Cass. Civile, Sez. I, 27 aprile 2017, n. 10447  nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca

È rimessa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3, costituendo questione di massima di particolare importanza, la questione se, a norma del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario (identico dubbio interpretativo sorge in casi analoghi, ovvero in tutti i contratti di prestazione di servizi di investimento, ai sensi dell’art. 23 cit., e nei contratti bancari, ai sensi del D.Lgs. 24 settembre 1993, n. 385, art. 117).

Nel caso di specie i ricorrenti chiedevano l’accertamento della nullità del contratto-quadro di gestione patrimoniale, investimento e finanziamento per mancata sottoscrizione da parte del funzionario della banca. La richiesta attorea faceva leva sulla mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam ex artt. 23 del TUF e 30 del Regolamento Consob n. 16190/2007. La banca convenuta, costituitasi in giudizio, produceva il contratto-quadro sottoscritto dal cliente.

L’ art. 23 del T.U.F è chiaro e non lascia spazio a diverse interpretazioni “... i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto...Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo.”

Sebbene suddetti articoli richiedano, ai fini della validità del contratto, la forma scritta (la cui mancanza potrà essere eccepita esclusivamente dal cliente), dal tenore delle norme non è ben chiaro se sia, o meno, necessaria la sottoscrizione dell’intermediario.

La forma scritta risulta prescritta dalla legge sotto forma di nullità, inoltre la predetta forma svolge una duplice funzione: da un lato funge da garanzia per il cliente sulla trasmissioni delle giuste informazioni svolgendo una funzione di protezione informativa dell’investitore che, di regola, è il soggetto debole del rapporto contrattuale, dall’altro lato serve ad evitare possibili controversie essendo il contratto pre-determinato.

Maggiori dubbi invece si hanno quando il contratto non è sottoscritto sia dall’investitore sia dall’intermediario.

Per giurisprudenza consolidata la mancanza della sottoscrizione del cliente rende il contratto e tutti gli acquisti successivi nulli (Cass. 22.3.2013 n. 7283; Cass. 22.12.2011 n. 28432).

È ancora dibattuto, invece, se l’art. 23 imponga davvero la firma dell’intermediario o se ai fini del rispetto della forma, sia sufficiente la firma dell’investitore.

Recentemente la Corte di Cassazione, distaccandosi dal vecchio orientamento, si è pronunciata a favore della nullità in mancanza della sottoscrizione da parte dell’intermediario (Cass. 14.03.2017, n. 6559 Cass. 24.03.2016, n. 5919; Cass. 11.04.2016, n. 7068; Cass. 27.04.2016, n. 8395; Cass. 27.04.2016) a cui sono seguite numerose sentenze delle corti di merito (Corte d’Appello Bologna 13.01.2017, n. 89; Corte d’Appello di Milano 19.04.2017, n. 1680; Trib. Rimini, ord. 02.02.2012).

Il provvedimento ricorda l’esistenza di due orientamenti sul punto e mette in evidenza l’esigenza di scongiurare comportamenti opportunistici e contrari a buona fede da parte dell’investitore quando la banca non abbia sottoscritto il contratto quadro e se non possa addirittura ipotizzarsi in tali casi una convalida del contratto nullo. Secondo l’art. 1423 c.c., infatti, il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente, e questo potrebbe essere un caso in cui la legge dispone diversamente. L’ipotesi è quella dell’investitore che impugni per nullità il contratto, a lungo eseguito, solo a seguito di una perdita.


Parte della dottrina, e della giurisprudenza, guardando la materia in ottica protezionistica, sostengono che la forma cui si fa riferimento nella normativa sia quella ‘informativa’, cioè quella volta a portare all’attenzione del cliente (parte debole del rapporto) le clausole e le caratteristiche del negozio che si accinge a compiere, fornendogli tutte le informazioni utili a tal fine. In questa ipotesi di ‘forma di protezione’, la sottoscrizione del contratto-quadro da parte del cliente sarebbe di per sé sufficiente per integrare il requisito formale ex art. 23 TUF, con la conseguenza che l’unica volontà che deve risultare per iscritto −ad substantiam− sia quella dell’investitore ben potendo la banca manifestarla in qualsiasi altro modo consentito dall’ordinamento.
La richiamta giurisprudenza, che non reputa nullo il contratto per mancata sottoscrizione dell’intermediario, fonda il suo convincimento sul presupposto della diversa posizione contrattuale rivestita dal cliente (il cd. soggetto debole). L’art 23 T.U.F è letto, dunque, come garanzia di un interesse individuale La nullità che deriva dalla violazione dei precetti sulla forma, in questi contratti, persegue finalità unicamente protettive. La conseguenza di tale impostazione porta alla considerazione che se la nullità è funzionale alla tutela del diritto dell’investitore di avere le informazioni necessarie, tanto che lui è l’unico soggetto legittimato a farla valere, tale esigenza risulterebbe soddisfatta dalla sola firma del cliente stesso.

