LA RESPONSABILITA' DEL PROFESSIONISTA SANITARIO PER IL DANNO DA 'NASCITA MALFORMATA'

1. La dottrina è solita ricondurre alle categorie della ‘nascita non desiderata’ o del ‘danno del bambino’ una serie di ipotesi eterogenee nelle quali l’evento dannoso è ravvisato ora nella nascita non desiderata, ora nella lesione dell’integrità psico-fisica del nascituro; in quest’ultimo caso si è parlato di DANNO PRENATALE, DANNO DA PROCREAZIONE, DANNO AL FETO e di DANNO DA NASCITA MALFORMATA, come causa di un’esistenza diversamente abile, proprio perché il rimedio risarcitorio non ha ad oggetto la nascita contro volontà, bensì l’invalidità provocata da una condotta commissiva del medico e/o dalla violazione degli obblighi di informazione.
Es. -> Qualora il medico leda il feto nel corso di erronei interventi ostetrici o di interruzione della gravidanza, egli dovrà risarcire integralmente i danni arrecati al fanciullo che, una volta nato, sia affetto da un handicap permanente.

Per principio, in Francia ogni medico è responsabile solo quand una (cattiva) condotta possa essere dimostrata a suo carico (quindi una condotta contraria alle obbligazioni della sua professione). Tuttavia, se accetta di praticare un’interruzione della gravidanza, non avvalendosi dell’obiezione di coscienza che gli permette di rifiutare l’esecuzione di tale intervento, dovrà essere giudicato responsabile nel momento in cui la sua condotta negligente, imprudente e/o imperita sia in RAPPORTO DI CAUSALITA’ con l’evento dannoso. Il medico sarà tenuto a risarcire al soggetto nato handicappato i danni: biologico, patrimoniale, morale e/o esistenziale.
Questa regola è affermata sia in Francia che in Italia.

2. Come detto, convinzione francese e italiana è che, essendo la responsabilità del medico basata su condotte commissive e su obblighi d’informazione, ed essendo l’obbligazione del medico un’obbligazione di risultato, è sufficiente a configurare un inadempimento anche solo l’omessa o erronea trasmissione al paziente delle info che sono in possesso del professionista sanitario.
Nonostante ciò, la giurisprudenza prevalente, nel caso in cui l’inadempimento del medico provochi una nascita, sì indesiderata, ma di un bimbo sano, considera il danno non risarcibile: un problema risarcitorio potrebbe porsi nei confronti dei genitori che, per effetto dell’inadempimento del medico, sono costretti a generare un figlio non voluto.
In Francia, al problema è stata data una soluzione negativa, in quanto la vita è considerata una cd. ‘res inaestimabilis’; in Italia, tale soluzione trova una certa concordanza: la Cassazione ha stabilito che il risarcimento dei danni può essere riconosciuto alla donna non per il semplice inadempimento del professionista sanitario, ma solo qualora sia stato positivamente accertato che tale patto abbia messo in pericolo o abbia inciso negativamente sulla salute della donna.
La situazione patrimoniale della madre non rientrerebbe nella tutela della norma, ma sarebbe utile a giustificare l’interruzione della gravidanza, ove dalla stessa possano sorgere pericoli per la salute della donna.
Parte della giurisprudenza italiana di merito, invece, si è allineata all’orientamento delle corti tedesche che hanno affermato la RISARCIBILITA’ DEI DANNI PATRIMONIALI subiti dalla coppia per la NASCITA IN CONTRASTO CON IL PIANO FAMILIARE, sempre nel caso di erronei interventi di sterilizzazione o di interruzione della gravidanza.
La soluzione negativa adottata in Francia pure è stata giudicata legittima, anche se riposa su un giudizio di valore, di natura puramente morale, in quanto non è stato considerato degno di protezione giuridica l’interesse della donna ad evitare gli oneri di una maternità normale.
In ogni caso, se è vero che la responsabilità del medico nei confronti del paziente è di natura contrattuale, la condotta negligente, imprudente e/o imperita, che si concreti in un fallito intervento di sterilizzazione o di aborto, oltre che nella conseguente violazione degli obblighi d’informazione, dovrebbe LEGITTIMARE LA RIPARAZIONE DEI DANNI PATRIMONIALI E NON arrecati ai genitori contro volontà, sulla base della SUSSISTENZA DEL RAPPORTO DI CAUSALITA’.

3. In Francia, la soluzione contraria alla risarcibilità della nascita indesiderata implica una regola giurisprudenziale opposta, allorché sussistano ‘circostanze o situazioni particolari’ o ‘ sofferenze morali che vengono ad aggiungersi agli oneri normali della maternità’: in questi casi non è la nascita a costituire il danno, ma una SOFFERENZA SPECIFICA INFLITTA ALLA MADRE IN OCCASIONE DI QUESTA NASCITA (cd. DANNO PARTICOLARE).
N.B.: non sembra possibile limitare le circostanze particolari alle sole ipotesi di nascita di un figlio handicappato: nel corso di una gravidanza provocata a seguito di incesto o di una violenza sessuale, la madre e il figlio potranno agire autonomamente per il risarcimento dei danni contro l’autore della condotta; la donna, però, potrà agire anche avverso il medico che, con la sua condotta, non le abbia consentito di interrompere la gravidanza: QUI SI TRATTA DI RISARCIRE NON LA NASCITA DI UN FIGLIO INDESIDERATO, BENSI’ IL ‘DANNO PARTICOLARE’ SOFFERTO DALLA MADRE.

