POTERI DEL GIUDICE, NULLITA' DEL CONTRATTO E GIUDICATO IMPLICITO


1.Art.1412c.c
2.Corte di Cassazione( sentenza 2012)
• Aderiva alla tesi tradizionale secondo la quale la ratio del rilievo ufficioso da parte del giudice della nullità consisterebbe nella tutela di un interesse generale.
• Individuazione dell’interesse generale; con riferimento alla Nullità strumentale e Nullità per contrarietà a norme imperative. • Esclusione della rilevabilità delle cd Nullità di protezione (art.36cod.consumo)
3.Le due diverse tesi dottrinali sulle nullità di protezione
• Secondo parte della dottrina tutelano un interesse settoriale • Secondo altra parte della dottrina tutelano un interesse generale quali l’interesse dell’ordinamento a che l’esercizio dell’autonomia privata sia corretto ordinato e ragionevole .
4.La Corte di Cassazione con la (sentenza 2014)
• Aderisce al secondo orientamento dottrinale (Innovazione rispetto alla sentenza 2012)
• Rilievo ufficioso da parte del giudice deve essere riservato, nel caso di nullità di protezione, al solo interesse del contraente debole, evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse sollecitare i poteri ufficiosi per un interesse suo proprio.

 

Il caso.

La fattispecie concreta che ha dato origine al contrasto giurisprudenziale sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite è la seguente.

Il giudice di prime cure rigettava la domanda risolutoria di un contratto di rendita vitalizia.

Venivano proposte, in un successivo giudizio, in via principale domanda di nullità, ed in subordine di annullamento del medesimo contratto. Il Tribunale, ritenendo mancante l’alea del contratto, accoglieva la domanda di nullità.

I soccombenti nel giudizio di primo grado proponevano appello lamentando l’erroneità della sentenza; ma l’omissione dei giudici del gravame nel pronunciarsi su tale motivo di impugnazione spingeva gli appellanti a ricorrere in cassazione.

La Cassazione viene investita della questione se, rigettata la domanda di risoluzione, potesse ritenersi implicitamente acclarata dal giudice la non nullità del contratto con una pronuncia avente forza di giudicato, tale da impedire, pena la violazione del né bis in idem, la riproposizione di una domanda di nullità nei confronti dello stesso negozio. In altri termini, se tra la domanda risolutoria conclusasi con il rigetto e quella di nullità formulata successivamente vi fosse identità.

È la questione del c.d. giudicato implicito esterno.

sentenze gemelle nn. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014

Con le sentenze gemelle nn. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato la contorta questione dei poteri del giudice in riferimento a casi di rilevata nullità del contratto,
►►► non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso. ►►► nel caso in cui la domanda attorea sia diversa da quella di nullità ed in particolare sia di impugnativa negoziale o di esecuzione, oppure di nullità ma per un vizio diverso da quello riscontrato dal giudice o ancora quali-quantitativamente differente, non collimando l’orientamento del giudice e della parte istante in merito alla nullità parziale o totale del negozio.
►►► se debba ritenersi idonea al passaggio in giudicato o avente valore meramente incidentale la pronuncia che, rispondendo ad istanze di parte volte ad impugnare il contratto o a darvi esecuzione, tratti solo implicitamente il tema della validità dello stesso.

La seconda sezione civile, investita della questione, rimetteva gli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, affinché si decidesse sulla questione di massima importanza: “Se la nullità del contratto possa essere rilevata d’ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento o di risoluzione del contratto ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso”. Tale problematica, a parere del remittente così come delle Sezioni Unite, era stata lasciata impregiudicata dalla precedente decisione delle Sezioni Unite n. 14828/2012.

Il collegio remittente condivide l’orientamento delle Sezioni Unite, espresso nella sentenza 14828/2012, secondo cui sarebbe ammissibile la rilevabilità ex officio della nullità negoziale (ex art 1421 c.c.) nel caso di domanda di risoluzione del contratto, tuttavia è in dubbio se ciò sia possibile anche in caso di azione di annullamento.

Le Sezioni Unite, dunque, affrontano il problema innanzitutto alla luce della pronuncia del 2012 in cui viene affermato il seguente principio di diritto: nel caso di domanda di risoluzione del contratto il giudice ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, previa attivazione del contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto, purché non soggetta a regime speciale (fanno, infatti, eccezione le nullità di protezione, il cui rilievo è riservato alla volontà della parte protetta); inoltre il giudice accerta la nullità incidenter tantum senza effetto di giudicato, a meno che non sia stata proposta la relativa domanda. Infine la sentenza si conclude con l’affermare che ogni qualvolta si decide nel merito la causa relativa alla risoluzione si forma il giudicato implicito sulla validità del contratto

Il collegio remittente non condivide del tutto la soluzione adottata nel 2012 e invoca un’analisi più ampia e accurata della questione riguardante l’individuazione delle condizioni per la formazione e l’estensione dell’efficacia del giudicato implicito relativo alla sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto. In base alla sent. 14828/2012 se la questione di nullità viene rilevata d’ufficio essa non ha efficacia di giudicato, tuttavia questa statuizione si pone in contrasto con l’asserzione secondo la quale, qualora la questione di nullità non sia sollevata, la decisione sulla risoluzione determina la formazione di un giudicato implicito sulla non nullità (dunque sulla validità) del contratto. Notiamo quindi come vi sia un’incongruenza tra le due affermazioni.

Alla luce delle precedenti pronunce della S.C. sul tema le questioni su cui si invitano le Sezioni Unite a intervenire sono essenzialmente le seguenti:
• I rapporti tra le azioni di impugnativa negoziale e l’art 1421 c.c.
• L’idoneità delle relative decisioni a formare giudicato implicito esterno.

Proprio relativamente a tali questioni una parte autorevole della dottrina ha criticato la sentenza 14828/2012 di “timidezza” argomentativa non avendo colto l’occasione di risolvere definitivamente il problema della rilevabilità officiosa della nullità e ha evidenziato come fosse ormai necessario un intervento sul punto da parte delle Sezioni Unite al fine di giungere ad una soluzione organica.

 

NULLITA’ NEGOZIALE ED AZIONE DI IMPUGNATIVA CONTRATTUALE

 

L’Art 1421 del codice civile sancisce che, salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e che può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La Corte di Cassazione, con la sentenza 14828/2012, ha mostrato di aderire alla tesi tradizionale secondo la quale la “ratio” del rilievo officioso da parte del giudice della nullità consisterebbe nella tutela di interessi sovra-individuali. E’ proprio la natura sovra-individuale dell’interesse protetto, infatti a giustificare la reazione dell’ordinamento nell’ambito del processo, attribuendo addirittura al giudice la possibilità di rilevare la nullità e negare efficacia giuridica ad un atto nullo. Se è facilmente individuabile un interesse sovra-individuale con riferimento alla nullità strutturale e alla nullità per contrarietà a norme imperative, però, lo stesso non può dirsi relativamente alle nullità cosiddette di “protezione”.
La nullità strutturale, infatti, presupponendo il difetto di un elemento essenziale del contratto (come ad esempio l’accordo), si espone ad un giudizio di disvalore da parte dell’ordinamento mentre, a proposito della nullità per contrarietà a norme imperative, è chiaro che l’ interesse generale coincida con un principio fondamentale dell’ordinamento, come il buon costume, l’ordine pubblico o la necessaria liceità della causa contrattuale.
La nullità di protezione, al contrario, sembrerebbe essere introdotta dal legislatore a tutela di un interesse meramente privato. Innanzi tutto occorre premettere che va sotto il nome di ” nullità di protezione” (art 36 codice del consumo). Una particolare disciplina dell’azione di nullità, in forza della quale vi è una limitazione della legittimazione ad agire per far dichiarare invalido un certo patto. In tal caso, legittimato all’azione sarà unicamente il soggetto da proteggere : il consumatore ad esempio.
In merito a questo genere di nullità, anche dette per l’appunto, “relative”, si sono sviluppate due diverse correnti di pensiero;
• Secondo una parte della dottrina esse mutano la vocazione ”generale” della categoria della nullità poiché offrono protezione a interessi particolari e seriali, facenti capo a soggetti singoli o a gruppi specifici.
• Secondo altra parte della dottrina, invece, sono anche esse volte a tutelare interessi generali quali l’interesse dell’ordinamento a che l’esercizio dell’autonomia privata sia corretto, ordinato e ragionevole. L’equilibrio contrattuale e il rispetto delle corrette regole del mercato, infatti, consentirebbero di poter parlare di “ordine pubblico di protezione”.
Attraverso la sentenza in esame la Corte di Cassazione mostra di aderire a questa seconda tesi, almeno per quanto riguarda la rilevabilità ufficiosa della nullità. Sotto questo profilo essa si pone, pertanto, in termini di innovazione rispetto alla precedente sentenza del 2012 secondo la quale, invece, dovrebbe ritenersi vietata al giudice l’indagine in ordine ad una nullità protettiva.
Per giungere a questa conclusione la Corte sottolinea che:
• Innanzitutto non si rinvengono disposizioni normative che escludono espressamente la rilevabilità d’ufficio di tali casi di nullità.
• In secondo luogo il fatto che la legittimazioni ad agire sia ristretta ai solo soggetti indicati dalla norma non si riverbera automaticamente in una conseguente esclusione del potere ufficioso ex art 1421 c.c. E’ indiscutibile, infatti, che lo scopo della nullità relativa ( posta sicuramente a tutela di soggetti ritenuti dalla legge economicamente più deboli, di fronte a situazioni di squilibrio contrattuale) sia volto anche alla protezione di interessi generali che possono addirittura coincidere con valori costituzionali rilevanti come il corretto funzionamento del mercato e l’uguaglianza, quantomeno formale, tra contraente forte e contraente debole. In quanto lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell’autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese.
• In terzo luogo il legislatore contemporaneo ha codificato ipotesi di nullità nelle quali convivono legittimazioni riservate e rilevabilità d’ufficio e il potere del giudice, (esempio art36 comma 3 codice del consumo) in queste fattispecie, rafforza l’intensità della tutela accordata alla parte che, proprio in ragione della posizione strutturale di minor difesa, potrebbe non cogliere le opportuna di tutela ad essa accordata.
Il rilievo ufficioso da parte del giudice, però, sottolinea ancora la Corte, deve essere riservato, nei casi di nullità di protezione, al solo interesse del contraente debole, evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi per un interesse suo proprio.
Se , infatti, esse sono nullità relative e possono essere, pertanto, fatte valere sola dalla parte nel cui interesse il legislatore le ha disciplinate, non si potrebbe/dovrebbe consentire che venga sollecitata la loro rilevazione nell’interesse della controparte.
In alcuni casi, inoltre, il legislatore prevede, sempre a tutela del contraente debole che la nullità di alcune clausole espressamente previste dal legislatore non comporti la caducazione dell’intero contratto ma soltanto quella della clausola viziata. (nullità parziale)