 

Contrariamente, la restante parte della giurisprudenza (spiccano in tal senso numerose sentenze della Suprema Corte: n. 6559/2017, 5919/2016, 8395/2016,10331/2016), pur riconoscendo la finalità protezionistica della forma scritta in materia bancaria e finanziaria, propende per la rilevanza ad validitatem actus della sottoscrizione della banca e si è pronunciata a favore della nullità in mancanza della sottoscrizione da parte dell’intermediario .

La tesi della irrilevanza della firma della banca eviterebbe una lettura distorta dell'art. 23 e un pericolo di strumentalizzazione dello strumento formale da parte dell'investitore. Come potrebbe avvenire il cliente, a fronte di una perdita marginale successiva, potrebbe decidere di impugnare il contratto, in ragione della mancata sottoscrizione della banca, per ottenere la nullità delle operazioni successive che lo avrebbero danneggiato (uso selettivo della nullità).Si offrirebbe così tutela a quel contraente che maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge per altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti. Ove invece venga accolta l'opposta ricostruzione, secondo cui anche la sottoscrizione della banca è requisito di forma ad substantiam, deve porsi la questione se avendo la nullità effetti ex tunc a sua volta la banca sia legittimata o no a ripetere quanto versato a favore del cliente; o se, a fronte di un uso selettivo della nullità l'intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale, e con quali conseguenze. Occorrerà, altresì, domandarsi se sia ipotizzabile la convalida del contratto nullo, proprio per essere la nullità di tipo relativo onde debba ravvisarsi uno di quei casi in cui la legge "dispone diversamente" ai sensi dell'art. 1423 c.c.. Dovrebbe, infatti, vagliarsi la possibilità giuridica se, così come l'investitore può opporsi alla declaratoria di nullità, specularmente egli possa già provvedere, consapevole di quella nullità, a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti.

[... 9. - Secondo una prima tesi, dunque, potrebbe reputarsi adempiere al requisito della forma scritta, prevista a pena di nullità dall'art. 23 cit., la sottoscrizione, da parte del cliente, del modulo contrattuale contenente il contratto-quadro. La cd. forma informativa sarebbe quindi rispettata, perché soddisfatto è l'interesse alla conoscenza ed alla trasparenza, o scopo informativo, cui essa è preordinata.

L'altra parte del rapporto, ovvero l'intermediario finanziario, è il soggetto predisponente le condizioni generali di contratto, cui l'investitore aderisce: intermediario per il quale nessuna di dette esigenze si rinviene.

Di qui, il rilievo che la sottoscrizione della banca, a differenza di quella dell'investitore, non occorra, affinché il contratto sia perfetto: l'una volontà deve essere manifestata per iscritto ad substantiam, l'altra in ogni forma consentita dall'ordinamento.

La predisposizione del modulo ad opera della banca potrebbe dirsi rendere non più necessaria, cioè, l'ulteriore formale approvazione del predisponente: considerato che l'adeguata ponderazione e la rispondenza dell'accordo ai propri interessi è stata già valutata con la redazione del documento medesimo, nonché la sua approvazione ad opera delle autorità indipendenti cui è demandata la vigilanza del settore; e, soprattutto, non è la banca il soggetto a cui tutela il requisito formale è posto.

La sottoscrizione da parte del delegato dell'istituto di credito non sembra perseguire, infatti, i fini sottesi alla disposizione; anzi, esigere tale firma pare porsi in senso contrario al dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari (tenuto conto che, di regola, il funzionario bancario che lo cura non ha poteri di rappresentanza), e, dunque, all'efficienza dei mercati, cui in definitiva anche le nullità di protezione mirano. Né la carenza della sottoscrizione da parte dell'intermediario potrebbe reputarsi legittimare lo stesso a sottrarsi alle regole sancite dal negozio: perché la nullità di protezione può farsi valere solo dal cliente.

