LE BASI ROMANISTICHE DELLA NOZIONE DEL CONTRATTO

Gli studiosi del diritto civile, per lungo tempo, hanno rintracciato nell’esperienza del diritto romano le origini della moderna nozione di contratto e della generale categoria del negozio giuridico, nella quale sono ricondotte tutte le manifestazioni della volontà privata alle quali l’ordinamento giuridico ricollega effetti creativi, modificativi o estintivi dei diritti. È opinione diffusa, secondo Ruiz, che “i moderni diritti europei possano considerarsi in parte come derivazione e adattamenti del diritto giustinianeo”. Nella filosofia del diritto , invece, Husserl studiò il rapporto tra tempo e diritto. Questo argomento sollevava questioni di rilievo teorico, quale ad esempio quella della intrinseca immutabilità della norma o atemporalità del diritto. Ritiene poi che la ragione della perpetuazione del diritto romano risiede nel fatto che in esso vi siano “principio giuridico”, “forme di pensiero”, “metodi di pensiero giuridico”, che superano i confini temporali dell’egemonia del populus romano. Il pensiero di questo studioso è importante perché dimostra che la struttura temporale della norma non impedisce una sua evoluzione nel tempo al momento che si salda con la teoria dell’interpretazione (che vi è oggettivamente connessa), per effetto di questa la norma manifesta significati diversi in tempi diversi (così si allude al concetto di interpretazione evolutiva). Il contesto culturale nel quale questi studiosi operano è un contesto nel quale il diritto romano serviva a fornire gli strumenti per l’elaborazione di una nuova dogmatica giuridica. Non si deve pensare che la scuola storica - importante componente della pandettistica (la quale è un vasto movimento scientifico che si è sviluppato in Germania nell’800. Nella prima metà di questo secolo nel suo seno si contrapponevano la scuola storica (divisa in una corrente più vicina al diritto romano e in un’altra piuù vicina al diritto germanico), che sosteneva la concezione del diritto come creazione dello spirito popolare, e la scuola del diritto naturale, che sosteneva la formazione del diritto per opera della ragione. Nella seconda metà del secolo le due visioni trovano una sintesi così segnando l’epilogo della pandettistica.) – abbia proposto, nel contrapporsi alla stessa idea di codificazione, formule arbitrarie o antiquate. Questo movimento di pensiero era convinto che il ricordo ai principi giuridici romanistici in materia contrattuale costituisse la più sicura tutela per la libertà dell’individuo. La funzione esemplare del diritto romano si distacca dalla stua storicità e assume nel contractus – species del genus rappresentato dalle conventiones, nelle quali ricadevano i pacta- il proprio modello paradigmatico di riferimento. Vi sono , tuttavia, delle definizioni che si collocano storicamente tra il primo e il terzo secolo d.C. che tramandano un concetto di contractus il più possibile aderente alle moderne vedute.