La Corte in seguito, affronta il problema del rapporto tra rilevazione, dichiarazione ed effetto di giudicato della nullità negoziale Stabilendo:
• Che la rilevanza è necessaria e obbligatoria
• Che essa potrà non trasformarsi necessariamente in una dichiarazione laddove la parte nel cui interesse è prevista esprime la facoltà di non avvalersene.
• Che la nullità relativa, ma senza effetti di giudicato, può creare inconvenienti.
Sotto quest’ultimo profilo la Corte evidenzia che la ratio della rilevabilità officiosa della nullità non sia quella di eliminare, sempre e comunque, il contratto nullo dalla sfera del rilevante giudicato ma quella di impedire che esso costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità.

 

LE IMPUGNATIVE NEGOZIALI E L’OGGETTO DEL GIUDIZIO

La questione che andremo a risolvere, in questa sede, è relativa alle impugnative negoziali in correlazione alla individuazione dell’ oggetto del giudizio . È facilmente intuibile come il tema sia al centro di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale non pieno di ampie dispute in quanto risulta necessario operare una scelta tra valori talora contrastanti tra di loro infatti :
►►► da una parte, il valore della indicazioni alle parti della condotta da tenere in futuro scaturite dal rapporto sostanziale che li vincola
►►► dall’ altra, la libertà di istaurare una lite su un singolo segmento delimitato da un singolo titolo costitutivo .
La scelta quindi riguarda sostanzialmente tra diritto sostanziale e domanda giudiziale di diritto, tutto ciò appare decisivo per la soluzione sul tema dei rapporti tra nullità negoziali e azioni di impugnativa negoziale . La nostra analisi partirà da una soluzione formulata da autorevole dottrina per il quale l’ oggetto del diritto dell’ impugnativa negoziale si identifica nel diritto potestativo cd.sostanziale, quest’ assunto comporta la rilevante conseguenza di escludere dal giudicato qualsiasi accertamento definitivo in ordine alle situazioni soggettive sostanziali . Un obiezione a questa identificazione è stata posta in quanto l’ autonoma situazione soggettiva potrebbe essere oggetto del giudizio PRIMA e non mai DOPO il suo esercizio .Una volta esercitato il diritto potestativo questo è destinato a consumarsi con la conseguenza che l’ oggetto del giudizio saranno i fatti modificativi ,estintivi , impeditivi ossia LE SITUAZIONI SOGGETTIVE SOSTANZIALI ,insieme al suo effetto giuridico.

Per fare un esempio il diritto potestativo può essere qualificato come un “interruttore” destinato ad attivare il più vasto “circuito” dei fatti modificativi, estintivi, impeditivi. L indagine per individuare l’oggetto del processo continua attraverso un Inversion-methode dei canoni ermeneutici del processo qualificati in struttura/funzione
Tali valori funzionali possono essere qualificati in :
Ø nel principio di corrispettività del processo (es. locatore che agisce per il pagamento del canone , giudice rileva la nullità della locazione ma si limita a rigettare la domanda che comunque contiene nella motivazione la nullità del contratto, avendo il locatore interesse a restare nell’ immobile in assenza di altre alternative )
Ø principio stabilità : avere una risposta stabile e definitiva sulla domanda giudiziale
Ø principio di armonizzazione evitare tante minime unità decisorie
Ø principio della concentrazione (es. nullità della clausola di determinazione del canone per contrasto con norma imperativa che ne prevede la sostituzione ipso iure )
Ø principio di effettività della tutela che riguarda i tempi della decisione della causa che deve evitare ogni tipo di interpretazione formalistica inutile e defatigante
Ø principio della giustizia
Ø economia (extra) processuale corollario del giusto processo in quanto consiste nell‘evitare una moltiplicazione dei processi
Ø rispetto della non illimitata risorsa-giudiziaria evocato più volte in tema di frazionamento della domanda risarcitoria
Ø principio di lealtà e probità che ritroviamo all’ interno del nostro c.p.c ex art 88
Ø principio di uguaglianza formale tra le parti ex art 3 inteso come eguale soggezione di tutti al diritto.
Svolta l’indagine funzionale dobbiamo ora concentrarci sull’ indagine strutturale che si configura in una decisione del giudice volta al consolidamento di una situazione sostanziale dedotta in giudizio. Da qui le caratteriste della decisone, certezza stabilità e affidabilità , che evitano l’ attivazione infinita del processo . Come già accennato in precedenza, l’oggetto del processo è animato da dispute dottrinali e giurisprudenziali dovute anche dalla non perfetta chiarezza ,ed anzi in alcune parti lacunoso , dato normativo (2909cc non chiarisce quale sia l’ oggetto dell’ accertamento giudiziale, art 34 cpc non specifica la nozione di “questione pregiudiziale” ) dando cosi vita a due macro-ricostruzioni sull’ oggetto del processo.
• ricostruzione privatistica che non si occupa del rapporto giuridico nella sua integrità ma ,deducendo in giudizio una situazione elementare determina essa stessa i limiti della controversia (così consapevole nel violare il principio di economia processuale e di contraddittorietà delle decisioni )
• esigenza pubblicistica che in contrapposizione alla precedente esclude che il processo possa essere frutto di soluzioni frammentate e quindi autonome dal rapporto fondamentale cosi da contrastare con il principio di armonizzazione dei giudicati
Si rende così necessaria una valutazione del diritto soggettivo fatta valere dall’attore in relazione alla sua totale ed effettiva consistenza sostanziale , così da non permettere all’ attore di ritagliare a proprio piacimento l’oggetto della lite in sub-oggetti CASS N. 28286/2011 ). Inoltre per le azione di impugnativa negoziale l’ oggetto del giudizio è costituito da due elementi fondamentali : da un lato il negozio nella sua duplica accezione di fatto storico e fattispecie programmatica dall’ altro il rapporto giuridico sostanziale che ne scaturisce . La conseguenza di questo binomio strutturale negoziale consiste nel potere d’ indagine del giudice su qualsiasi ragione ,sia morfologica che funzionale , di nullità contrattuale viceversa facendo riferimento al rapporto negoziale dobbiamo evidenziare come quest’ultimo sia una naturale conseguenza del tipo di azione tentata dall’ attore infatti in caso di
o domanda di risoluzione e di adempimento , l’oggetto della contesa sarà il rapporto sinallagmatico sia nella sua dimensione statica che dinamica
o domanda di annullamento e di rescissione l’oggetto del giudizio sarà il binomio invalidità/efficacia temporanea che è strettamente collegata nonché dipendente dalla sua nullità/o efficacia originaria
La difficoltà del giudicante consiste proprio nella valutazione unitaria di queste fattispecie. Simbolica è una vicenda della Corte d’appello di Cagliari che dovendo decidere su domande incrociate riguardanti la risoluzione contrattuale e l’esatto adempimento di un contratto affetto da nullità per ritenuta indeterminabilità dell’ immobile alienato e del relativo prezzo, pronuncia la nullità dell’ alienazione per indeterminabilità dell’oggetto e del prezzo. Nella fattispecie concreta il giudice, non tenendo conto del rapporto tra le parti, esamina prioritariamente dei vizi negoziali che decretano una eventuale nullità della convezione ( trasposizione della teoria cd comune base negoziale che prevede la prioritaria disamina da parte del giudice dei vizi negoziali che possono dar vita a nullità della convenzione , in contrapposizione alla teoria della “questione giuridica” che prevede come oggetto del giudizio ogni singolo motivo rappresentato dal diritto potestativo , inoltre quest’ ultima teoria appare in netta contrapposizione alla Sent.Cass. 23726/2007 sulla inammissibilità della domanda frazionata di un credito ). Appare chiaro come in caso di annullamento, rescissione o risoluzione sia necessario l’esistenza degli effetti dell’ atto , ragion per cui non può ritenersi ammissibile una coesistenza della nullità dello stesso atto rispetto ad una medesima fattispecie , non s’intende in tal modo giungere a un incondizionato accoglimento del principio del giudicato implicito ma bisogna mettere in rilievo il dovere del giudice di rilevare e indicare alle parti una causa di nullità lungo tutto il corso del processo
MAPPA CONCETTUALE :LACUNE NORMATIVE
2909 cc--> Oggetto dell’accertamento
32 cpc --> questione pregiudiziale
TESI pubblicistica (si) + Tesi privatistica (no)
Oggetto del giudizio è costituito da 2 elementi fondamentali : negozio ( nella duplice accezione di fatto storico e fattispecie programmatica ) e rapporto giuridico sostanziale .

