Cass. n. 18448/15
Diversamente da quanto accade nel diritto amministrativo, in materia fiscale opera un regime unitario del vizio dell'atto che deve essere fatto valere nella forma e nel termine di decadenza prevista dall'art. 21 del D.Lgs. n. 546/92.
In difetto, il provvedimento diventa incensurabile sul punto. Il legislatore fiscale usa la sanzione della "nullità" in senso a-tecnico, nel senso che la sua reale natura giuridica va intesa come "annullabilità";
e il regime dei vizi degli atti amministrativi [art. 21-septies L. 241/90] non può essere automaticamente esteso in ambito tributario, essendo applicabile solo laddove non sia incompatibile con le norme di diritto che disciplinano il procedimento impositivo.

 

La tesi del Giudice tributario non può essere condivisa in quanto prescinde del tutto dalla speciale disciplina della impugnazione dei provvedimenti tributari.

3.3 La questione è stata in parte già esaminata nel precedente di questa Corte, V sez. sentenza 13 novembre 2013 n. 25508, le cui argomentazioni, che si condividono, appare opportuno precisare ulteriormente di seguito, onde fugare ogni possibile equivoco.

Osserva il Collegio :

a) che l'art. 21 septies della legge n. 241/1990 è collocato all'interno del testo legislativo sotto il Capo IV bis, intitolato "Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo, revoca e recesso", introdotto dall'art. 14 della legge 11.2.2005 n. 15 ed entrato in vigore il successivo 8.3.2005: trattasi, dunque, di norma che non trova applicazione, in virtù della ordinaria disciplina della efficacia delle legge nel tempo, agli 8 RG n. 2840/2009 Co est. ric. Ag.Entrate c/Valli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano ivieri atti amministrativi -affetti da vizi di legittimità che, al momento della loro adozione, erano riconducibili alla categoria della annullabilità- emanati e divenuti irrevocabili per omessa impugnazione anteriormente alla entrata in vigore di detta legge;

b) che pur tenendo conto che non era affatto ignota alla dottrina e giurisprudenza amministrativa -anteriormente alla espressa previsione del "vizio di nullità" dell'atto amministrativo, contenuta nella legge n.15/2005- la categoria della nullità dell'atto (spesso assimilata a quella della "inesistenza"), tuttavia la estensione anche agli atti tributari, in quanto atti amministrativi, di tale invalidità radicale, non sconta affatto -come sembrerebbe intendere il Giudice di appello- la automatica applicazione a tali atti della disciplina normativa del vizio di nullità propria del diritto e del processo civile, anzichè di quella propria del diritto e del processo amministrativo (ante o post riforma), nè tanto meno legittima una operazione sincretistica volta alla applicazione agli atti tributari di una disciplina di tipo "misto", dovendo ravvisarsi sul punto una assoluta irriducibilità (e dunque una conseguente non sovrapponibilità) dei vizi di nullità dell'atto amministrativo ai vizi di nullità degli atti e dei negozi di diritto privato.
La stabilità del provvedimento amministrativo è, infatti, coniata al termine di decadenza stabilito per la impugnazione dell'atto, e tale disciplina che caratterizza il giudizio amministrativo di tipo impugnatorio, tanto di annullamento, quanto di accertamento della nullità (essendo diversificati soltanto i termini di decadenza delle rispettive impugnazioni: art. 29 ed art. 31co4, Dlgs 2.7.2010 n. 104 -CPA-), confligge apertamente con le caratteristiche di "imprescrittibilità" della azione di accertamento e con i limiti imposti dal rprincipio dispositivo alla 1 ne } "rilevabilità ex officio" del vizio di nullità, estesa anche agli ostiqri Viòblione di norme imperative (art. 1418co1 c.c. nullità cd. "virtuale"), che contraddistinguono la disciplina civilistica.
