Gli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 231, nell’individuare i criteri oggettivi e soggettivi di imputazione, configurano una fattispecie complessa che contempla tra i propri elementi costitutivi il c.d. fatto di connessione, ossia la realizzazione di un reato-presupposto da parte di un individuo legato all’ente da un rapporto qualificato .

In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8, D.Lgs. n. 231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.

In tema di interpretazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 231/2001 si confrontino anche Cass. Pen., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060, nonché Cass. Pen., Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192 per l’affermazione del principio di diritto secondo cui dalla norma in oggetto discende non l’autonomia dell’illecito amministrativo della persona giuridica rispetto al reato della persona fisica bensì, in termini più circoscritti, l’autonomia processuale della condanna dell’ente rispetto a quella dell’individuo, con conseguente necessità di una verifica quanto meno incidentale circa la sussistenza del fatto di reato.

Il giudice deve comunque accertare la sussistenza della complessa fattispecie che può portare alla responsabilità dell’ente. È evidente che deve essere oggetto di verifica l’interesse o il vantaggio tratto dalla società per effetto del reato posto in essere da uno dei soggetti indicati nell’art. 5 d. lgs. n. 231/2001. Allo stesso modo, è richiesto che il giudice accerti la sussistenza del reato presupposto, anche se debba dichiararne l’estinzione per avvenuta prescrizione. In particolare, ai fini della pronuncia sulla responsabilità dell’ente, non è sufficiente, in presenza di un reato prescritto, verificare se esista o meno la prova evidente dell’innocenza dell’imputato, secondo il criterio probatorio richiesto dall’art. 129, comma 2, c.p.p., criterio che vale per la persona fisica, autore del reato, ma non può essere utilizzato anche per la persona giuridica. Questa ha diritto a un accertamento pieno e completo circa l’esistenza del reato presupposto, non essendo sufficiente il profilo “basso” della non evidenza di innocenza della persona fisica.

 

Il giudizio di specie concerne episodi di corruzione, relativi a gare di appalto indette da società a partecipazione pubblica, rispetto ai quali sono stati tratti a giudizio i dipendenti delle società committenti accusati di svolgere il ruolo di corrotti, le imprese partecipanti alle gare che avevano corrotto tali funzionari e i dipendenti di queste imprese che nel- l’interesse e a vantaggio delle stesse avevano con- cluso gli accordi corruttivi.

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Milano rispetto alle persone fisiche ha dichiarato il non doversi procedere per prescrizione dei reati loro addebitati; sul versante degli enti, invocando l’art. 8 del D.Lgs. n. 231 ha confermato la responsabilità delle società tratte a giudizio per l’illecito amministrativo da reato di cui all’art. 25, comma 3 in relazione al reato di cor- ruzione contestato ai propri dipendenti.

Sui ricorsi presentati la sezione VI del- la S.C. con la sent. n. 28299 del 2016, ha rigettato i ricorsi

»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» 

»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» 

»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» 

avverso la sentenza del 24 ottobre 2013 emessa dalla Corte d’appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;

sentita la relazione del consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;

udito il sostituto procuratore generale Dott. Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di primo grado nei confronti di tutti i ricorrenti, con trasmissione degli atti al Tribunale di Milano per il prosieguo;

uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), difensori delle parti civili (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., che hanno chiesto la conferma della sentenza impugnata, in particolare con riguardo alle statuizioni civili;

uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.p.a., gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori dell’ (OMISSIS) s.p.a., l’avvocato (OMISSIS), difensore della (OMISSIS) s.p.a., l’avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.p.a., l’avvocato (OMISSIS), difensore dell’ (OMISSIS) s.p.a., l’avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), l’avvocato (OMISSIS), difensore della societa’ (OMISSIS), e l’avvocato (OMISSIS), difensore della (OMISSIS) s.p.a, che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano emessa in data 20 settembre 2011, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli appellanti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per estinzione dei reati ad essi ascritti a seguito di prescrizione, confermando le statuizioni civili consistenti nel risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili (OMISSIS) s.p.a, (OMISSIS) s.p.a e (OMISSIS) s.p.a., da liquidarsi in separato giudizio; in relazione alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha confermato la sentenza impugnata, che aveva gia’ dichiarato la prescrizione dei reati contestati ai due imputati; ha, inoltre, confermato la responsabilita’ per gli illeciti amministrativi delle societa’ (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS), (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a, (OMISSIS) s.p.a e (OMISSIS) s.p.a., le prime due condannate, ognuna, alla sanzione pecuniaria di Euro 150.000, le altre a quella di Euro 50.000 ciascuna, tutte assoggettate alla confisca per equivalente di somme di denaro, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19 (Euro 98.700.000 per (OMISSIS) s.p.a.; Euro 590.375 per (OMISSIS); Euro 383.000 per (OMISSIS) s.p.a.; Euro 769.724 per (OMISSIS) s.p.a.; Euro 562.930 per (OMISSIS) s.p.a; Euro 166.962 per (OMISSIS) s.p.a., Euro 66.666 per (OMISSIS) s.p.a.); ha, infine, revocato il sequestro delle giacenze esistenti sul conto corrente intestato ad (OMISSIS).

La vicenda processuale, per come rappresentata nella sentenza impugnata, ha ad oggetto una serie di episodi di corruzione nell’ambito di appalti indetti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per opere di rilevante valore nel settore energetico. Nei diversi episodi ricorrono, secondo i giudici di merito, analoghi schemi, secondo cui la societa’ interessata alla partecipazione ad una gara veniva contattata da un intermediario, che offriva o forniva informazioni riservate utili per vincere l’appalto ovvero per ottenere vantaggi nella fase esecutiva della gara; seguiva la copertura di fatture e contratti fittizi messi a disposizione degli intermediari per giustificare il pagamento del corrispettivo, stabilito in percentuale sul valore dell’appalto, che spesso veniva pagato su estero e ripartito tra intermediari e corrotti. In questo schema un ruolo strategico viene attribuito a (OMISSIS) e a (OMISSIS), funzionari il primo di (OMISSIS) e il secondo di (OMISSIS), cioe’ delle due societa’ a partecipazione pubblica committenti gli appalti, ai quali la Corte d’appello riconosce la qualifica di pubblici ufficiali ovvero incaricati di pubblico servizio, e che vengono individuati come i soggetti corrotti, percettori delle tangenti in cambio di informazioni rese alle societa’ partecipanti alle gare di appalto.

2. Appalto per la fornitura ad (OMISSIS) di dodici impianti turbogas (vicenda (OMISSIS) – (OMISSIS)).

2.1. In questa vicenda sarebbe stata concordata una tangente del 3,5% sul valore dell’appalto pari ad Euro 987.005.000, per la fornitura ad (OMISSIS) di dodici turbogas al fine di assicurare ad (OMISSIS) s.p.a. informazioni utili per aggiudicarsi la gara sulla societa’ concorrente (OMISSIS); l’accordo corruttivo sarebbe intervenuto nel marzo 2000 tra Testa Gabriele, direttore commerciale di (OMISSIS), e (OMISSIS), funzionario di (OMISSIS), e la tangente sarebbe stata pagata nel marzo 2003 da (OMISSIS) per il tramite della (OMISSIS) s.p.a., il cui rappresentante legale era (OMISSIS), che in questo modo si sarebbe assicurato tutti i trasporti relativi alla commessa principale. La somma corrisposta al (OMISSIS) di Euro 125.000 sarebbe stata coperta con un fittizio contratto di consulenza tra la (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS) s.r.l., facente capo a (OMISSIS), uno degli intermediari legati a (OMISSIS).

2.2. (OMISSIS).

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno presentato ricorso nell’interesse di (OMISSIS), che in qualita’ di rappresentante della (OMISSIS) s.p.a. e’ stato accusato e condannato in primo grado, per la vicenda di corruzione relativa all’appalto per la fornitura di 12 turbogas nei siti (OMISSIS) da parte dell’ (OMISSIS) s.p.a., rispetto al quale la (OMISSIS) s.p.a. avrebbe ottenuto un subappalto per la fornitura di tutti i trasporti relativi alla commessa principale (capo I.10).

Con il primo motivo si lamenta la mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso di prendere in esame i motivi proposti dalla difesa in base ai quali sarebbe risultata evidente l’estraneita’ dell’imputato ai fatti contestati; inoltre, si sottolinea un difetto di motivazione, in quanto i giudici avrebbero dovuto motivare approfonditamente in ordine alla responsabilita’ dell’imputato in presenza delle statuizioni civili, giungendo a pronunciare l’assoluzione.

Con il secondo motivo si denuncia il mancato riconoscimento che il reato era gia’ prescritto in primo grado, dal momento che il pagamento a (OMISSIS) s.r.l. risulta effettuato il 24.10.2003.

Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale, nonche’ il vizio di motivazione, in relazione alla riconosciuta qualifica di pubblico ufficiale al (OMISSIS), sulla base del ruolo di project manager ricoperto in (OMISSIS). A questo proposito si evidenzia che solo nel 2004, a condotte esaurite, (OMISSIS) assume quel ruolo in (OMISSIS) e che in ogni caso il riconoscimento della qualifica pubblicista e’ avvenuto su basi erronee, determinate dalla sola considerazione del rapporto di dipendenza con una societa’ partecipata da (OMISSIS) che svolgeva un’attivita’ di rilevanza pubblica, senza considerare che la produzione di energia elettrica non e’ di per se’ attivita’ pubblica, dal momento che oggi la produzione e la fornitura di energia sono esercitate in regime di concorrenza anche da imprese private.

Il quarto motivo censura la sentenza per avere escluso, senza peraltro motivare, che la condotta attribuita al (OMISSIS) potesse integrare il diverso reato di favoreggiamento reale.

Con il quinto motivo si denuncia la violazione di legge e l’omessa motivazione in ordine alla sollevata questione di carenza di legittimazione in capo a (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a. a costituirsi parte civile nei confronti di (OMISSIS), dal momento che il reato a questi attribuito si riferisce all’accordo intervenuto tra (OMISSIS), per (OMISSIS), e (OMISSIS).

Nell’ambito dello stesso motivo, si lamenta anche chele spese processuali liquidate a favore delle parti civili non rispettano i limiti tabellari e inoltre sono state poste a carico degli imputati in via solidale, nonostante si tratti di vicende del tutto autonome.

2.3. (OMISSIS) s.p.a..

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.15), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, contestato al capo I.10 al proprio rappresentante legale (OMISSIS), societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 383.000.

Con il primo motivo si deduce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione della sentenza per avere confermato la responsabilita’ della societa’ imputata, omettendo di applicare l’articolo 129 c.p.p., comma 2, e di riconoscere l’evidenza dell’insussistenza del fatto e dell’estraneita’ alla vicenda del legale rappresentante, che avrebbe portato ad escludere l’esistenza del reato presupposto e ad assolvere la societa’ (OMISSIS) dall’imputazione contestatale. In particolare, si sostiene che i giudici di merito non abbiano considerato la portata delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) che ha sempre escluso che l’ipotesi corruttiva riferita dal (OMISSIS) si fosse realizzata.

Sotto un diverso profilo si evidenzia che, anche rispetto alla qualifica di pubblico ufficiale attribuita al (OMISSIS), i giudici sono incorsi in violazione di legge e omissione di motivazione, non avendo considerato che il predetto era stato nominato project manager in (OMISSIS) solo nel 2004 e che prima non aveva mai avuto poteri decisionali e comunque non era a conoscenza di dati sensibili da divulgare.

Con il secondo motivo si sostiene l’erroneita’ della sentenza per non avere qualificato il fatto come favoreggiamento reale anziche’ come corruzione, dal momento che la societa’ sarebbe intervenuta solo per veicolare il prezzo dell’illecito ad accordo tra (OMISSIS) e (OMISSIS) gia’ perfezionato.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 5 e il connesso vizio di motivazione non avendo i giudici preso in considerazione e motivato in ordine all’interesse o al vantaggio derivante alla (OMISSIS) s.p.a. dal reato presupposto, limitandosi ad affermazioni generiche e apodittiche.

Con il quarto motivo si contesta la sentenza per la quantificazione del profitto oggetto di confisca nonche’ in ordine alla sanzione applicata.

2.4. (OMISSIS) s.p.a..

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.6), in relazione al reato di corruzione contestato al capo I.10 al proprio direttore commerciale (OMISSIS), condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 150.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 98.700.000.

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, e il connesso vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), coimputato sentito in dibattimento ai sensi dell’articolo 197-bis cod. proc. pen. dopo aver patteggiato la pena ex articolo 444 cod. proc. pen., dichiarazioni su cui i giudici hanno fondato la responsabilita’ di (OMISSIS), omettendo la ricerca dei necessari riscontri individualizzati e limitandosi a valutare la sua credibilita’ intrinseca. Si sottolinea come, con i motivi fatti valere in appello, si erano indicate diverse contraddizioni nelle sue dichiarazioni, che pero’ non sono state neppure valutate: in particolare, si era evidenziato che (OMISSIS) aveva parlato di una tangente pari al 3,5 % del valore dell’appalto indicato in Euro 987.005.000, mentre e’ risultato un pagamento di soli Euro 125.000; il presunto accordo tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stato riferito senza indicare alcun dettaglio di tempo o di luogo; nessun riferimento all’influenza delle informazioni che sarebbero state fornite rispetto all’aggiudicazione della gara da parte dell’ (OMISSIS); gli incontri tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati riferiti in termini del tutto vaghi. Si sottolinea, inoltre, come le informazioni relative ai rendimenti delle macchine avrebbero potuto avere rilievo nella fase di pre-qualifica, ma nessuna utilita’ avrebbero avuto ai fini della gara e dell’aggiudicazione dell’appalto, vinto esclusivamente per il miglior prezzo offerto, rispetto a quello della (OMISSIS): anche su tali questioni la Corte territoriale non ha fornito motivazione e anzi non ha ritenuto di acquisire la consulenza tecnica di parte avente ad oggetto la questione della rilevanza di tali informazioni in ordine al rendimento di funzionamento della macchine.

Con il secondo motivo si censura la motivazione con cui la sentenza ritiene dimostrato che la tangente sia stata pagata dalla (OMISSIS) s.p.a., per conto dell’ (OMISSIS), alla (OMISSIS) s.r.l., ponendo in essere un contratto fittizio di consulenza. La difesa aveva gia’ evidenziato, con l’appello, che il contratto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) risulta stipulato il 23.10.2000, quindi prima della fase di pre-qualifica, del bando di gara e della presentazione dell’offerta tecnica da parte di (OMISSIS); mentre la convenzione con la societa’ (OMISSIS), viene stipulata da (OMISSIS) nel marzo 2001. Si tratta di elementi temporali che la Corte d’appello non reputa rilevanti, considerando la possibilita’ che il contratto con (OMISSIS) possa essere stato stipulato in attesa di essere utilizzato per veicolare pagamenti futuri illeciti: sul punto la difesa sottolinea come agli atti non vi sia alcun riscontro di cio’ e che, pertanto, tale affermazione appaia illogica in quanto del tutto apodittica. Sicche’ non vi sono prove che permettano di ritenere che il pagamento da parte della societa’ (OMISSIS) alla (OMISSIS) sia stato effettuato per conto dell’ (OMISSIS).

Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione della sentenza per avere omesso di fornire risposte ai motivi contenuti nell’atto di appello in ordine all’individuazione della condotta ascrivibile ad (OMISSIS) nel pagamento della ipotizzata tangente. Si sottolinea come i giudici di secondo grado abbiano sostenuto che “altri hanno fatto fronte” agli obblighi assunti da (OMISSIS) con (OMISSIS) (dopo che il primo lascio’ la societa’ nel luglio 2001), omettendo cosi’ di individuare la persona fisica a cui (OMISSIS) avrebbe comunicato i termini del patto corruttivo e, soprattutto, di accertare le condotte poste in essere all’interno della societa’ (OMISSIS), funzionali al pagamento della tangente stessa. Si tratta, a parere della difesa, di una omissione rilevante ai fini del riconoscimento della responsabilita’ dell’ente, perche’ non e’ possibile neppure accertare se il reato presupposto sia stato realizzato da un soggetto appartenente all’ente, presupposto essenziale anche ipotizzando il ricorso alla responsabilita’ autonoma Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 8, in quanto sebbene sia possibile affermare la colpevolezza dell’ente qualora la persona fisica autore del reato presupposto non sia identificata, tuttavia occorre sempre che l’illecito amministrativo sia accertato in tutte le sue componenti. La questione assume rilievo essenziale, secondo la difesa, in quanto il reato presupposto da cui potrebbe derivare la responsabilita’ di (OMISSIS) deve ritenersi consumato con il pagamento della tangente (marzo 2003) e non con riferimento all’accordo corruttivo intervenuto nel marzo 2000 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto all’epoca il Decreto Legislativo n. 231 del 2001 non era entrato ancora in vigore; cio’ comporta la necessita’ che sia riconosciuta per lo meno una condotta ascrivibile ad un soggetto interno ad (OMISSIS) che abbia concorso all’effettuazione del pagamento illecito. In altri termini, il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8 non esclude la necessita’ che sia accertata la riconducibilita’ del soggetto agente ad una delle categorie previste dall’articolo 5 Decreto Legislativo cit., ancorche’ non sia identificato, dovendosi per lo meno individuare l’organo interno ovvero l’ufficio della societa’ cui appartiene l’autore del reato presupposto, anche ai fini dell’individuazione della disciplina da applicare, prevedendo gli articoli 6 e 7 Decreto Legislativo cit. una diversa forma di responsabilita’ tra soggetti c.d. apicali e dipendenti, anche dal punto di vista probatorio. Su questo aspetto la difesa sostiene che neppure il ricorso per relationem alla sentenza di primo grado riesce a colmare una tale omissione motivazionale, in quanto il Tribunale, nel ricostruire la fase del pagamento, non fa alcun riferimento ad (OMISSIS), ma menziona solo (OMISSIS), la cui condotta, come gia’ detto, non assume rilevo ai fini della responsabilita’ dell’ente. Si sottolinea, infine, che i giudici di merito non hanno dato alcun rilievo neppure alle dichiarazioni di (OMISSIS), il quale avrebbe detto che la fuoriuscita di (OMISSIS) dall’ (OMISSIS) determino’ il “blocco dell’affare”.

Con il quarto motivo, premesso che la responsabilita’ della societa’ (OMISSIS) risulta contestata nel capo d’imputazione come derivante da una condotta posta in essere da un dipendente, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 7, si assume che ne’ il Tribunale ne’ la Corte d’appello hanno proceduto all’accertamento della responsabilita’ della societa’ sulla base della disciplina prevista da tale articolo: invero, il Tribunale ha erroneamente motivato facendo riferimento ai presupposti applicativi di cui all’articolo 6 Decreto Legislativo cit., relativi alla responsabilita’ da condotte degli apicali, limitandosi ad osservare che la societa’ non ha assolto all’onere della prova circa l’adozione del modello organizzativo idoneo; anche la Corte d’appello non ha offerto alcuna motivazione al riguardo. Infine, si precisa che, nella valutazione effettuata dal Tribunale in ordine alle procedure di prevenzione dei reati, si e’ fatto riferimento al momento dell’accordo tra (OMISSIS) e (OMISSIS) ovvero al tempo dell’aggiudicazione della commessa, senza considerare che un tale accertamento andava riferito semmai alla fase di esecuzione del rapporto corruttivo, cioe’ al segmento della condotta attinente ai pagamenti effettuati da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) quale corrispettivo delle attivita’ di trasporto eseguite sulla base della convenzione tra le due societa’ e che costituiva il veicolo della tangente. Anche su tali aspetti manca la motivazione: i giudici di merito avrebbero dovuto considerare le procedure per verificare l’eventuale’ colpa di organizzazione in capo ad (OMISSIS), accertare l’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza ex articolo 7 Decreto Legislativo cit. e controllare l’esistenza del nesso causale.

Con il quinto motivo si deduce la mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione nonche’ violazione della legge, con riferimento al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, per essere stato applicato in mancanza dei presupposti richiesti, nonche’ in relazione al rigetto della questione di legittimita’ costituzionale dello stesso articolo 8 cit. per contrasto con l’articolo 76 Cost..

Sotto il primo profilo si ribadisce che le sentenze non hanno applicato correttamente la disciplina contenuta nell’articolo 8 cit., non avendo raggiunto la prova in ordine alla sussistenza stessa di un reato di corruzione commesso con il concorso di un dipendente della societa’, sia dal punto vista del fatto tipico sia riguardo all’elemento soggettivo. Invero, la Corte d’appello si e’ limitata ad una affermazione apodittica, secondo cui sarebbe sufficiente la certezza in ordine alla commissione del reato, poiche’ il ruolo e l’atteggiamento psicologico emergerebbero attraverso “indici univoci”, rappresentati dalla effettivita’ dei pagamenti, dal vantaggio conseguito dalla societa’ nell’ottenimento dell’appalto: una motivazione questa che, secondo la difesa, non spiega in che modo la societa’ (OMISSIS) risulterebbe coinvolta nella vicenda. Invero, si assume che una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 8 cit. ne limiterebbe l’applicazione ai casi di imputazione soggettivamente alternativa, quando cioe’ non sia in discussione la figura o il ruolo dell’autore individuale, ma vi sia incertezza sull’identita’ di esso nel contesto di una ristretta cerchia di soggetti comunque individuati.

Sotto l’altro profilo si rileva come la Corte territoriale non abbia fornito una adeguata risposta all’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’articolo 8 cit. in relazione all’articolo 76 Cost., eccezione che viene riproposta nel ricorso, sostenendo l’eccesso di delega, in quanto la L. n. 300 del 2000, articolo 1, lettera e), non contemplava in alcun modo la previsione di una responsabilita’ dell’ente anche nel caso in cui l’autore del reato non fosse stato individuato.

Con il sesto motivo si denuncia la mancanza di motivazione e l’erronea applicazione della legge in relazione all’individuazione dell’interesse o del vantaggio derivato alla societa’.

Con il settimo motivo si chiede di sollevare la questione di illegittimita’ costituzionale del regime della prescrizione dell’illecito Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 22 per contrasto con gli articoli 3 e 111 Cost..

3. Appalti per la fornitura degli impianti di riduzione del gas per i siti (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) (vicenda (OMISSIS) s.p.a.).

3.1. Si tratta di due episodi relativi a due diverse tangenti che sarebbero state corrisposte dalla societa’ (OMISSIS) s.p.a., sempre tramite intermediari, a (OMISSIS), in cambio di informazioni tecniche relative al dimensionamento degli impianti di riduzione del gas oggetto degli appalti per i siti (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS). Le tangenti, secondo la sentenza, sarebbero state corrisposte mediante la copertura formale di fittizi contatti di consulenza stipulati con le societa’ (OMISSIS) Ltd., facente capo a (OMISSIS), e (OMISSIS) s.r.l., riferibile a Cartei.

3.2. (OMISSIS) e (OMISSIS).

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno presentato un unico ricorso nell’interesse dei due imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo dirigente e il secondo rappresentante legale della (OMISSIS) s.p.a., a cui erano stati contestati i due episodi di corruzione relativi alla fornitura di impianti di riduzione del gas per’ i siti (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi 1.3 e 1.4), reati dichiarati estinti per prescrizione gia’ in primo grado.

Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di nullita’ ex articolo 179 cod. proc. pen., determinata dalla mancata rinnovazione della citazione nei confronti dei due imputati per l’udienza del 9.2.2010 attraverso la notificazione del verbale del 12.1.2010, udienza quest’ultima in cui erano stati indicati come “assenti”, condizione questa che avrebbe dovuto giustificare la loro formale vocatio in judicium.

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso ogni considerazione in ordine alla insussistenza in atti della prova evidente dell’estraneita’ degli imputati ai fatti contestati, che avrebbe prevalso sulla formula estintiva per prescrizione, considerando che nei motivi di impugnazione si era rappresentata l’evidenza dell’estraneita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) rispetto ai reati in questione, rilevando come dalle stesse dichiarazioni di (OMISSIS) si sarebbe dovuto ritenere che questi avesse assunto la qualifica di project manager, qualifica alla quale gli stessi giudici di merito riconnettono il riconoscimento della qualita’ di pubblico ufficiale – presupposto necessario per la sussistenza dei reati di corruzione -, solo nel maggio del 2004, quando cioe’ gli impianti erano gia’ stati progettati, acquistati e costruiti, dovendo peraltro escludersi che in epoca precedente (OMISSIS) abbia svolto, solo di fatto, le funzioni di project manager, cosi’ come motiva la sentenza impugnata.

3.3. (OMISSIS) s.p.a..

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.24), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, contestato ai capi 1.3 e 1.4 a (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo procuratore della societa’ e il secondo amministratore delegato, societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 166.962.

Con il primo motivo si deduce la mancanza di motivazione in ordine ai reati presupposto contestati alle persone fisiche, (OMISSIS) e (OMISSIS). Si sostiene che, a seguito della dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, avvenuta in primo grado, i giudici di merito hanno omesso di prendere in considerazione la sussistenza di tali reati in funzione dell’affermazione della responsabilita’ della societa’ (OMISSIS), limitandosi ad escludere l’esistenza della prova evidente dell’estraneita’ dei due imputati e omettendo l’esame dei motivi con cui la difesa ha, tra l’altro, sostenuto che il (OMISSIS) non ricoprisse alcuna funzione per cui gli potesse essere riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22 e il vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale rilevato l’avvenuta prescrizione anche dell’illecito amministrativo, il cui termine deve intendersi decorso al momento della sottoscrizione dei contratti di consulenza con (OMISSIS) (aprile 2001) e con (OMISSIS) (maggio 2002).

Il terzo motivo attiene al vizio di motivazione sulla determinazione del profitto oggetto di confisca, individuato dai giudici nel 10% del valore della commessa, laddove si assume che per le gare in questione il profitto conseguito sarebbe stato inferiore, come del resto sostenuto dal teste (OMISSIS), direttore amministrativo della societa’.

4. Commessa per la realizzazione di un impianto termoelettrico per il sito (OMISSIS) di (OMISSIS) (vicenda (OMISSIS) s.p.a.).

4.1. Secondo la ricostruzione contenuta in sentenza Alberto e (OMISSIS), ai vertici della societa’ (OMISSIS) s.p.a., avrebbero promesso a Lorenzo (OMISSIS), projet manager di (OMISSIS) s.p.a., una tangente sull’importo delle varianti relative alla commessa (OMISSIS) per la realizzazione di un impianto termoelettrico per il sito di Mantova; in questo caso la corruzione ipotizzata non e’ relativa all’aggiudicazione del contratto di appalto, ma a contrattazioni nel corso dei lavori edilizi di realizzazione dell’impianto con riferimento a nuovi prezzi e nuovi lavori resisi necessari. La tangente sarebbe stata pagata mediante la stipula di un fittizio contratto di consulenza con a societa’ (OMISSIS) di (OMISSIS).

4.2. (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso anche nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo legale rappresentante della (OMISSIS) s.p.a. e il secondo con un incarico di gestione.

Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di nullita’ ex articolo 179 cod. proc. pen., determinata dalla mancata rinnovazione della citazione nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’udienza del 9.2.2010 attraverso la notificazione del verbale del 12.1.2010, udienza quest’ultima in cui erano stati indicati come “assenti”, condizione questa che avrebbe dovuto giustificare la loro formale vocatio in judicium.

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alla risposta fornita dalla Corte d’appello sull’eccezione di incompetenza territoriale. In particolare, si rileva l’erroneita’ della motivazione la’ dove i giudici escludono la rilevanza del luogo dove sono avvenuti i pagamenti ritenuta “modalita’ esecutiva accessoria e contingente” – facendo invece riferimento al luogo degli accordi corruttivi, ponendosi in contraddizione con quanto affermato nella stessa sentenza per respingere la richiesta di prescrizione dell’illecito amministrativo contestato alla societa’ (OMISSIS), in cui invece si e’ fatto riferimento alle effettive dazioni di denaro.

Con il terzo motivo si’ deduce il vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso ogni considerazione in ordine alla insussistenza in atti della prova evidente dell’estraneita’ degli imputati ai fatti contestati, che avrebbe prevalso sulla formula estintiva per prescrizione, considerando che nei motivi di impugnazione si era rappresentata l’evidenza dell’estraneita’ dei due (OMISSIS) rispetto al reato di corruzione di cui al capo 1.7 – relativo ad una tangente versata per la realizzazione di un impianto termoelettrico per il sito di (OMISSIS) -, rilevando come dalle stesse dichiarazioni di (OMISSIS) si sarebbe dovuto ritenere che questi avesse assunto la qualifica di project manager, qualifica alla quale gli stessi giudici di merito riconnettono il riconoscimento della qualita’ di pubblico ufficiale – presupposto necessario per la sussistenza dei reati di corruzione -, solo nel maggio del 2004, quando cioe’ gli impianti erano gia’ stati progettati, acquistati e costruiti, dovendo peraltro escludersi che in epoca precedente (OMISSIS) abbia svolto, solo di fatto, le funzioni di project manager, cosi’ come motiva la sentenza impugnata.

4.3. (OMISSIS) s.p.a..

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.18), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, contestato al capo 1.7 al proprio rappresentante legale (OMISSIS), societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 562.930.

Con il primo motivo si ripropone l’eccezione di incompetenza per territorio dell’autorita’ giudiziaria di Milano e si contesta la decisione con cui la Corte d’appello ha ritenuto l’eccezione intempestiva. Si assume che la competenza e’ del Tribunale di Roma dove sarebbe stata corrisposta la tangente, pagata su un conto corrente acceso in Roma a favore della societa’ (OMISSIS), ovvero del Tribunale di Mantova dove sarebbe stato concluso l’accordo corruttivo.