 

LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO – L'ORDINE LOGICO DELLE QUESTIONI

La questione qui in esame inerisce l’individuazione delle condizioni per la formazione e l’estensione dell’efficacia del c.d. giudicato implicito esterno rispetto alla possibilità di proporre un’azione di nullità successiva alla sentenza di rigetto della domanda di risoluzione dello stesso contratto. Sul giudicato implicito ci si limiti a dire che il nostro ordinamento positivo non riconosce cittadinanza all’idea di un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto dell’ordine logico-giuridico delle questioni. L’ordinanza interlocutoria n. 16630/2013 ritiene di non prestare piena adesione al principio di diritto affermato nella sentenza n. 14828/2012 , ove, per un verso si sostiene che il giudice di merito investito della questione ha il potere-dovere di rilevare, previa instaurazione del contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso; e per altro verso, si opina che il medesimo giudice possa accertare la nullità incidenter tantum senza effetto di giudicato, pervenendo tuttavia alla conclusione che il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito. E ciò risulterebbe verificabile anche nell’ipotesi, oggetto della presente controversia, della “ragione più liquida”. Maggiore liquidità della questione significa, in particolare che, nell’ipotesi di rigetto della domanda, occorre dare priorità alla ragione più immediata, più evidente, più pronta, che consenta di giungere celermente, senza necessità di ulteriore istruttoria, alla adozione della decisione e quindi alla risoluzione della controversia. L’ordinanza interlocutoria sollecita invece una ulteriore e più attenta riflessione sul problema se sia o meno possibile rimettere in discussione la validità di un contratto dopo che, in una precedente causa promossa per ottenerne la risoluzione, il giudice si sia comunque pronunciato nel merito, in assenza di qualsivoglia indagine su un’eventuale invalidità del contratto stesso, senza che la relativa sentenza sia stata impugnata. Per analizzare la questione è necessario introdurre il principio secondo cui l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile, quindi la sua forza preclusiva si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre, riferendosi a quelle ragioni che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia. L’argomento a sostegno è il seguente: se il giudice si è pronunciato su un determinato punto, ha evidentemente risolto in senso non ostativo tutti quelli il cui esame doveva ritenersi preliminare a quello implicitamente deciso. Tuttavia tale argomento logico pur apparendo persuasivo va opportunamente temperato, non bisogna infatti sovrapporre la successione cronologica delle attività di cognizione con il quadro logico della decisione complessivamente adottata: l’ordine di trattazione delle questioni va infatti distinto dall’ordine delle decisioni. Ciò sembra confermato nell’art. 276 secondo comma c.p.c.. Più in generale non sembra discutibile che il nostro ordinamento processuale contempli un modello di trattazione unitaria, in cui esame sul rito e trattazione del merito si svolgono all’interno dell’unico processo. Una indicazione in tal senso si trova nell’ art. 187 secondo comma c.p.c., che consente una rimessione anticipata della causa in presenza di una questione preliminare di merito. Il legislatore configurando la nullità come oggetto di un’eccezione in senso lato- “il giudice può rilevare d’ufficio”- non l’ha ritenuta meritevole di un’autonoma iniziativa ufficiosa volta ad un suo pieno accertamento sempre e comunque con effetto di giudicato, pur nel silenzio delle parti. Così oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale e oggetto del giudicato risultano allora cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili. Ed è in forza dei che il principi di speditezza, economia e celerità delle decisioni giudice rigetta la domanda sulla base della ragione più liquida (prescrizione, adempimento, mancata scadenza dell’obbligazione) senza che la nullità sia dichiarata nel provvedimento decisorio, non dovendo affrontare, nell’esplicitare le ragioni della decisione, il più vasto tema della invalidità del negozio, che avrebbe imposto una troppo lunga e incerta attività istruttoria. Ed è proprio la facoltà del giudicato di definire il processo celermente sulla base della ragione più liquida impedisce di affermare la perfetta sovrapponibilità dell’oggetto del processo all’oggetto del giudicato. Su tali premesse poggia la risposta alla questione del giudicato implicito sulla “nonnullità” negoziale di cui si rintraccia un sintetico riferimento nella sentenza n. 14828 del 2012 che ne rinviene la sussistenza in quelle sole decisioni che implichino (e comunque non affrontino specificamente) la ritenuta validità del contratto. Il tema non si presta a soluzioni generalizzate, ma evoca la necessità di distinzioni che verranno approfondite nel prosieguo della trattazione.

Ulteriore tema su cui è necessario seppur brevemente soffermarci è quello dell’idoneità della pronuncia resa in seguito ad un’azione di impugnativa negoziale a divenire cosa giudicata. Con la sentenza n. 6170/2005 la Corte di Cassazione attribuisce efficacia di giudicato all’accertamento incidentale della nullità, facendo ricorso all’argomento c.d. per inconveniens per cui a voler escludere il giudicato sull’accertamento della nullità, la parte, che ha visto respingere la propria domanda di risoluzione per inadempimento a causa della nullità del contratto, potrebbe essere a sua volta convenuta per l’adempimento, correndo in tal modo il rischio di una differente valutazione da parte del giudice della nuova causa, senza poter riproporre a sua volta la domanda di risoluzione. Mentre la sentenza della Corte di Cassazione n.11356/2006 si pronuncia in senso opposto, negando quindi tale forza di giudicato all’accertamento incidentale e sottolineando che la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione adottata sulla base della ragione c.d. più liquida non preclude la successiva proposizione di una domanda di nullità del contratto. La seconda pronuncia della Corte appare condivisibilmente rivolta alla ricerca di soluzioni non meccanicistiche: l’accertamento vincola in altri processi solo se le parti lo hanno voluto.
All’esito della ricognizione che precede possono affermarsi i seguenti principi:

• L’espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza sarà idoneo a produrre, anche in assenza di un’istanza di parte (domanda o accertamento incidentale), L’EFFETTO DI GIUDICATO sulla nullità del contratto in mancanza di impugnazioni sul punto;
• La mancanza di qualsivoglia rilevazione/dichiarazione della nullità in sentenza è idonea, in linee generali ma non in via assoluta, e non senza eccezioni,a costituire GIUDICATO IMPLICITO SULLA VALIDITA’ DEL CONTRATTO.

MAPPA CONCETTUALE
1. GIUDICATO IMPLICITO SULLA NON-NULLITÀ
§ Ordinanza interlocutoria n.16630/2013 - confronto sentenza n.14828/2014
§ Giudicato copre dedotto e deducibile - ordine logico delle questioni
§ Ragione più liquida
2. IDONEITÀ ACCERTAMENTO ACCIDENTALE A DIVENIRE COSA GIUDICATA
§ Sentenza n. 6170/2005 riconosce efficacia di giudicato
§ Sentenza n.11356/2006 non riconosce efficacia preclusiva - ragione più liquida-

 

 