Tra queste definizioni possiamo ricordare quella di Labeone riferita da Ulpiano , la quale sostiene che la sostanza del contratto viene a cadere nell’ ultro citroque obligationem e cioè nell’obbligazione che si ha dall’una e dall’altra parte. E quindi il contratto sarebbe solo quello a bilateralità perfetta o a effetti obbligatori reciproci secondo lo schema del sinallagma, tratto dalla terminologia greca.
Altra definizione importante è quella di Aristone che sostiene che le conventiones (accordi bilaterali), che attraverso le actiones hanno tutela piena e diretta , danno vita a contratti tipici (compravendita, locazione, società, comodato, deposito) nonché atipici che producono civilis obligatio sempre che ne sussiste la causa (il sinallagma) – causa che secondo Melillo rappresenterebbe la specificazione di un sostanziale equilibrio giuridico-economico del contratto- riconoscibile nello schema del “ do ut des” del “do ut facias”.
Infine per Gaio il contratto è fonte di 1 obbligazione (altra fonte portata dalla summa divisio è il delictum o maleficium) che viene contratta re (cioè mediante consegna), verbis (mediante formule solenni), litteris (mediante scrittura) o consensu (mediante il semplice consenso come nell’emptio venditio, nella locatio conductio, nel mandatum). Tra gli interpreti è opinione diffusa che alla base della veduta gaiana si ponga – nell’ambito di una categoria omnicomprensiva (la categoria del contractus contrapposta a quella del delictum- l’elemento volontaristico (la conventio); là dove in Labeone il riferimento alla reciprocità delle obbligazioni porrebbe in rilievo un dato oggettivo.
Con i giuristi severiani (Paolo e Ulpuiano) il riconoscimento della struttura contrattuale sarà il sinallagma; mentre alla base dei contrahere negotium vi sarà il consensus in idem placitum (questo concetto compare nella pandettistica con Savigny secondo cui il contratto realizza la confluenza di più volontà in un’unica volontà che costituisce, a sua volta, la fonte degli effetti negoziali). Bisogna, infine, ricordare che nella compravendita esisteva una separazione tra l’emptio venditio, contratto con meri effetti obbligatori, e l’atto traslativo di proprietà (mancipatio, traditio e in iure cessio) e il rito più antico della mancipatio ci è trasmesso da Gaio ed è costituito dall’atto di apprensione (manu capere) fatto dall’accipiens mentre pronuncia le parole rituali della vindicatio. Questa separazione è riscontrabile in molti diritti odierni per diretta derivazione romanistica e a tal proposito ricordiamo la relazione tra vendita e trasferimento della proprietà nel diritto tedesco. Questa si basa sul principio dell’astrattezza del contratto ad effetti reali a cui fa seguito la dichiarazione di passaggio di proprietà che consente la trascrizione della successione nel diritto nel Catasto. Soluzione diversa è nell’ABGB austriaco laddove si distingue il titolo dell’acquisto dal modo di acquisto, che è costituito dalla traditio. Il sistema austriaco richiede la validità del contratto di vendita come presupposto necessario dell’acquisto della proprietà. È noto che un terzo modello di trasferimento (causale) della proprietà, adottato anche dal diritto italiano, è quello previsto dal codice civile francese del 1804 dove solo il contratto è causa sufficiente dell’attribuzione.