La giurisprudenza civile d’appello, nel dichiarare l’assenza del rapporto causale tra la condotta del medico e il danno prenatale subito dal bambino nato malformato, ha LIMITATO IL RISARCIMENTO AL SOLO PREGIUDIZIO MORALE DA PERDITA DI CHANCES PATITO DALLA MADRE, considerando risarcibili le mere ‘sofferenze subite da essa a causa della constatazione quotidiana degli handicap del figlio’.
Tale orientamento è stato rettificato dal Consiglio di Stato, che ha stabilito che: i danni vengono risarciti ad entrambi i genitori; devono essere riparati integralmente (e quindi non limitati alla sola perdita di chances); oggetto del risarcimento deve essere non solo il danno morale, ma anche quello materiale. Tale soluzione è accolta anche in Italia.
Tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza si sono susseguite varie tesi volte a stabilire che l’interesse protetto dalla norma, e quindi rilevante ai fini del risarcimento, è solo la SALUTE DELLA DONNA: la Suprema Corte le ha corrette, ribadendo la responsabilità del medico nei confronti sia della madre che del padre, attraverso una implicita applicazione del contratto con effetti protettivi per i terzi.
Dunque, il risarcimento non deve avere ad oggetto solo i danni alla salute, in senso stretto, subiti dalla donna e dal marito, ma anche gli ULTERIORI PREGIUDIZI patiti da entrambi i coniugi: oltre ai danni patrimoniali (consistenti: negli oneri di mantenimento ed educazione del figlio handicappato, nel rimborso delle spese mediche che hanno già sopportato e di quelle che dovranno essere sopportate in futuro; nella diminuzione di reddito derivante dalla limitazione del tempo da dedicare all’attività professionale e alla vita di relazione), dovranno essere riparati anche i danni morali e/o esistenziali.
Con due decisioni del 1996, la Suprema Corte ha ribaltato l’orientamento delle Corti di merito e del CdS, contrario a riconoscere la risarcibilità del danno prenatale direttamente al fanciullo: rinvia il processo innanzi alla Corte d’appello d’Orléans, la quale, invece di seguire l’orientamento indicato dalla Cassazione, si allinea nuovamente all’indirizzo delle altre Corti del merito, decidendo che il fanciullo non abbia subito un pregiudizio risarcibile in relazione di causalità con la condotta del medico.
Il caso fu, poi, sottoposto alla decisione sovrana dell’Assemblée Prénière, la quale ribaltò la sentenza d’appello, rilevando che la condotta commissiva del medico e del laboratorio, nell’esecuzione dei contratti stipulati con la madre, avevano impedito di esercitare la sua scelta d’interrompere la gravidanza al fine di evitare la nascita di un bambino affetto da handicap, e quindi quest’ultimo può CHIEDERE IL RISARCIMENTO DEL DANNO RISULTANTE DALL’HANDICAP E CAUSATO DALLE CONDOTTE.