Con il secondo motivo si deduce la nullita’ del capo di imputazione per indeterminatezza nella richiesta di rinvio a giudizio e nel decreto che dispone il giudizio e si censura la motivazione della Corte d’appello che ha ritenuto l’eccezione non formulata in primo grado. In particolare, si assume che nel capo di imputazione risulti incerta la natura di pubblico ufficiale del (OMISSIS) e non siano indicati gli atti contrari ai doveri d’ufficio posti in essere.

Con il terzo motivo si rileva l’erronea applicazione della legge processuale nonche’ il vizio di motivazione, in quanto la Corte d’appello ha di fatto omesso la valutazione in ordine alla sussistenza del reato presupposto e l’esame dei motivi ad esso riferibili, ritenendo, erroneamente, di limitare l’accertamento sulla responsabilita’ dell’ente alla verifica circa l’esistenza della prova evidente dell’innocenza degli imputati, accertamento giustificato in presenza della riconosciuta prescrizione dei reati riguardo alle persone fisiche, ma non certo sufficiente con riferimento alle persone giuridiche, per le quali l’accertamento avrebbe dovuto essere completo e globale.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, in ordine all’utilizzazione delle dichiarazioni di (OMISSIS), imputato di reato connesso, senza alcuna riscontro con altri elementi di prova.

Con il quinto motivo si deduce la violazione degli articoli 512 e 513 cod. proc. pen., con riferimento all’acquisizione dei verbali di interrogatorio di (OMISSIS), coimputato patteggiante. Si assume che tali verbali non potevano essere acquisiti ai sensi dell’articolo 512 cod. proc. pen., in quanto il (OMISSIS) non si trovava nell’impossibilita’ di rendere dichiarazioni e avrebbe potuto essere sentito nelle forme previste dall’articolo 119 cod. proc. pen..

Con il sesto motivo si eccepisce l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 e in particolare degli articoli 5, 6 e 25 per violazione degli articoli 27, 77 e 117 Cost., ritenendo che la disciplina sulla responsabilita’ amministrativa delle persone giuridiche non sia rispettosa della L. Delega n. 300 del 2000, che non prevedeva una responsabilita’ di tipo oggettivo per l’ente, con una ingiustificata inversione dell’onere probatorio.

Con un articolato settimo motivo si censura la sentenza per avere riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale a (OMISSIS).

Con l’ottavo motivo si assume il vizio di motivazione della sentenza per non avere individuato l’esistenza di una effettiva promessa di un compenso per atti contrari ai doveri d’ufficio tra (OMISSIS) e (OMISSIS).

Con il nono motivo si denuncia la violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto la sentenza ha ritenuto che il (OMISSIS) sia intervenuto come funzionario di fatto nella contrattazione, laddove l’imputazione faceva riferimento al ruolo di project manager.

Con il decimo motivo si deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 6 e il connesso vizio di motivazione, avendo i giudici affermato che la societa’, al momento del fatto, era priva di un modello organizzativo, mentre, secondo quanto dichiarato da alcuni testimoni, i modelli erano stati adottati, sicche’ il giudice avrebbe dovuto verificarne l’idoneita’, cosa che non e’ avvenuta.

Con l’undicesimo motivo si sostiene che il regime di sospensione della prescrizione prevista nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001 e’ illegittima in rapporto a quanto prescritto nella Convenzione di Merida, che consente la sospensione del termine solo se il soggetto si sottrae alla giustizia. Ne consegue, pertanto, che anche l’illecito amministrativo avrebbe dovuto essere considerato prescritto.

Con il dodicesimo motivo si censura la sentenza per aver confermato una sanzione pecuniaria eccessiva, senza alcuna motivazione al riguardo.

Con il tredicesimo motivo si contesta la determinazione del valore della confisca del profitto, calcolato sul valore complessivo dell’appalto anziche’ in rapporto ai nuovi prezzi e all’aumento di valore dell’appalto.

5. Appalti per la fornitura di lavori elettrostrumentali e passerelle portacavi nei siti (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) (vicenda (OMISSIS) s.p.a.).

5.1. Anche in questo caso le sentenze hanno ritenuto che l’accordo corruttivo si sia concretizzato nel versamento di una tangente pari al 3% dell’importo dell’appalto, poi aggiudicato a (OMISSIS) s.p.a., che avrebbe corrisposto la somma complessiva di Euro 20.000 a (OMISSIS), in cambio di notizie e informazioni utili per la partecipazione alla gara.

5.2. (OMISSIS) s.p.a..

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.26), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, contestato al capo 1.16 al proprio rappresentante legale (OMISSIS), societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 66.666.

Con il primo motivo si deduce l’omessa motivazione in ordine alla responsabilita’ della societa’ con riferimento ai reati presupposti, indicati nel capo di imputazione ai punti I.16 e L.13, entrambi attribuiti a (OMISSIS), per il quale, all’udienza dell’11.5.2010, il Tribunale dichiarava non doversi procedere per morte dell’imputato: in particolare, sarebbe stata del tutto omessa la motivazione in ordine al reato presupposto di cui al capo L.13, per il quale e’ stata pure riconosciuta la responsabilita’ della persona giuridica in questione.

Con il secondo e articolato motivo si censura la sentenza sotto diversi profili, tutti attinenti alla riconosciuta qualifica di pubblico ufficiale a (OMISSIS). Si precisa che tutte le persone giuridiche coinvolte in questa vicenda sono soggetti privati e non enti pubblici, compresi (OMISSIS) e (OMISSIS); la natura pubblicista e’ esclusa anche dalla disciplina dei contratti di appalto; deve escludersi che (OMISSIS) abbia avuto compiti e funzioni specifici nell’assegnazione dell’appalto e nella sua esecuzione.

Con il terzo motivo si contesta l’attribuzione al (OMISSIS) della qualifica di pubblico ufficiale. Innanzitutto si sostiene che, all’epoca dei fatti, non rivestiva il ruolo di project manager, come erroneamente ritenuto in sentenza, funzione che aveva ricoperto solo nel maggio 2004, quando cioe’ gli impianti di Ravenna e di Mantova erano gia’ stati costruiti.

Con il quarto motivo si rileva come la sentenza non abbia individuato gli atti contrari ai doveri d’ufficio.

Con il quinto motivo si denuncia l’erronea qualificazione del fatto, che andava inquadrato nel reato di millantato credito, non previsto tra i reati presupposto della responsabilita’ dell’ente, ovvero nel reato di concussione.

Con il sesto motivo si lamenta l’eccessivita’ della sanzione applicata.

6. Appalto per la fornitura di una sottostazione per i siti (OMISSIS) di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (vicenda (OMISSIS) s.p.a.).

6.1. Anche in questo caso l’imputazione individua (OMISSIS) come il soggetto che fornisce indebite comunicazioni sulle gare, mentre (OMISSIS) viene considerato l’intermediario che collega le imprese partecipanti alla gara con le strutture interne di (OMISSIS), fornendo coperture per i pagamenti illeciti delle tangenti funzionali a far ottenere alla (OMISSIS) s.p.a. l’aggiudicazione per le sottostazioni dei siti di (OMISSIS) e (OMISSIS).

6.2. (OMISSIS).

Nel ricorso proposto dall’avvocato (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), sono dedotti due distinti motivi attinenti alla confisca disposta.

Il primo riguarda il vizio di motivazione, in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il motivo con cui si contestava la disposta confisca di documenti e del denaro in sequestro, senza neppure quantificare la somma in rapporto alla tangente effettivamente percepita per l’intermediazione nella vicenda dell’appalto per la fornitura di una sottostazione per il sito (OMISSIS) di Ravenna, limitandosi solo a dichiarare la prescrizione del reato di corruzione di cui al capo 1.2; con il secondo si denuncia l’erronea applicazione degli articoli 240 e 322-ter cod. pen., rilevando, da un lato, che non risulta a che titolo sia stato sequestrato il denaro, se cioe’ come prezzo ovvero profitto del reato, dall’altro, che la confisca e’ stata disposta erroneamente, nonostante la vicenda processuale si sia conclusa non con una sentenza di condanna, ma con la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.

7. Appalto per la posa in opera di tubazioni, fognature e canali per il completamento della centrale termoelettrica (OMISSIS) di (OMISSIS) (vicenda (OMISSIS) – (OMISSIS)).

7.1. Secondo la ricostruzione delle sentenze di merito, nella vicenda relativa all’appalto per le opere di completamento della centrale termoelettrica (OMISSIS) di (OMISSIS) vi sarebbero stati due distinti episodi di corruzione, consistiti nel pagamento di tangenti versate da societa’ per ottenere facilitazioni nelle forniture e negli appalti.

In particolare, (OMISSIS), all’epoca legale rappresentante della societa’ francese (OMISSIS), si sarebbe accordato, tramite (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che agivano quali intermediari, con (OMISSIS), funzionario della (OMISSIS), per il versamento di una tangente di Euro 145.156,38 in cambio di informazioni sulla gara per la fornitura di tubazioni per opere civili da destinare al sito (OMISSIS) di (OMISSIS), coprendo la tangente con fatture emesse dalla societa’ (OMISSIS) di (OMISSIS) e rappresentative di consulenze fittizie, il tutto nell’interesse della (OMISSIS), societa’ fornitrice delle tubature.

L’altro episodio corruttivo riguarda una tangente di Euro 256.613,68, pari al 3% del valore dell’appalto per le opere di completamento della centrale termoelettrica (OMISSIS) di (OMISSIS), versata dai vertici della (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) e (OMISSIS), in favore di (OMISSIS), funzionario della (OMISSIS) s.p.a., che avrebbe fornito informazioni riservate per realizzare la migliore offerta, tramite l’intermediazione di (OMISSIS) e (OMISSIS), coprendo il pagamento della dazione illecita con fittizie consulenze richieste alla societa’ (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS), il tutto nell’interesse della societa’ (OMISSIS).

7.2. (OMISSIS).

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di (OMISSIS), rappresentante in Italia della ditta francese (OMISSIS) e ritenuto uno degli intermediari negli episodi di corruzione di cui ai capi L.18 e L.20.

Con il primo motivo si denuncia l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’articolo 357 cod. pen. e alla nozione di pubblico ufficiale. In particolare, si contesta la sentenza impugnata per avere attribuito la qualita’ di pubblico ufficiale a (OMISSIS), all’epoca funzionario della (OMISSIS) e presunto corrotto, ritenendo irrilevante che tale ente operasse come societa’ per azioni e sottolineando, invece, la sua struttura di societa’ a partecipazione pubblica, operante in un settore assolutamente strategico come quello dell’energia, di interesse pubblico. Al contrario, si assume che l’articolo 357 cod. pen. richiede il concreto esercizio della pubblica funzione, senza alcun riferimento al rapporto di dipendenza di una pubblica amministrazione, in quanto cio’ che viene ad avere rilevanza e’ lo svolgimento effettivo e concreto di un’attivita’ pubblicistica. L’indagine sulla qualifica di pubblico ufficiale deve, innanzitutto, essere incentrata sull’attivita’ svolta al momento della commissione del reato e, inoltre, deve avere ad oggetto i poteri attribuiti al soggetto, in grado cioe’ di porre in essere atti autoritativi o certificativi nonche’ di manifestare la volonta’ della pubblica amministrazione. Tali poteri non si rinvengono in capo al (OMISSIS) che era un semplice dipendente della (OMISSIS) che svolge un’attivita’ che niente ha a che fare con il settore della produzione energetica, essendo una societa’ di ingegneria e di progettazione che opera sul libero mercato, non riconducibile agli enti pubblici ovvero a societa’ che svolgono attivita’ di natura pubblica. Esclusa la qualifica di pubblico ufficiale al presunto corrotto, conseguentemente non sarebbe configurabile il reato di corruzione contestato allo (OMISSIS).

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della qualita’ di pubblico ufficiale, sostenendo che la sentenza non ha fornito alcuna spiegazione al riguardo, limitandosi apoditticamente ad attribuire al (OMISSIS) la qualita’ di Intraneus.

Con il terzo motivo si fa valere il travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni rese dallo stesso (OMISSIS), che ha recisamente negato di avere fornito informazione sull’appalto, dichiarazioni ignorate dai giudici di merito, omissione rilevata in appello ma neppure considerata dalla Corte territoriale.

Con il quarto motivo si lamenta l’omessa motivazione sulla mancata dichiarazione di avvenuta prescrizione del reato da parte del Tribunale. Riguardo all’episodio riferito alla societa’ (OMISSIS)’, in cui il reato e’ contestato “dal 2.12.2002 al 29.9.2003” (capo L.18), si evidenzia che per i medesimi fatti il Tribunale ha dichiarato l’estinzione per prescrizione in relazione alla posizione di (OMISSIS), amministratore unico della (OMISSIS) (capo L.19); in ordine all’altro episodio di corruzione riguardante la (OMISSIS) s.r.l., contestato fino al 3.8.2004, il Tribunale non avrebbe considerato che, in mancanza della prova della dazione del compenso illecito, il momento di consumazione del reato di corruzione e’ rappresentato dalla formazione dell’accordo illecito, che nel caso in esame sarebbe intervenuto prima della presentazione dell’offerta da parte della (OMISSIS), cioe’ nel dicembre 2002.

Con il quinto motivo si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alle statuizioni civili.

7.3. (OMISSIS).

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di (OMISSIS), ritenuto l’intermediatore della vicenda corruttiva di cui al capo L.18 e L. 20-.

Con il primo motivo si deduce la nullita’ della sentenza di primo grado e, conseguentemente, di quella di appello, per violazione dell’articolo 521 c.p.p., comma 2, per mutamento del fatto contestato con il decreto che dispone il giudizio. In sostanza, rispetto al fatto contestato, secondo cui (OMISSIS) avrebbe, in concorso con altri imputati, concordato il pagamento di una tangente per l’aggiudicazione di una commessa relativa ad un impianto in Brindisi a favore di (OMISSIS) s.r.l. in cambio di informazioni riservate, condotta posta in essere successivamente alla pubblicazione del bando, la sentenza di merito avrebbe capovolto gli elementi della condotta, collocandola prima della pubblicazione del bando, introdotto l’apporto concorsuale di un diverso soggetto, (OMISSIS), e individuato un altro soggetto commerciale.

Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione, in quanto la sentenza di appello avrebbe omesso di esaminare le doglianze relative alla mancata correlazione tra accusa e sentenza.

Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza della qualita’ di pubblico ufficiale del (OMISSIS).

Con il quarto motivo si lamenta la mancanza di motivazione in ordine alle prove incriminatrici, alle prove a discarico prodotte e ai relativi motivi di appello dedotti. Il riferimento e’, tra l’altro, alle dichiarazioni rese da Consorti, che ha sempre escluso di avere ricevuto informazioni, nonche’ alle dichiarazioni di (OMISSIS), che ha riferito che all’epoca dei fatti era gia’ in pensione e che l’appalto esulava dalle sue funzioni e competenze; inoltre, sarebbe stato ignorato il contratto tra la (OMISSIS) s.r.l. e la (OMISSIS), societa’ di (OMISSIS), contratto a cui andavano riferiti i pagamenti in favore del (OMISSIS), a titolo di consulenze effettuate. Di tali prove a discarico non vi sarebbe stata alcuna valutazione.

