LA SCIA, rappresenta non già un modulo di semplice semplificazione procedimentale, volto a consentire al privato il conseguimento per silentium di un titolo abilitativo di matrice provvedimentale, quanto di autentica (ancorché parziale) liberalizzazione di determinate attività economiche private, il cui esercizio è quindi sottratto ad un regime di preventivo assenso amministrativo, essendo consentito direttamente per effetto della dichiarazione con cui il privato attesta la sussistenza dei presupposti prescritti dalla legge

Alla logica della semplificazione procedimentale risponde, infatti, il diverso istituto del silenzio-assenso, regolamentato dall'articolo 20, l. n. 241 del 1990, che, lungi dal liberalizzare talune attività, è semplicemente volto - sull’assunto della necessità del vaglio preventivo perché una certa attività possa essere esercitata - a semplificare per l’appunto le modalità di esternazione del suddetto vaglio. Quando un’attività soggiace a silenzio-assenso, invero, la stessa non può dirsi liberalizzata, essendo solo regolamentato un meccanismo procedimentale più semplificato di formazione del provvedimento (pure necessario) di esternazione dell’assenso dell’amministrazione.

la legittimazione del privato ad intraprendere le attività non riviene da un atto di assenso dell’Amministrazione, in omaggio allo schema “norma-potere-effetto”, trattandosi di legittimazione ex lege, in coerenza con l’alternativo schema “norma-fatto-effetto”.

Nell’originaria formulazione dell’art. 19, l. n. 241 del 1990, l’istituto (allora d.i.a.) era previsto come assolutamente eccezionale, la sua praticabilità essendo relegata ai soli casi contemplati dal successivo regolamento cui lo stesso art. 19 rinviava. Escludeva, comunque, dal suo ambito di applicazione le ipotesi in cui l’atto di assenso dell’amministrazione richiedesse l’esercizio di poteri discrezionali o l’esperimento di prove, o fosse soggetto a limiti o contingenti.

L’ambito applicativo dell’istituto si estende in modo significativo per effetto dell’art. 2, l. n. 537 del 1993 (legge Finanziaria per il 1994), l’incipit della norma fu sostituito con la precisazione secondo cui “in tutti i casi ...” in cui singole discipline di settore richiedano, per lo svolgimento di un’attività privata, il previo ottenimento di autorizzazioni, licenze, permessi, nulla-osta ovvero altri atti di assenso, comunque denominati, l’attività medesima può essere esercitata previa denuncia di inizio da parte dell’interessato. Ulteriore innovazione era costituita dall’introduzione di un termine perentorio di sessanta giorni entro il quale la Pubblica amministrazione poteva inibire l’attività.

L’art. 19 è stato, quindi, completamente riformulato dall’art. 3, d.l. n. 35 del 2005, convertito con l. n. 80 del 2005, che ha notevolmente innovato l’istituto della d.i.a.
Il legislatore ha liberalizzato tutte le attività private prima sottoposte a provvedimenti autorizzativi “il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi”, con la sola eccezione dei provvedimenti rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela di interessi qualificati (difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell'ambiente) e dei provvedimenti imposti dalla normativa comunitaria. La norma prevedeva che l'attività liberalizzata potesse essere avviata decorso un termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione. Contestualmente all'inizio dell'attività, l'interessato doveva dare ulteriore comunicazione all'amministrazione competente. Da tale (seconda) comunicazione decorreva un termine di trenta giorni, entro il quale la Pubblica amministrazione, accertata la carenza dei presupposti e requisiti per l'esercizio dell'attività, poteva adottare e comunicare all'interessato il provvedimento inibitorio dell'ulteriore prosecuzione dell'attività, unitamente all'ordine di rimozione dei relativi effetti, ove possibile.

 

La vera svolta, nella evoluzione della disciplina dell’istituto, si ha con l’art. 49, comma 4 bis, l. n. 122 del 2010 (di conversione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78), che, nel riscrivere l’art. 19, l. n. 241 del 1990, ha sostituito la “Dichiarazione di inizio di attività” (d.i.a.) con la “Segnalazione certificata di inizio attività” (s.c.i.a.).

 

Il principale elemento differenziale tra la nuova s.c.i.a. e la vecchia d.i.a. attiene, quindi, al meccanismo attraverso cui il privato è legittimato ad intraprendere l'attività.

Vigente, infatti, il regime della d.i.a., come illustrato nel precedente paragrafo, il privato, formalizzata la dichiarazione di inizio attività, era tenuto ad attendere il decorso di trenta giorni e, successivamente, a comunicare l'inizio dell'attività dopo ulteriori trenta giorni durante i quali l’Amministrazione avrebbe potuto adottare - in caso di accertata carenza dei presupposti - motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività intrapresa e di rimozione dei suoi effetti. La disciplina della s.c.i.a. - peraltro caratterizzata dalla previsione di un più significativo onere di documentazione a carico del privato- consente, invece, stessa segnalazione all'amministrazione competente; consente l 'immediato inizio dell'attività segnalata, sin dal momento di l'Amministrazione puo' quindi intervenire, solo successivamente, vietando (entro i successivi 60 iorni, ridotti a 30 in materia edilizia) la prosecuzione dell'attività rimuovendone gli effetti salva la possibilità di accordare al privato un termine non inferiore a 30 a giorni per conformare l'attività ai requisiti imposti dall egge. Decorso il termine suindicato, l'Amministrazione può intervenire solo allorché ricorrano le condizioni previste dall'art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio

Quanto all’ambito applicativo della s.c.i.a., l’art. 19, comma 1, l. n. 241 del 1990, dispone che “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria

Tre, quindi, le condizioni di operatività dell'istituto in esame:
- il rilascio degli atti "sostituiti" dalla segnalazione deve dipendere dal solo "accertamento" di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale;
- non deve essere previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi;
- non devono sussistere vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e non deve trattarsi di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone S.c.i.a. e atti espressione di discrezio- nalità tecnica sismiche e di quelli imposti dalla normativa

 

Di recente, l’istituto della s.c.i.a. ha costituito oggetto di ulteriori e significativi interventi di riforma, in specie introdotti dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, e dal d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126 (c.d. S.c.i.a. 1), approvato in attuazione parziale della delega contenuta nell’art. 5, della stessa l. n. 124 del 2015.

La l. n. 124 del 2015 ha inciso sull'istituto della s.c.i.a. sia mediante modifiche apportate direttamente all'art. 19, l. n. 241 del 1990 (art. 6) sia conferendo al Governo (art. 5) la delega ad adottare uno o più decreti legislativi recanti:
- la precisa individuazione dei procedimenti oggetto rispettivamente di segnalazione certificata di inizio attività, silenzio assenso, autorizzazione  espressa e comunicazione preventiva;
- l’introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad  autorizzazione preventiva espressa, compresa la definizione delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica, nonché degli strumenti per documentare o attestare gli effetti prodotti dai predetti atti.

l'amministrazione decorsi i termini di legge, può incidere sull’attività intrapresa, adottando i provvedimenti di divieto e ordine di rimozione degli effetti pregiudizievoli, se sussistono ragioni di interesse pubblico, purché intervenga entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento della segnalazione e lo faccia tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

l dibattito svoltosi attorno al tema della natura giuridica della s.c.i.a. (e prima della d.i.a.).
Sul tema è intervenuto lo stesso legislatore che, come sopra indicato, con l’art. 6, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, ha inserito il comma 6 ter all’art. 19, l. n. 241 del 1990, a tenore del quale “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.

Due le tesi che si sono fronteggiate, emerse prima e dopo il passaggio legislativo dalla d.i.a. alla s.c.i.a.

Secondo una prima impostazione giurisprudenziale, la s.c.i.a. (già d.i.a.) costituirebbe una fattispecie a formazione successiva, configurabile come un atto amministrativo tacito, destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del termine assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio. Tar Piemonte, sez. I, 5 settembre 2006, n. 2762; Tar Abruzzo, Pescara, 1 settembre 2005, n. 494; Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916; Id., sez. VI, 20 ottobre 2004, n. 6910; Tar Veneto, sez. II, 10 settembre 2003, n. 4722; Id. 20 giugno 2003, n. 3405; Cons. St., sez. VI, 10 giugno 2003, n. 3265; Tar Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 397. Cons., St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 72; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 10 gennaio 2009, n. 15.

Per altra tesi la s.c.i.a. (già d.i.a.) è un atto formalmente e soggettivamente privato, cui la legge ricollega direttamente l’effetto di abilitare l’istante all’esercizio dell’attività. (Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916; Id., sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 3 aprile 2007, n. 1652)

Alla questione della natura giuridica dell’istituto è strettamente connesso il tema delle forme e modalità di tutela dei terzi eventualmente pregiudicati dall’effetto abilitativo derivante dal perfezionamento della fattispecie di cui all’art. 19, l. n. 241 del 1990.

A) L’adesione alla tesi che qualifica la s.c.i.a. come atto amministrativo abilitativo tacito, ormai superata, comporta che il terzo può proporre ricorso giurisdizionale, nell’ordinario termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della denuncia o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento, avverso tale provvedimento, seppure tacito, innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva (art. 19, comma 5, l. n. 241 del 1990), chiedendone l’annullamento1

B) Se si muove dall’opposta tesi, consacrata nel dettato normativo al comma 6 ter dell’articolo 19, l. n. 241 del 1990, che qualifica la s.c.i.a. come atto soggettivamente ed oggettivamente privato. Escluso quindi che il privato possa intentare l'ordinaria tutela di impugnazione mancando il provvedimento che costituisce oggetto della domanda di annullamento, la giurisprudenza ha indicato tre distinti percorsi di tutela.

b1) Secondo una prima impostazione, superata dalla disciplina vigente, il terzo è legittimato ad esperire un'azione di accertamento dell'insussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge per la legittima intrapresa dei lavori o dell'attività.

b2) Secondo una diversa impostazione, il terzo, decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio senza che la Pubblica amministrazione sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere all’amministrazione di porre in essere i provvedimenti di autotutela previsti dall’art. 19, co. 3, l. n. 241 del 1990, prima tuttavia che sul punto intervenisse la l. n. 124 del, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui all’art. 117 c.p.a. in tema di silenzio-rifiuto.

b3) Secondo altra impostazione, il terzo, alla scadenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio, dovrebbe stimolare non già il potere di autotutela, ma il generale potere sanzionatorio previsto in caso di abusi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-inadempimento.