4. Tale deliberazione ha suscitato clamore nella dottrina francese e nella stessa esperienza italiana, la quale non conosceva alcun caso che potesse essere considerato analogo all’ ‘arret Perruche’ (Caso Perruche deliberato dall’assemblea Plenaria della Cassazione, ha sancito il cd. ‘diritto a non nascere’, prevedendo risarcimento al giovane afflitto da menomazioni, stabilendo il nesso di causalità diretta tra queste ultime e la condotta del medico, che avrebbe impedito alla madre di optare per il ricorso all’aborto).
Tuttavia, nel luglio 2004 la Cassazione (italiana) ha avuto modo, per la prima volta, di pronunciarsi sulla questione, muovendosi in senso opposto alla soluzione data dall’arret Perruche: il medico non poteva essere responsabile direttamente nei confronti del neonato per i danni, patrimoniali e non, conseguenti al suo inadempimento.
Quest’indirizzo aveva sollevato molteplici perplessità, in quanto non erano state date argomentazioni convincenti: l’alternativa non riguardava il nascere sano o il non nascere (come, invece, si evinceva dall’arret Perruche), bensì il nascere sano o il nascere malato.
La Suprema Corte, infatti, ribadisce che, nel caso di omessa o erronea informazione del medico, vi è responsabilità del professionista sanitario nei confronti di entrambi i genitori per i gravi danni, sia patrimoniali che biologici, patiti a seguito della nascita di un figlio malformato. Tuttavia, se si ammette che il contratto tra gestante e ginecologo è un contratto con effetti protettivi a favore dei terzi, la Cassazione non riusciva a spiegare in maniera convincente per quale motivo doveva essere considerato ‘terzo protetto’ solo il coniuge della donna e non anche il minore (che è il soggetto direttamente interessato dalla malformazione), se è vero che è soprattutto l’interesse della gestante alla tutela del neonato a rilevare in funzione dell’estensione degli effetti di protezione.
Essa tentava di giustificare il fatto affermando che pur inserendo il concepito nella protezione del contratto, posto che le conseguenze della prestazione medica finiscono per riflettersi inevitabilmente sul concepito stesso, il dovere di protezione sul nascituro, se malformato, attiene alla nascita, e non alla non nascita: la Cassazione escludeva, così, il neonato dall’estensione dell’effetto di protezione, sulla base di una valutazione espressa in termini di NON INGIUSTIZIA DEL DANNO (art. 2043 c.c.).
La Cassazione conclude che la tutela dell’individuo, che con la nascita acquista la personalità giuridica, nella fase prenatale è limitata alle lesioni imputabili ai comportamenti colposi dei sanitari, ma non si estende alle situazioni ove, ad es., a carico del medico la corte di merito ha accertato non errori diagnostici o terapeutici, ma la mancata informazione ai genitori e indicazioni sulla cartella clinica di malformazioni a lui non imputabili: il nascituro malformato, in quanto non destinatario del diritto all’informazione, non avrebbe diritto ad un risarcimento autonomo rispetto a quello dei genitori.
La Corte, però, non aveva esaminato l’unico problema giuridico pertinente, cioè quello della CAUSALITA’; avrebbe, infatti, dovuto valutare la PROPAGAZIONE INTERSOGGETTIVA delle conseguenze di un medesimo fatto illecito: accertata l’esistenza del nesso eziologico tra la condotta negligente del professionista (violazione degli obblighi d’informazione) e il danno procurato alla gestante, non avrebbe ricollegato al mancato esercizio della facoltà di autodeterminarsi della gestante anche il DANNO ESISTENZIALE patito dal nato malformato, potendosi, per questo, applicare la costante interpretazione dell’art. 1223 c.c., secondo cui la risarcibilità deve essere estesa ai danni mediati e indiretti, purché costituiscano effetti normali del fatto illecito.
Dunque, pur escludendo l’applicazione del contratto con effetti protettivi per i terzi (e, quindi, l’estensione della responsabilità contrattuale nei riguardi del neonato), l’inadempimento degli obblighi d’informazione nei riguardi della madre o dei genitori rappresenta un fatto illecito che, laddove avesse causato un danno a terzi, obbligava il danneggiante al risarcimento ai sensi della responsabilità delittuale.

5. La Cassazione italiana, non avendo esaminato i problemi di causalità, aveva posto a fondamento della sua decisione un’unica argomentazione secondo la quale il medico sarebbe stato giudicato responsabile per il fatto di aver impedito, con la sua condotta colposa, alla madre di optare nel senso della morte di suo figlio, sulla base dell’affaire Perruche.
Parte della dottrina francese aveva messo alla gogna tale decisione, sulla base di considerazioni di ordine più etico che giuridico, accusandola di avere sancito un vero e proprio dovere all’aborto, fondato sulla cd. ‘eutanasia prenatale’.
Se si guarda, invece, ai sentimenti che il bambino avrebbe potuto avvertire se fosse nato (nel caso, ovviamente, di aborto o mancata procreazione a causa di danni al feto), negativi o positivi che siano, si può notare che le scelte della madre non vanno più a costituire un dovere verso il bambino, ma un diritto o, meglio, una libertà concessa e garantita alla madre, da parte dell’ordinamento, in presenza di determinate condizioni. E, dunque, se la decisione di non generare un bambino handicappato rappresenta una libertà, l’interruzione della gravidanza in Francia potrebbe essere praticata in ogni momento, se i medici attestano che la prosecuzione della gestazione mette in grave pericolo la salute della donna, o che esiste una notevole probabilità che il nascituro sia affetto da una malattia di particolare gravità, riconosciuta come incurabile al momento della diagnosi.
Nella disciplina italiana la situazione è più articolata: mentre nei primi novanta giorni la malformazione del nascituro agisce come ‘previsione’ di pericolo per la salute della gestante, e la decisione è interamente rimessa alla libertà di quest’ultima, dopo tale periodo l’interruzione della gravidanza sarebbe consentito solo se vi sia pericolo per la salute psico-fisica, o comunque per la vita della donna; qualora il medico non adempia ai suoi obblighi di informazione in un periodo successivo ai primi novanta giorni, per verificare se vi è stata lesione del diritto ad interrompere la gravidanza occorrerà accertare se l’info delle gravi malformazioni del feto avrebbe determinato detto processo patologico nella gestante.
Questa disciplina è stata oggetto di un’interpretazione della Cassazione con la sent. N.6735/2002: in realtà, siccome il processo patologico, che può interessare anche soltanto la salute psichica, nella gestante può derivare dal fatto di sapere se suo figlio presenta anomalie e malformazioni, non si tratterebbe di stabilire se la donna può esercitare il suo diritto di interrompere la gravidanza, ma di stabilire se avrebbe potuto farlo se fosse stata informata sulle condizioni del nascituro, così da evitare l’insorgenza di problemi alla gestante stessa.
In entrambi gli ordinamenti, comunque, la madre assurge ad unico giudice della sua decisione (neanche il padre può contestare questa scelta): il ricorso allo strumento dell’aborto costituisce, infatti, una libertà inalienabile e strettamente personale della donna, e quindi anche il solo fatto che un medico abbia colposamente impedito di esercitare una libertà offerta dalla legge, è sufficiente a costituire un danno.
Posto che alla madre è offerta questa libertà, la questione si sposta sul riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti da inadempimento del medico, oltre che ai genitori, anche al soggetto nato malformato: l’Assembléè plénière ha esteso, infatti, il risarcimento dei danni anche al minore, in quanto è il soggetto condannato a vivere cin le gravi lesioni invalidanti che non gli consentiranno, nella maggior parte dei casi almeno, di poter condurre un’esistenza autosufficiente.
E’ necessario, ora, esaminare le ulteriori obiezioni che si opporrebbero all’accoglimento di tale soluzione.