Con il quinto motivo si lamenta l’avvenuta condanna alla rifusione della spese alle parti civili a carico degli imputati in solido, nonostante si tratti di posizioni differenziate.

7.4. (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), legali rappresentanti della (OMISSIS) s.p.a. ai quali e’ stato contestato il reato di corruzione di cui al capo L.20.

Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per inosservanza dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale ha omesso di considerare gli evidenti elementi di prova, indicati nell’atto di appello, che avrebbero giustificato il proscioglimento di merito degli imputati. Si sottolinea che i giudici avrebbero dovuto esaminare in maniera approfondita i motivi dedotti, in considerazione del fatto che vi era stata condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e che il reato in questione costituiva il presupposto per affermare la responsabilita’ amministrativa della societa’.

Sempre in relazione al primo motivo, si contesta la sentenza per avere attribuito la qualifica di pubblico ufficiale a (OMISSIS), che peraltro dal gennaio 2003 era gia’ in pensione.

Sotto un ulteriore profilo si sottolinea che la sentenza non ha indicato il contenuto dell’accordo corruttivo ovvero l’atto contrario ai doveri d’ufficio in cui si sarebbe sostanziata la condotta costitutiva del reato di corruzione. Secondo l’impostazione accusatoria, gli imputati avrebbero ricevuto informazioni riservate da (OMISSIS) attraverso intermediari, informazioni che avrebbero consentito il miglioramento dell’offerta operata dalla (OMISSIS) rispetto a quelle degli altri concorrenti: ma non e’ stata raggiunta la prova dell’accordo, avendo (OMISSIS) sempre negato che sia stato proposto un patto da parte degli imputati, dichiarazioni favorevoli agli imputati ma del tutto trascurate dai giudici.

Infine, si contesta quanto ritenuto in sentenza in ordine alla configurabilita’ come prezzo del reato dei pagamenti delle fatture di (OMISSIS) s.r.l., pagamenti che corrispondevano, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici, a prestazioni effettivamente svolte dallo (OMISSIS) in favore della (OMISSIS).

Con il secondo motivo si lamenta il mancato riconoscimento dell’intervenuta prescrizione del reato in primo grado, con tutte le conseguenze sul piano delle statuizioni civili. Non essendovi stata la prova della consegna del denaro, la consumazione del reato deve ritenersi avvenuta con la formazione dell’accordo che risale al dicembre 2002.

Con il terzo motivo si deduce la violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto le sentenze di merito avrebbero fatto riferimento agli interventi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), circostanze non contestate nel decreto di citazione a giudizio e rispetto alle quali gli imputati non si sono potuti difendere.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’articolo 578 cod. proc. pen. e il connesso vizio di motivazione, avendo la Corte d’appello omesso di esaminare le doglianze ai fini della conferma delle statuizioni civili.

Sotto un diverso profilo si sostiene che non risulta alcuna motivazione neppure in relazione alla sussistenza del danno subito dalle parti civili come conseguenza delle condotte degli imputati, dovendo escludersi ogni ipotesi di danno da immagine o da tangente.

Infine, non risulta che i giudici abbiano esaminato le richieste di esclusione delle parti civili (OMISSIS) spa e (OMISSIS).

7.5. (OMISSIS) s.p.a..

L’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.17), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, posto dall’amministratore delegato (OMISSIS) e contestato al capo L.20, societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 50.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 769.724.

Con il primo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe omesso l’esame specifico delle doglianze contenute nell’atto di appello con cui si contestava la sussistenza del reato presupposto, omissione impropriamente giustificata in presenza della causa di estinzione per prescrizione del reato attribuito alle persone fisiche. Si assume che, dal momento che il reato di corruzione costituisce il presupposto fattuale della responsabilita’ della societa’, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto procedere ad un esame analitico ed approfondito in ordine alla integrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, compresi gli elementi del reato presupposto.

In primo luogo, si sottolinea come i giudici non abbiano considerato quanto dedotto in sede di appello con riferimento alla insussistenza del reato presupposto per la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale in capo al presunto corrotto, cioe’ (OMISSIS), dipendente della (OMISSIS) e addetto all’ufficio acquisti: anche ad ammettere la natura pubblicistica della (OMISSIS), cio’ non sarebbe comunque sufficiente a qualificare come pubblico ufficiale il (OMISSIS), in quanto tale qualifica discende dalla natura dell’attivita’ effettivamente e concretamente svolta dal soggetto e nel caso in esame il presunto corrotto si occupava solo dell’attivita’ commerciale della societa’, che non implicava esercizio o spendita di poteri autoritativi o certificativi; d’altra parte deve escludersi, secondo la difesa, anche l’ipotesi che il (OMISSIS) si sia di fatto ingerito nell’esercizio dell’atto di ufficio, dal momento che questi era andato in pensione nel gennaio 2003 e che comunque ha sempre escluso di avere avuto possibilita’ di influire sul compimento dell’atto di ufficio.

Inoltre, si assume che la sentenza avrebbe omesso di individuare il patto corruttivo e il suo oggetto, cioe’ l’atto di ufficio contrario ai doveri di ufficio. I giudici avrebbero trascurato che le informazioni riservate sarebbero state passate al (OMISSIS) quando il (OMISSIS) era gia’ stato collocato in pensione. D’altra parte, il tentativo operato in sentenza di spostare in avanti l’accordo per favorire l’ (OMISSIS) non trova fondamento negli atti e, in ogni caso, si rivela inconferente ai fini della sussistenza del reato di corruzione, in quanto finirebbe per ipotizzare reati quali la turbata liberta’ degli incanti o la collusione tra privati partecipanti che non fungono da presupposti per la responsabilita’ degli enti.

Infine, i giudici avrebbero ritenuto erroneamente confermato l’assunto accusatorio, secondo cui il pagamento delle fatture emesse da (OMISSIS) s.r.l. in favore di (OMISSIS), per complessivi Euro 256.613,68, costituirebbe il prezzo del reato, trattandosi del pagamento di una tangente corrispondente al 3% dell’importo dell’appalto. Invero, si assume che le fatture non si riferivano a consulenze fittizie, ma a prestazioni effettivamente svolte in favore della (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS) per consulenze di natura ingegneristica, come da documentazione prodotta.

Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione determinati dalla circostanza che la Corte d’appello ha fondato la responsabilita’ della societa’ sul presupposto dell’inidoneita’ del modello organizzativo, senza esaminare le specifiche doglianze contenute nell’atto di impugnazione e volte a dimostrare la idoneita’ della misure organizzative adottate, ma limitandosi a confermare quanto sostenuto nella sentenza di primo grado.

Con il terzo e subordinato motivo si denuncia la violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 69, 12 e 19 in relazione alla comminazione della sanzione pecuniaria e alla determinazione dell’entita’ della confisca, anche sotto il profilo della motivazione, avendo i giudici di secondo grado confermato la prima decisione senza esaminare le critiche contenute nell’atto di appello. In particolare, con riferimento alla somma oggetto di confisca si assume che la quantificazione nella misura del 10% del valore dell’appalto, corrispondente al profitto derivante dal reato, si fondi su una arbitraria presunzione che non distingue tra vantaggio economico conseguente al reato e incremento economico determinato da una prestazione lecita eseguita in favore della controparte nell’ambito di un regolare rapporto contrattuale.

7.6. (OMISSIS).

Gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso nell’interesse della societa’ (OMISSIS), ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25, comma 3, (capo R.9), in relazione al reato di concorso in corruzione, per atto contrario ai doveri d’ufficio, posto dal legale rappresentante (OMISSIS), contestato al capo L.19 e dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, societa’ condannata al pagamento della sanzione pecuniaria di Euro 150.000, oltre alla confisca per equivalente dell’importo di Euro 590.375.

Con il primo motivo si deduce la violazione del Decreto Legislativo 231 del 2001, articoli 8, 69 e articolo 157 cod. pen., in quanto la responsabilita’ della societa’ (OMISSIS) per l’illecito amministrativo contestato e’ stata affermata omettendo ogni valutazione in ordine al reato presupposto e alla stessa responsabilita’ della persona fisica, (OMISSIS), che tale reato avrebbe dovuto realizzare nell’interesse della societa’ in cui egli ricopriva posizioni di vertice. Si sostiene che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello si siano limitati, in presenza della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ad escludere l’esistenza di prove evidenti dell’estraneita’ del (OMISSIS) ai fatti addebitatigli, senza considerare che tale valutazione, operata ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, in rapporto alla responsabilita’ della persona fisica, non si giustifica con riferimento alla responsabilita’ dell’ente, che anche quando si configura come responsabilita’ autonoma ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8 deve essere accertata in maniera completa, con riferimento pure alla sussistenza del reato presupposto e al ruolo dell’autore dello stesso. Peraltro, si sottolinea come in questo modo la Corte territoriale abbia omesso di esaminare i motivi dedotti nell’atto di appello, diretti a contestare la ritenuta responsabilita’ della societa’ dimostrando l’insussistenza del resto presupposto commesso dal (OMISSIS).

Con il secondo motivo si denuncia l’erronea applicazione dell’articolo 319 cod. pen. da parte della Corte d’appello per avere attribuito la qualifica di pubblico ufficiale a (OMISSIS). L’esclusione di tale qualifica avrebbe fatto venir meno lo stesso reato presupposto per la responsabilita’ amministrativa dell’ente. Le critiche sono analoghe a quelle proposte nei ricorsi gia’ esaminati.

Il terzo motivo riguarda il vizio di motivazione, nella forma del travisamento della prova per omissione, per avere la sentenza ignorato le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 26.10.2010 ai sensi dell’articolo 197-bis cod. proc. pen., nel corso del giudizio di primo grado, in cui, pur ammettendo le sue responsabilita’ in alcune vicende corruttive contestatigli, negava invece il suo coinvolgimento nell’episodio riguardante l’appalto della societa’ (OMISSIS).

Sotto un diverso profilo si rileva che la mancata considerazione di tali dichiarazioni di contenuto liberatorio ha impedito anche l’applicazione dell’articolo 530 cod. proc. pen..

Con il quarto motivo si deducono ulteriori travisamenti, relativi ad alcune testimonianze acquisite agli atti.

Si assume che i giudici dell’appello non avrebbero compiuto alcuna valutazione delle produzioni documentali e delle testimonianze acquisite da cui avrebbero potuto desumere l’estraneita’ di (OMISSIS) all’ipotizzato accordo corruttivo nell’interesse della societa’. Il riferimento e’ ad una serie di e-mail e fax da cui risulterebbe che, all’epoca dei fatti, (OMISSIS) non copriva il ruolo di intermediario con l’estero per conto della (OMISSIS), circostanza confermata dalle testimonianze di (OMISSIS) e di (OMISSIS), il primo responsabile affari legali di (OMISSIS) e la seconda direttrice delle risorse umane della stessa societa’, che hanno sostenuto che dal giugno 2002, con effetto dal gennaio 2003, la direzione del settore estero era stata assunta da (OMISSIS), mentre (OMISSIS) era stato spostato al settore acquisti ed attivita’ strategiche.

Inoltre, si evidenzia un altro travisamento relativo alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), responsabile dei servizi e delle opere presso (OMISSIS), in base alle quali, secondo la difesa, emergerebbe che la (OMISSIS) non aveva alcun interesse ad acquisire informazioni tecniche da soggetti interni alla (OMISSIS) da remunerare con tangenti coperte con fatture relative a false consulenze, in quanto quelle informazioni la societa’ gia’ le conosceva per averle ricevute lecitamente dai vertici di (OMISSIS).

Con un ultimo e subordinato motivo, collegato ai travisamenti denunciati, si rileva come la sentenza sia incorsa anche nella violazione dell’articolo 533 cod. proc. pen., avendo omesso di pronunciare sentenza di assoluzione quantomeno ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, non essendo stata raggiunta la prova della colpevolezza ogni oltre ragionevole dubbio.

In data 4 settembre 2015 gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato motivi nuovi, che in realta’ sono memorie difensive, in quanto replicano gli stessi motivi gia’ dedotti nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Quasi tutti gli imputati, persone fisiche e persone giuridiche

( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Ricchiuto, (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS)), hanno presentato motivi diretti a censurare la sentenza d’appello per aver confermato la sussistenza della qualifica soggettiva di rilievo pubblicistico nei confronti di (OMISSIS) e Luigino (OMISSIS), il primo funzionario di (OMISSIS), l’altro di (OMISSIS).

Si ritiene opportuno trattare unitariamente tali motivi, comuni a piu’ ricorsi, perche’ il loro esame appare preliminare, dal momento che la stessa esistenza dei reati contestati dipende dal riconoscimento della nozione di pubblico ufficiale ovvero di incaricato di pubblico servizio in capo al (OMISSIS) e al (OMISSIS).

Infatti, dalla ricostruzione che le due sentenze di merito hanno fatto delle diverse vicende corruttive oggetto di questo processo emergono le figure centrali dei due funzionari, che agivano nell’ambito di un sistema ramificato e organizzato, in cui le societa’ interessate a partecipare alle gare contattavano o venivano contattate da intermediari, i quali offrivano o fornivano informazioni riservate, utili per vincere la gara o per ottenere vantaggi nella fase esecutiva della stessa, informazioni che venivano procurate da (OMISSIS) e (OMISSIS); quindi seguiva il pagamento del corrispettivo (“tangente”) da parte delle societa’, stabilito in percentuale sul valore della commessa, pagamento che veniva coperto da contratti fittizi di consulenza o da fatture; infine, il corrispettivo veniva ripartito tra intermediari e funzionari corrotti.

Ne consegue che solo il riconoscimento della qualifica pubblicistica in capo ai due dipendenti di (OMISSIS) e (OMISSIS), che in tale vicenda sarebbero stati i soggetti corrotti, consentirebbe di ravvisare il reato di corruzione.

Su questi aspetti la Corte d’appello ha confermato la soluzione offerta dal primo giudice, soluzione che il Collegio ritiene sostanzialmente di avallare.

I giudici di merito correttamente si sono richiamati alla concezione oggettiva delle qualifiche pubblicistiche, ponendo l’accento non sull’esistenza di un rapporto di dipendenza del soggetto con lo Stato o con altro ente pubblico, ma piuttosto sui caratteri qualificanti l’attivita’ svolta in concreto dai soggetti, che deve potersi definire, a seconda dei casi, come pubblica funzione o come pubblico servizio. Puo’ dirsi, riprendendo una felice definizione di un’attenta dottrina, che tali qualifiche soggettive si acquistano “non per cio’ che si e’, ma per cio’ che si fa”.

Infatti, sulla base degli articoli 357 e 358 cod. pen., le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sono collegate alle attivita’ svolte, che possono definirsi come pubblica funzione amministrativa o come pubblico servizio non per il legame tra il soggetto e un ente pubblico, ma per la disciplina pubblicistica che regola l’attivita’ nonche’ per i contenuti giuridici pubblici che la connotano, che per quanto riguarda il servizio pubblico sono quantitativamente inferiori (rispetto a quelli della funzione pubblica), tali comunque da escludere dalla categoria i soggetti che svolgono semplici mansioni di ordine ovvero che prestino un’opera meramente materiale.