LO IUS COMMUNE.

Lo ius commune (databile dall’XI al XVIII secolo) riveste una rilevante importanza nella formazione storica del diritto contrattuale. Esso riscopre, da un punto di vista filologico, le fonti giustinianee (Corpus Juris Civilis) con l’intento di ritrovare principia et radices a cui ancorare l’interpretazione del diritto. A ciò provvidero i glossatori della scuola di Bologna (1150-1250). È bene ricordare che col termine glossa s’intende la modalità con cui si estrinsecava il metodo dell’interpretazione del testo romano e cioè ci si avvaleva di commenti riportati tra le righe o al margine del testo esaminato ed a volte con sostituzioni di parole, richiami di altri testi, etc. Tra i glossatori ricordiamo Irnerio che sembra essere il fondatore della Scuola di Bologna, al quale seguirono Bulgaro, Martino, Jacopo e Ugo. Con Accursio si ebbe la prima raccolta organica delle glosse nella Magna Glossa che avrà poi la stessa importanza del Corpus Juris. Nel 1437, con la definizione da parte del Concilio di Basilea del Corpus Juris Canonici, questo entra nel sistema delle fonti del diritto, collocandosi nella prospettiva medioevale della ordinatio ad unum, il cui fondamento è quello di ricercare una ratio juris communis estesa al diritto feudale.La aequitas della regola canonica attenua il rigor juris e permettendo con ciò di creare poi un diritto nuovo. A ciò contribuirà il metodo dialettico- scolastico della Scuola di Orlean i cui maggiori interpreti saranno Bartolo da Sassoferrato e Baldo degli Ubaldi. La diffusione dell’ius commune nell’intera Europa fu favorita proprio dall’esercizio dell’attività consultiva (cioè veri e propri pareri su controversi private e pubbliche). Fondamentale fu anche il contributo del diritto canonico alla sistematica dello ius commune, soprattutto con riguardo alla struttura del consenso contrattuale ancorativo della fides pacti, intesa come mantenimento morale della parola data. La Glossa prevede tre gradi per la perfezione del passaggio della proprietà: l’accordo ; la nascita 2 dell’obbligazione (col passaggio del rischio al compratore); la traditio. Nel tempo, tuttavia, si assiste ad una spiritualizzazione della traditio come accade, ad esempio, con la diffusione dell’istituto del costituto possessorio,che viene inserito come clausola di stile in ogni atto rogato da notai. Tale vicenda storica mette in rilievo due aspetti fondamentali: il primo è rappresentato dal carattere europeo dello ius commune che riflette una sostanziale unità della cultura giuridica europea; il secondo è dato dalla particolare flessibilità dello ius commune che consente nel tempo processi di adattamenti in grado di fornire risposte adeguate alle esigenze materiali ed ai valori della società dell’epoca. La tradizione del diritto comune, la cui base di partenza è costituita dalla disciplina del diritto giustinianeo evangelizzato dal diritto canonico e arricchito, ad opera della Scuola degli Umanisti, da fecondi rapporti con la filosofia, rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione di principi che saranno poi ripresi nei codici ottocenteschi. Accanto allo ius commune, infine, si colloca lo ius mercatorum che rappresenta un corpo di regole di diritto commerciale e marittimo formatosi in seno alla curiae mercatorum e ossia magistrature private delle Corporazioni di mercanti e artigiani che attraverso i loro Consoli, svolgevano una funzione giurisdizionale, prima nei confronti dei soli iscritti e poi anche nei confronti dei cittadini che trattavano con i commercianti. Il centro focale di questo diritto fu : il contratto (spogliato da ogni rivestimento formale e interpretato col criterio del bonum et aequum e cioè la aequitas mercatorum); l’obbligazione (depurata dall’idea di asservimento personale); il principio associativo (che favorisce la raccolta di capitali, dà vita al criterio di distribuzione degli utili). È bene sottolineare che il diritto commerciale dell’epoca nasce sulla base di una prassi giurisprudenziale che legittima figure nate dagli usi dei commercianti (si pensi alla società, all’assicurazione, alle prime forme di titoli di credito). Ciò vuol dire che la formazione di un dato ordinamento giuridico si svolge sulla base del ,movimento dell’esperienza pratica, con le regole che i privati si “inventano” per rispondere ai loro mutevoli bisogni e con gli indirizzi delle prassi giurisprudenziali che in concreto percepiscono e pongono a sistema la regola privata.