La dottrina e la giurisprudenza amministrativa hanno rimarcato le differenze che connotano la disciplina dei vizi di nullità degli atti amministrativi, in quanto subordinata alle esigenza di certezza e stabilità dell'azione delle PP.AA., ciò che appunto ha indotto il Legislatore della riforma del 2005, da un lato, a sottoporre anche l'azione di 9 RG n. 2840/2009 Co est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano livieri accertamento della nullità a limiti temporali di natura decadenziale (cfr. Cons. Stato, V sez. 16.2.2012 n. 792, che rileva appunto come l'art. 31, comma 4, del Dlgs 2.7.2010 n. 104 - Codice del processo amministrativo- stabilisce un termine di decadenza, se pure più lungo, anche per l'esercizio dell'azione di nullità "in ragione delle note esigenze di certezza dell'azione amministrativa, che mal si conciliano con la possibilità che questa possa restare esposta ad impugnative non assoggettate a termini di decadenza o prescrizione"; id. Consiglio di Giustizia amministrativa della regione siciliana, sentenza 9.7.2013 n. 589, che ha qualificato il termine di natura "processuale" e non "sostanziale", specificando che trattasi di termine di decadenza e non di prescrizione), dall'altro, ad evitare di ricondurre nella categoria della nullità la violazione di norme imperative (nullità cd. "virtuale") che rimane, pertanto, confmata nel vizio di legittimità della "violazione di legge" di cui all'art. 21 octies, comma 1, della legge n. 241/1990, denunciabile con l'ordinaria azione di annullamento ex art. 29 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, V sez. 15 marzo 2010 n. 1498 che giustifica la soluzione legislativa in quanto "le norme riguardanti l'azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell'amministrazione"), rimanendo circoscritta, pertanto, la nullità dell'atto amministrativo, esclusivamente alle ipotesi tassative previste espressamente dalla legge, e dunque operando come categoria di invalidità meramente residuale rispetto a quella della illegittimità/annullabilità dell'atto (cfr. Cons. Stato, IV sez. 2 aprile 2012 n. 1957. Sintomatica in proposito è la "dimenticanza" del Legislatore, tra le diverse sentenze di merito che il Giudice amministrativo può adottare, della sentenza dichiarativa della nullità dell'atto amministrativo -art. 34 c.p.a.-, che solo in parte sembra trovare giustificazione nella diposizione del primo comma che correla le pronunce di merito elencate "ai limiti della domanda", correlazione che, per quanto si dirà immediatamente in prosieguo, viene meno nella rilevabilità ex officio di vizi di nullità dell'atto). Ulteriore elemento distintivo tra la nullità di diritto civile e quella di diritto amministrativo viene ad essere individuato nella disciplina della "rilevabilità ex officio": se, infatti, è analogo il regime della eccezione ad istanza di parte, sollevabile in ogni tempo, invece non coincide affatto quello della rilevabilità d'ufficio da parte del Giudice, almeno avuto riguardo alla costante interpretazione che della norma processuale di cui all'art. 31co4 c.p.a. ha dato la giurisprudenza amministrativa, che ha ritenuto il predetto potere officioso del tutto 10 RG n. 2840/2009 est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefan livieri svincolato dai limiti del "thema decidendum", come definito dagli atti difensivi delle parti, in quanto riconducibile ad una vera e propria "giurisdizione oggettiva" da esercitare a tutela dell'interesse della legge (cfr. Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sentenza 27 luglio 2012 n. 721, secondo cui "L'art. 31, comma 4, c.p.a., esprime, dunque, una parentesi di giurisdizione oggettiva che, per espressa previsione di legge, si innesta nel processo amministrativo, in deroga al suo ordinario carattere di giurisdizione soggettiva. Così dovendosi ricostruire il sistema, è evidente che non vi può essere luogo ad alcun temperamento tra l'art. 31, comma 4 —nonché, dalla stessa parte, tra le singole norme che testualmente comminano, in modo espresso, una nullità rilevabile d'ufficio— e, dall'altra parte, il c.d. principio della domanda (o dell'interesse della parte istante) che, nel processo civile, ha costituito un limite interpretativo alla generale applicazione del principio della rilevabilità d'ufficio della