Le due categorie sono accomunate, quindi, da una prospettiva funzionale-oggettiva, nel senso che entrambe postulano il criterio di delimitazione “esterna” imperniato sulla natura della disciplina pubblicistica dell’attivita’ svolta. L’elemento che le differenzia e’ costituito dal fatto che il pubblico ufficiale e’ dotato di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, mentre l’incaricato di pubblico servizio difetta di tali poteri, nonostante la sua attivita’ sia comunque riferibile alla sfera pubblica: in altri termini, e’ la tipicita’ dei poteri elencati nell’articolo 357 cod. pen. che fonda la differenza.

Nel caso in esame, deve sicuramente escludersi che i due dipendenti della (OMISSIS) e della (OMISSIS) fossero pubblici ufficiali, non essendo titolari dei poteri e delle funzioni richiamati dall’articolo 357 cod. pen. Resta, quindi, da accertare se gli stessi possano essere considerati incaricati di pubblico servizio.

Anche in riferimento a questa figura la riforma attuata con la L. n. 86 del 1990 ha introdotto una nozione oggettiva della qualifica di incaricato di pubblico servizio. L’articolo 358 cod. pen., infatti, attribuisce tale qualifica a coloro che, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, prescindendo dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione, fornendo poi, nel comma 2, la definizione di pubblico servizio, inteso come un’attivita’ disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma senza i poteri tipici di questa, con esclusione di attivita’ concretizzantesi in semplici mansioni di ordine o di opera meramente materiale.

Come e’ noto, la giurisprudenza ha cercato di individuare gli indici sintomatici del carattere pubblicistico dell’attivita’ svolta, facendo riferimento alla natura pubblica dell’ente da cui promana l’attivita’ del soggetto, al perseguimento di finalita’ pubbliche, all’impiego di pubblico denaro, alla soggezione a controlli pubblici, in ogni caso escludendo, tra i criteri idonei a qualificare come di rilievo pubblico l’attivita’ svolta, la forma giuridica dell’ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico. Di conseguenza, la giurisprudenza riconosce la qualifica di incaricato di pubblico servizio anche al dipendente di una societa’ privata che eserciti un servizio pubblico, a condizione, ovviamente, che il soggetto abbia svolto in concreto un’attivita’ che in tale servizio pubblico rientri. In questo senso, deve rilevarsi come le applicazioni giurisprudenziali delle qualifiche pubblicistiche che hanno sollevato maggiori perplessita’, soprattutto in dottrina, sono state quelle che hanno riguardato gli operatori d’impresa, soprattutto nel settore delle c.d. privatizzazioni.

In quest’ambito il giudice penale in alcuni casi ha esteso lo statuto penale dei pubblici agenti o degli incaricati di pubblico servizio nei confronti di soggetti operanti negli enti privatizzati, riconoscendo che la trasformazione dell’ente pubblico in societa’ per azioni non cancella di per se’ le connotazioni proprie della originaria natura pubblica dell’ente, in ogni caso ribadendo che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una societa’ per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attivita’ della societa’ medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalita’ pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (cfr., Sez. 5, n. 23465 del 26/04/2005, Laghi; Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi; Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone).

In questi casi, la giurisprudenza valorizza, tra gli indici di riconoscibilita’ del rilievo pubblico dell’attivita’, quello del controllo gestionale e finanziario dello Stato sugli enti privatizzati, anche in considerazione di quanto affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui la semplice trasformazione degli enti pubblici economici non puo’ essere ritenuto motivo sufficiente ad escludere il controllo della Corte dei conti, almeno fino a quando permanga inalterato l’apporto finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti, ossia fino a quando permanga una partecipazione maggioritaria dello Stato al capitale azionario di tali societa’ (Corte cost., sent. n. 466 del 1993).

In ogni caso, gli indici sintomatici del carattere pubblico dell’attivita’ svolta devono necessariamente collegarsi ad una disciplina che abbia connotazioni pubblicistiche.

Nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidenziato come (OMISSIS) s.p.a. sia una societa’ controllata al 100% da Eni, controllata, a sua volta, dallo Stato, nella misura del 30%, tramite la Cassa depositi e prestiti e il Ministero dell’Economia e che (OMISSIS) s.p.a. e’ anch’essa una societa’ del gruppo Eni, acquisita da (OMISSIS) s.p.a. sempre dello stesso gruppo, posseduta al 43% da (OMISSIS): (OMISSIS) opera prevalentemente nei settori della generazione e vendita di energia elettrica e dal 2000 ha gestito la realizzazione di cinque nuove centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica e vapore alimentate a gas naturale; (OMISSIS) e’ una societa’ di ingegneria che si occupa, tra l’altro, della costruzione di impianti e condotte per il trasporto di gas, di prodotti petroliferi con tutti i relativi impianti accessori.

In sostanza si tratta di societa’ che operano nei settori c.d. speciali – nella specie quello dell’energia -, sottoposti a regimi derogatori, soprattutto per quanto concerne la disciplina degli appalti, in ragione sia della tipologia degli operatori, che sono quasi sempre societa’ a partecipazione pubblica che agiscono in un sostanziale regime di monopolio, sia del rilievo strategico di tali attivita’ per l’intera economia nazionale.

Articolato e’ il percorso giustificativo del giudice di primo grado, per sostenere il rilievo pubblicistico delle attivita’ svolte dalle due societa’.

In primo luogo, viene messo in risalto il principio della responsabilita’ contabile per il danno derivato all’ente pubblico partecipante dalla mela gestio dei dipendenti delle suddette societa’, nei limiti in cui e’ stato riconosciuto dalle sentenze della Corte dei conti nelle vicende in oggetto, sentenze che, pur affermando la giurisdizione ordinaria, hanno ritenuto indirettamente la valenza pubblicistica dell’attivita’ delle societa’ partecipate.

Tuttavia, lo stesso Tribunale ammette la non decisivita’ di tale criterio e si concentra su un altro indice del rilievo pubblico delle attivita’ svolte, quello della disciplina degli appalti nei settori speciali, ancorche’ liberalizzati.

A parere di questo Collegio e’ questo, nel caso in esame, il criterio selettivo per poter affermare la sussistenza del rilievo pubblicistico dell’attivita’ svolta dalle due societa’.

L’obbligatorieta’ delle procedure di evidenza pubblica consente di ritenere configurabile la qualifica soggettiva di cui all’articolo 358 cod. pen. nell’ambito delle attivita’ svolte dalla societa’ privata, in quanto presuppone il riconoscimento e la necessita’ che quel servizio pubblico sia sottoposto ad un regime “amministrativo”, che assicuri la tutela della concorrenza assieme all’imparzialita’ della scelta del soggetto aggiudicatario, esigenza che rileva in quei contesti, come appunto i settori c.d. speciali, ritenuti strategici per gli interessi pubblici dello Stato. Del resto, il solo contesto della procedura di gara puo’ essere un indice sintomatico del rilievo pubblicistico delle attivita’ interessate, giustificando il riconoscimento delle qualifiche di cui’ agli articoli 357 e 358 cod. pen..

In tali settori speciali e’ previsto che anche le societa’ private che vi operano siano tenute all’osservanza delle gare a partecipazione pubblica, nel rispetto della concorrenza e della trasparenza, in funzione di prevenire il fenomeno della corruzione e di limitare la discrezionalita’ nella scelta del contraente per ottenere la migliore offerta. In altri termini, anche in presenza di una tendenziale liberalizzazione dei mercati, nei settori speciali, tra cui quello energetico, le attivita’ contrattuali dei soggetti che vi operano avvengono mediante appalti di forniture e di servizi regolati da norme di diritto pubblico, che disciplinano le procedure da osservare, limitando il ricorso alla trattativa privata e prevedendo anche forme di controllo pubblico. La rilevanza strategica per l’economia nazionale delle attivita’ ricomprese nei settori c.d. speciali determina un regime in deroga rispetto a quello degli appalti ordinari, anche in ragione delle situazioni di quasi monopolio (servizi di rete) in cui operano i soggetti aggiudicatari.

Tale situazione diventa evidente con il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (articoli 206, 208, 219), ma la si ritrova anche nella disciplina precedente di cui al Decreto Legislativo n. 158 del 1995, in vigore all’epoca dei fatti: lo scopo e’ sempre stato lo stesso, quello cioe’ di compensare l’alterazione concorrenziale derivante dalla presenza di soggetti privati ammessi nei settori speciali, perche’ aventi determinate caratteristiche, con l’imposizione delle procedure di evidenza pubblica anche per le societa’ private.

Nei casi in esame tutte le forniture in cui vi e’ stata l’ingerenza di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono avvenute con la procedura di gara ad evidenza pubblica, come accertato dai giudici di merito, e tutte erano relative a forniture di strumenti necessari per la realizzazione dei lavori di costruzione delle nuove centrali nei siti (OMISSIS), che ai sensi del Decreto Legge 7 febbraio 2001, n. 7, articolo 1, convertito nella L. 9 aprile 2002, n. 55 (misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), erano ritenute opere di pubblica utilita’ e assoggettate ad autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle attivita’ produttive. I relativi appalti avevano ad oggetto il servizio di alimentazione delle reti, destinate al servizio pubblico e in quanto tali era prevista la pubblicazione nella GUCE e le stesse societa’ rientravano tra gli enti aggiudicatari nei settori del trasporto e distribuzione di gas e energia elettrica, in particolare (OMISSIS) veniva considerato ente produttore di energia ai sensi del Decreto Legislativo n. 79 del 1999, che operava sulla base di concessioni.

E’ su questi elementi rappresentati dalla sentenza di primo grado che la Corte d’appello milanese ha fondato il suo giudizio, sostenendo come l’attivita’ delle due societa’ si inserisse in un “settore assolutamente strategico come quello dell’energia, che lo Stato non puo’ dismettere del tutto”, precisando come la struttura di societa’ per azioni, a partecipazione mista, non puo’ condurre a disconoscere il rilievo pubblicistico del settore in cui operano, in quanto la veste privatistica e’ funzionale ad assicurare a tali soggetti di poter operare con maggior snellezza nei contesti Europei e internazionali, per poter concorrere su un piano di parita’ con le altre societa’. Nella sua estrema sinteticita’ la sentenza di appello conferma l’impostazione accolta dal Tribunale.

Le condotte di (OMISSIS) e di (OMISSIS) si sono inserite nell’ambito di tali attivita’ strategiche di competenza delle due societa’ e sono consistite nel fornire, sulla base di una serie di accordi corruttivi con rappresentanti delle societa’ private che partecipavano alle gare, dati tecnici riservati oggetto del contratto ad evidenza pubblica, quindi informazioni non dovute in grado di pregiudicare lo svolgimento imparziale della gara e di alterare l’effettiva concorrenza dei soggetti partecipanti. Piu’ precisamente, deve rilevarsi che si e’ trattato di condotte poste in essere in violazione delle regole di evidenza pubblica previste in tali settori speciali, funzionali non solo ad evitare il verificarsi di fenomeni corruttivi, ma anche ad assicurare che tra soggetti che agiscono in situazioni di sostanziale monopolio siano rispettate le regole della concorrenza in vista dell’ottenimento della migliore offerta. L’accordo corruttivo ha riguardato direttamente la procedura di gara, falsandola e cosi’ incidendo proprio sull’elemento distintivo attributivo del rilievo pubblico dell’attivita’ svolta dalle due societa’ e delle funzioni affidate ai due dipendenti.

A questo proposito, confermando quanto sostenuto dai giudici di merito, deve ritenersi che non appare decisivo che l’atto contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nelle mansioni ricoperte dall’incaricato di pubblico servizio, dal momento che e’ sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio a cui il soggetto appartiene ed in rapporto al quale gli sia permesso di potersi ingerire, anche solo di fatto (Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, Balsano; Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Martinelli). In questo senso, sono superate le obiezioni difensive sulla titolarita’ formale delle funzioni da parte di (OMISSIS) e di (OMISSIS), dovendosi riconoscere che anche l’ingerenza di mero fatto nell’esercizio dell’atto di ufficio – nella specie la gara – puo’ portare a configurare la responsabilita’ del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, al di la’ delle competenze specifiche.

Riconosciuta la qualifica di incaricati di pubblico servizio nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), puo’ passarsi ad esaminare i ricorsi proposti dagli imputati.

2. (OMISSIS).

2.1. Il primo motivo e’ fondato nei limiti di seguito indicati.

E’ costante la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che il giudice di appello, quando dichiara estinto il reato per effetto della prescrizione e in primo grado e’ intervenuta condanna, e’ tenuto a decidere sull’impugnazione agli effetti civili e, a tal fine, i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendo essere confermata la condanna al risarcimento del danno sulla base della mancata prova dell’innocenza dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., comma 2. Ne consegue che la sentenza di appello che non compia, in tal caso, un esaustivo apprezzamento sulla responsabilita’ dell’imputato deve essere annullata limitatamente alla conferma delle statuizioni civili (cfr., Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087; Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013, Galati, RV. 255666; Sez. 5, n. 3869 del 07/10/2014, Lazzari, Rv. 262175; Sez. 6, n. 44685 del 23/09/2015, N., Rv. 265561).

Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente e motivatamente escluso che, in presenza della causa estintiva del reato costituita dall’intervenuta prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneita’ dell’imputato rispetto ai fatti contestati, ma si e’ limitata a tali affermazioni, mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., procedere all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello, per accertare la responsabilita’ ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili, dal momento che il (OMISSIS) era stato condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

I giudici hanno fermato l’accertamento alla verifica dell’insussistenza della prova evidente dell’estraneita’ dell’imputato rispetto ai fatti contestati, omettendo di procedere all’analisi dei motivi in relazione agli interessi civili, come impone il citato articolo 578 cod. proc. pen., sicche’ la conferma della condanna al risarcimento dei danni risulta priva della necessaria motivazione.

2.2. Parzialmente fondato e’ pure il quinto motivo, con cui si contesta la legittimazione di alcuni soggetti a costituirsi parte civile. In particolare, deve essere accolto il motivo limitatamente alla legittimazione di (OMISSIS) a costituirsi come parte civile nei confronti dell’imputato, tenuto conto che i reati di cui e’ chiamato a rispondere (OMISSIS) non riguardano episodi di corruzione che hanno visto coinvolta (OMISSIS), tramite funzionari ad essa appartenenti; mentre deve confermarsi la legittimazione di (OMISSIS) s.p.a. in considerazione del legame con (OMISSIS), che risulta coinvolta nell’episodio di corruzione tramite il (OMISSIS).

Per il resto il quinto motivo e’ da ritenersi, allo stato, assorbito.