LA CODIFICAZIONE NAPOLEONICA.

Il Code civil (1804) rappresenta , accanto a quello di commercio (1807) ed a quello di procedura civile (1807) il principale contributo dato dalla legislazione napoleonica al diritto civile. Il codice di commercio deriva in gran parte dalle Ordonnances colbertiane che costituiscono che costituiscono una sintesi delle consuetudini commerciali e marittime della Francia. Esso rappresenta una tappa importante verso la creazione di un diritto commerciale organico, il cui disegno complessivo sarà completato in Francia dalle leggi del 1867. Il codice di commercio ha il merito di aver introdotto una trasformazione obiettiva dell’ordinamento dello scambio e della produzione, abbandonando il sistema soggettivo in base al quale il diritto commerciale è solo il diritto di chi è iscritto come mercante nell’apposita “matricola”, e di aver consentito la libera costituzione delle società in accomandita per azioni e delle anonime. Il codice di procedura civile, invece, unitamente ai principi forgiati dalla rivoluzione francese (separazione dei poteri, indipendenza dell’autorità giudiziaria, divieto di giurisdizioni privilegiate o speciali, oralità e pubblicità del processo) rappresenta il complemento necessario all’effettività dei diritti riconosciuti dai codici di diritto sostanziale ed esso ha influenzato l’ordinamento processuale delle nazioni europee, come ha mostrato Chiovenda. Ritornando al Code Civil, esso introduce una profonda trasformazione del precedente sistema delle norme di diritto privato, sistema nel quale s’intrecciavano la tradizione del diritto romano, le regole del diritto consuetudinario francese e certi filoni della cultura giusnaturalistica. Analizzando le ragioni che spinsero il legislatore napoleonico a rinnovare l’ordinamento dei rapporti civili, in primo luogo, viene in risalto il fatto che i testi napoleonici 3 rispecchiano le tendenze e le aspirazioni della nascente borghesia mercantile interessata alla stabilità dei rapporti civili e del mercato. Questa esigenza poteva essere assicurata solo attraverso il duplice riconoscimento della proprietà individuale e della sufficienza della regola privata a conformare le relazioni di scambio. Questi principi sono alla base del fondamentale postulato del moderno diritto civile che è rappresentato dal principio di libertà o di autonomia: genus ampio che comprende l’autonomia contrattuale e la libertà di iniziativa economica. Intorno a questo postulato ruoterà una forte tensione tra prospettiva individuale ed interessi dello Stato. Vogliamo fare riferimento a quel processo evolutivo che partendo dallo “Stato minimo” di stampo liberale, dove la società liberale garantisce all’individuo la libertà, l’eguaglianza, il contratto, la tolleranza, la proprietà, giunge, nel XX secolo e specie nell’Europa continentale, allo “Stato interventore “(Welfare State), gestore diretto o indiretto delle risorse economiche generate dallo sviluppo industriale e forza moderatrice degli squilibri sociali determinati dalla dinamica del mercato. Quale importante conseguenza del riconoscimento del principio di autonomia, il Code introduce la categoria generale del soggetto di diritto che va a sostituire gli antichi status ai quali corrispondevano vari tipi di soggettività giuridica. In tal modo si pone fine a quel lungo travaglio di pensiero che mirava ad elevare l’individuo a principio. Rispetto all’Ancien regime la novità fondamentale dell’impostazione successiva alla Rivoluzione francese circa i rapporti tra Stato e individui è costituita dal fatto che gli individui cessano di configurarsi come sudditi per divenire cittadini. In questo rapporto è implicito un aspetto fondativo delle libertà private concepite, nella versione liberale, come non interferenza dello Stato negli affari privati. È opinione diffusa che la funzione principale del Code Civile sia quella di riconoscere e tutelare le ragioni della proprietà (immobiliare) e questa osservazione trova conferma nella struttura binaria dell’ordinamento francese dell’epoca, rappresentata dalla presenza di un codice civile e di un codice di commercio e dalla conseguente diversità di giurisdizione. Il moderno diritto di proprietà (libero da ogni usurpazione da parte dei poteri monarchici e feudali) finisci per indicare, in modo sintetico, un complesso legame con una serie di fattispecie giuridiche, così da divenire uno strumento indispensabile per un adeguato funzionamento del mercato. Va sottolineato, inoltre , che la “proprietà”, intesa come matrice intorno alla quale ruota il contratto, finisce per influenzare la disciplina della parte generale di quest’ultimo nel senso che questa regola soprattutto lo scambio di beni. Ferro Luzzi osserva che nei sistemi come quelli italiani, ove l’istituto del contratto ha valore complesso, ma dimensione unitaria, si manifesta uno scompenso tra la nozione del contratto, omnicomprensiva,e la disciplina, modellata sullo scambio. Infine possiamo dire che i codici napoleonici realizzano un diritto unitario francese e rappresentano, secondo Ascarelli, un simbolo dell’unità giuridica dello Stato in relazione all’affermarsi dei principi di nazionalità e cittadinanza.

IL SOGGETTO E LA LIBERTA’ CONTRATTUALE DEL CODE.