nullità"). Soluzione evidentemente diversa dal regime della "rilevabilità ex officio" della nullità da parte dell'AGO, che opera, invece, all'interno dei limiti dell'oggetto del giudizio e del potere dispositivo delle parti (costituisce massima tralatizia quella per cui il principio della rilevabilità di ufficio della nullità dell'atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea, per essere l'atto elemento costitutivo della domanda. Qualora sia, invece, la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di legittimità enunciate dall'interessato e non può fondarsi su elementi rilevati d'ufficio o tardivamente indicati, configurandosi in questa ipotesi, la nullità come elemento costitutivo della domanda dell'attore, la quale si pone come limite assoluto alla pronuncia giurisdizionale: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 2572 del 25/03/1988; id. Sez. 2, Sentenza n. 1340 del 09/02/1994; id. Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 01/08/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 13628 del 05/11/2001; id. Sez. U, Sentenza n. 21095 del 04/11/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 89 del 08/01/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 21600 del 20/09/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014). Dalle considerazioni che precedono risulta che la trasposizione nel diritto e nel processo tributario del "vizio di nullità" dell'atto, così come disciplinato da altri rami del diritto, non può considerarsi operazione affatto "neutra", essendo ben diverse le conseguenze, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, dello statuto normativo del vizio di nullità che si intende applicare all'atto tributario, secondo la peculiare 1 1 RG n. 2840/2009 Co est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano vieri disciplina da cui si vuole attingere (art. 1418 e 1421 c.c., ovvero art. 21 septies legge n. 241/1990 ed art. 31, commi 3 e 4, c.p.a.).

In modo più esplicito si vuole porre in evidenza come non esista nell'ordinamento giuridico una nozione unitaria del vizio di nullità dell'atto giuridico, essendo riservata alla discrezionalità del Legislatore, nel rispetto delle garanzie assicurate dalla Costituzione, la scelta più opportuna tra le diverse soluzioni giuridiche possibile, delle discipline degli istituti giuridici e delle forme di tutela giudiziaria dei diritti e degli interessi/ ma come tale vizio si atteggi piuttosto in modo diverso secondo le differenti esigenze e gli specifici interessi che vengono in considerazione nelle diverse discipline normative che regolano i rapporti di diritto pubblico ed i rapporti di diritto privato (una chiara indicazione in tal senso è fornita, nell'ambito dello stesso diritto civile, dalle nullità cd. di protezione a "regime speciale", su cui, da ultimo, Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014), essendo, quindi, necessario verificare in quali condizioni possa operare il vizio di nullità, accanto a quello di annullabilità, nel diritto tributario;

c) che la disciplina dei vizi di nullità degli atti amministrativi, previsti dall'art. 21 septies legge n. 241/1990, non può, pertanto, essere automaticamente trasposta in ambito tributario ma deve essere necessariamente coordinata con la normativa tributaria (che costituisce un sottosistema del diritto amministrativo in relazione di "species ad genus": con la conseguenza che, le norme che regolano il procedimento amministrativo trovano applicazione nel sottosistema, nei limiti in cui non siano derogate od incompatibili con le norme di diritto tributario che disciplinano il procedimento impositivo) che, pur prevedendo anch'essa il vizio di nullità dell'atto tributario (es. le "nullità" per violazione dell'obbligo di motivazione del provvedimento impositivo, introdotte dal Dlgs n. 32/2001 nel corpus legislativo delle diverse imposte, in attuazione della legge n. 212/2000), lo configura, tuttavia, come vizio di legittimità che (al pari dei vizi di annullabilità) può essere dedotto dal contribuente soltanto attraverso i motivi di ricorso, da proporre avanti le Commissioni tributarie nel termine di decadenza previsto dall'art. 21 Dlgs n. 546/1992, in difetto di proposizione del quale il provvedimento tributario viziato da "nullità" si consolida, rendendo definitivo il rapporto obbligatorio sottostante e legittimando l'Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta. E 12 RG n. 2840/2009 Co st. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano livieri non vi è dubbio che, dovendosi ravvisare anche per i rapporti tributari -attraverso i quali viene garantita l'acquisizione delle risorse finanziarie indispensabili al funzionamento dell'Organizzazione pubblica ed all'esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici essenziali- le medesime esigenze di certezza e stabilità che hanno indotto il Legislatore del 2005 a sottopone a decadenza anche 1' "azione di nullità" esercitata nel giudizio amministrativo e ad escludere la previsione di ipotesi di "nullità cd. virtuale" degli atti amministrativi (ma occorre dare atto che, sulla invalidità per vizio di "nullità virtuale" dei provvedimenti tributari, sembra manifestarsi recentemente una parziale apertura, in relazione alla violazione di "principi fondamentali" di rilevanza costituzionale contemplati dalle nonne di cui alla legge n. 212/2000: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 19667 del 18/09/2014), deve ritenersi in oggettivo contrasto con il sistema del diritto e del processo tributario, la trasposizione della disciplina del vizio di nullità (per di più mista, in quanto tratta, sul piano sostanziale, dall'art. 21 septies legge n. 241/1990 e, sul piano processuale, dalla disciplina del processo civile) operata dal Giudice di appello, tale per cui, in difetto di tempestiva impugnazione da parte del contribuente dell'atto impositivo affetto da "nullità", tale vizio di invalidità possa, comunque, essere fatto valere per la prima volta con la impugnazione dell'atto conseguenziale (cartella di pagamento), trattandosi di vizio rilevabile anche "ex officio" in ogni stato e grado del processo. L'affermazione del Giudice di appello si pone in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente rimarcato la sostanziale equiparazione delle "nullità" tributarie ai vizi di legittimità (formali o sostanziali) dell'atto che, se riscontrati dal Giudice tributario, comportano una pronuncia di "annullamento" del provvedimento impositivo opposto, essendo stato affermato in proposito che "in tema di IRPEF e IVA, il vizio di <> dell'avviso di accertamento per difetto di motivazione (artt.42 e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972), deve essere inteso come vizio di <>" (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 8114 del 05/06/2002) e che in ogni caso il regime di tipo impugnatorio proprio del giudizio tributario, comporta che le "nullità di diritto tributario" debbano essere eccepite ad istanza di parte (eccezioni in senso stretto) e non possano essere rilevate di ufficio, soggiacendo pertanto, sia ai termini di decadenza per 13 RG n. 2840/2009 Cons. st. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano O vieri la proposizione della impugnazione dell'atto tributario, sia alle preclusioni interne alle fasi ed ai gradi del giudizio tributario (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13087 del 08/09/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 10802 del 05/05/2010). In aperta violazione della disciplina normativa positiva è inoltre l'argomento speso dalla CFR secondo cui la "nullità tributaria" sarebbe divenuta -a seguito della legge n. 15/2005 modificativa della legge n. 241/1990- rilevabile di ufficio in qualsiasi stato e grado del processo tributario. L'art. 61, comma 2, del Dpr n. 600/73 dispone, infatti, che "la nullità dell'accertamento, ai sensi del comma 3 dell'art. 42 e del comma 3 dell'art. 43, e in genere per difetto di motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado": la eccezione di "nullità" dell'atto tributario viene, dunque, qualificata ex lege come "eccezione ad istanza di parte" (eccezione in senso stretto), confermando ulteriormente la impostazione della legislazione tributaria volta ad una sostanziale equiparazione dei vizi di nullità degli atti impositivi ai vizi di legittimità dell'atto amministrativo, sottoposti al regime della invalidità-annullabilità, con conseguente esclusione di una generale rilevabilità "ex officio" di detti vizi da parte del Giudice di merito e di legittimità. L'impedimento alla rilevabilità "ex officio" del vizio di "nullità tributaria" è, infatti, il derivato della scelta del modello processuale di tipo impugnatorio che il Legislatore si è determinato ad adottare, nell'esercizio dell'ampia discrezionalità politica che gli è riservata nella conformazione degli istituti processuali (cfr. Corte cost. sentenza 11.11.2011. 