2.3. Con riferimento al secondo motivo, con cui si eccepisce l’avvenuta prescrizione del reato ancor prima della sentenza di primo grado, si rileva che, effettivamente, la Corte d’appello sembra cadere in contraddizione, dal momento che, da un lato, confermando la condanna alle statuizioni civili, seppure omettendo – come si e’ visto – ogni motivazione al riguardo, sembra riconoscere che la prescrizione si e’ verificata nel corso del giudizio di secondo grado, dall’altro, indica come data di consumazione del termine di prescrizione il 1 luglio 2011 (v. pag. 22 della sentenza), epoca precedente alla sentenza di primo grado, che e’ del 20 settembre 2011, nel qual caso avrebbe dovuto revocare le statuizioni civili.

Tuttavia, la sentenza non indica con precisione l’epoca di consumazione del reato contestato al capo I.10 – che il ricorrente colloca al 24.10.2003, mentre il capo di imputazione si riferisce al 2004 -, sicche’ spettera’ al giudice del rinvio verificare, preliminarmente, tale circostanza ed eventualmente disporre la revoca delle statuizioni civili.

2.4. Il terzo motivo riguarda la qualifica soggettiva e il ruolo di (OMISSIS), per cui si rinvia a quanto gia’ detto in proposito.

2.5. Il quarto motivo e’ del tutto infondato, in quanto dagli atti non emerge alcun elemento in base al quale ipotizzare il reato di favoreggiamento reale, cui si riferisce il ricorrente, sicche’ il mancato esame di tale motivo da parte della Corte d’appello non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata, stante la sua manifesta infondatezza (cfr., Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, Tannoia, Rv. 256314; Sez. 4, n. 24973 del 17/04/2009, Ignano, Rv. 244227). Infatti, la contestazione mossa al (OMISSIS) e’ quella di aver svolto l’attivita’ di intermediario nel pagamento della tangente ” (OMISSIS)”, non quella di aver prestato il suo aiuto per assicurare il prezzo del reato.

3. (OMISSIS) e (OMISSIS)

I ricorsi, contenenti i medesimi motivi, proposti nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infondati.

3.1. Con il primo motivo si propone nuovamente l’eccezione di nullita’ del giudizio di primo grado e della successiva attivita’ processuale per la mancata rinnovazione della citazione degli imputati all’udienza del 9.2.2010 a seguito del rinvio disposto all’udienza precedente, in cui non era stata dichiarata la loro contumacia, ma erano stati indicati come imputati assenti, situazione che avrebbe giustificato una nuova vocatio in judicium.

L’omessa verifica dei presupposti per la dichiarazione di contumacia e la semplice annotazione nel verbale che l’imputato e’ “assente” da’ luogo ad una anomalia che non consente di stabilire se si tratta di mancata presenza determinata da oggettiva impossibilita’ a comparire ovvero di volontaria sottrazione al contraddittorio, con la conseguenza che una tale incertezza deve essere intesa a favore dell’imputato non comparso e non dichiarato contumace, rinnovando la citazione.

Qualora, come nel caso in esame, sia omesso l’avviso del rinvio dell’udienza all’imputato non comparso, che non abbia allegato alcun legittimo impedimento e rispetto al quale non sia stata dichiarata la contumacia, cio’ comporta una nullita’ di ordine generale a regime intermedio, che deve essere eccepita dal difensore nella prima occasione utile, ai sensi dell’articolo 182 c.p.p., comma 2, (cfr., Sez. 1, n. 18147 del 02/04/2014, Messina, Rv. 261995; Sez. 5, n. 12182 del 07/06/2013, Santorsola, Rv. 262736; Sez. 5, n. 13283 del 17/01/2013, Bucca, Rv. 255188; Sez. 2, n. 25675 del 19/05/2009, Gurgone, Rv. 244170).

Non si condivide l’orientamento che ritiene trattarsi di una nullita’ assoluta, in quanto non puo’ dirsi che in simili ipotesi si verifichi una omessa citazione dell’imputato (contra, Sez. 4, n. 47791 del 22/11/2011, Cravana, Rv. 25246; Sez. 5, n. 45127 del 28/05/2013, De Vecchi, Rv. 257557).

Tuttavia, nella specie, sebbene la nullita’ sia stata tempestivamente eccepita all’udienza del 9.2.2010 dall’avvocato Andrea Righi, deve rilevarsi che il reato contestato ai due imputati e’ stato dichiarato prescritto e che in presenza di una causa di estinzione del reato non e’ rilevabile nel giudizio di legittimita’ la sussistenza di una nullita’ di ordine generale, perche’ l’inevitabile rinvio al giudice del merito e’ incompatibile con il principio dell’immediata applicabilita’ della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/ 2001, Cremonese, Rv. 220511).

Peraltro, la nullita’ dedotta non e’ rilevante neppure ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., in quanto nella presente fattispecie la prescrizione e’ stata dichiarata gia’ con la sentenza di primo grado, sicche’ non vi e’ stata alcuna pronuncia sugli interessi civili che possa giustificare l’esame dell’eccezione proposta.

Il motivo, pertanto, e’ infondato, seppure per ragioni diverse da quelle indicate nella sentenza impugnata.

3.2. Infondato e’ pure il secondo motivo, dovendo escludersi che vi sia in atti la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, che avrebbe giustificato una pronuncia assolutoria nel merito. La Corte d’appello a pagg. 23 e 24 ha rilevato come manchi del tutto la prova evidente che qualcuno degli imputati sia estraneo agli addebiti, in questo modo escludendo la possibilita’ di ricorrere all’articolo 129 c.p.p., comma 2, in presenza di una causa di estinzione del reato e, inoltre, ha ribadito l’infondatezza delle questioni poste dalla difesa dei due imputati con riferimento alla figura del (OMISSIS), evidenziando l’irrilevanza della questione relativa all’epoca in cui il funzionario ha effettivamente svolto le funzioni di project manager, sottolineando la sufficienza, ai fini della sussistenza del reato, dell’ingerenza di mero fatto nell’esercizio dell’atto d’ufficio.

3.3. L’infondatezza dei motivi determina il rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

4. (OMISSIS) e (OMISSIS).

4.1. Il primo motivo e’ infondato.

Si richiamano le considerazioni svolte a proposito dell’analogo motivo dedotto nel ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla natura della nullita’ e sulla circostanza che non e’ rilevabile nel giudizio di legittimita’, perche’ l’inevitabile rinvio al giudice del merito e’ incompatibile con il principio dell’immediata applicabilita’ della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/ 2001, Cremonese, Rv. 220511).

Tuttavia, nella specie la prescrizione e’ stata dichiarata per la prima volta in appello, sicche’ l’eccezione dedotta deve essere esaminata con riferimento agli interessi civili, essendo stati entrambi gli imputati condannati al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

Trattandosi di nullita’ a regime intermedio, andava dedotta nella prima occasione processualmente utile, ma nella specie non risulta sia stata eccepita tempestivamente ed infatti all’udienza del 9.2.2010, a seguito del rinvio disposto nella precedente udienza del 12.1.2010, il difensore di Alberto e (OMISSIS) ha chiesto solo l’estromissione della parte civile, senza eccepire alcuna nullita’ relativa alla omessa rinnovazione della citazione dei due imputati. Sicche’ l’eccezione dedotta con il ricorso per cassazione deve considerarsi tardiva.

4.2. Il secondo motivo relativo alla eccezione di incompetenza territoriale e’ da ritenere infondato.

L’eccezione e’ gia’ stata respinta dalla Corte d’appello, che ha spiegato che i pagamenti cui si riferiscono i ricorrenti non possono considerarsi come il momento esecutivo dell’accordo corruttivo che si completa con la dazione dell’utilita’, nel senso che si tratterebbe di pagamenti estranei all’accordo e come tali inidonei a determinare la competenza per territorio, aggiungendo che l’accordo, determinativo del luogo di competenza, si sarebbe realizzato tra i (OMISSIS) e il (OMISSIS).

Si tratta di una valutazione che finisce per riguardare aspetti di fatto che il ricorso tende a contestare, ma in maniera generica e apodittica, sicche’ in questa sede non puo’ che confermarsi la ricostruzione offerta dal giudice di secondo grado.

4.3. E’ invece fondato il terzo motivo nei limiti di seguito indicati.

La Corte d’appello ha correttamente e motivatamente escluso che, in presenza della causa estintiva del reato costituita dall’intervenuta prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneita’ dei due imputati rispetto ai fatti loro contestati, ma si e’ limitata a tali affermazioni, mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., procedere all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello per accertare la responsabilita’ ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili, dal momento che gli imputati erano stati condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

5. (OMISSIS).

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto (OMISSIS) ha fatto pervenire una dichiarazione di espressa rinuncia all’impugnazione.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 300,00.

6. (OMISSIS).

6.1. I primi due motivi ripropongono la questione della qualifica soggettiva da attribuire a (OMISSIS), sicche’ sul punto si rinvia a quanto detto in precedenza.

6.2. Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione sotto forma di travisamento della prova, censurando la sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato. Il motivo e’ inammissibile, in quanto in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimita’ vizi di motivazione della sentenza impugnata dal momento che il rinvio, da un lato, determinerebbe comunque per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento (cfr., Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del 19/03/2009, Staffini, Rv. 244001).

6.3. Infondato e’ anche il quarto motivo.

A differenza di quanto dedotto nel ricorso, la sentenza ha esaminato il motivo con cui il ricorrente aveva eccepito l’avvenuta prescrizione del reato contestato al capo L.18, respingendo l’eccezione e indicando al 3 febbraio 2012 la data in cui si sarebbe verificata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, quindi successivamente alla sentenza di primo grado.

Per l’episodio corruttivo relativo all’impresa (OMISSIS) s.r.l., si osserva che la contestazione indica il 3 agosto 2004 come la data di consumazione del reato, sicche’ anche in questo caso deve escludersi che la prescrizione sia intervenuta prima della decisione del Tribunale.

6.4. E’, invece, fondato il quinto motivo per le stesse ragioni svolte esaminando il ricorso (OMISSIS) (v.. 2.1.).

7. (OMISSIS).

7.1. I primi due motivi sono infondati, dovendo convenirsi con quanto rilevato dai giudici di appello sia in ordine al fatto che la deduzione sembra diretta a fornire un argomento difensivo a dimostrazione dell’estraneita’ dell’imputato alla contestazione, sia la’ dove si esclude la violazione dell’articolo 521 cod. proc. pen..

Nella specie non vi e’ stata una mancata correlazione tra contestazione e sentenza, in quanto deve escludersi ogni ipotesi di mutamento essenziale dell’accusa, tanto da configurare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione in grado di arrecare un effettivo pregiudizio dei diritti della difesa. In altri termini, non risulta alcuna trasformazione radicale degli elementi essenziali della fattispecie, che abbia impedito di rinvenire un nucleo identificativo della condotta contestata. Gli elementi indicati dal ricorrente e ritenuti differenti rispetto all’iniziale contestazione (pubblicazione del bando; riferimento al (OMISSIS); soggetto commerciale coinvolto) lasciano immutato il nucleo dell’accusa nei confronti del (OMISSIS) e sono il frutto dello sviluppo istruttorio sulla base dell’iniziale contestazione, tutti elementi rispetto ai quali l’imputato si e’ difeso.

7.2. Riguardo al terzo motivo, in cui si contesta la qualita’ di pubblico ufficiale del corrotto, si rinvia a quanto sopra sostenuto.

7.3. Il quarto motivo introduce un vizio di motivazione che, in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non e’ rilevabile in sede di legittimita’, dal momento che l’annullamento con rinvio della sentenza, da un lato, determinerebbe per il giudice l’obbligo di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento (cfr., Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del 19/03/2009, Staffini, Rv. 244001).

Tuttavia, sebbene il motivo sia inammissibile ai fini della responsabilita’ penale, puo’ essere accolto con riguardo alle statuizioni civili, considerando che il ricorso e’ stato presentato anche ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., da intendersi, appunto, come riferito alla contestazione degli interessi civili.

In questo senso e’ da accogliere il motivo limitatamente al punto in cui lamenta il mancato esame delle questioni poste con l’appello che, cosi’ come in altre posizioni, andavano esaminate ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen..

7.4. Il quinto motivo e’, allo stato, assorbito.

8. (OMISSIS) e (OMISSIS).

8.1. Il primo motivo e’ infondato.

Correttamente la Corte territoriale ha escluso che vi sia in atti la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, il che avrebbe giustificato una pronuncia assolutoria nel merito.

Nello stesso motivo si censura la sentenza per aver riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale a (OMISSIS), ma sul punto si’ rinvia a quanto si e’ osservato in precedenza.

Con le altre questioni dedotte nel medesimo motivo si fa valere il vizio di motivazione che, come si e’ visto, non e’ rilevabile in sede di legittimita’ in presenza di una causa di estinzione del reato, nella specie prescrizione (cfr., Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192471; Sez. 4, n. 144450 del 19/03/2009, Staffini, Rv. 244001).

8.2. Infondato e’ il secondo motivo, in quanto dalla sentenza risulta che il pagamento delle tangenti si e’ protratto fino al 3 agosto 2004, sicche’ deve escludersi che la causa estintiva della prescrizione si sia verificata prima della sentenza del Tribunale.

8.3. Con riferimento al motivo con cui si assume la violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen., valgono le considerazioni svolte in relazione al ricorso proposto da (OMISSIS). Anche in questo caso deve escludersi che vi e’ stata una mancata correlazione tra contestazione e sentenza. Non risulta alcuna trasformazione radicale degli elementi essenziali della fattispecie, che abbia impedito di rinvenire un nucleo identificativo della condotta contestata. Gli elementi indicati dai ricorrenti e ritenuti differenti rispetto all’iniziale contestazione lasciano immutato il nucleo dell’accusa e sono il frutto dello sviluppo istruttorio sulla base dell’iniziale contestazione, tutti elementi rispetto ai quali gli imputati si sono difesi.

8.4. E’, invece fondato, il quarto motivo.

Come si e’ gia’ detto, la Corte d’appello ha correttamente e motivatamente escluso che, in presenza della causa estintiva del reato costituita dall’intervenuta prescrizione, vi fossero agli atti prove evidenti della estraneita’ dell’imputato rispetto ai fatti contestati, ma si e’ limitata a tali affermazioni, mentre avrebbe dovuto, ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., procedere all’esame puntuale dei motivi dedotti con l’atto di appello per accertare la responsabilita’ ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili, dal momento che entrambi gli imputati sono stati condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

I giudici hanno fermato l’accertamento alla verifica dell’insussistenza della prova evidente dell’estraneita’ dell’imputato rispetto ai fatti contestati, omettendo di procedere all’analisi dei motivi in relazione agli interessi civili, come impone il citato articolo 578 cod. proc. pen., sicche’ la conferma della condanna al risarcimento dei danni risulta priva della necessaria motivazione.

9. (OMISSIS) s.p.a..

9.1. Devono ritenersi manifestamente infondati il primo e il settimo motivo.

Con il primo la ricorrente censura la sentenza in ordine all’attendibilita’ delle dichiarazioni accusatorie di (OMISSIS), che la Corte d’appello ha ritenuto pienamente credibile, anche sulla base dei riscontri che le sue dichiarazioni hanno ottenuto nei tabulati in cui sono stati annotati e contabilizzati i pagamenti illeciti, negli appunti manoscritti, nei fax attraverso cui comunicava le informazioni agli intermediari e nei conti correnti. Conseguentemente, deve escludersi il vizio di motivazione denunciato e l’erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, dal momento che vi e’ stata la puntuale ricerca dei riscontri.