Il discrimen tra quest’ultima tesi e quella precedente attiene alle condizioni di esercizio dei due diversi poteri che il privato è chiamato a stimolare; il potere di autotutela o, dopo la l. n. 124 del 2015, i poteri inibitori e conformativi, spettanti dopo il decorso dei 60 giorni e da esercitare alle condizioni di cui al’art, 21 nonies, l. n. 241 del 1990, hanno natura squisitamente discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire valutare gli interessi in conflitto (quelli del denunciante, quelli del terzo istante, il decorso del tempo e l’eventuale legittimo affidamento che la s.c.i.a., consolidata a seguito dell’inerzia della Pubblica amministrazione, abbia eventualmente ingenerato) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non può coincidere con la mera legalità violata; di contro, il potere repressivo ha natura vincolata, essendo nel suo esercizio l’amministrazione chiamata a verificare la sussistenza o meno dei presupposti richiesti dalla legge per l’attività posta in essere dal privato.

L'intervento di Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717. L'azione di accertamento autonomo..


Sulla natura giuridica della s.c.i.a. (allora d.i.a.) e sulle forme di tutela del terzo è intervenuto Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717, con una pronuncia di cui occorre segnalare seguenti i passaggi salienti:

- la d.i.a. è un atto di un soggetto privato e non di una Pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, non costituendo perciò esplicazione di una potestà pubblicistica;

  • -  per effetto della previsione della d.i.a., la legittimazione del privato all’esercizio dell’attività non è più fondata sull’atto di consenso della P.A. ma è una legittimazione ex lege;

  • -  il riferimento agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, l. n. 241 del 1990, contenuto nell’art. 19 della stessa l. n. 241 del 1990, consente alla P.A. di esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volontà dell’amministrazione, con l’autotutela classica condividendo soltanto i presupposti e il procedimento;

  • -  il richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies, di cui all’art. 19 cit., è riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, nell’osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti da tali norme. In tal modo, il legislatore si è fatto carico di tutelare l’affidamento che può essere maturato in capo al privato per effetto del decorso del tempo;

  • -  attesa la natura di dichiarazione privata ascritta alla d.i.a., lo strumento di tutela del terzo rispetto all’attività intrapresa dal dichiarante deve essere identificato nell’azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull’amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.

    Quanto al termine per la proposizione dell’azione di accertamento in tema di d.i.a., la sesta Sezione ha preso le mosse dalla premessa concettuale secondo cui il terzo che si ritenga leso da un’attività svolta sulla base di una d.i.a. deve avere, in linea di principio, le stesse possibilità di tutela che avrebbe avuto a fronte di un provvedimento di autorizzazione rilasciato dalla P .A.

    Da ciò discende, ad avviso del Collegio, che l’azione di accertamento in tal caso sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di sessanta giorni) previsto per l’azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire se l’amministrazione avesse adottato un permesso di costruire.

La complessa presa di posizione di Cons. St., A.P., 29 luglio 2011, n. 15.

Su tutti i delicati nodi interpretativi di cui si è dato atto è intervenuto Cons. St., A.P., 29 luglio 2011, n. 15.

In primo luogo, la Plenaria prende posizione sulla riconducibilità della d.i.a. e, ora, della s.c.i.a. tra gli istituti di liberalizzazione (ancorché parziale), anziché di mera semplificazione procedimentale.

Come sopra indicato, il legislatore, subito dopo la illustrata sentenza della Plenaria, con d.l. 13 agosto 2011, n. 138, è intervenuto direttamente sull’art. 19, l. n. 241 del 1990, inserendovi il comma 6 ter, in forza del quale “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”21.

Il legislatore finisce, dunque, per condividere e contrastare al tempo stesso le conclusioni rassegnate da Cons. St., A.P., 29 luglio 2011, n. 15.
La citata disposizione, da un lato, confermando quanto sostenuto dalla Plenaria: esclude che la s.c.i.a. (e la d.i.a.) integrino espressione di autoritatività, precisando che “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, dall'altro, si emancipa dalle conclusioni rassegnate dal Supremo Consesso con riguardo alla tutela del terzo, chiamato a “sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, (ad) esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”22. In altri termini, ad avviso del legislatore del 2011 l'unica forma di tutela del terzo di fronte alla segnalazione di inizio di attività è l'azione avverso il silenzio ex art. 31, commi 1 e 2, c.p.a.23. La legge di conversione del d.l. n. 138 ha ulteriormente rimarcato la differente posizione rispetto ai principi dettati dal Consiglio di Stato nell'Adunanza plenaria chiarendo che l'azione ex art. 31 è l'unica di cui può avvalersi il soggetto che si ritiene leso dalla s.c.i.a.


 

 

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