LA RICOSTRUZIONE SISTEMATICA DELLE AZIONI DI IMPUGNATIVA NEGOZIALE

La sentenza della Corte di Cassazione a S.U.14828/2012 ha ipotizzato, seppure in obiterdictum, la opportunità di una differenziazione tra azioni di adempimento/risoluzione e azione “demolitorie” (annullamento/rescissione), e di conseguenza espresso le proprie riserve in merito alla possibilità del rilievo officioso della nullità contrattuale nelle more delle seconde. Conviene procedere ad una analisi morfologica delle varie azioni di impugnativa negoziale per individuare il rapporto di omogenita funzionale e strutturale sussistente fra queste.
A)L’azione di risoluzione
Estendendo la soluzione della sent.14828/2012, che ammetteva tale potere/dovere officioso solo nel caso di risoluzione per inadempimento, si prevede la possibilità del rilievo officioso della questione di nullità a tutti i casi di pendenza di azione di risoluzione. La disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta prevede all’art.1467 c.3 la reductio ad aequitatem, a cui può ricorrere il contraente interessato alla conservazione del contratto. La predisposizione di tale strumento sarebbe inaccettabile in relazione ad un negozio ad origine nullo. D’altro canto la questione di nullità si pone, in rapporto alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, bisognosa di un defatigante accertamento oggettivo, quale ragione più liquida e più facilmente accertabile. Tenendo presente le differenze tra i profili risarcitori e restitutori delle declaratorie di risoluzione e annullamento, si riconosce generalmente la possibilità del rilievo officioso della nullità.
B)L’annullamento e la rescissione
L’ordinanza interlocutoria n.21083/2012 investe la Corte dell’esame della problematica del rilievo officioso della nullità, oltre che nelle azione di risoluzione, anche nelle azioni demolitorie. La precedente sentenza del 2012, pur non pronunciandosi definitivamente, lasciava trapelare una certa reticenza nell’ammettere la possibilità di tale rilievo in dette azioni, risentendo probabilmente dell’influenza delle cosiddette dottrine frammentarie (che non riconoscevano la omogeneità funzionale e strutturale delle azioni di impugnativa).
• Le azioni demolitorie sono incompatibili con il rilievo d’ufficio della nullità, perché, proprio come l’azione di nullità, perseguono lo scopo dell’annientamento del contratto: operando quindi nello stesso campo, i motivi della nullità dovrebbero essere allegati dalla parte. Si fa salvo il caso di rescissione per clausola invalida che comporti la sproporzione delle prestazioni (il giudice rileva la nullità, sostituisce la clausola invalida e rigetta la domanda di rescissione).
• Si prevede nelle azioni di rescissione la necessità del rilievo d’ufficio di una eventuale nullità contrattuale, essendo possibile la reductio in aequitatem in caso di rescissione e ferma l’inconcepibilità di una sanatoria di un negozio nullo (che non sia la conversione disciplinata dal c.c.). L’azione di annullabilità, che si esercita in conseguenza a un vulnus arrecato al consenso, è da ritenersi all’uopo incompatibile al rilievo officioso di eventuale nullità.
L’accoglimento delle tesi frammentarie è reso impraticabile dal rinvenimento nel codice civile di due sottosistemi normativi predicativi dell’omogeneità, rispettivamente strumentale e funzionale, delle azioni di impugnativa negoziale:
Piano strutturale
• Art.1450: il convenuto può evitare la rescissione offrendo la riconduzione a equità
• Art.1432: la parte in errore non può domandare l’annullamento del contratto se, prima che ad essa possa derivarne pregiudizio, l’altra offra di eseguirlo in modo conforme al contenuto ed alle modalità del contratto che quella intendeva concludere.
• Art.1446: principio di parzialità dell’annullabilità che affligge solo il vincolo di una delle parti dei contratti plurilaterali, salvo che la partecipazione della parte risulti indispensabile.
Queste norme fanno da pandente alla previsione della recondutio ad aequitatem nel campo della risolutiva per eccessiva onerosità della prestazione, trovando la loro coerenza sistematica laddove l’azione di impugnativa negoziale presupponga la validità del contratto. Esse configurano la facoltà di paralizzare l’impugnativa negoziale della controparte che lamenti l’errore, stabilizzando gli effetti del contratto. Ove non fosse possibile per il giudice rilevare d’ufficio una causa di nullità ab origine, tale potere integrerebbe una sanatoria di un contratto nullo.
Piano funzionale
• Art.1443: il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, che è tenuto a ripetere quanto da lui prestato solo nei limiti in cui ciò è stato rivolto a suo vantaggio.
• Art.1444: convalida della parte che potrebbe esercitare l’azione di annullamento.
• Art.1445: i diritti acquistati da terzi in buona fede a titolo oneroso non sono pregiudicati dalla pronuncia di annullamento.
Vengono poste in risalto in queste norme le differenze degli effetti fra le declaratorie demolitorie e l’accertamento della nullità. In questo differenziale pratico è da riscontrare ancora una volta la presupposizione della validità del negozio che si vuole impugnare.(Come nel caso dell’azione di risoluzione conviene tener presente la differenza tra i profili risarcitori conseguenziali alle azioni demolitorie e quelli conseguenziali all’azione di nullità: soprattutto per quanto riguarda i contratti a prestazioni periodiche continuative). Riconosciuti i caratteri di omogeneità strutturale e funzionale la Corte stabilisce che: “Ogni ipotesi di limitazione posta alla rilevabilità officiosa della nullità deve, pertanto, essere definitivamente espunta dall’attuale sistema processuale con riguardo a tutte le azioni di impugnativa negoziale”. Così la Consulta ricostruisce unitariamente la fattispecie del negozio ad efficacia eliminabile che comprende negozi invalidi ma temporaneamente efficaci (contratto annullabile e quello rescindibile); e negozi validi e inizialmente efficaci, ma afflitti da un vulnus nella dimensione del sinallagma (contratto risolubile)
MAPPA CONCENTTUALE
Differenze fra sentenza 14828/2012 e sentenza 26243/2014
- AZIONE DI RISOLUZIONE
1) Risoluzione per inadempimento
2) Risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità
3) Risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione
- AZIONE DI ANNULLAMENTO E RESCISSIONE
1) Dottrine frammentaria
2) Omogeneità strutturale e funzionale delle azioni di impugnativa negoziale
-NEGOZIO AD EFFICACIA ELIMINABILE
1) Invalido ma temporaneamente efficace (annullabile o rescindibile)
2) Valido ed inizialmente efficace ma affetto da un vizio nella dimensione del sinallagma (risolubile).

NULLITA DIVERSA DA QUELLA INVOCATA DALLA PARTE

Il quesito posto alla Corte di Cassazione non ricomprende esplicitamente la fattispecie del rilievo ope iudicis di una causa di nullità diversa da quella originariamente prospettata dalla parte con la domanda introduttiva. Ma per ragioni di completezza argomentativa la Corte analizza questa ulteriore tematica. La giurisprudenza della Corte, sul punto, pare consolidata nel senso dell'impossibilità per il giudice di procedere al rilievo officioso di un motivo di nullità diverso da quello fatto valere dalla parte, poiché l'istanza di declaratoria della nullità si riconduce alla categoria delle domande eterodeterminate. La dottrina, al contrario, critica tale orientamento ritenendo che la domanda di nullità negoziale appartiene ad un diritto autodeterminato, ed è individuata a prescindere dallo specifico vizio ( titolo) dedotto in giudizio. Infatti si osserva come la sentenza dichiarativa della nullità di un contratto per un motivo diverso da quello allegato dalla parte corrisponda pur sempre alla domanda originariamente proposta, sia per causa petendi ( inidoneità del contratto a produrre effetti a causa della sua nullità), sia per petitum ( la declaratoria di invalidità e di conseguente inefficacia ab origine dell'atto). Si precisa poi, l'esistenza del potere-dovere del giudice di rilevare anche d'ufficio i diversi motivi di nullità non allegati dalla parte ex art 1421 c.c., poiché il rilievo avrà ad oggetto un ulteriore titolo della domanda , in forza del quale la domanda potrà trovare accoglimento a condizione che la diversa causa di nullità emerga dagli atti. La rilevazione ex officio quindi non contrasterebbe né con il petitum, né con la causa petendi; e dovrebbe essere permesso al giudice di rilevare una causa diversa di nullità anche in ragione della ratio sottesa alla fattispecie invalidante. Soluzione opposta condurrebbe a conseguenze problematiche sul piano processuale. La domanda di accertamento della nullità del contratto ha ad oggetto l'accertamento negativo dell'esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, così che il giudicato di rigetto di tali domande accerta la non nullità del negozio, conseguente esistenza del rapporto e preclude qualsiasi nuova azione di nullità di quel negozio. Le incongruenze della giurisprudenza di una soluzione restrittiva emergono quando la nullità sia opposta in via di eccezione dal convenuto, dove il differente vizio di nullità sarebbe rilevabile in via officiosa, trattandosi di eccezione in senso lato, con evidente quanto ingiustificata disparità di trattamento riservate all'attore e al convenuto. Non verrebbe, nel caso di accoglimento della tesi della dottrina, vulnerato neanche il diritto di difesa del convenuto, poichè una volta rilevata dal giudice una diversa questione di nullità verrebbe accordato tutto lo spazio difensivo nel rispetto degli art. 183 e 101 c.p.c., nella piena esplicazione del contraddittorio. La possibilità di una, sia pur indiretta, conferma della rilevabilità d'ufficio di una diversa causa di nullità sembra potersi rinvenire in una pronuncia della Corte in tema di prescrizione (sent n 10955 del 2002) in cui al giudice è permesso di rilevare una diversa causa di prescrizione a condizione che fosse attivato il contraddittorio. Va pertanto affermato il principio della legittimità del rilievo officioso del giudice di una causa diversa di nullità rispetto a quella sottoposta al suo esame dalla parte. (Cambio di orientamento della Cassazione). Potere di rilevazione officiosa del giudice rispetto alla fattispecie della nullità parziale. La prevalente giurisprudenza di questa Corte ha adottato un orientamento restrittivo, affermando l'eccezionalità dell'effetto estensivo della nullità della singola clausola all'intero negozio. Infatti, la pronuncia dichiarativa della nullità dell'intero contratto, a fronte di una domanda di accertamento della nullità della singola clausola, incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione; essendo specifico onere della parte, che ha interesse ad una declaratoria di nullità tout court, dimostrare che il contratto non si sarebbe concluso senza tale clausola ai sensi dell'art.1419 c.c.. A conferma di questo orientamento vi è il dictum di cui Cass.18 gennaio 1988 n.32 in tema di collegamento negoziale. La dottrina a riguardo ha però osservato che, sul piano dei principi, la formulazione dell'art 1419 comma 1 c.c. non consente di desumere una regola generale volta a privilegiare la nullità parziale.
Si sono indicati due criteri da ancorare all'attività officiosa del giudice:
• il criterio della volontà ipotetica volto alla ricostruzione del probabile e presumibile intento dei contraenti, se essi avessero saputo che una parte del negozio era priva di efficacia;
• il criterio del giudizio oggettivo di buone fede , che postula un'attività di tipo controfattuale da parte del giudice volta ad accertare se il vigore del regolamento parziale sia coerente con il modello distributivo di oneri e vantaggi su cui i contraenti avevano consentito oppure no.
Le conclusioni a cui è arrivata la giurisprudenza di legittimità non possono essere tenute ferme poiché appaiono fondate sulla sovrapposizione concettuale dei due distinti momenti della rilevazione e della dichiarazione della nullità totale. La Corte ritiene che le critiche della dottrina colgono nel segno ma è innegabile che i criteri suggeriti assegnerebbero al giudice un compito assai arduo. Quello che rileva è il diverso petitum rivolto al giudice: un petitum volto alla conservazione ( nullità parziale) e non alla dichiarazione di inefficacia/inesistenza (nullità totale) degli effetti negoziali. Perciò si ammette il potere del giudice alla sola rilevazione officiosa di una nullità totale da parte del giudice nell'ipotesi in cui le parti discutano invece della singola clausola negoziale. Appare probabile che all'esito di tale rilevazione, una delle parti formuli domanda di accertamento di nullità totale dell'atto secondo le modalità indicate dall'art 183 e 101 c.p.c. Se questo non avviene e le parti insistono nella originaria domanda di accertamento parziale della contratto, il giudice sarà vincolato al rigetto della domanda poiché al pari della risoluzione, della rescissione e dell'annullamento, non può attribuire efficacia neppure ad una parte del negozio radicalmente nullo. Lo stesso può dirsi nell'ipotesi speculare di richiesta di declaratoria di nullità totale del contratto dalle parti, quando il giudice ravvisi un'ipotesi di nullità parziale; dove il potere-dovere del giudice si limita alla rilevazione di una fattispecie di nullità parziale lasciando le parti libere di mantenere le domande originarie.
Potere di rilevazione officiosa del giudice in tema di conversione del negozio nullo.
L'orientamento minoritario che consente la rilevabilità d'ufficio della conversione di un negozio nullo, consentendo alla parti di avvalersi dell'art 1424 c.c., non può essere condivisa.I poteri officiosi del giudice di rilevazione della nullità non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto in assenza di specifica domanda di parte. Il dato testuale dell'art 1424 c.c. è decisivo nel dire che il contratto nullo ''può'' non deve produrre gli effetti di un contratto diverso. La rilevazione della eventuale conversione, difatti, esorbiterebbe dai limiti del potere officioso di rilevare la nullità ed è quindi una soluzione inammissibile in assenza di una istanza di parte, poiché oltretutto, si discorre a riguardo di una dimensione di interessi soltanto individuali diversamente dalla nullità tuot court.