6. Riconoscere (come propongono la giurisprudenza francese ed italiana) che entrambi i genitori subiscano un danno patrimoniale, biologico, morale e/o esistenziale risarcibile, significa ammettere la riparazione di un cd. ‘dommage par ricochet’ (danno riflesso) senza che sia considerato risarcibile il pregiudizio alla vittima diretta. Ma, visto che non può esservi un danno riflesso senza un danno diretto, il riconoscimento dell’esistenza del danno dei genitori indica necessariamente quello del bambino.
Tuttavia, queste considerazioni sono state poste a critiche:
a) Innanzitutto, si è affermato che se il danno risarcito è l’handicap in sé, si potrebbe dubitare del fatto che i genitori siano vittime di riflesso: ciò sarebbe impossibile quantomeno per quanto riguarda la materialità del danno, al massimo il danno patito dai genitori sarebbe qualificabile come danno morale (oltre che patrimoniale);
b) La riparazione del danno riflesso non postula inevitabilmente quella del danno diretto: molti danni riflessi derivano dalla morte della vittima diretta, e la Cassazione non ammette più che gli eredi possano domandare, in nome della vittima stessa, il risarcimento del danno che è causato dalla sua morte, quindi si può essere vittima di rifletto di un danno irrisarcibile.
c) In ultimo, si rileva che i genitori si dolgono per la privazione del diritto di decidere se il figlio dovesse accedere alla vita: il loro pregiudizio è di natura specifica, e non riflessa, anche se si estende di riflesso ai danni che saranno loro causati dalla vita del bambino. Con ciò si nega nuovamente che il danno patito dai genitori sia riflesso, anche se si ammette che esso sia la conseguenza del danno subito dal minore.

7. Siccome il contratto medico è, di regola, concluso con il paziente, il professionista sanitario è tenuto agli obblighi di informazione soltanto nei confronti della madre, mentre il nascituro rivestirebbe una posizione di ‘terzo’ rispetto a tale contratto. L’Assemblée Plénière ha considerato, infatti, il fatto dell’inadempimento come una condotta colposa che genera, nei confronti dei genitori, una responsabilità contrattuale e, nei riguardi del bambino, una responsabilità delittuale.
In realtà, la più recente giurisprudenza di legittimità è orientata a riconoscere l’opponibilità dei contratti nei confronti dei terzi, considerandoli legittimati a invocare la loro esecuzione difettosa allorché abbiano causato ad essi un danno, senza che sia necessario apportare altre prove: l’estensione del regime della responsabilità conrattuale nei confronti del fanciullo avrebbe trovato fondamento nel fatto che le informazioni che avrebbero dovuto essere comunicate alla madre sullo stato di salute del nascituro, concernevano anche necessariamente quest’ultimo, il quale quindi è autorizzato a dolersi, una volta nato, del fatto che esse siano state incomplete o erronee.
Il diritto francese, però, si distacca comunque dall’estendere la responsabilità contrattuale al neonato, e infatti ha preferito ricorrere al principio secondo il quale la riparazione del danno, nel momento in cui l’inadempimento causa pregiudizio a terzi, dovrà essere effettuata secondo la disciplina applicabile in materia di responsabilità delittuale, e non limitata alle stipulazioni contrattuali, in modo tale da ottenere il medesimo risultato ma con una diversa disciplina applicabile.
La nostra giurisprudenza, invece, ha scelto anche il percorso del contratto con effetti protettivi per i terzi, per cui, quando vi è concorso di responsabilità (nel senso che c’è la possibilità di avvalersi di entrambi i regimi) viene affidato al giudice il compito di valutare qual è il regime di responsabilità di cui il danneggiato possa avvalersi.
In un importante leading case, la Cassazione ha affermato che in caso di inadempimento della prestazione accessoria può agire, non solo la controparte, ma anche e soprattutto il soggetto (terzo) a protezione del quale è posta la previsione, che nella situazione in questione è il nato (non il nascituro); dunque, il nascituro, una volta nato, può agire autonomamente per ottenere il risarcimento integrale dei danni.
Ciò che va risarcito al minore, oltre il danno psico-fisico (consistente nella percentuale di invalidità permanente), e le spese che egli dovrà affrontare per tutta la vita a causa del suo handicap, è anche il danno morale e/o esistenziale. La riparazione del danno può essere liquidata direttamente al fanciullo poiché, in caso di abbandono successivo, di separazione tra i coniugi o di premorienza dei genitori, egli sarà comunque autosufficiente dal punto di vista economico. Inoltre, in caso di cattiva amministrazione, da parte dei genitori, del danaro allocato al minore, sarà possibile ricorrere agli istituti che il diritto civile pone a protezione dei suoi interessi patrimoniali.
Tuttavia, siccome il danno patito dal fanciullo è stato ritenuto omnicomprensivo di tutte le conseguenze patrimoniali, biologiche, morali ed esistenziali derivanti dall’handicap, per evitare una duplicazione di risarcimenti è opportuno limitare il pregiudizio subito dai genitori ai soli danni morale e/o esistenziale ‘par ricochet’.