9.2. Con l’altro motivo si chiede di sollevare la questione di legittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22 per asserito contrasto con l’articolo 3 Cost., articolo 24 Cost., comma 2, e articolo 111 Cost..

La presunta incompatibilita’ con le norme costituzionali consisterebbe, secondo le prospettazioni difensive, nella sostanziale irragionevolezza della disciplina della prescrizione per gli illeciti commessi dall’ente-imputato, rispetto al regime che lo stesso istituto prevede per gli imputati persone fisiche, nel senso che non si ravvisa alcuna plausibile ragione che giustifichi una diversita’ di trattamento tra persone giuridiche e persone fisiche, dal momento che identica e’ la ragione che legittima la prescrizione in entrambi i casi: il venir meno dell’interesse alla punizione per il decorso del tempo.

La questione appare manifestamente infondata.

In sostanza, secondo la difesa, nella materia della responsabilita’ amministrativa degli enti la disciplina della prescrizione dovrebbe essere regolamentata in termini analoghi, se non identici, a quella prevista dal codice penale per gli imputati persone fisiche, in quanto comune ai due illeciti sarebbero la connotazione e la ratio dell’istituto della prescrizione.

Questo ragionamento non considera che la responsabilita’ dell’ente si fonda su un illecito amministrativo e la circostanza che tale illecito venga accertato nel processo penale, spesso unitamente all’accertamento del reato posto in essere dalla persona fisica, non determina alcun mutamento della sua natura: il sistema di responsabilita’ ex delicto di cui al Decreto Legislativo n. 231 e’ stato qualificato come tertium genus (Sez. U, n. 38343 del 18/09/2014, TyssenKrupp s.p.a), sicche’ non puo’ essere ricondotto integralmente nell’ambito e nelle categorie dell’illecito penale. Pertanto, se i due illeciti hanno natura differente, allora puo’ giustificarsi un regime derogatorio e differenziato con riferimento alla prescrizione.

Ne’, d’altra parte, puo’ ritenersi che il richiamo contenuto nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 35 alle disposizioni relative all’imputato abbia come effetto una parificazione totale dell’ente alla persona fisica, con conseguente necessita’ di una uniformita’ dei vari istituti: l’estensione alla disciplina relativa all’imputato riguarda prevalentemente le norme processuali e, inoltre, la disposizione contiene una clausola di compatibilita’ significativa, perche’ sottolinea il riconoscimento di una oggettiva impossibilita’ di una completa parificazione, tanto e’ vero che numerose sono le deroghe previste nel modello di responsabilita’ delle persone giuridiche.

Invero, il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22 ha puntualmente attuato i principi di delega contenuti nella L. 29 settembre 2000, n. 300, che, all’articolo 11, lettera r), prevedeva espressamente che l’interruzione della prescrizione dovesse essere regolata dalle norme del codice civile, disposizione che replicava, con altrettanta puntualita’, il contenuto della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 28, che proprio in materia di illecito amministrativo richiama la disciplina della prescrizione del codice civile.

E’ evidente che in questa materia il legislatore ha attuato una differenziazione del regime di prescrizione avendo ben presente le ragioni, consistenti nella diversita’ tra illecito amministrativo, fondante la responsabilita’ delle persone giuridiche, e reato e, conseguentemente, adeguando la disciplina della prescrizione riferita all’ente al regime gia’ previsto dalla legge generale sulla depenalizzazione del 1981 per l’illecito punitivo amministrativo. Non vi e’ spazio per ritenere l’esistenza di un trattamento differenziato irragionevole, come assume la difesa.

D’altra parte, deve escludersi che la disciplina prevista dall’articolo 22 cit. sia confliggente con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost., comma 2), anche inteso come diritto ad essere giudicato senza ritardo, con riferimento all’articolo 24 Cost. e all’accezione del canone di ragionevole durata in termini di garanzia soggettiva.

Il riferimento alla durata ragionevole del processo, inserito nella Costituzione con la riforma del 1999 (legge cost. n. 2 del 1999), sviluppa principi gia’ contenuti nell’articolo 6 CEDU e nell’articolo 14 del Patto internazionale per i diritti civili – che pero’ sottolineano, prevalentemente, il diritto della persona ad essere giudicata in tempi ragionevoli -, ma accentua il profilo, eminentemente oggettivo, di garanzia della giurisdizione. In altri termini, l’articolo 111 Cost., comma 2, esprime un principio rivolto soprattutto al legislatore, perche’ predisponga gli strumenti normativi in grado di contenere i tempi del processo e di assicurare una giustizia efficiente. Tuttavia, la ragionevole durata cui si riferisce il principio costituzionale non deve essere intesa come semplice speditezza in funzione di un’efficienza tout court, ma piuttosto come razionale contemperamento dell’efficienza con le garanzie, la cui concreta attuazione e’ rimessa alle opzioni del legislatore.

Cio’ premesso, non puo’ certo affermarsi che la prescrizione, cosi’ come disciplinata nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22, sia in contrasto con il principio dell’articolo 111 Cost., comma 2: in questo caso il legislatore ha, da un lato, introdotto un termine di prescrizione oggettivamente breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell’illecito, nella dichiarata intenzione di contenere la durata della prescrizione e di non lasciare uno spazio temporale eccessivamente ampio per l’accertamento dell’illecito nel corso delle indagini, anche per favorire le esigenze di certezza di cui necessita l’attivita’ delle imprese, dall’altro, ha previsto un regime degli effetti interruttivi che replica la disciplina civilistica, stabilendo che, una volta contestato l’illecito amministrativo, “la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”. Cosi’ il legislatore ha realizzato un bilanciamento tra le esigenze di durata ragionevole del processo, soprattutto nel prevedere un termine breve di prescrizione, e le esigenze di garanzia, corrispondenti nella specie al valore della completezza dell’accertamento giurisdizionale riferito ad una fattispecie complessa come quella relativa all’illecito amministrativo dell’ente. L’effetto di un tale bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione una volta che, esercitata l’azione penale, si instauri il giudizio, con il contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione, fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente piu’ breve rispetto a quanto previsto dal codice penale. Una volta contestato l’illecito nel termine di cinque anni risulta difficile che si verifichi la prescrizione nel corso del giudizio, a differenza di quanto accade per i reati, ma cio’ avviene sulla base di una scelta del legislatore che vuole evitare che, in presenza dell’interesse dell’autorita’ procedente a far valere la potesta’ punitiva dello Stato, manifestata attraverso l’esercizio dell’azione penale, si corra il rischio di dover dichiarare l’estinzione dell’illecito per il sopraggiungere della prescrizione.

Infine, deve sottolinearsi come, proprio per ridurre gli effetti di una disciplina rigorosa, il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 60 dispone che non puo’ procedersi alla contestazione dell’illecito amministrativo nel caso in cui il reato presupposto e’ estinto per prescrizione. Ne consegue che, una volta verificatasi la prescrizione del reato presupposto senza che sia stato contestato l’illecito amministrativo ai sensi dell’articolo 59 Decreto Legislativo cit., decade la potesta’ sanzionatoria a carico dell’ente: all’atto della contestazione non viene piu’ riconosciuta attitudine interruttiva della prescrizione. Un ulteriore contrappeso previsto dal legislatore.

9.3. Sono invece fondati i rimanenti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente.

La sentenza motiva ampiamente sui rapporti intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dirigente e responsabile della pianificazione dell’ (OMISSIS) s.p.a., spiegando che tra i due erano in corso accordi per favorire la societa’; viene anche precisato che l’oggetto dell’accordo corruttivo avrebbe riguardato un dato tecnico fornito dal (OMISSIS) sul “rendimento di funzionamento delle altre macchine”, utile per l’offerta in vista della gara, ma non si chiarisce l’epoca di questo accordo e i soggetti coinvolti. Dalla lettura di un altro passaggio della motivazione, sembrerebbe che tali accordi risalissero ad un periodo in cui non era ancora in vigore la disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, tanto e’ vero che si dice che quando (OMISSIS) lascio’ la societa’, nel luglio 2001, “altri hanno fatto fronte attraverso l’intermediazione della ditta (OMISSIS), agli impegni a suo tempo assunti con (OMISSIS)”.

Sul punto la sentenza appare contraddittoria, anzi priva di motivazione.

Infatti, se (OMISSIS) lascio’ l’ (OMISSIS) nel luglio 2001, la sentenza avrebbe dovuto spiegare chi tratto’ per la societa’ ovvero chi porto’ a termine gli accordi precedentemente intavolati da (OMISSIS) con (OMISSIS), anche a voler ritenere dimostrata l’esistenza di un sistema talmente sperimentato da realizzare forme di corruzione in prevenzione, che cioe’ partivano “da lontano”, trattandosi di “accordi che si facevano per promuovere delle iniziative a favore di societa’ prima ancora che venissero fatti gli appalti”. Dalla motivazione emerge una ricostruzione dei fatti in cui l’accordo tra (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbe non solo una valenza preparatoria, ma sarebbe stato stipulato in epoca precedente all’entrata in vigore della disciplina sulla responsabilita’ degli enti, mentre la conclusione dell’accordo e il conseguente pagamento sarebbero avvenuti nella vigenza del Decreto Legislativo n. 231 (marzo 2003), ma i giudici di appello non forniscono elementi per risalire alla persona fisica che ha definito la trattativa con (OMISSIS) per conto della societa’ (OMISSIS) e nell’interesse di questa, sicche’ difetterebbe uno degli elementi fondamentali della fattispecie complessa che puo’ dar luogo alla responsabilita’ dell’ente nel sistema del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.

Infatti, la responsabilita’ dell’ente si ricollega alla commissione di uno dei reati presupposto previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001 che sia stato commesso, nel suo interesse o a suo vantaggio, dai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1, lettera a) e b), Decreto Legislativo cit., cioe’ da soggetti che hanno funzioni apicali, di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, ovvero da dipendenti e l’appartenenza dell’autore del reato alla prima o alla seconda categoria determina, come e’ noto, un differente meccanismo di responsabilita’, che comporta diverse applicazioni anche dal punto di vista probatorio.

Ne’ puo’ ritenersi che nel caso in esame possa soccorrere la previsione contenuta nel Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8 sull’autonomia della responsabilita’ dell’ente.

Secondo questo principio l’ente e’ chiamato a rispondere dell’illecito anche quando l’autore del reato presupposto non e’ stato identificato. Invero, tra le ragioni all’origine dell’introduzione di forme di responsabilita’ diretta dell’ente c’e’ proprio quella di ovviare alle difficolta’ di procedere all’individuazione dell’autore del reato nelle organizzazioni a struttura complessa, in cui piu’ evidente appare il limite di un sistema che punti esclusivamente sull’accertamento della colpa della persona fisica: in questo modo il fattore umano non viene escluso dal tipo di responsabilita’, ma si prende atto che la prevenzione del rischio-reato non e’ soltanto un problema di persone, ma soprattutto di organizzazione.

In base al principio di autonomia della responsabilita’ dell’ente, la mancata identificazione dell’autore del reato non impedisce la prosecuzione del procedimento nei confronti della societa’ indagata nel cui interesse o vantaggio il reato e’ stato commesso, invertendo cosi’ gli scontati epiloghi che hanno caratterizzato molti processi riguardanti i reati commessi dall’interno dell’impresa. In questo senso deve ritenersi che la previsione dell’autonomia della responsabilita’ dell’ente costituisce uno sviluppo “normale” una volta superato il principio societas delinquere non potest, in ogni caso non impedito dai criteri posti dalla legge delega. Anzi va sottolineato come il caso della mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato e’ un “fenomeno tipico nell’ambito della responsabilita’ d’impresa” ed e’ una delle ipotesi che piu’ giustifica l’esigenza di sancire la responsabilita’ degli enti. Si e’ detto, infatti, che “la sua omessa disciplina si sarebbe tradotta in una grave lacuna legislativa”, in grado di indebolire l’intera ratio del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.

Il citato articolo 8 contempla i casi dell’autore del reato che non sia stato identificato (o non sia imputabile) e dell’estinzione del reato (ad esempio per intervenuta prescrizione), prevedendo in entrambe le ipotesi che l’ente risponda del reato.

Tuttavia, la scelta operata dal legislatore del 2001 non e’ stata a favore di una totale autonomia, in quanto sebbene non possa parlarsi di una vera e propria responsabilita’ “di rimbalzo” rispetto a quella della persona fisica, deve riconoscersi che a questa resta fortemente appoggiata, nel senso che non puo’ prescindersi dall’esistenza di un reato commesso da una persona fisica. La responsabilita’ dell’ente e’ autonoma da quella della persona fisica, ma non dalla obiettiva realizzazione di un reato.

Il principio dell’autonomia della responsabilita’ non mette in discussione il legame tra il reato presupposto e l’ente, anche se e’ evidente che il mancato aggancio della responsabilita’ alla identificazione dell’autore del reato provoca conseguenze sul piano operativo, ma non mette in crisi il meccanismo imputativo della responsabilita’ previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001.

Si e’ sostenuto, ad esempio, che la mancata individuazione dell’autore precluderebbe l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, in modo tale che difetterebbe lo stesso presupposto della responsabilita’ della persona giuridica. Certo, nelle ipotesi prese in considerazione dall’articolo 8 cit., soprattutto con riferimento al caso della mancata identificazione della persona fisica, puo’ venire a mancare uno degli elementi del reato, cioe’ la colpevolezza del soggetto agente, ma quando si parla di autonomia cio’ che deve precedere, in via pregiudiziale, l’accertamento della responsabilita’ dell’ente e’ si’ il reato, ma inteso come tipicita’ del fatto, accompagnato dalla sua antigiuridicita’ oggettiva, con esclusione della sua dimensione psicologica. Del resto, anche in altri ambiti il riferimento al reato viene interpretato in termini di sufficienza della tipicita’ del fatto caratterizzata dall’antigiuridicita’ obiettiva, senza esigere la colpevolezza.

Questo attiene alla configurabilita’ del reato presupposto, ma non alla fattispecie complessa che determina la responsabilita’ dell’ente, nel senso che deve comunque essere individuabile a quale categoria appartenga l’autore del reato non identificato, se cioe’ si tratti di un soggetto c.d. apicale ovvero di un dipendente, con conseguente applicazione dei diversi criteri di imputazione e del relativo regime probatorio; allo stesso modo dovra’ essere possibile escludere che il soggetto agente abbia agito nel suo esclusivo interesse, dovendo quindi risultare che il reato sia stato posto in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

E’ evidente come, nelle ipotesi di responsabilita’ Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 8, si pone il problema della individuazione della categoria di appartenenza dell’autore “ignoto” del reato, con tutto cio’ che ne consegue, ma si tratta di un problema che deve essere risolto sul piano probatorio. Solo quando il giudice e’ in grado di risalire, anche a livello indiziario, ad una delle due tipologie cui si riferiscono gli articoli 6 e 7 Decreto Legislativo cit., potra’ pervenire ad una decisione di affermazione della responsabilita’ dell’ente, anche in mancanza dell’identificazione della persona fisica responsabile del reato, ricorrendo, ovviamente, gli altri presupposti.