Onde pure la forma di protezione solo la firma del medesimo esige.

Il consenso della banca, pur necessario trattandosi di un contratto, potrebbe dunque rivestire anche altre forme di manifestazione della volontà: di cui talune - quali la predisposizione del testo contrattuale, la raccolta della sottoscrizione del cliente, la consegna del documento negoziale o l'esecuzione del contratto medesimo ex art. 1327 cod. civ. - a valere quali comportamenti concludenti, idonei a rivelare, anche in via presuntiva, l'esistenza dell'originario consenso.

La firma (del funzionario) della banca non sarebbe dunque certo preclusa, ma resterebbe irrilevante per il perfezionamento e per l'efficacia del negozio; sarebbe parimenti irrilevante che il contratto fosse stato richiesto dal cliente, o provenisse direttamente dall'intermediario.

10. - Occorre ancora considerare come la medesima esigenza di protezione sia sottesa alla distinta previsione, contenuta nell'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998, dell'obbligo di consegnare una copia del contratto al cliente, o, come si esprime la disposizione, «un esemplare»: anche tale previsione va interpretata, dunque, in una prospettiva di tutela dell'investitore, il quale, ove non fosse in possesso di un modello del contratto da lui sottoscritto, potrebbe non riuscire a conoscere in pieno la sua posizione soggettiva verso la banca.

Fattispecie simili sono contemplate in altre disposizioni: oltre all'art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, si ricorda l'art. 35 d.lgs. 206 del 2005, secondo cui, quando alcune clausole del contratto siano proposte al consumatore per iscritto, esse «devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile»; per l'art. 50 d.lgs. 206 del 2005, al consumatore vanno fornite le dovute informazioni «su supporto cartaceo o, se il consumatore è d'accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile»; sempre per l'art. 50, comma 2, d.lgs. n. 206 del 2005, il professionista «fornisce al consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su supporto cartaceo o, se il consumatore è d'accordo, su un altro mezzo durevole»; per l'art. 67-undecies d.lgs. n. 206 del 2005, nei contratti finanziari a distanza il fornitore comunica al consumatore tutte le condizioni contrattuali e le necessarie informazioni «su supporto cartaceo o su un altro supporto durevole, disponibile e accessibile per il consumatore in tempo utile», prima della stipula; analoga disposizione, in tema di multiproprietà, reca l'art. 71 d.lgs. n. 206 cit.; parimenti, l'art. 124 d.lgs. n. 385 del 1993, come modificato nel 2010, prevede tra gli obblighi precontrattuali che siano fornite informazioni sul contratto di credito «su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso il modulo contenente le "Informazioni europee di base sul credito ai consumatori"» e, su richiesta, «è fornita gratuitamente copia della bozza del contratto di credito».

Insomma, requisiti "formali" come strumento non solo di manifestazione della volontà, ma di trasmissione di informazioni, dati e notizie sull'operazione.

Peraltro, qui si esclude che si tratti di obbligo di forma in senso tecnico, trattandosi di mero supporto per l'immagazzinamento dei dati" e di comportamenti imposti relativi alla documentazione (che, nell'ultima ipotesi indicata, sono richiesti espressamente prima del formarsi del vincolo, secondo una ratio che potrebbe essere estesa anche all'art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998: ed, infatti, in entrambe le fattispecie si tratta di offrire informazioni e trasparenza al cliente, perché sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione nelle scelte negoziali).

Dalla previsione dell'obbligo di consegna di un esemplare del documento negoziale, di cui all'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998 e 30 Reg. Consob n. 11522 del 1998 (ora, art. 37 del Reg. Consob n. 16190 del 2007), non è dato poi trarre elementi in contrario, con riguardo al tema in discorso, nel senso della necessaria sottoscrizione della banca: si apprezza, invero, al riguardo la differenza con le diverse indicazioni degli art. 1742 e 1888 cod. civ. sulla forma scritta ad probationem nei contratti di agenzia e di assicurazione, ove ciascuna parte «ha diritto di ottenere dall'altra un documento dalla stessa sottoscritto» e l'assicuratore «è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto».

Si è parlato così di "pluralismo di formalismi", in dipendenza delle diverse funzioni ad essi assegnate dall'ordinamento e delle conseguenze che ne derivano (solo in taluni limitati casi afferenti l'idoneità dell'atto di autonomia privata a produrre effetti), sovente di legislazione speciale o di provenienza comunitaria.