Il testo napoleonico introduce un linguaggio dei diritti, racchiuso in formule brevi e immediatamente comprensibili, i cui postulati conservano struttura puramente formale e una dimensione astratta, cioè non ragguagliata ai processi e alle situazioni reali della società civile. La dimensione astratta del linguaggio dei diritti , eppure, manifesta una forza espansiva unica come dimostra la circostanza che il Code Civil ha influenzato molti Stati dell’Europa continentale (Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Begio e Lussemburgo, Romania) e per certi aspetti anche Stati dell’America Latina, del nord America e del medio Oriente (Egitto, Siria e Libano). Il pericolo di una “fissità” del Code Civil e cioè il pericolo di perdita, con lo scorrere del tempo, di contatto con la realtà si è dimostrato falso. Il codice napoleonico, infatti, è stato in grado di adattarsi a vicende storiche, economiche e sociali differenti rispetto a quelle che ne hanno visto la genesi. E lo stesso Portalis, che fu uno tra gli autori del Codice, si oppose a formulazioni di dettaglio per prevenire una cristallizzazione del 4 diritto codificato. Emblematica appare, in proposito, l’espressione “con il tempo i codici si fanno da sé”, che rimanda all’opera dell’interprete come colui che è in grado di attuare la conciliazione tra il diritto scritto nel codice e lo sviluppo sociale. Sulla centralità del ruolo dell’interprete, muovono anche i criteri che hanno ispirato il codice civile generale austriaco del 1811 (ABGB) che si propone lo scopo di offrire norme generali proprie di ciascun istituto e di affidare ai procedimenti dell’interpretazione logica ed analogica la soluzione dei casi proposti dalla realtà empirica. Per la chiarezza, l’ordine, l’equità delle sue prescrizioni, il codice civile è giudicato opera di grande pregio ragguagliabile alla codificazione napoleonica. Nel Code il soggetto giuridico, l’individuo, appartiene ad una società civile che ha ormai conseguito un certo grado di autonomia rispetto allo Stato, autonomia la cui base materiale è l’economia di mercato. L’autonomia privata (cioè la capacità di autoregolarsi e di gestire autonomamente le risorse economiche) costituisce il fondamentale presupposto che ha consentito la contemporanea emancipazione dell’economia e della società civile, grazie alla quale è potuta nascere e istituzionalizzare la libertà dei moderni. La manifestazione tecnico-giuridica di tale libertà è stata ravvisata nella emersione della figura del diritto soggettivo. È intorno alla figura del soggetto giuridico, figura ordinante del sistema del diritto privato, che viene costruita, poi, come proiezione oggettiva, la figura del fatto (genus di cui contratto e negozio sono species) e ,quindi, la teoria della fattispecie produttiva di effetti giuridici (intesi sovente in senso ampio come qualsivoglia modificazione della realtà giuridica). Questa prospettiva può, però, suscitare qualche perplessità perché si reinterpreta un dato contesto storico con strumenti concettuali di formazione successiva. Ciò nonostante bisogna convenire sul fatto che il diritto soggettivo è diffuso nell’ethos delle moderne società liberali in quanto racchiude nell’ambito del sapre giuridico l’inviolabilità dei diritti fondamentali e, nel diritto privato, i poteri e le facoltà con cui si manifesta l’autonomia privata a partire dal riconoscimento della proprietà.

GROZIO E PUFENDORF.

Il pensiero di Grozio e Pufendor ha influenzato la scuola giusnaturalistica e le matrici culturali che sono alla base del Code Civil. Con Grozio la logica del soggetto ha la sua prima sistemazione che trova giustificazione nella volontà dell’individuo e non nella mera ragione divina; il contratto è il mezzo per costruire e far funzionare una società. Nel sistema groziano gli atti privati e la vincolatività del consenso contrattuale si fondano sulla promessa il cui carattere obbligatorio si basa sulla fides del promittente e sul presupposto di una causa ragionevole. Il promissario ha diritto di pretendere, dal canto suo, dal promittente quanto da lui dichiarato. Il richiamo alla causa dell’obbligazione tende ad escludere l’idea di un patto giuridicamente vincolante solo in quanto voluto. In questo ambito viene fatto cenno ad una sorta di equilibrio tra le prestazioni che consente di introdurre il problema del giusto prezzo. Per Pufendorf il contratto è l’unico mezzo possibile per garantire i diritti naturali dell’individuo dentro la struttura dello Stato. Il contratto, destinato a realizzare uno scambio, secondo lo schema groziano, si forma con l’accettazione di una promessa dando vita ad una “conventio quorum plurimve in idem placitum”. Di particolare importanza è il fatto che gli effetti del contratto trovano la loro fonte nel contratto. In conclusione possiamo dire che il codice napoleonico fa proprio una linea di pensiero diffusasi da tempo nella cultura giuridica europea (giusnaturalista) in base alla quale al centro dell’universo politico, sociale e giuridico vi è l’uomo e il suo destino. Questo processo di laicizzazione che dà vita alla categoria del soggetto giuridico astratto e generalizzato libera la volontà dell’individuo, il quale trova espressione nel contratto. È una concezione legata all’idea che nel consenso si trova l’unica ragione giustificativa degli effetti del contratto e riduttiva del requisito della causa al solo profilo soggettivo e proprio 5 l’approfondimento del requisito causale costituisce la base di sviluppo della teoria del contratto.

ASPETTI DEL CONTRATTO NEL CODE.

Il Code definisce il contratto come una convenzione in base alla quale una o più persone si obbligano verso altra o altre, a dare, fare o non fare qualche cosa (art. 1101). Tra i requisiti essenziali del contratto, viene richiesto il consenso della parte che si obbliga e la causa lecita dell’obbligazione (art.1108).

