In tema di spese degli enti locali effettuate senza il rispetto delle condizioni di cui all'art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, il rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, si costituisce direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, determinando l'impossibilità di esperire nei confronti del Comune l'azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà. Il princio è confermato dalla corte di cassazione con sentenza n.23503 / 2015 del 24/09/2015 (conforme: cass 10798 del 26.05.2015 e  Cass. n. 17550 del 29/07/2009).

 

L'art. 191 c.4 del DLgs. 267/2000 stabilisce che "Nel caso in cui vi e' stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione dell'obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni".La citata disposizione riproduce senza sostanziali modifiche l'art 23, commi 3 e 4, del DL 2 marzo 1989, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, che è stato successivamente sostituito senza sotanziali modifiche dall'art. 35 d.lgs. n. 77 del 1995.

Anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 23 commi 3 e 4, del DL 2 marzo 1989, n. 66  si riteneva esperibile l'azione di indebito arricchimento direttamente nei confronti della PA (Cass. 26 giugno 2012 n. 10636, cass 11 maggio 2007 n. 19572).

Con l'entrata in vigore della citata disposizione l'azione di indebito arricchimento nei confronti della PA non risulta direttamente nei confronti della PA stante il requisito della sussidiarietà dell'azione imposto dall'art. 2042 c.c., in base al quale "L'azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito". Conseguentemente l'azione di ingiustificato arricchimento - in particolare - stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo quindi dalla previsione del suo esito, possa esercitare un'altra azione, per farsi indennizzare il pregiudizio subito
Il carattere sussidiario dell'azione di indebito arricchimento - previsto dall'art. 2042 cc - comporta che tale azione non puo' essere promossa non solo quando sussista un'altra azione tipica proponibile dal danneggiato dei confronti dell'arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un'azione sperimentabile contro persone diverse dall'arricchito, che siano obbiligate per legge o per contratto. Lo stesso requisito non è escluso dall'avere esperito, con esito negativo. altra azione tipica, qualora la relativa domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine, dell'azione stessa per difetto di titolo posto a suo fondamento. (Nella specie - contratto per la realizzazione di opere edili stipulato senza la osservanza delle formalità necessarie da un ente pubblico territoriale - il giudice del merito aveva rigettato l'azione di indebito arricchimento sul rilievo che la stessa era esclusa dalla possibilità, per l'esecutore delle opere, di agire ai sensi dell'art. 23 d.l. n. 66 del 1989 nei confronti degli amministratori dell'ente. Deducendo il ricorrente che in realtà in una tale eventualità il privato ha a propria disposizione due azioni, distinte e concorrenti, perché fondate su due differenti presupposti giuridici, la Suprema corte in applicazione del principio che precede ha disatteso la censura). (Corte di Cass. con sentenza n. 14939 del 2 settembre 2012)

 

La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili, trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico; e poiché il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.(cass. 10798 del 26.05.2015)

Sul punto è stato infatti rilevato un contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità: secondo l'orientamento prevalente, per l'utile esperimento dell'azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della P.A. occorre la prova non solo del fatto materiale consistente nell'esecuzione dell'opera o della prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma anche del cd. riconoscimento, espresso o tacito, che l'amministrazione interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole valutazione dell'utilità dell'opera, considerandoli rispondenti alle proprie finalità istituzionali. Conseguenza di tale ragionamento è che tale riconoscimento dell'utilitas non può che provenire da organi quanto meno rappresentativi dell'ente pubblico, unico legittimato ad esprimere il relativo giudizio.

Al contrario, un orientamento minoritario ma significativo e fondato su solide argomentazioni, offre invece spazi all'apprezzamento diretto da parte del giudice: secondo tale diversa interpretazione, il giudizio di utilità può essere compiuto anche dal giudice, che ha il potere di accertare se ed in quale misura l'opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione, con una conseguente maggiore tutela del diritto del privato ad essere indennizzato dell'impoverimento subito.

