggi penali, civili ed amministrative per gli atti illegittimi dagli stessi compiuti.
DPR 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato)
La successiva disciplina positiva in tema di responsabilità amministrativa si rinverrebbe negli artt. 18 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).
In particolare, l’art. 18 – precisa il giudice a quo – dispone che l’impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni medesime i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio, così regolando la responsabilità amministrativa da danno diretto senza fare riferimento al dolo o alla colpa grave.
L’art. 22 ha invece imposto al pubblico dipendente danneggiante il risarcimento dei pregiudizi derivanti a terzi per effetto della sua condotta, stabilendo che l’azione nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con quella diretta nei confronti dell’amministrazione, qualora, in base alle norme e ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato; la medesima disposizione prevede che l’amministrazione, che abbia risarcito i terzi dei danni cagionati dal dipendente, si rivale contro quest’ultimo innanzi alla Corte dei conti.
Ai sensi dell’art. 22, poi, è considerato danno ingiusto quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che il pubblico dipendente abbia commesso con dolo o colpa grave, restando salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti (art. 23).
Solo rispetto al danno indiretto, dunque, il legislatore avrebbe «posto in rilievo» il dolo e la colpa grave, e tale regime sarebbe rimasto invariato fino alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti)
L. 14 gennaio 1994, n. 20
La legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), nel testo originario, ha nuovamente disciplinato l’azione di responsabilità «amministrativa/erariale» senza alcuna specifica indicazione circa l’elemento soggettivo richiesto.
D.L. 23 ottobre 1996, n. 543 art. 3, comma 1, lettera a)
Con l’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 è stato modificato l’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, stabilendosi che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
Il legislatore, «[a]ll’interno di un sistema che nel nostro ordinamento in generale fonda la responsabilità su condotte connotate dall’elemento soggettivo della colpa e del dolo», avrebbe così inteso limitare la responsabilità «amministrativa/erariale» alle ipotesi di dolo e colpa grave.
Al riguardo, la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che tale assetto risponde «alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (si cita la sentenza n. 371 del 1998; nonché le sentenze n. 123 del 2023 e n. 203 del 2022).
Secondo la giurisprudenza costituzionale, dunque, la colpa grave costituirebbe per la responsabilità amministrativa «il minimum individuato, ovvero il punto di equilibrio in un generale sistema della responsabilità fondato sulla colpa e sul dolo».
D.L. 76 del 2020, art. 21, comma 2 che ha introdotto una disciplina provvisoria, prorogata con successivi decreti-legge fino al 31 dicembre 2024, che, quanto alle condotte attive, limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti alle sole ipotesi dolose.
Circoscrive la responsabilità amministrativa alle ipotesi dolose, con esclusione, dunque, di quelle gravemente colpose, per le sole condotte commissive e per il periodo da essa presa in considerazione, circoscrive
Tale disposizione si collocherebbe all’interno di una serie di interventi legislativi di tipo emergenziale volti alla gestione e al superamento dell’emergenza da COVID-19. La sua vigenza era infatti stabilita, all’inizio, fino al 31 luglio 2021, termine prorogato più volte e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2024.
La giurisprudenza della Corte dei conti avrebbe definito «“scriminante”» l’esenzione prevista dalla disposizione in parola e l’avrebbe applicata, per i fatti verificatisi nel periodo sopra indicato, «mandando esenti da responsabilità» coloro che avevano, con condotte commissive gravemente colpose, cagionato un danno erariale.
Il giudice contabile, inoltre, in piena concordanza con la giurisprudenza della Corte di cassazione penale, avrebbe affermato che non possono ritenersi di tipo omissivo tutte le condotte colpose, quand’anche naturalisticamente commissive
Sarebbe infatti evidente che la colpa è caratterizzata sempre da componenti omissive, «perché sul piano ontologico essa corrisponde alla mancata adozione di cautele necessarie ad evitare l’insorgere dell’evento, per negligenza, imperizia o imprudenza, o alla mancata osservanza di regole cautelari», ma ciò atterrebbe alla struttura dell’elemento soggettivo della colpa e non potrebbe essere confuso con la natura commissiva della condotta posta in essere.