304), e che -come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale- incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (cfr. Corte cost. sentenze 26.6.2007n. 237; id. 18.2.2010n. 52; id. 10.5.2012 n. 117). Il processo tributario è strutturato secondo un meccanismo d'instaurazione imperniato sulla impugnazione degli atti nominativamente indicati dall'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nonchè di quegli altri atti, emessi dalla Amministrazione finanziaria, che, se pure non compresi nell'elenco, sono comunque idonei a produrre i medesimi effetti giuridici nei confronti del destinatario-contribuente), ed il cui oggetto è rigorosamente circoscritto al controllo di legittimità formale e sostanziale dell'atto impugnato: 14 RG n. 2840/2009 Cons. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano O vieri - il giudizio tributario, pur non connotandosi come un giudizio di "impugnazione- annullamento" in senso stretto, ma piuttosto come un giudizio di "impugnazione- merito", in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l'atto impugnato, ma -ove il contribuente non si limiti a dedurre con il ricorso esclusivamente vizi di validità dell'atto- è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione fmanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, rimane tuttavia pur sempre definito entro i limiti oggettuali posti, da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell'atto impositivo impugnato e, dall'altro, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo proposto dal contribuente (cfr. Corte cass. V sez. 29.9.2006 n. 20516; id. V sez. 11.5.2007 n. 10779; id Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011) - nel processo tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell'atto tributario per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto sostanziale non può, quindi, che essere limitata ai soli motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il contribuente abbia specificamente dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza Cttge,Z,1-,9 che, ove il contribuent.WITitao limitare la materia controversa ad alcuni determinati vizi di validità dell'atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e non può, "ex officio", annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al "thema controversum", come definito dalle scelte proprie del ricorrente. L'oggetto del giudizio, circoscritto ai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di "motivi aggiunti", consentita però, dall'art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di "deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione" (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011); 15 RG n. 2840/2009 est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano livieri d) che il Giudice di appello ha, inoltre, qualificato come nullità "per mancanza degli elementi essenziali" previsti dall'art. 21 septies della legge n. 241/1990 un vizio di invalidità dell'atto impositivo in realtà diverso, operando una commistione tra il primo ed il terzo comma dell'art. 42 Dpr n. 600/73 e venendo così a sovrapporre il vizio di incompetenza del soggetto che ha emesso e sottoscritto l'avviso di accertamento (art. 42, comma 1, Dpr n. 600/73), al diverso vizio della mancanza nell'atto impositivo dell'elemento formale della sottoscrizione (art. 42, comma 3, Dpr n. 600/73), risolvendosi a rilevare di ufficio il vizio di "nullità" degli atti impositivi, previsto dalla norma soltanto in caso di carenza di sottoscrizione, nonostante gli atti in questione fossero stati tutti sottoscritti (sebbene con grafia illeggibile), e per di più prescindendo dal necessario accertamento della imputazione della firma a soggetto non appartenente all'Ufficio o comunque diverso da quelli legittimati ad emettere l'atto (capo dell'ufficio od altro impiegato della carriera direttiva da quello delegato). La Commissione tributaria, infatti, non ha accertato che gli atti impositivi erano privi della "sottoscrizione", intesa quale "elemento