(Riferimenti normativi)
Art 1421 c.c. : Salvo diverse disposizioni di legge la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Art 1419 c.c. : La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità .
La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative [1573, 1679 4, 1932 2,1962 2, 2077 2] .
Art 1424 c.c. : Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.

MAPPA CONCETTUALE
Rilevabilità ex officio

v Nullità diversa:
• giurisprudenza
• critica dottrina - non contrasto con petitum e causa petendi
- incongruenza rispetto alla nullità opposta in via di eccezione
- tutela del diritto di difesa
• innovazione dell'orientamento giurisprudenziale

v Nullità parziale:
• 1419 c.c.
• giurisprudenza
• critica dottrina
• innovazione dell'orientamento giurisprudenziale
v Conversione del negozio nullo:
• 1424 c.c.
• orientamento minoritario
• conferma orientamento precedente della Corte di Cassazione

 

i due momenti della RILEVAZIONE e DICHIARAZIONE della nullità.

 

All’esito di tale iter argomentativo, la Suprema Corte ridefinisce i rapporti tra la nullità negoziale e le azioni di impugnativa contrattuale, distinguendo innazitutto i due momenti della RILEVAZIONE e DICHIARAZIONE della nullità.
Rispetto alla rilevazione:
Il giudice ha l’obbligo di RILEVARE sempre una causa di nullità negoziale.
Due sono le innovazioni introdotte rispetto a quanto stabilito nella sentenza 14828/2012, in cui la Corte in primis si era espressa in termini di “potere” e non di “obbligo” del giudice, e in secundis aveva limitato la possibilità del rilievo officioso della nullità alle sole azioni di adempimento e risoluzione per inadempimento, escludendone l’ammissibilità, invece, in riferimento alle azioni di annullamento e rescissione, in base alla ratio per cui queste ultime non presupponessero la validità del contratto. Al contrario la Corte in questa sede, ai fini del rilievo d’ufficio della nullità contrattuale, equipara tutte le azioni di impugnativa negoziale. In più la Corte precisa che il giudice ha sempre la facoltà di rilevare d’ufficio la nullità nei giudizi di Appello e Cassazione, nel caso in cui questa non sia stata rilevata in primo grado.
Rispetto alla dichiarazione:
Il giudice, dopo averla rilevata, ha la facoltà di DICHIARARE nella decisione di merito la nullità del contratto, con la significativa eccezione delle ipotesi di nullità speciale (o “di protezione”), per le quali la sentenza 14828/2012 escludeva anche lo stesso rilievo d’ufficio, riservandone l’indicazione all’iniziativa di parte; in questa sede invece la Corte ne ammette il rilievo d’ufficio, ma ne condiziona la dichiarazione all’interno del provvedimento decisorio alla richiesta della parte interessata. Pertanto, nel caso in cui, a seguito della rilevazione officiosa di una nullità speciale, le parti non propongano domanda di accertamento, il giudice si pronuncerà soltanto sulla domanda originaria, rigettandola o accogliendola, dunque senza dichiarare la nullità di protezione, pur rilevata nel corso del giudizio. Non essendo affatto dichiarata la nullità, in tal caso non si forma nessun tipo di giudicato su di essa.


La Corte individua poi le diverse ipotesi verificabili all’interno di un giudizio, a seconda che il giudice rilevi o meno ex actis la nullità del contratto:
• Nell’ipotesi in cui la nullità VENGA RILEVATA d’ufficio, distinguiamo:
-se la parte formula una DOMANDA DI ACCERTAMENTO della nullità (sia in via principale che incidentale), il giudice accerta la nullità e statuisce su di essa, dichiarandola all’interno del dispositivo della sentenza. In questo caso, l’accertamento della nullità ha effetto di giudicato, salvo che la decisione venga impugnata;
- se, al contrario, a seguito della rilevazione officiosa, la parte NON PROPONGA DOMANDA DI ACCERTAMENTO della nullità, il giudice sarà tenuto a pronunciarsi solo sulla domanda originaria. Questa ipotesi, definita “residuale” dalla precedente giurisprudenza (sentenza 14828/2012) e da una parte della dottrina, può verificarsi per esempio nel caso in cui un locatore e un conduttore abbiano interesse a che il contratto di locazione non sia dichiarato nullo (nonostante la nullità sia stata rilevata dal giudice), volendo incentrare il giudizio sulla questione del pagamento o meno di alcuni canoni .A questo punto il giudice RIGETTA la domanda originaria, non potendo pronunciare la risoluzione o l’annullamento o la rescissione di un contratto nullo, e ne dichiara la nullità, questa volta però solo in motivazione. In questo caso, pur non essendovi una statuizione sulla nullità nel dispositivo, l’accertamento di quest’ultima è comunque idoneo a produrre effetto di giudicato, in virtù della estensione del cd. “vincolo al motivo portante”, che non si limita ai segmenti del rapporto sostanziale dedotti in giudizio in diversi momenti, ma si estende a tutti i successivi processi che abbiano ad oggetto diritti derivanti dal contratto dichiarato nullo (per cui costituisce oggetto del processo non solo il negozio inteso come rapporto, ma anche come fatto storico). In questo punto la Corte si discosta da quanto affermato nella sentenza del 2012, cioè che in mancanza di domanda di parte, l’accertamento della nullità potesse avvenire solo incidenter tantum, quindi senza effetto di giudicato. In questa occasione al contrario, la Corte ammette in entrambi i casi l’effetto di giudicato, sottolineando che l’unica differenza riguarda l’aspetto della trascrizione e dell’opponibilità a terzi dell’effetto di giudicato, possibile solo in presenza di una domanda di accertamento formulata dalla parte.
In caso di mancata domanda di accertamento, però, il giudice potrebbe anche ACCOGLIERE la domanda originaria, nel caso in cui, pur avendo rilevato dagli atti la nullità del contratto, muti il suo convincimento nel corso del processo, in seguito ad altre allegazioni e prove, giungendo a stabilire che quella nullità sia inesistente e dunque che non possa essere dichiarata. In questo caso, non essendoci una dichiarazione di nullità né in motivazione, né in dispositivo, si formerà un giudicato implicito sulla NON NULLITÀ (e quindi VALIDITÀ ) del contratto, che non potrà più essere messa in discussione dalle parti in futuri giudizi, (dal momento che esse avrebbero potuto proporre domanda di accertamento e non lo hanno fatto), verificandosi in caso contrario una violazione del “divieto dell’abuso di diritto” di cui all’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
• Nel caso in cui invece la nullità NON VENGA RILEVATA d’ufficio:
-il giudice può ACCOGLIERE la domanda originaria, formandosi in tal caso un giudicato implicito sulla VALIDITÀ del negozio (salvo la rilevazione d’ufficio della nullità in altri gradi del giudizio);
-il giudice può anche RIGETTARE la domanda originaria, formandosi ugualmente in tal caso un giudicato implicito sulla VALIDITÀ del negozio,purchè nella motivazione il giudice si pronunci inequivocabilmente a favore di tale validità.Fa eccezione il caso in cui la decisione risulti fondata sulla “RAGIONE PIÙ LIQUIDA”. Tale principio, la cui ratio risiede nell’art. 187 comma 2 c.p.c., individua una questione di pronta e facile soluzione, che consenta di giungere ad una decisione di rigetto della domanda senza dover rispettare l’ordine delle questioni. In tal caso il giudice deve RIGETTARE la domanda senza né rilevare né dichiarare la nullità del contratto, dal momento che questo aspetto non è stato affatto esaminato, per cui non può formarsi nessun giudicato né sulla nullità del contratto, né sulla sua validità.
- qualora poi il giudice sia stato investito fin dall’inizio di una domanda di nullità negoziale, senza che abbia quindi rilevato nessun’altra causa di nullità negoziale, (rilievo reso ora ammissibile da questa stessa pronuncia),RIGETTERÀ la domanda, e l’accertamento della non nullità del contratto sarà idoneo al passaggio in giudicato, per cui non potrà essere indicata in nessun altro giudizio, a fondamento dell’azione, una diversa causa di nullità del medesimo contratto.
La Corte conclude sottolineando che la rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto, e più in generale delle eccezioni in senso lato, risulta funzionale ad una concezione del processo non “ eccessivamente pubblicistica”, come un’analisi superficiale aveva ritenuto, ma che piuttosto fa leva sul valore della giustizia della decisione.