8. Nel momento in cui la condotta del professionista assuma natura contrattuale, è lo stesso inadempimento che, sulla base dell’effetto protettivo verso i terzi, giustifica il risarcimento integrale del danno al minore, e tutte le conseguenze patrimoniali e non che ad esso sono collegate in maniera immediata e diretta.
Il problema, invece, sorge in quegli ordinamenti che qualificano la responsabilità del medico come delittuale.
Sia la giurisprudenza del CdS e delle Corti d’Appello, sia gli autori che avevano contestato la decisione dell’Assemblée Plénière, avevano affermato l’ASSENZA del nesso eziologico tra l’inadempimento e il danno, in quanto la causa dell’handicap risiederebbe nel patrimonio genetico dei genitori. Tuttavia, limitare il problema della causalità alle leggi della biologia, senza applicare un criterio eziologico di tipo giuridico, al fine di negare che sussista un danno, vorrebbe dire negare l’evidenza.
Inoltre, se si adottava una linea di ‘biologisation du droit’ nei confronti del danno subito dal minore, questa stessa prospettiva doveva essere seguita anche per il danno subito dai genitori, in quanto il danno trovava la medesima causa biologica nella malattia trasmessa in utero dalla madre.
Il problema del nesso causale doveva essere riguardato sotto il profilo non biologico, ma giuridico (ad es. nel caso di contagio, non vi è dubbio che la causa biologica risieda nel virus HIV o epatiti B o C; tuttavia, sulla base di un criterio di causalità giuridica, la responsabilità va comunque imputata al soggetto che ha reso possibile il contagio con la sua omissione colposa).
Inoltre, in ambito di responsabilità medica, più che in altri campi, il nesso eziologico opera in maniera peculiare: mentre, in altre ipotesi appunto, senza l’atto o il comportamento anormale di una persona un certo danno avrebbe potuto essere evitato, in questo campo il paziente è già coinvolto nella malattia, che gli causa un danno, per cui i medici hanno come compito quello di interrompere il corso della malattia stessa attraverso le loro cure; quindi, da quanto si evince, siccome il medico non è esattamente la causa efficiente della malattia, qualora egli avrà commesso un errore di diagnosi o di trattamento nella cura del paziente, ne sarà responsabile e la sua condotta deve essere considerata come quella che ha ‘causato’ il danno (nel senso giuridico del termine), cioè la malattia e le sue conseguenze. Si può dire, dunque, che è sufficiente che la CONDOTTA DEL MEDICO sia stata UNA DELLE CONDIZIONI che hanno reso possibile il sopravvenire del danno, o anche il suo non venir meno.
Posizione analoga è stata assunta dalla giurisprudenza italiana: è causa penalmente rilevante (anche se ciò si applica anche alla resp. civile) la condotta umana, attiva o commissiva, che si pone come condizione necessaria nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato. Il che nel diritto civile, in specie nel caso che ci riguarda, sta a significare che la violazione degli obblighi di informazione è condizione necessaria di un processo causale che, in assenza di fatti interruttivi, si conclude con il danno subito dal fanciullo per il fatto colposo del medico, impedendo peraltro alla madre di esercitare la sua scelta di interrompere la gravidanza al fine di evitare la nascita di un bambino affetto da handicap.

9. Il vero problema, piuttosto, sarebbe consistito nel fatto che il DANNO patito dal fanciullo NON FOSSE RISARCIBILE per la MANCANZA DI UN INTERESSE GIURIDICAMENTE RILEVANTE, in quanto, secondo alcuni ordinamenti (esclusi, come abbiamo visto, quello francese e italiano), un risarcimento sarebbe LESIVO DEL VALORE DELLA DIGNITA’ UMANA.
A contrastare la precedente teoria, un intervento di Pierre Sargos (presidente di camera alla corte di cassazione), il quale affermò che è proprio nella riparazione delle sofferenze della persona che consiste il rispetto della vita umana, e non nel rifiuto di essa, in quanto consentirà al fanciullo di vivere, materialmente parlando, nelle condizioni più conformi alla dignità umana.
In merito all’ulteriore rilievo per cui vi è mancanza di un interesse giuridicamente rilevante, vi è da dire che tale problematica è fuori luogo, perché, se è vero che il fatto colposo è stato commesso prima, il danno appare effettivamente solamente una volta che il bambino è venuto ad esistenza.
Tuttavia, il dibattito sollevato dall’affaire Perruche ha trovato il suo epilogo in un intervento del legislatore francese che, se pure intitolato ‘ai diritti dei malati e alla qualità del sistema della salute’, verrà ricordato come ‘legge anti-Perruche’: la sentenza Perruche, infatti, scatenò le reazioni di molte associazioni di portatori di handicap, i cui membri si sentivano trattati come persone per le quali sarebbe stato meglio non nascere per cui, sull’onda delle loro proteste, fu presentata al Parlamento tale legge, con la proibizione di chiedere un indennizzo in base al pregiudizio di essere nato. Tale intervento è comunque ritenuto poco chiaro, in quanto vi è un contrasto interno tra i commi 2 e 3 dell’art. 1 che, rispettivamente, vietano e (pare) permettono l’azione proposta dal fanciullo per il risarcimento.