essenziale" di validità dell'atto impositivo (circostanza incontestata), ma ha affermato che la illeggibilità della sottoscrizione non consentiva di verificare se il sottoscrittore fosse "il capo dell'ufficio od un impiegato della carriera direttiva da quello delegato", e dunque non consentiva di verificare se il soggetto che aveva sottoscritto l'atto fosse o meno dotato della necessaria competenza ad emettere gli avvisi di accertamento (quale titolare dell'organo ovvero funzionario delegato appartenente al medesimo ufficio), come emerge inequivocamente dalla motivazione della sentenza di appello ove viene puntualizzato che "non è dato rinvenire alcun altro elemento (quale l'apposizione del sigillo o del timbro di un ufficio o l'indicazione della qualifica del funzionario competente) che consenta di individuare inequivocamente se gli atti impositivi in questione siano stati emessi dall'organo amministrativo titolare del relativo potere di adottarli ossia dal Direttore reggente o da un suo delegato". Se dunque, come si evince dall'indicato passaggio motivazionale della sentenza impugnata, la "ratio decidendi" non trova fondamento nella falsità materiale od 16 RG n. 2840/2009 Co est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano ieri ideologica degli atti impositivi, non essendo posto in dubbio che gli atti provengano effettivamente dalla Amministrazione finanziaria attributaria del potere di accertamento impositivo , ne segue allora che la invalidità degli atti, rilevata dalla CTR, non può che essere ricondotta al tipico vizio di legittimità, per violazione delle norme di legge che disciplinano la "competenza", che comporta secondo la stessa disciplina normativa dell'atto amministrativo richiamata dalla Commissione tributaria regionale (la quale ha inteso erroneamente equiparare la sanzione della "nullità tributaria" prevista dall'art. 42co3 Dpr n.600/73 al vizio di nullità per "mancanza degli elementi essenziali" di cui all'art. 21 septies, legge n. 241/1990), non un vizio di "nullità" rilevabile di ufficio, ma soltanto la "invalidità- annullabilità" dell'atto amministrativo (art. 21 octies, comma 1, legge n. 241/1990), che consegue al vizio di incompetenza dell'autorità che lo ha emesso (nella specie ex art. 42co1 Dpr n. 600/73), invalidità che può essere fatta valere soltanto dal contribuente con specifico motivo di ricorso proposto avanti le Commissioni tributarie nel termine di decadenza di cui all'art. 21 Dlgs n. 546/1992, difettando peraltro nell'ordinamento una norma che attribuisca al Giudice tributario un potere di rilevabilità di ufficio delle nullità analoga all'art. 1421 c.c. ed all'art. 31, comma 4, Dlgs n. 104/2010 (CPA). La formulazione lessicale del comma terzo dell'art. 42 Dpr n. 600/73 ("l'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all'ultimo periodo del secondo comma") induce a distinguere tra il difetto di un elemento di perfezionamento dell'atto di accertamento (la sottoscrizione) e la individuazione della autorità legittimata ad esercitare il potere (competenza), occorrendo precisare che la eventuale violazione delle norme attributive della competenza assume valenza autonoma, nel diritto tributario, anche in assenza di una esplicita previsione di "nullità tributaria" (idest: invalidità-annullabilità), essendo stato puntualmente osservato (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 5507 del 06/03/2013, con riferimento ai criteri di distribuzione delle competenze tra gli uffici della Agenzia delle Dogane) come l'organizzazione degli uffici dell'Amministrazione finanziaria non si sottragga ai principi costituzionali che regolano i pubblici uffici, atteso che "nel comma 1 dell'art. 97 Cost., non può ravvisarsi una 17 RG n. 2840/2009 Co st. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano Vlivieri semplice direttiva, rivolta prevalentemente agli organi dell'Amministrazione, ne' il suo contenuto può considerarsi limitato alla riserva di legge da esso disposta. Il comma in parola va, difatti, collegato con il successivo, il quale prescrive che "nell'ordinamento degli uffici siano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari". Tali determinazioni - operate sulla base di disposizioni di legge - sono state, dipoi, considerate dal Costituente, nel raccordo tra i primi due commi della disposizione in esame, come condizioni per assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, ravvisandosi in esse i mezzi per raggiungere una razionale, predeterminata e stabile distribuzione di compiti, nell'interesse del servizio. Al contempo - in una prospettiva chiaramente garantistica, a fronte dell'espletamento di poteri autoritativi da parte dell'Amministrazione - il riparto di competenze, sia per materia che per territorio, è finalizzato a far sì che il cittadino, nel rivolgersi alla pubblica Amministrazione, conosca con esattezza quale sia l'ufficio competente per il suo caso, quali ne siano le attribuzioni, quali le responsabilità di colui che vi è preposto e che rappresenta, nei suoi confronti il pubblico potere (cfr., in tal senso, C. Cost. 14/62) L'incompetenza è - per vero - ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, uno dei tre vizi (oltre alla violazione di legge ed all'eccesso di potere) che -sul piano generale- possono inficiare la validità di un qualsiasi provvedimento amministrativo. L'atto adottato da un ufficio incompetente, infatti, non è ne' semplicemente inefficace, ne' meramente produttivo di conseguenze sul piano sanzionatorio-disciplinare -come quando si tratta di violazione dei criteri di riparto delle attribuzioni, adottati dall'Amministrazione con norme interne (Cass. 14805/11)- ma è illegittimo, per violazione delle norme che definiscono le attribuzioni del soggetto autore dell'atto (C. St. 5142/07, 934/10). Per il che, l'accertamento del vizio di incompetenza non può che comportare l'eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento illegittimo da parte del giudice amministrativo, ovvero -nell'ambito della giurisdizione demandatagli- da parte del giudice tributario (cfr., in motivazione, Cass. 14805/11, 14786/11) " 18 RG n. 2840/2009 Co est. ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. Stefano ivieri

Pertanto si palesa errata in diritto la operazione ermeneutica compiuta dalla CTR che ha qualificato come carenza di un "elemento essenziale" dell'avviso, derivandone la rilevabilità ex officio del "vizio di nullità" dell'atto (secondo la previsione dell'art. 21 septies legge n. 241/1990), quello che, invece, deve ricondursi correttamente ad un "vizio di incompetenza", in quanto tale inficiante la legittimità dell'avviso di accertamento e deducibile in via esclusiva ad istanza del contribuente come "vizio di invalidità- annullabilità" dell'atto impositivo (non rilevabile di ufficio dal Giudice tributario), dovendo, altresì, escludersi che il "vizio di incompetenza" in questione -ex art. 42co1 Dpr n. 600/73- possa trasmodare nel vizio di nullità dell'atto amministrativo per "difetto assoluto di attribuzione", previsto dall'art. 21 septies della legge n. 241/1990, che la giurisprudenza amministrativa prevalente identifica con il vizio cd. di "incompetenza assoluta", ossia con la invasione di settori attribuiti ad altri poteri dello Stato ovvero con l'esercizio di poteri del tutto estranei alle attribuzioni della Pubblica Amministrazione che ha emanato l'atto. La "incompetenza assoluta" è, all'evidenza, figura di invalidità del tutto avulsa dalla fattispecie concreta oggetto del presente giudizio, atteso che nella specie gli atti impositivi trovano fondamento in norme di legge 1-che istituiscono la imposta e disciplinano la insorgenza della obbligazione tributaria al ricorrere dei presupposti specificamente indicati, e 2-che attribuiscono agli uffici della Amministrazione fmanziaria il relativo potere di accertamento impositivo. Ne segue che la questione decisa dal Giudice tributario favorevolmente al contribuente concerne l'illegittimo esercizio della potestà impositiva per essere stata azionata la pretesa fiscale dalla PA in violazione della norma di legge sulla distribuzione della competenza di cui all'art. 42, comma 1, Dpr n. 600/1973, e non la assoluta carenza di potere impositivo della Amministrazione finanziaria, neppure nella diversa forma della "carenza di potere in concreto" (che postula un vizio dell'atto "rappresentato dalla carenza di potere dell'autorità che ha emanato l'atto, ed è quindi estraneo all'area di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, non sostanziando una domanda di annullamento, ma di nullità radicale e/o di inesistenza del provvedimento": cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 22492 del 19/10/2006), atteso che tale figura va riferita "stricto sensu" alla originaria mancanza dei presupposti esterni (agli elementi costitutivi dell'atto amministrativo) ai quali la norma di legge condiziona espressamente, non solo l'esercizio, ma la stessa attribuzione del potere alla PA, ipotesi del tutto diversa da quella oggetto del presente giudizio