Impugnative negoziali, rilevabilità della nullità ex officio e giudicato implicito esterno.

 

Il giudizio arriva alla Suprema Corte per una evidente discrepanza di posizioni sul rilievo da ascrivere alla pronuncia del giudice di primo grado di rigetto della domanda risolutoria. Motivo che genera, poi, la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Le tesi emerse erano due.

Parte di giurisprudenza riteneva che poiché il giudice, risolvendo il contratto, ne acclarava solo implicitamente la non nullità, la pronuncia non era suscettibile di diventare cosa giudicata sul punto. Conclusione avvalorata dalla mancanza di un’istanza di parte. Ne conseguiva la pacifica riproponibilità in giudizio di questioni di nullità afferenti il medesimo contratto.

Nel 2012 hanno aderito a tale teoria le stesse Sezioni Unite. Dalla sentenza n. 14828 si evince che in un contenzioso scaturente da richiesta risolutoria, il giudice, riscontrata una causa di nullità del contratto, poteva rilevarla ex officio qualora fosse emersa ex actis o comunque dai fatti allegati e provati dalle parti; ma ove non fosse stata formulata apposita istanza di parte, il rilievo officioso avrebbe determinato il rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, della nullità.

Sul versante opposto, la tesi di quella giurisprudenza secondo la quale se non fosse stata sollevata domanda di nullità ma solo di risoluzione, ed implicando questa la validità del contratto, si sarebbe dovuto logicamente concludere per l’idoneità al giudicato della pronuncia sulla non nullità del contratto.

Nel rispondere al quesito, le Sezioni Unite, con le sentenze gemelle, ma in particolare con la n. 26242, allargano il raggio di azione. Invece che occuparsi della sola ipotesi di riscontro di una causa di nullità del negozio nell’ambito di un giudizio introdotto con domanda risolutoria, affrontano il tema della compatibilità tra rilievo della nullità ed impugnative negoziali, in una al tema del c.d. giudicato implicito esterno. Mentre, infatti, nella citata sentenza del 2012 le Sezioni Unite si erano occupate del solo caso della risoluzione – lasciando le porte aperte a dubbi ed argomentazioni di vario respiro - a distanza di due anni il Supremo Consesso affronta la medesima tematica in riferimento alle ipotesi della rescissione e dell’annullamento.

La premessa di fondo è che la nullità, come è noto, è una patologia dell’atto negoziale tanto grave da essere comminata nei casi di deficit di elementi costitutivi o quando si profilano ipotesi di illiceità e contrarietà ai canoni più significativi dell’ordinamento, ragion per cui il rilievo officioso ope judicis ex art. 1421 c.c. appare più obbligatorio che discrezionale.

Si afferma che introdotta domanda risolutoria o rescissoria o demolitoria, se il giudice si è pronunciato nel merito senza indagare su profili afferenti la validità del contratto, in applicazione del divieto di bis in idem, i punti il cui esame va ritenuto pregiudiziale nonostante la loro mancata specifica soluzione, non possono più essere messi in discussione.

si forma il giudicato implicito sulla non-nullità del contratto, la cui validità non potrà più essere messa in discussione tra le parti in un altro processo non avendo le parti stesse – pur potendolo, nel corso del giudizio di primo grado, a seguito del rilievo del giudice – formulato alcuna domanda di accertamento incidentale, e non essendo, pertanto, loro consentito di venire contra factum proprium, se non abusando del proprio diritto e del processo, abuso il cui divieto assume, ormai, rilevanza costituzionale ex art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.”

Non si possono negare, invero, le diversità strutturali esistenti tra le azioni di adempimento e risoluzione, da un lato, e annullamento e rescissione, dall’altro.
Le prime presuppongono un atto morfologicamente valido di cui vengono posti in discussione solo gli effetti;
le seconde presuppongono l’invalidità strutturale dell’atto, benché temporaneamente efficace.

Tali azioni hanno, tuttavia, un dato comune, che le rende compatibili con la rilevazione della nullità del contratto da parte del giudice: l’efficacia del contratto, seppur con la temporaneità che connota annullamento e rescissione. Condizione unitaria di accoglimento è la non nullità del contratto, quindi la sua esistenza ed efficacia.

Pertanto, rigettata la domanda di annullamento o rescissione o risoluzione poiché il contratto è nullo, la declaratoria di nullità è idonea al passaggio in giudicato e la medesima questione non può essere riproposta.

Le Sezioni Unite spiegano tale conclusione con la circostanza che il bene della vita controverso non è il diritto potestativo, di natura sostanziale o processuale, che esaurisce la sua funzione con l’instaurazione del giudizio e l’emanazione della sentenza, ma il rapporto giuridico scaturente dall’atto negoziale, ovvero il coacervo delle situazioni soggettive generate dal contratto.

Se così è, rigettata una richiesta demolitoria o di esecuzione del contratto o ancora di rescissione a fronte della riconosciuta nullità contrattuale, sulla quaestio nullitatis non potrà nuovamente intervenire un successivo giudizio, se non avallando unevidente abuso del processo.

 

Rilevazione e dichiarazione della nullità. Il principio della ragione più liquida.

 

Tracciato il quadro, le Sezioni Unite chiariscono la differenza tra rilevazione e dichiarazione della nullità.

Rilevata la causa di nullità, infatti, il giudice non sempre la dichiara, con effetto di giudicato, poiché la causa potrebbe essere definita con una pronuncia fondata su una questione di merito “più pronta”, come la prescrizione del diritto fatto valere, la non gravità dell’inadempimento etc, senza che vengano scrutinati i profili concernenti la validità del titolo costitutivo. Sono questi i casi dell’operare del c.d. principio della ragione più liquida.

Il nostro ordinamento non postula, infatti, un ordine necessitato di tipo logico-giuridico nella risoluzione delle questioni di rito e di merito ma è il giudice, caso per caso, a trattare e risolvere quelle che, essendo maggiormente liquide, consentono la più celere definizione del processo. La conseguenza è che la controversia potrebbe essere risolta tramite l’esame esclusivo di una questione che è più liquida delle altre, con assorbimento delle difese ed eccezioni ulteriori, siano esse di parte o rilevate d’ufficio.

Allora, se è vero che il rigetto della domanda attorea di impugnazione negoziale significa riconoscimento della non nullità del contratto con una sentenza suscettibile di passare in giudicato, ciò non costituisce regola quando la decisione è fondata su una ragione più liquida, poiché il giudice, scrutinata quest’ultima, potrebbe non esaminare specificamente alcun profilo afferente la validità del contratto.

 

Nullità parziale e nullità totale.

Può accadere che istanza di parte sia stata sollevata ma il giudice abbia una convinzione diversa in merito alla rilevanza della patologia negoziale. Nel dettaglio, che le parti richiedano una declaratoria di nullità parziale rispetto alla quale il giudice reputi nullo l’intero contratto o, viceversa, che il giudice reputi nulla la singola clausola benché una parte abbia agito per ottenere l’accertamento della nullità totale.