Le Sezioni Unite, a composizione di contrasto, hanno in primo luogo stabilito che il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A.: l'azione ex art. 2041 c.c. ha infatti una connotazione prevalentemente oggettivistica, fatta palese dall'impiego dei concetti materiali di "arricchimento" e diminuzione patrimoniale", senza richiamo alcuno al parametro soggettivistico dell'"utilità".

Ne consegue che ciò che il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare è il fatto oggettivo dell'arricchimento. E, ove il depauperato abbia fornito tale prova, si dovrà in seguito indagare non tanto se l'ente pubblico abbia riconosciuto l'arricchimento, quanto piuttosto "se sia stato almeno consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla". Nell'avvenuta utilizzazione della prestazione è infatti da ravvisare non tanto un atto di riconoscimento "difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi la proponibilità di un'azione ad una preventiva manifestazione di volontà del soggetto contro cui essa è diretta", quanto piuttosto un mero fatto dimostrativo dell'imputabilità giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in giudizio (v. sul punto Cass. n. 4198/1982).In conclusione, le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il seguente principio di diritto: "la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati nè spostamenti patrimoniale ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell'ente pubblico; e poichè il riconoscimento dell'utilità non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. deve provare – e il giudice accertare – il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole".

 

La Corte di cassazione richiamando consolidato orientamento (Cass. n. 15296 del 06/07/2007), ha chiarito che: in base agli artt. 16 e 17, r.d. n. 2440 del 1923, il contratto d'opera professionale stipulato con la P.A., pure se questa agisca "iure privatorum", deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto alcun profilo, poiché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti. L'osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell'organo dell'ente legittimato ad esprimerne la volontà all'esterno, nonché l'indicazione dell'oggetto della prestazione e l'entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti - quali, ad esempio, la delibera dell'organo collegiale dell'ente che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico, ovvero una missiva con la quale l'organo legittimato a rappresentare l'ente ne abbia comunicato al professionista l'adozione - ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell'accettazione da parte del medesimo professionista, poiché non è ammissibile la stipula mediante atti separati sottoscritti dall'organo che rappresenta l'ente e dal professionista, prevista esclusivamente per i contratti conclusi con imprese commerciali. corte di cassazione con sentenza n.23503 / 2015 del 24/09/2015

 

 

che esaminando la legittimità costituzionale del citato art. 23, quarto comma, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, ha ritenuto che «...l'Ente, nei limiti del suo arricchimento è tenuto all'indennizzo» ritenendo possibile per il terzo aggredire direttamente l'ente non già con azione contrattuale (esclusa legislativamente) ma utendo iuribus ex art. 2900 c.c. del funzionario. Testualmente: «sussistendo il rapporto contrattuale esclusivamente tra il terzo contraente ed il funzionario che ha autorizzato la spesa, se da una parte è vero che il terzo può jure proprio - esperire l'azione contrattuale solo nei confronti del funzionario per conseguire il corrispettivo della fornitura, è vero anche che quest'ultimo, mentre è esposto a subire nel proprio patrimonio il depauperamento provocato dall'esercizio, nei suoi confronti del diritto dell'altro contraente al conseguimento del prezzo, non ha per contro alcuna specifica azione per rivalersi nei confronti dell'ente nel cui patrimonio si è prodotto l'arricchimento. Da un lato, quindi sussistono in favore del funzionario le condizioni affinché egli possa esercitare l'azione ex art. 2041 c.c. verso l'ente nei limiti dell'arricchimento da questo perseguito, dall'altro, e per conseguenza, il contraente privato è legittimato utendo iuribus del funzionario suo debitore ad agire contro la P.A. - anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui - in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni quando il patrimonio del funzionario non offra adeguata garanzia». Dunque anche ad ammettere che della spesa risponda direttamente il soggetto che l'ha disposta non sembra revocabile in dubbio che questi a sua volta possa agire in via di rivalsa per l'indebito arricchimento conseguito dall'Amministrazione.Corte Costituzionale (sent. n. 446 del 18-24 ottobre 1995)

 

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corte di cassazione con sentenza n.23503 / 2015 del 24/09/2015

(cass. 10798 del 26.05.2015)