10. L’esperienza italiana non ha mai conosciuto uno specifico intervento legislativo anti-Perruche.
Secondo un orientamento giurisprudenziale anteriore alla decisione dell’Assemblée Plénière (risarcibilità del danno prenatale patito dal minore e di quello esistenziale e/o morale par ricochet subito dai genitori), se vi fossero stati dubbi in merito alla decisione che avrebbe assunto la madre, qualora correttamente informata, il danno andava comunque risarcito come PERDITA DI CHANCES. In realtà, il sapere cosa avrebbe deciso la donna non sarebbe qualificabile come perdita di chances, in quanto le probabilità di verificazione dell’evento sarebbero dipese dalla sua esclusiva volontà.
Facciamo due esempi: nel caso di un normale intervento chirurgico, in assenza della prova che il paziente avrebbe deciso di rifiutare l’operazione, se egli fosse stato debitamente informato sui rischi ‘eccezionali’ che l’operazione stessa avrebbe potuto comportare, la giurisprudenza ha considerato la ‘necessità’ dell’intervento come un indice abbastanza sicuro di una probabile accettazione; nel caso, invece, del danno da nascita malformata, la presunzione opera in senso contrario, poiché è la stessa legge sull’interruzione della gravidanza che, consentendo l’interruzione della gravidanza in casi nei quali sia necessario tutelare la salute della gestante, induce a presumere che la donna avrebbe optato per l’aborto, se fosse stata correttamente informata.
Secondo la Cassazione italiana, già il fatto che la gestante si rivolge al professionista per esami volti a conoscere se il feto presenta malformazioni o anomalie, può costituire un segno di un comportamento orientato nel senso di rifiutare di portare a termina la gravidanza.

11. Il controverso orientamento della Cassazione in tema di danno prenatale (sent. n. 14488/2004 – vedi caso talassemia) ha indotto la stessa a tornare reiteratamente sul problema.
Una pronuncia del 2009 aveva, infatti, condannato sia la struttura sanitaria che i medici al pagamento di una considerevole cifra a favore dei coniugi nella qualità di legali rappresentanti del fanciullo, e di somme assai più contenute a titolo di risarcimento dei danni subiti iure proprio dai genitori (era il caso della nascita di un bambino malformato a seguito della prescrizione, da parte dei medici alla madre, di una terapia contro la sterilità, che prevedeva la somministrazione di farmaci potenzialmente teratogeni, senza ovviamente informarla). Tale sentenza è importante in quanto aveva dichiarato la responsabilità dei convenuti direttamente nei confronti del minore, sulla base della lesione al suo diritto a nascere sano.
La Cassazione, però, intendeva distinguere il caso esaminato, giudicato sulla base del ‘diritto a nascere sano’, da quelli già decisi sulla base dell’inesistenza del fanciullo ‘a non nascere se non sano’: l’idea del non nascere se non sano, infatti, evoca l’istituto dell’interruzione della gravidanza, e la decisione della Cassazione andava intesa nel senso che il neonato non avrebbe avuto diritto al risarcimento qualora la madre avrebbe avuto bisogno del consenso informato al solo scopo di interrompere la gestazione (e non della mera prescrizione di farmaci, in quanto non è configurabile in ogni caso il diritto a non nascere se non sano. Però, è da rilevare che se l’info è stata richiesta dai genitori prima di procedere al concepimento, l’erronea mancata diagnosi di una malattia genetica priva i genitori della scelta di autodeterminarsi sulla decisione di non generare.
In entrambi i casi (2004 e 2009) si chiedeva un risarcimento del danno biologico a favore del fanciullo, sulla base della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e quella da ‘contatto sociale’ del medico, per l’inadempimento di un’obbligazione d’informazione. Però, la differenza tra i due è che, nel caso del 2004, vi era la sussistenza di una malattia genetica, mentre nell’altra ipotesi vi era la somministrazione di farmaci che, in base ad una percentuale probabilistica, avrebbero potuto comportare effetti teratogeni: la condotta illecita non può essere ravvisata nella legittima somministrazione di farmaci per il solo fatto di essere potenzialmente teratogeni, ma doveva essere individuata nell’omissione delle informazioni circa i possibili effetti nocivi del trattamento.
Sulla nuova soluzione accolta dalla Cassazione probabilmente pesava una precedente sentenza del 2008, che aveva ulteriormente aggravato le responsabilità della struttura sanitaria e del medico; in particolare, veniva evidenziato che la prestazione sanitaria passava dall’essere un’obbligazione di mezzo ad una di risultato, segnando il passaggio da una responsabilità per colpa ad una oggettiva, in quanto è solamente con la dimostrazione del caso fortuito o della forza maggiore che si può interrompere il nesso causale.