Si è discusso, in passato, se si trattasse di una differenza quantitativa o qualitativa, e se il “più”, quindi una pronuncia di nullità totale potesse contenere il “meno”, la declaratoria di nullità della singola clausola viziata, o se la concessione da parte del giudice di un provvedimento diverso da quello richiesto fosse in ciascuno dei due casi un’operazione non consentita, perché ricadente nella violazione dell’art. 112 c.p.c.

Le Sezioni Unite confermano la costante attenzione della giurisprudenza di legittimità al diritto di difesa, argomentando che il giudice, una volta rilevata la questione, deve stimolare il contraddittorio (artt. 111 Cost. e 101, comma 2, c.p.c.). Ciò vale, ovviamente non solo allorquando il giudice abbia rilevato d’ufficio la questione e manchi qualsiasi istanza di parte, ma altresì quando, come nell’ipotesi che si commenta, richieste di parte e convincimento del giudice non collimino.

Le Sezioni Unite hanno argomentato sul punto che se l’istanza di parte è nel senso della nullità parziale, al giudice è comunque consentita, giusta il disposto dell’art. 1421 c.c., la rilevazione officiosa di una ragione di nullità totale del contratto; tuttavia, nel caso in cui nessuna delle parti formuli domanda di accertamento della nullità totale, il giudice, ritenuto esistente il vizio che è causa di nullità totale, è vincolato al rigetto della domanda di nullità parziale, poiché, diversamente, garantirebbe efficacia, anche se in parte qua, ad un negozio radicalmente nullo.

Specularmente, se la parte ha richiesto la nullità totale del contratto, mentre il giudice ravvisi la sussistenza di una nullità parziale, sulla base della accennata distinzione tra rilevazione e dichiarazione, il giudice può rilevare d’ufficio la nullità parziale; qualora, tuttavia, le parti lascino inalterate le domande originarie, sembrerebbe precluso al giudice emanare una sentenza non richiesta, poiché significativa di una sovrapposizione del suo decisum alle determinazioni dell’autonomia privata esplicatasi nel processo.

Rilevabilità da parte del giudice di una causa di nullità diversa da quella sollevata dalle parti.

 

Le Sezioni Unite discutono, altresì, il tema della rilevabilità ex officio di una causa di nullità diversa da quella fatta valere dalla parte con la propria istanza.

La giurisprudenza tradizionale era contraria ad una tale rilevazione, sostenendo che il giudice, così facendo, avrebbe concesso alla parte una tutela differente da quella richiesta.

Le Sezioni Unite, premettendo la necessità che la causa di nullità rilevata d’ufficio risulti ex actis, superano la citata giurisprudenza argomentando in base al fatto che il contratto dichiarato nullo è il medesimo ed in definitiva anche il risultato ottenuto, e che quindi sono rispettati sia il petitum che la causa petendi. La domanda di nullità attiene ad un diritto autodeterminato ed è quindi individuata a prescindere dallo specifico vizio dedotto in giudizio.

Compatibilità tra rilevabilità d’ufficio e legittimazione riservata nelle nullità di protezione..

 

Le Sezioni Unite affrontano anche la delicata questione della rilevabilità d’ufficio delle nullità c.d. di protezione, poste a presidio dei soggetti deboli della negoziazione.

La dottrina che se ne è occupata si è divisa in due correnti di pensiero.

Per una prima tesi, considerata la ratio della introduzione nell’ordinamento di fattispecie di nullità protettive, ossia riservare alla parte vulnerabile del rapporto la scelta se conservare o invalidare il vincolo negoziale, la rilevazione ope judicisandrebbe a frustrare l’intento legislativo. Si tratta di fattispecie al confine tra nullità ed annullabilità, per le quali è prevista, infatti, legittimazione relativa all’azione di nullità; ammettere che il giudice possa, prescindendo dall’istanza della parte debole, rilevare una causa di nullità, significherebbe vanificare la ratio protettiva.

Altra parte della dottrina, pur confermando che le fattispecie di nullità di protezioni tutelano interessi particolari, spiega che accanto a questi si situa la salvaguardia di interessi superindividuali, pertinenti all’intera collettività. Si pensi alla normativa a tutela del consumatore, che non presidia esclusivamente la persona del consumatore contro eventuali abusi del professionista in quanto parte forte del rapporto, ma valori costituzionalmente rilevanti, quali, per esempio, l’uguaglianza almeno formale tra contraenti deboli e forti (art. 3 Cost.) ed il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.). In conclusione, nessuna inconciliabilità è dato trarre tra potere di rilevazione ex officio della nullità e legittimazione riservata nel settore in analisi, a condizione che il giudice eserciti siffatto potere indirizzandolo alla tutela del contraente debole.

Le Sezioni Unite accolgono questa seconda tesi motivando, ancora una volta, sulla base della differenza tra rilevazione e dichiarazione. Rilevata la causa di nullità e considerata la ratio della normativa de quo, il giudice deve verificare che la dichiarazione della nullità sia vantaggiosa per il contraente debole, arrestandosi alla sola rilevazione qualora dovesse appurare, al contrario, un interesse della parte alla conservazione del negozio.

 

NULLITA' NON CONSIDERATE DALLA CORTE DI CASSAZIONE NELLA SENT. 26243/2014

Innanzitutto riassumiamo i fatti del processo:

  • Antonio Vanni cita in giudizio Licia Fascioli e Massimo Melucci e impugna il lodo reso all’esito di un arbitrato irrituale avente ad oggetto le contrapposte domande di adempimento o di risoluzione di due contratti preliminari, con i quali si prevedeva: 1) la costituzione di una società in nome collettivo, il conferimento in essa di determinati beni, la successiva cessione delle relative quote al Vanni. 2) la alienazione di un capannone industriale. Il collegio arbitrale aveva pronunciato la risoluzione di tali contratti per inadempimento di entrambe le parti, disponendo le relative restituzioni e reintegrazioni.
  • Il Vanni chiese al Tribunale che il lodo fosse dichiarato invalido per errore essenziale nella percezione della realtà, violazione di norme inderogabili ed errore di fatto nell’interpretazione dei contratti, nonché in via subordinata, per eccesso di mandato ed erroneo accertamento di quanto a lui dovuto a titolo restitutorio.
  • Il Tribunale di Rimini invece, aveva autorizzato il sequestro della struttura alberghiera di cui si richiedeva la restituzione e statuì che Vanni fosse obbligato a restituire l’azienda alberghiera e a risarcire i danni derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal lodo.
  • Vanni impugna nuovamente in appello la sentenza sulla base dei seguenti motivi: 1) la invalidità della clausola compromissoria in quanto transattiva 2) la nullità di detta clausola in quanto inserita in un negozio simulato 3) il vizio di eccesso di mandato 4) la violazione del principio del contraddittorio e l’omessa pronuncia sulla censura riguardante l’eccesso di mandato.
  • La corte di appello, però, ha confermato la decisione impugnata. Antonio Vanni propose ricorso per cassazione articolato in 8 motivi, al quale hanno resistito con controricorso Licia Fascioli e Massimo Melucci.

Alle Sezioni Unite venne sottoposto la seguente questione: se la nullità del contratto può essere rilevata ex officio non solo nel caso in cui sia stata proposta una domanda di adempimento o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso.
La questione è stata esaminata partendo dal principio di diritto espresso dalla S.C. nella sentenza 14828/2012, con la quale si affermava che: in base al ruolo che l’ordinamento attribuisce alla nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto negoziale, e dato che la risoluzione contrattuale presuppone l’esistenza di un contratto valido, il giudice di merito investito della questione avrà il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati, nonché emergenti ex actis, ogni forma di nullità; purchè essa non sia soggetta a regime speciale (es nullità di protezione). Il giudice di merito accerta la nullità incidenter tantum, senza effetto di giudicato; a meno che non sia proposta la relativa domanda dalla parte interessata.