11. - Secondo la tesi che si va esponendo, la conclusione della irrilevanza della firma della banca deriva pure dalla necessità, nel rispetto della ratio della norma, di evitare una lettura dell'art. 23 cit. affatto disfunzionale ed Inefficiente per il mercato finanziario, anche a fini di prevenzione di un facile uso opportunistico dello strumento formale.

Come potrebbe avvenire, alla stregua di quanto nella pratica non di rado è dato riscontrare, qualora il contratto sia, dapprima, a lungo e fruttuosamente eseguito con vantaggio per il cliente, il quale, a fronte di una perdita marginale successiva, si risolva ad impugnarlo per nullità, in ragione della mancata sottoscrizione della banca, senza che a quel punto ove si segua la tesi della natura ad substantiam della sottoscrizione dell'intermediario medesimo - possa rilevare l'avvenuta proficua esecuzione del contratto, ove pure protratta per molti anni con reciproca soddisfazione delle parti.

Si offrirebbe, così, tutela a quel contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti.

Si aggiunga altresì che, qualora la banca avesse sottoscritto la sua copia e consegnato la stessa al cliente, conservando la copia firmata da quest'ultimo, sarebbe non difficile, per il cliente scorretto, non produrre comunque in giudizio detto esemplare in suo possesso e negare sia mai stato firmato: si apprezza qui la differenza "sociologica" con la nullità della tradizione codicistica, tipica dei contratti aventi ad oggetto beni immobili, di cui all'art. 1350 cod. civ., dove la prassi appena descritta viene posta in essere nella realtà degli affari proprio sul presupposto - secondo l'id quod plerumque accidit - di un interesse dell'altro contraente a dedurre non la nullità, ma, al contrario, l'esistenza e la validità del contratto, chiedendone l'esecuzione.

Per tali ragioni, non lascia soddisfatti l'esplicita affermazione dell'attribuzione all'investitore della facoltà di far valere la nullità del contratto-quadro solo rispetto ad alcuni ordini, in quanto l'investitore potrebbe selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo ai soli acquisti che desideri caducare, ma non ad altri, pur attuativi del medesimo contratto quadro (v. Cass. 27 aprile 2016, n. 8395): ossia, il cd. uso selettivo della nullità del contratto-quadro, in quanto rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni acquisti di prodotti finanziari, soluzione che potrebbe avallare senz'altro l'uso abusivo del diritto, da altre decisioni di questa S.C. tuttavia ampiamente stigmatizzato (e multis: Cass. 13 settembre 2016, n. 17968, sulle assenze dal lavoro; 5 aprile 2016, n. 6533, sull'iscrizione di ipoteca; 21 ottobre 2015, n. 21318, sull'azione risarcitoria extracontrattuale; 12 giugno 2015, n. 12263, sul contratto di fideiussione e mancato tempestivo adempimento imputabile; 15 ottobre 2012, n. 17642, ancora in tema di fideiussione; accanto a tutta la giurisprudenza tributaria in tema), o, se si vuole, la condotta contraria a buona fede, secolare portato di civiltà giuridica ex art. 1375 cod. civ.

12. - Per l'opposta ricostruzione, secondo cui anche la sottoscrizione della banca è requisito di forma ad substantiam, deve porsi la questione se, avendo la nullità effetti ex tunc, a sua volta la banca sia legittimata o no a ripetere quanto versato a favore del cliente; o se, a fronte di un uso "selettivo" della nullità, l'intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale, e con quali conseguenze.

Ancora, occorrerà domandarsi se sia ipotizzabile la convalida del contratto nullo, proprio per essere la nullità di tipo relativo, onde in ciò debba ravvisarsi uno di quei casi in cui la legge "dispone diversamente", ai sensi dell'art. 1423 cod. civ. Secondo la tesi che reputa la forma scritta prevista ad substantiam anche quanto alla sottoscrizione del funzionario bancario, infatti, dovrebbe vagliarsi la possibilità giuridica se, così come l'investitore può opporsi alla declaratoria di nullità (come ribadito dalle citate Cass., sez. un., n. 26242 e n. 26243), specularmente egli possa già provvedere, consapevole di quella nullità, a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti.

13. - In conclusione, il Collegio reputa opportuno rimettere la causa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374, 3° comma, cod. proc. civ., costituendo questione di massima di particolare importanza se, a norma dell'art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell'investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell'intermediario. ...]


 

 

 

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