12. La Cassazione ha proceduto, così, all’overruling (abrogazione del precedente) delle precedenti decisioni (quelle che appoggiavano l’anti-Perruche), e ha sottoposto a critiche le argomentazioni addotte nella sentenza del 2004.
In primis, il ricorso al contratto con effetti protettivi per i terzi, al fine di estendere la responsabilità al solo coniuge della donna, indebolisce la soluzione del diniego della pretesa fatta valere dai genitori a nome della figlia, in quanto quest’ultima a maggior ragione doveva ritenersi inclusa nella cerchia dei terzi danneggiati, essendo il padre non legittimato ad intervenire sull’interruzione della gestazione (anche se comunque viene protetto dal contratto). In questo modo, il fatto del diritto a non nascere se non sano è considerato il ‘male minore’ in quanto elusivo del problema più grave: la questione non consisterebbe nell’affermare o nel negare diritti di nascere o di morire, e neppure di valutare quanto valga il non essere rispetto all’essere, ma soltanto l’handicap.
Per la prima volta, il giudice di legittimità si è spinto a valutare l’incidenza della nascita di un bambino in condizioni menomate sul piano dell’esistenza dell’intera famiglia, e non più solo della coppia, riconoscendo un autonomo diritto al risarcimento anche al soggetto affetto dalla malattia, diretto protagonista della vicenda, per il tramite del suo rappresentante legale.
Infine si può dire che, siccome la lesione inferta al concepito si manifesta e diviene attuale al momento della nascita, per cui la situazione soggettiva tutelata è il diritto alla salute, non quello a nascere sano, e quindi oggetto della pretesa risarcitoria sul piano morfologico è quello della nascita malformata, mentre su quello funzionale (cioè sullo svolgimento della vita quotidiana) è il perdurante e non recuperante stato di infermità.

13. In realtà, l’indiscussa rilevanza del concepito nel nostro ordinamento si sostanzia nel riconoscimento della sua qualità di OGGETTO SPECIALE DI TUTELA (a prescindere dal fatto che possa essere considerato soggetto di diritto o semplicemente una persona): ricostruito l’evento dannoso risarcibile, la Cassazione ha stabilito che la domanda risarcitoria avanzata personalmente dal fanciullo malformato trovi fondamento negli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 32 Cost.
La violazione dell’art. 2 sta nell’innegabile limitazione del diritto del minore allo svolgimento della propria personalità; quella dell’art. 3 nella limitazione al pieno sviluppo della persona; quelle degli artt. 29-31 è conseguenza dell’arrivo del minore in una situazione familiare alterata, la quale impedisce o rende più ardua la concreta attuazione dei diritti-doveri dei genitori sanciti dalla Costituzione, la quale tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimento; infine, la lesione dell’art. 32 ha ad oggetto non solo la salute nella sua dimensione statica di assenza di malattia, ma anche quella, nella sua dimensione più dinamica, del benessere psichico.

15. Il risarcimento del danno al minore per la sua nascita malformata può assumere i connotati sia della responsabilità contrattuale sia di quella extracontrattuale. La tradizione italiana degli ultimi anni è stata nel senso della RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE.
Nel leading case in materia la Cassazione qualificò il soggetto venuto ad esistenza come terzo protetto dal contratto stipulato tra la madre partoriente e la struttura sanitaria, con la conseguenza di risarcire in ambito contrattuale il danno patito dal minore a causa di un negligente intervento ostetrico praticato al momento della nascita. Orientamento, questo, che ha trovato conferma anche successivamente, e anche in riferimento alle condotte omissive dei sanitari.
La giurisprudenza francese, invece, aveva qualificato (proprio nell’affaire Perruche) come contrattuale la responsabilità del medico nei riguardi della donna, ma come delittuale quella nei confronti del fanciullo.


pare ulteriormente articolata, in questo senso, la sent. n. 16754/2012 Cassazione (italiana): essa riconosce per la prima volta il diritto del neonato, giuridicamente capace, a chiedere il risarcimento del danno. Il caso era quello di una madre che aveva chiesto al sanitario di fare tutti gli accertamenti diagnostici necessari ad escludere patologie gravi del feto, condizionando ad essi la prosecuzione della gravidanza; ma il medico, al posto di prescrivere l’amniocentesi (che avrebbe permesso di scoprire la sindrome di Dawn), le aveva prescritto unicamente il tritest.
Per un verso, la Cassazione afferma il principio secondo il quale la responsabilità per omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita indesiderata va estesa, oltre che alla madre, anche al padre, ai fratelli e alle sorelle del nascituro;
per altro verso, invece, ritiene necessario verificare la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie concreta, per desumerne la riconducibilità alla fattispecie astratta dell’illecito aquiliano in tutti i suoi elementi così come descritti dall’art. 2043 c.c.
Quindi, se è senz’altro contrattuale (o cd. da ‘contatto sociale’, per l’operatore sanitario) la responsabilità della struttura sanitaria, nei riguardi della gestante, per il danno morale patito a seguito della violazione del suo diritto ad una maternità cosciente e responsabile, il risarcimento al minore ‘terzo’ assume senz’altro i connotati dell’illecito extracontrattuale, proprio sulla scia della soluzione posta dal diritto francese.
Non sembra che sulla decisione abbia inciso il cd. DECRETO BALDUZZI (d.l. n. 158/2012)