Su questi aspetti la sentenza impugnata non ha offerto alcuna motivazione, rifugiandosi in affermazioni apodittiche circa la sicura responsabilita’ della societa’ (OMISSIS), laddove avrebbe dovuto fornire una spiegazione specifica in ordine agli elementi probatori idonei a dimostrare la responsabilita’ della societa’ in base al Decreto Legislativo n. 231 del 2001.

Su tali punti la sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.

10. (OMISSIS) s.p.a..

Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito indicati.

10.1. Preliminarmente, per quanto riguarda l’eccezione di incompetenza territoriale, dedotta con il primo motivo, si rinvia a quanto osservato nell’esaminare l’identico motivo contenuto nei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), di cui e’ stata ritenuta l’infondatezza (v.. 4.2.).

10.2. Del tutto infondato e’ il secondo motivo, con cui si assume l’indeterminatezza e la genericita’ della contestazione dell’illecito all’ente. Sulla questione ha gia’ offerto risposte esaurienti la Corte d’appello, tra l’altro rilevando come la nullita’ derivante dalla denunciata indeterminatezza, avente natura relativa, non risulta sia stata eccepita in primo grado.

In ogni caso, deve ribadirsi il consolidato orientamento secondo cui il capo di imputazione e’ nullo per incertezza assoluta del fatto solo se l’imputato non sia messo in grado di intendere i termini concreti dell’accusa e di predisporre una difesa adeguata. Nella specie, si concorda con quanto evidenziato dal giudice di secondo grado: deve escludersi, infatti, ogni ipotesi di indeterminatezza della contestazione, dal momento che l’illecito e’ risultato individuato nei tratti significativi, tanto da consentire una adeguata difesa, anche in relazione alla posizione rivestita da (OMISSIS) e alla sua condotta.

10.3. Con riferimento al quarto motivo, si rinvia al medesimo motivo dedotto nel ricorso della (OMISSIS) s.p.a. e ritenuto infondato (v.. 9.1).

10.4. Il quinto motivo e’ da ritenere generico, in quanto si deduce l’inutilizzabilita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) senza evidenziarne la rilevanza in ordine alla ritenuta responsabilita’ della societa’. Peraltro, nel confermare la responsabilita’ della societa’ ricorrente, la Corte d’appello non si sofferma affatto su tali dichiarazioni.

10.5. L’eccezione di illegittimita’ costituzionale sollevata con il sesto motivo e’ da ritenere manifestamente infondata alla luce della sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Tyssen Krupp, Rv. 261112, delle Sezioni unite di questa Corte, che ha riconosciuto la compatibilita’ del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 con i principi costituzionali di responsabilita’ per fatto proprio e di colpevolezza, chiarendo che grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. In questo modo, e’ stata esclusa ogni ipotesi di responsabilita’ oggettiva per l’ente, sicche’ risulta infondato l’assunto della difesa, volto a far valere la violazione dei criteri di delega contenuti nella L. n. 300 del 2000, sul presupposto, erroneo, che il sistema preveda una responsabilita’ oggettiva.

10.6. Sul settimo motivo si rinvia a quanto gia’ detto in precedenza sulla qualifica soggettiva di (OMISSIS).

10.7. Infondato e’ il nono motivo. La sentenza impugnata ha correttamente escluso la violazione dell’articolo 521 cod. proc. pen., ritenendo che l’aver qualificato il (OMISSIS) quale funzionario di fatto nonostante la contestazione lo considerasse un project manager non abbia leso il principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto non risulta modificata la struttura dell’imputazione in relazione alla condotta, al nesso causale e all’elemento soggettivo, sottolineando inoltre come la difesa abbia potuto utilmente essere esercitata.

10.8. L’undicesimo motivo e’ manifestamente infondato. Si rileva che il motivo dedotto si basa su un presupposto erroneo, in quanto censura l’istituto della sospensione della prescrizione, laddove il meccanismo previsto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 22 agisce esclusivamente sugli atti interruttivi. Per il resto si richiamano le argomentazioni evidenziate nell’esaminare il ricorso della (OMISSIS) s.p.a. In ogni caso, si deve escludere che l’illecito amministrativo sia prescritto.

10.9. E’ invece fondato il terzo motivo.

Sulla responsabilita’ della (OMISSIS) s.p.a. la motivazione e’ mancante, in quanto la Corte territoriale si limita a richiamare il reato presupposto dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, facendo appello al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, che prevede che la societa’ risponda dell’illecito amministrativo anche nel caso in cui il reato sia estinto per una causa diversa dall’amnistia.

Invero, richiamando quanto gia’ si e’ detto a proposito dell’autonomia della responsabilita’ dell’ente Decreto Legislativo n. 231 del 2001, ex articolo 8 (. 9.3.), occorre sottolineare come l’avvenuta prescrizione del reato presupposto, ascritto alla persona fisica, non determina automaticamente la responsabilita’ della persona giuridica, nel senso che il giudice deve comunque accertare la sussistenza della complessa fattispecie che puo’ portare alla responsabilita’ dell’ente. E’ evidente che deve essere oggetto di verifica l’interesse o il vantaggio tratto dalla societa’ per effetto del reato posto in essere da uno dei soggetti indicati nell’articolo 5 Decreto Legislativo cit.; che deve negarsi la responsabilita’ nel caso in cui risulta che l’autore del reato abbia agito nel suo esclusivo interesse; che deve essere accertata la sussistenza dei criteri di imputazione soggettiva previsti dagli articoli 6 o 7 Decreto Legislativo cit., anche con riferimento all’eventuale adozione dei modelli organizzativi, formulando le necessarie valutazione sulla idoneita’ degli stessi. Ma allo stesso modo, e’ richiesto che il giudice accerti la sussistenza del reato presupposto, anche se debba dichiararne l’estinzione per sopravvenuta prescrizione. In particolare, ai fini della pronuncia sulla responsabilita’ dell’ente, non e’ sufficiente, in presenza di un reato prescritto, verificare se esista o meno la prova evidente dell’innocenza dell’imputato, secondo il criterio probatorio richiesto dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, criterio che vale per la persona fisica, autore del reato, ma non puo’ essere utilizzato anche per la persona giuridica. Questa ha diritto ad un accertamento pieno e completo circa l’esistenza del reato presupposto, non essendo sufficiente il profilo “basso” della non evidenza di innocenza della persona fisica. D’altra parte, questa stessa Sezione ha avuto gia’ modo di affermare che, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, comma 1, lettera b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilita’ amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e a cui vantaggio l’illecito fu commesso, accertamento che ovviamente non puo’ prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla, Rv. 255369).

Nel caso in esame, come correttamente evidenziato dalla difesa, la Corte d’appello non e’ scesa nell’analisi autonoma di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie dell’illecito amministrativo, ma ha adottato per la persona giuridica lo stesso metro valutativo utilizzato per le persone fisiche, pervenendo cioe’ alla conferma della responsabilita’ della societa’ ricorrente sulla base della non evidenza dell’innocenza degli autori del reato presupposto, di cui ha dichiarato la prescrizione. In questo modo, il giudizio sulla responsabilita’ della societa’ non e’ stato ne’ completo ne’ autonomo rispetto a quello delle persone fisiche, per le quali era giustificato l’utilizzo del parametro previsto dall’articolo 129 c.p.p., comma 2.

Sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio.

10.10 I residui motivi (decimo, dodicesimo e tredicesimo) sono, allo stato, assorbiti.

11. (OMISSIS) s.p.a..

11.1. Con riferimento alle doglianze sulla qualifica soggettiva attribuita a (OMISSIS), si rinvia a quanto detto in precedenza sulla questione.

11.2. E’ fondato il motivo con cui si censura la sentenza impugnata per non aver motivato in ordine alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio che il reato presupposto ha prodotto alla societa’ ricorrente.

Sul punto la motivazione appare perplessa, nel senso che in alcuni passaggi sembra riconoscere l’esistenza di “qualche vantaggio”, ma non viene mai indicato in cosa esso sia consistito: la sentenza richiama l’interesse della (OMISSIS) s.p.a a “restare nel giro del (OMISSIS)”, ma successivamente sembra riferirsi alla necessita’ di “assicurarsi la riconoscenza di (OMISSIS)”. Si tratta di una motivazione che non chiarisce il contenuto dell’interesse e che, prescindendo dall’esistenza di una rilevanza economica dello stesso, lascia il dubbio che ad avvantaggiarsi possa essere stato esclusivamente l’autore del reato e, inoltre, che si sia trattato di mere aspettative future, relative ai rapporti con societa’ con cui si voleva continuare ad avere rapporti di affari.

L’insufficienza e la contraddittorieta’ della motivazione sono dovute, anche in questo caso, alla circostanza che la Corte d’appello si e’ basata sull’accertamento del reato presupposto, utilizzando i criteri di cui all’articolo 129 c.p.p., comma 2, avendo dichiarato l’estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione, senza procedere ad una piena verifica della responsabilita’ dell’ente.

11.3. Gli altri motivi sono, allo stato, assorbiti, compreso quello riguardante la quantificazione del profitto confiscato.

12. (OMISSIS) s.p.a..

12.1. Per quanto riguarda le contestazioni relative alla qualifica e al ruolo di (OMISSIS), si rinvia a quanto sopra sostenuto.

12.2. Deve essere respinto il secondo motivo perche’ infondato.

Non ricorre la dedotta contraddizione della motivazione della sentenza, in quanto l’avvenuta prescrizione dell’illecito amministrativo viene esclusa facendo riferimento alle date delle effettive dazioni di denaro per i reati contestati ai capi 1.3 e 1.4, mentre la soluzione che i giudici individuano in relazione alla questione della competenza territoriale riguarda un altro capo di imputazione, in cui, nella ricostruzione offerta dalla sentenza, la consumazione di quello specifico episodio di corruzione si e’ verificata al momento dell’accordo.

12.3. E’ invece fondato il primo motivo, limitatamente alle considerazioni con cui si evidenzia la carenza di motivazione sulla sussistenza degli elementi integrativi dell’illecito amministrativo contestato alla (OMISSIS) s.p.a., con particolare riferimento ai reati presupposto che, una volta ritenuti prescritti, sono stati accertati in base allo stesso criterio utilizzato per l’affermazione della responsabilita’ delle persone fisiche.

12.4. Resta, allo stato, assorbito, l’altro motivo riguardante la quantificazione del profitto oggetto di confisca.

13. (OMISSIS) s.p.a..

13.1. Il primo motivo e’ fondato.

La sentenza ha omesso la motivazione in ordine alla sussistenza dei reati presupposto, con specifico riguardo al reato contestato al capo L13, attribuito a (OMISSIS), rappresentante legale della societa’, di cui e’ stata dichiarata la morte. Ebbene, l’avvenuto decesso dell’autore del reato presupposto ha impegnato la Corte d’appello in una motivazione diretta a giustificare la possibilita’ che la societa’ potesse essere chiamata ugualmente a rispondere dell’illecito ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 8, ma che ha trascurato di accertare la complessa fattispecie che integra l’illecito amministrativo, omettendo non solo di verificare la sussistenza dei reati presupposto, ma anche gli altri elementi che possono condurre ad affermare la responsabilita’ dell’ente.

13.2. Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo, entrambi attinenti alla qualifica di (OMISSIS) e al suo ruolo, si rinvia alle considerazioni gia’ svolte.

13.3. I rimanenti motivi devono ritenersi, allo stato assorbiti, dall’accoglimento parziale del ricorso.

14. (OMISSIS) s.p.a..

14.1. Il primo motivo e’ fondato per le stesse ragioni gia’ espresse esaminando il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., a cui si rinvia (v.. 10.9). Ne consegue che il giudice del rinvio dovra’ procedere ad un pieno accertamento degli elementi costituenti l’illecito amministrativo contestato.

14.2. Devono, invece, essere rigettati i motivi riguardanti la qualifica soggettiva di (OMISSIS), rinviando alle considerazioni gia’ svolte sul punto.

14.3. Il secondo motivo deve intendersi, allo stato, assorbito. Lo stesso vale per il terzo motivo.

15. (OMISSIS).

15.1. Deve riconoscersi la fondatezza del primo motivo, per le stesse ragioni gia’ espresse esaminando il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse della (OMISSIS) s.p.a., a cui si rinvia (v.. 10.9.). Ne consegue che il giudice del rinvio dovra’ procedere ad un pieno accertamento degli elementi costituenti l’illecito amministrativo contestato.

15.2. Deve, invece, essere rigettato il secondo motivo riguardante la qualifica soggettiva di (OMISSIS), rinviando alle considerazioni gia’ svolte sul punto.

I residui motivi devono ritenersi, allo stato, assorbiti.

16. In conclusione.

L’inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) determina la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 300,00.

Al rigetto dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), consegue la condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

L’accoglimento dei ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente alle sole statuizioni civili, comporta l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, perche’, attraverso l’esame dei motivi proposti in appello dagli imputati, accerti la responsabilita’ degli stessi ai fini della conferma delle statuizioni civili di primo grado, rimediando alla rilevata omessa motivazione.

In questo caso, sebbene l’annullamento sia limitato alle sole statuizioni civili, il rinvio non deve essere disposto al giudice civile competente per valore in grado di appello, ma alla Corte d’appello penale: infatti, l’articolo 622 cod. proc. pen., nel disciplinare l’annullamento delle sentenze ai soli effetti civili, prevede il rinvio al giudice civile solo nel caso in cui siano state annullate le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile (oltre l’ipotesi, estranea alla presente fattispecie, dell’accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato). Nella specie, l’annullamento della sentenza non ha riguardato esclusivamente le disposizioni civili relative agli imputati persone fisiche, ma ha avuto ad oggetto anche le posizioni delle persone giuridiche con una serie di annullamenti relativi a questioni attinenti ai profili di responsabilita’ in ordine agli illeciti amministrativi contestati. Del resto, non avrebbe avuto senso, soprattutto alla luce del principio della ragionevole durata, che il simultaneus pocessus, che ha visto l’accertamento unitario delle responsabilita’ delle persone fisiche e di quelle giuridiche, si dovesse scindere in due distinti procedimenti davanti a diversi giudici, anche in considerazione del fatto che il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 71 disciplina un sistema delle impugnazioni per l’ente in base ad una piena equiparazione all’imputato, soprattutto quando siano applicate, come nel caso in esame, sanzioni diverse da quelle interdittive.

Pertanto, il rinvio deve essere disposto, sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche, davanti al giudice penale, davanti ad un’altra sezione della Corte d’appello di Milano.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente alle statuizioni civili, nonche’ nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS)’, (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a, (OMISSIS) s.p.a. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 alla cassa delle ammende.

Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»»