A partire dal Code le correnti definizioni del contratto, si pensi all’art. 1321 del nostro cod. civ., consentono di distinguere una parte strutturale del contratto – il consenso o l’accordo- e un profilo funzionale – il quind novi (costituire, modificare o estinguere) che il contratto produce nella realtà giuridica. La proiezione del profilo funzionale è espressa dal rapporto nel quale si salda un nesso stabile col diritto delle obbligazioni che esprime relazioni di indole patrimoniale implicanti il sorgere di diritti e doveri. Sotto tale profilo, tutti i contratti, compresi quelli a efficacia reale, sono ritenuti fonti di obbligazioni. Ricordiamo in proposito il pensiero di Pothier secondo cui la causa dell’obbligazione che vincola una delle parti sta in ciò che l’altra parte presta. Quanto agli effetti del contratto il codice sancisce che le convenzioni legalmente formate assumono tra le parti il luogo della legge (art. 1134). Tra i rimedi per garantire l’equilibrio contrattuale (il giusto prezzo) vi è la rescissione per lesione enorme nel solo caso della vendita immobiliare (circostanza ricondotta ad un vizio del consenso) quando la sproporzione oltrepassi i sette dodicesimi del prezzo (art.1674). In tema di contratti, la compravendita attribuì al consenso una rilevanza assoluta, secondo la formula in base alla quale il solo consenso o nudo patto trasferisce la proprietà tra le parti (art. 1583, 711 e 1138. Portalis afferma, nella presentazione del progetto del Code al corpo legislativo, che la soluzione adottata è più ragionevole di quella propria del diritto romano (dove per il passaggio della proprietà era richiesta la consegna operata in esecuzione di una convenzione) e che essa si fonda su di un principio di moralità. La sola manifestazione di volontà trasferisce il diritto e al tempo stesso dà azione per la tradizione reale e il pagamento del prezzo. Questa soluzione, però, poneva alcuni problemi: ad esempio perché restava da spiegare sul piano dogmatico la compatibilità tra la regola del consenso traslativo e un regime di pubblicità cui si legano gli effetti verso i terzi. E più precisamente l’applicazione rigorosa del principio consensuale trovava difficoltà nell’ipotesi di più vendite successive in favore di persone diverse. In realtà, in forza del principio consensualistico, il venditore che aveva trasferito ad un primo acquirente la proprietà non avrebbe più potuto trasferirla ad altri e la seconda vendita si sarebbe dovuta configurare come vendita di cosa altrui. Il Code relativamente ai beni mobili accorda una protezione al’acquirente che per primo abbia ricevuto il possesso della cosa in buona fede (art.1138 e 1141). Per i beni immobili, invece, dato che il codice nulla diceva , si rese necessario il ricorso ad una legge precedente dettata in materia di ipoteche che risolveva il conflitto sulla base della priorità della pubblicità. L’importanza di questa legge (1798) sta nel fatto che per la prima volta nell’età moderna è stato introdotto un sistema di pubblicità. Si tratta di un sistema “puro” nel senso che è destinato a rendere conoscibile ai terzi la condizione di appartenenza e/o di disponibilità di un bene immobile fornendone notizia legale sui mutamenti avvenuti. esso, tuttavia, non ha natura costitutiva e cioè non concorre alla realizzazione dei mutamenti stessi. Ciò non toglie che la pubblicità dichiarativa possa conservare aspetti consolidativi dell’acquisto come capita nell’ipotesi in cui più acquirenti dello stesso bene dal medesimo dante causa, fa salvo il suo acquisto chi per primo ha trascritto anche se ha acquistato successivamente rispetto agli altri (c.d. premio della corsa). Non mancano casi nei quali la trascrizione svolge funzione costitutiva, come nel caso dell’usucapione abbreviata. La regola del consenso traslativo (cioè dell’immedesimazione tra titulus e modus adquirendi) per un verso esprime un principio razionale e per altro verso mostra delle difficoltà nel complesso sistema di 6 interessi e di relative garanzie che muove intorno ai contratti di trasferimento. Tali difficoltà provocano varie fratture nel coordinamento con alcuni istituti. Auricchio osserva che l’atto di autonomia è in realtà oggetto di una diversa considerazione da parte dell’ordinamento a seconda che si intendano disciplinare i problemi posti dal regolamento degli interessi delle parti o le posizioni dei terzi coinvolti nell’alienazione dei beni.