. §.4 La questione sottoposta all'esame del Collegio deve, pertanto, essere risolta alla stregua del seguente principio di diritto : "Alla sanzione della "nullità" comminata dall'art. 42, comma 3, Dpr n. 600/1973 all'avviso di accertamento privo di sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione di cui al precedente comma 2, o ad al quale non risulti allegata la documentazione non anteriormente conosciuta dal contribuente, al pari delle altre norme che prevedono analoghe ipotesi di "nullità" degli atti tributari nelle diverse discipline d'imposta, non è direttamente applicabile il regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di "nullità" dell'atto amministrativo -che hanno trovato riconoscimento positivo nell'art. 21 septies della legge n. 241/1990 e sistemazione processuale nell'art. 31, comma 4, del Dlgs 2 luglio 2010 n. 104 (CPA) nell'autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza, e nella attribuzione del potere di rilevazione "ex officio" da parte del Giudice amministrativo-, atteso che l'ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di "species ad genus", potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate o non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativo di diritto amministrativo, la scelta operata dal Legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, di ricomprendett nella categoria unitaria della "nullità tributaria" indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell'atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui all'art. 21 Dlgs n. 546/1992, in difetto del quale il provvedimento tributario -pure se affetto da vizio "nullità"- si consolida, divenendo definitivo e legittimando l'Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta. Consegue che si pone in oggettivo conflitto con il sistema normativo tributario l'affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell'atto impositivo affetto da "nullità", tale vizio possa comunque essere fatto valere per la prima volta dal contribuente con la impugnazione dell'atto conseguenziale, ovvero che, emergendo il vizio dagli stessi atti processuali, possa, comunque, essere rilevato di ufficio dal Giudice tributario, anche in difetto di norma di legge che attribuisca espressamente tale potere". §.5 Pertanto deve essere dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo della società contribuente proposto avverso la cartella di pagamento con il quale si è fatto valere il vizio di "nullità" -per mancanza degli elementi essenziali- degli avvisi di accertamento presupposti, divenuti definitivi per omessa tempestiva impugnazione. L'accoglimento del ricorso, relativamente ai motivi quarto e quinto, rende superfluo l'esame del terzo motivo determinandone l'assorbimento. §.6 In conclusione il ricorso trova accoglimento, quanto al quarto e quinto motivo, dichiaratch inammissibiht il prim o Ivo e assorbito il terzo motivo. La sentenza impugnata deve, in conseguenza, essere cassata senza rinvio, potendo la causa, in difetto di ulteriore necessaria attività istruttoria, essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384co2 c.p.c. con la inammissibilità del ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Segue la condanna della società soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo, compensate quelle dei gradi di merito. La Corte : 21 RG n. 2840/2009 ric. Ag.Entrate cNalli di Sole Pejo e Rabbi s.p.a. - accoglie il ricorso, relativamente al quarto e quinto motivo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara inammissibile il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente che condanna alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 8.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito, compensate le spese relative ai gradi di merito Così deciso nella camera di consiglio 16.2.2015

 

 

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