Questa soluzione, e soprattutto l’impossibilità di rilevare ex officio le nullità speciali, si spiega con l’adesione al tradizionale orientamento espresso in dottrina, secondo il quale la ratio del rilievo officioso della nullità contrattuale consiste nella tutela di interessi generali sovra-individuali. Le nullità strutturali, invece, vanno a mutare la funzione generale di tale categoria, offrendo protezione ad interessi particolare e seriale facenti capo a soggetti specifici e non ad interessi generali dell’ordinamento. Tuttavia, la tesi che esclude la compatibilità tra poteri officiosi e la disciplina delle nullità protettive è stata messa in discussione da altra dottrina, la quale è favorevole ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 1421 c.c. anche a quelle nuove forme di invalidità previste in caso di violazione di norme poste a tutela di soggetti ritenuti dalla legge economicamente più deboli; questa dottrina in particolare osserva che, il fatto che la legittimazione ad agire sia ristretta a soggetti specifici, non comporta l’esclusione del potere di rilievo officioso di tali nullità ex art 1421. Infatti, il potere del giudice di rilevare la nullità, anche in tali casi, è necessario per il perseguimento di interessi che sono tutelati anche a livello costituzionale come il corretto funzionamento del mercato art 41 cost. oppure l’uguaglianza formale tra contraenti forti e contraenti deboli art 3 cost. Come si può notare, il potere del giudice di rilevare ex officio anche queste nullità c.d. di protezione, risulta essenziale per la tutela di interessi generali posti a tutela di una determinata classe di contraenti, cioè del contraente più debole; percui l’unico limite che si pone in questi casi è che il potere di rilievo officioso delle nullità di protezione deve essere esercitato al solo interesse del contraente debole ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità.
Per questi motivi, la S.C. del 2014 ritenne che la decisione contenuta nella sentenza 14828/2012 vada rivista, statuendo che: il giudice chiamato a decidere sulla impugnazione di un contratto, a seguito di azione di adempimento, risoluzione, annullamento, rescissione, nullità per altro motivo, una volta provocato il contraddittorio, deve rilevare ogni forma di nullità, anche di protezione, e ha facoltà di dichiarare la stessa incidenter tantum in motivazione, rigettando per tale motivo l’impugnazione principale, senza effetto di giudicato, sempreché in esito all’indicazione del giudice, non venga proposta la relativa domanda. La Corte effettua, quindi, un’ulteriore precisazione affermando che:
1) il giudice ha sempre l’obbligo di rilevare una causa di nullità negoziale;
2) dopo averla rilevata, avrà la facoltà di dichiarare nel provvedimento decisorio la nullità del negozio e rigettare la domanda di adempimento, risoluzione, annullamento o rescissione (salvo che si tratti di una nullità speciale, indicata alla parte interessata che, tuttavia, non ha manifestato un interesse alla sua dichiarazione);
3) ancora il giudice dovrà rigettare la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione e annullamento senza rilevare o dichiarare l’eventuale nullità, se la decisione si fonda sul principio della ragione più liquida.

Ricordiamo che la S.C. non si è occupata di alcune questioni evidenziate nei motivi di ricorso da Antonio Vanni. In particolare, la Corte non affronta le ulteriori questioni dell’inapplicabilità all’arbitrato irrituale del principio di autonomia della clausola compromissoria e della configurabilità di un procedimento simulatorio nella costituzione di una società finalizzata al solo trasferimento di diritti immobiliari. Infatti, il Vanni lamenta l’invalidità del lodo-contratto per invalidità della clausola compromissoria inserita in un contratto simulato. Precisamente, la simulazione, ex art 1414 c.c., è l’istituto giuridico mediante il quale due soggetti pongono in essere un contratto o un negozio giuridico con l'accordo che il medesimo non produca alcun effetto tra le parti ed allo scopo di poterlo invocare di fronte ai terzi. Si distinguono due ipotesi di simulazione: simulazione assoluta, in cui le parti stipulano un contratto, con il tacito accordo che di esso non si debbano mai produrre gli effetti che risultano dall'estrinseco del negozio. In pratica esse fingono di porre in essere un negozio ma in realtà non desiderano porne in essere alcuno; simulazione relativa viene posto in essere un contratto di cui le parti non desiderano il verificarsi degli effetti, ma viene altresì stipulato un contratto ad esso sotteso e riservato, per questo detto dissimulato, a cui le parti daranno esecuzione. In pratica esse vogliono porre in essere un negozio diverso da quello apparente.
Infine, abbiamo analizzato la figura del falsus procurator ex art. 1398 c.c., cioè di colui che contratta come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti del mandato; in tal caso il contratto è inefficace ed il falso rappresentante è responsabile del danno. In particolare, ci siamo occupati della falsus procurator, in quanto, altra questione non affrontata dalla S.C. del 2014 è quella esposta dal Vanni con il suo ricorso; in questo caso il Vanni lamenta la violazione e la falsa applicazione delle norme che regolano il mandato, cioè art. 1711 c.c., ritenendo che il collegio arbitrale sia incorso in un eccesso di mandato.
(Luigi Saggese)

 

L’ECCESSO DI MANDATO
Nella sentenza 26243/14 viene già affrontata la questione dell’ eccesso di mandato nel lodo senza però essere risolta . Infatti nel quinto motivo della suddetta sentenza Antonio Vanni denuncia una VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME SUL MANDATO ( art.1711c.c). La compiuta esposizione di tale censura si conclude con due quesiti di diritto che invocano :

  • Se la clausola compromissoria con la quale sia conferito a dei terzi arbitrari il potere di formalizzare un contratto debba essere considerata nulla (con la conseguenza che ,dichiarata tale nullità,dovrebbe venire di riflesso meno il lodo formalizzato.
  • Se l’indicazione degli oggetti sui quali i paciscenti pretendono una necessaria risoluzione da parte degli arbitri, rappresenti per loro motivo di impegnare le parti sui conseguenti aspetti controversi e comunque devoluti alla loro cognizione (di modo che, ammessa la carenza di un loro potere, il lodo formalizzato è nullo )

 

Per analizzare la questione dell’eccesso di mandato è necessario soffermarsi su alcuni aspetti codicistici.
L’art. 1703 c.c definisce il MANDATO come un contratto con cui una parte di obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto di un altro. Per cui si considera il mandatario un soggetto che ha l’obbligo di eseguire l’incarico ricevuto e ricevere il compenso pattuito.
A tale contratto sono imposti però dei limiti legali riscontrabili nella disciplina dell’ art 1711c.c. –Il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. L’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario se il mandante non lo ratifica. Il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante e tali che non possono essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.-

La questione dell’eccesso di mandato si ripropone nella sentenza n.11377 del 3 giugno 2015 , nella quale le Sezioni Unite della Cassazione risolvono il problema inerente la falsa rappresentanza nel mandato. Poiché la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa che il terzo contraente intenda far valere in giudizio sulla base di detto negozio,non costituisce eccezione, e pertanto non ricade nelle preclusioni previste dagli art 167 e 345cpc, la deduzione dell’inefficacia per lo pseudo rappresentato del contratto concluso da un falsus procurator può essere rilevato dal giudice d’ufficio,perché non si tratta di un’eccezione in senso stretto. Le Sezioni Unite della Cassazione, nella sent. N. 11377 del 3 giugno 2015 risolvono il contrasto di giurisprudenza rilevato con l’ordinanza interlocutoria del 27 giugno 2014 n. 14688, precisando che il difetto di rappresentanza in capo al falsus procurator è rilevabile d’ufficio dal giudice. La vicenda ha origine dall’azione avviata per definire la sorte di due compravendite immobiliari, i cui corrispettivi non erano stati interamente versati dalla società acquirente. In particolare, tra i rappresentanti dell’alienante e la società acquirente era stato stabilito che le somme ancora dovute dovessero essere imputate al pagamento di alcune poste debitorie di società riconducibili all’ alienante. Quest’ ultimo contesta la legittimità di tale operazione, affermando l’insussistenza in capo ai propri rappresentanti di un siffatto potere. L’alienante ha quindi ceduto la propria quota e la cessionaria agisce in giudizio per l’accertamento dell’inefficacia dell’accordo di cui sopra, in ragione della mancanza di poteri di rappresentanza in capo ai rappresentanti. La domanda viene accolta in primo grado ma rigettata in appello, sul rilievo che il difetto di rappresentanza non era stato espressamente sollevato, trattandosi di un’eccezione in senso stretto..La cessionaria ricorre in Cassazione che, rilevando un contrasto giurisprudenziale proprio in ordine alla possibilità o meno che l’eccezione relativa al difetto di rappresentanza possa essere rilevato d’ufficio, rimette la questione alle Sezioni Unite.
Quale sorte per i contratti in difetto di rappresentanza?? E’ principio consolidato in giurisprudenza che i negozi stipulati in rappresentanza da chi non abbia il relativo potere, sono privi di efficacia (tranne nel caso di un’eventuale ratifica che costituirebbe un atto negoziale diretto ad immettere con effetto retroattivo , nella sfera giuridica dell’interessato,il risultato dell’attività compiuta dal rappresentate senza poteri. Secondo la prevalente giurisprudenza il negozio concluso da un falsus procurator o da chi abbia superato i limiti conferitegli dal dominus non sarebbe nullo ma inefficace, e tale inefficacia non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, a sollevare la quale è legittimato solo lo pseudo rappresentato.
Con la sentenza del 2015 la Corte ha ritenuto la presenza del potere rappresentativo un fatto costitutivo necessario , in quanto elemento previsto per l’efficacia del contratto nei confronti del rappresentato. Di conseguenza, essendo la sussistenza del potere rappresentativo elemento indispensabile per la conclusione del contratto e per l’efficacia dello stesso in capo al rappresentato, ove il difetto di rappresentanza risulti agli atti, il Giudice può rilevarlo d’ufficio, ANCHE IN ASSENZA DI UN’ECCEZIONE SOLLEVATA DALLA PARTE. Sulla base di tali presupposti è possibile affermare che il difetto di rappresentanza così come l’eccesso di mandato rientrano in quei casi di nullità rilevabili d’ufficio previsti dall’ art 1421 c.c.

 

 

►►► Sezioni Unite Cassazione: testo della sentenza 26242/2014
►►► Sezioni Unite Cassazione: testo della sentenza 26243/2014

 

 

 

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