IL MODELLO GERMANICO:

Il modello contrattuale disciplinato nel codice napoleonico ha alla sua base una struttura del consenso che esalta l’idea di libertà e di autonomia delle parti. Il requisito della causa, nella sostanza, si limita a segnalare la necessità di una causa lecita dell’obbligazione e, quindi, del suo oggetto, conservando un significato soggettivo. Nell’ Europa continentale (nel common law sono presenti, in assenza di una definizione legislativa, numerose ed eterogenee definizioni di contract. Diffusa è quella che enfatizza l’accordo al cui fondamento vi è il meeting of mind. Di Majo osserva che non sussiste nel common law un discrimine tra contratto e promessa unilaterale: discrimine che nei sistemi continentali si basa sul dogma del consenso.
Nel diritto inglese l’obbligazione trova il suo fondamento in una promessa giustificata sul piano oggettivo) al modello francese contende il campo il modello germanico (o pandettistico), il quale si sviluppa su di un tracciato storico diverso perché non rompe con il passato, ma recupera l’esperienza della tradizione collocandola in un originale modello teorico. Esso non si contrappone a quello francese sotto il profilo del riconoscimento delle istanze individuali. Queste, infatti, costituiscono una costante della cultura giuridica e delle codificazioni dell’Europa continentale del XIX secolo. La diversità principale sta nel fatto che la cultura giuridica tedesca filtra la struttura consensuale del contratto attraverso una nuova categoria generale della conoscenza giuridica, con profonde radici nel pensiero Kantiano, che troverà collocazione nella parte generale del BGB. Ci riferiamo alla categoria del negozio giuridico che rappresenta lo strumento teorico mediante il quale la dichiarazione di volontà delle parti (il loro intento) è in grado di provocare una modificazione giuridica dei loro rapporti. In tale prospettiva, il negozio (che prende il nome di contratto quando la struttura è bilaterale) costituisce una fattispecie produttiva di effetti voluti dalle parti sebbene, talvolta, la legge richieda, accanto alla dichiarazione di volontà, ulteriori elementi per la produzione di questi effetti. Assume fondamentale importanza la “dichiarazione” che è “il segno mediante il quale la volontà si fa palese” e la costruzione del concetto di “rapporto giuridico” come “relazione tra più persone determinata da una regola di diritto”. Questo concetto è ambiguo in quanto nella dottrina germanica è utilizzato a volte nelle ipotesi di contratti bilaterali, come elemento di coesione e interdipendenza dei singoli rapporti; mentre altre volte si fa riferimento ad esso come fondamento o fonte degli stessi singoli rapporti. È importante sottolineare che il dispiegarsi della dinamica fattispecie-effetti prelude alla possibilità di sganciare l’assetto degli interessi regolati dall’atto che li regola. Il riferimento agli interessi consente alla dottrina di sviluppare una critica al modello pandettistico i cui punti fondamentali sono: il bilanciamento del principio consensualistico con quello dell’affidamento; la valorizzazione della buona fede come autonoma fonte del regolamento contrattuale; l’equivalenza delle prestazioni con riguardo agli interessi regolati. Nel corso del tempo all’interno del sistema si ha uno spostamento dal soggetto alla norma. Si assiste ad una sorta di oggettivazione del contratto nel senso che la regolamentazione degli interessi delle parti, così come proiettata nel rapporto, non è più intermediata dalla sola volontà di queste. La dottrina transalpina, dalla fine del XIX secolo e per larga parte del XX, parla di una crisi del contratto descrivendo, alla luce di varie disposizioni legislative, un quadro nel quale si assiste ad un vero e proprio svuotamento dei poteri privati. Esempi classici sono le proroghe del contratto sia di origine legale che giudiziale; il ripristino ex lege del rapporto di lavoro già estinto; l’obbligo di richiedere autorizzazioni amministrative preventive alla conclusione del contratto; la 7 previsione di un obbligo legale a contrarre ecc. A partire dagli anni ’60 si assiste ad una sorta di rinascita del contratto dovuta soprattutto alla capacità della nozione di adattarsi alle nuove esigenze della società. In quest’ambito si collocano gli accordi di cooperazione tra le imprese e tra queste e lo Stato, ecc. Conserva, tuttavia, la sua vis l’invito a non rinunciare all’idea del contratto ma a riscoprire, sotto l’apparenza dell’obbligo a contrarre, ipotesi nelle quali il legislatore ha inteso riannodare a un dato presupposto di fatto singole posizioni attive e passive.

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