Evoluzione:
Storicamente, salvo le ipotesi nelle quali il medico agiva quale consulente privato, la responsabilità del sanitario era qualificata come extra-contrattuale, essendo considerato ‘contratto’ solo quello stipulato tra paziente e struttura ospedaliera. Quest’impostazione iniziale era stata considerata riduttiva, fino a che la Cassazione ha affermato che la responsabilità del medico si fonda sul CONTATTO SOCIALE che si instaura tra medico e paziente: si profila, dunque, la responsabilità contrattuale nascente da un’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in quanto poiché sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall’arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si configura come culpa in non facendo, la quale da origine appunto alla responsabilità contrattuale (sent. 589/1999).

N.B.: Responsabilità contrattuale significa:
- Prescrizione decennale;
- Inversione dell’onere della prova (il debitore ha l’onere di provare l’esatto adempimento);
- Non necessita di allegazione della colpa (in tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, sussistendo un rapporto contrattuale, il paziente ha l’onere di allegare solo l’inesatto adempimento, in base all’art. 1218 c.c., non anche la colpa).

In questo modo, sono aumentate le controversie in tema di responsabilità medica, determinandosi anche l’effetto negativo della cd. ‘medicina difensivaì, cioè la tendenza del medico a operare non tanto con il fine primario di assicurare la cura e la salute alla paziente, quanto con la preoccupazione principale di prevenire le conseguenze legali delle cure mediche prestate.
Il legislatore ha tentato di porre rimedio a questa situazione con il DECRETO BALDUZZI, laddove prevede, all’art. 3, che l’esercente la professione sanitaria, che nello svolgere la propria attività si attiene linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043.
Dunque, ci si è chiesti se il richiamo all’art. 2043 stia a significare un ritorno alla responsabilità extracontrattuale. Questo, in realtà, non va a riformare la responsabilità sanitaria, sia perché la disciplina è destinata ai soli medici del servizio pubblico sanitario, sia perché la limitazione della responsabilità penale concerne le sole regole di perizia, senza involgere le ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, e sia perché la stessa Corte di Cassazione, nel 2013, ha precisato che la novella contenuta nell’art. 3 del d.l. si limita ad indicare una particolare evoluzione del diritto penale, col fine di agevolare l’utile esercizio dell’arte medica, ma la materia della responsabilità civile non viene modificata, continuando a seguire le regole consolidate anche per la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria da contatto sociale: la norma pare diventare legittima solo svuotandola si significato (quantomeno circa il riferimento al 2043).

16. Ora si pone un problema di onere probatorio.
In assenza di una espressa dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, la cassazione ritiene che la sola richiesta di accertamento diagnostico assuma il carattere di presunzione semplice che il giudice deve valutare sulla base delle circostanze concrete e specifiche della singola vicenda; in assenza di qualsiasi ulteriore elemento che ‘colori’ processualmente la presunzione, il principio di vicinanza alla prova e quello della estrema difficoltà di fornire la prova negativa di un fatto, inducono a ritenere che sia onere di parte attrice integrare il contenuto di quella presunzione con elementi ulteriori da sottoporre all’esame del giudice.
Quest’indirizzo è confermato, e anzi diventato più rigido, da una più recente decisione, la quale limita il valore dei meccanismi presuntivi sia nell’accertamento delle condizioni legittimanti l’aborto sia nella prova della volontà di ricorrervi, onere probatorio che diventa oggettivamente difficile, in quanto si tratterebbe di provare non ciò che è già accaduto, ma ciò che si sarebbe presumibilmente verificato.
Distinto discorso riguarda l’ulteriore rapporto tra l’inadempimento nei confronti della gestante e il danno arrecato al terzo malformato, ovvero tra violazione di una relazione giuridicamente rilevante e lesione della sfera giuridica altrui al di fuori di tale relazione: se è certo che il rapporto tra la madre e la struttura sanitaria sia disciplinato dalle regole probatorie della responsabilità contrattuale, dubbi si possono avere sulla seconda relazione. Istintivamente, si potrebbe affermare che, trattandosi di responsabilità delittuale, sia pure da inadempimento, dovrebbe applicarsi la disciplina generale della prova sulla base del 2043; ma il fatto dell’inadempimento assorbe per intero sia l’elemento della colpa, che è proprio la responsabilità delittuale per ‘faute’, sia quello oggettivo che, com’è noto, non rileva autonomamente in tema di responsabilità contrattuale, risultando implicitamente presente nella violazione di un rapporto giuridicamente rilevante. Nonostante si definisca come delittuale tale responsabilità, quest’ultima trova il suo fondamento nella violazione di obblighi di protezione o di sécurité nei riguardi di terzi qualificati, che sono autonomi, ma funzionalmente collegati all’inadempimento di obbligazioni che hanno la loro fonte in una relazione giuridicamente rilevante: è possibile, quindi, che anche sotto il profilo probatorio possano applicarsi le regole che sono proprie della responsabilità contrattuale.

 

 

 

 

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