SPECIE TIPICHE DI OBBLIGAZIONI

 

Le obbligazioni pecuniarie


Si dicono pecuniarie le obbligazioni che abbiano ad oggetto una somma di denaro. Esse sono soggette a 2 regole importanti previste dall’art. 1277, 1° co..
1) I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento, anche quando la somma dovuta era determinata con moneta che non ha più corso legale al momento del pagamento. L’art. 1278 stabilisce che se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno della scadenza: es. il cittadino che contrae un debito in dollari, può pagare in euro, salvo che il contratto preveda che il pagamento debba avvenire in dollari mediante la clausola effettivo.
2) L’art. 1277 sancisce il principio nominalistico: l’ammontare del debito è dato dal valore nominale della somma dovuta: es. mutuo ventennale contratto per importo di 200.000 euro determina l’obbligo di restituire alla scadenza 200.000 euro anche se il potere d’acquisto nel frattempo si è modificato. Dato che l’inflazione rappresenta un dato fisiologico dell’economia, il principio nominalistico svantaggia il creditore, al quale verrà restituita una somma che avrà lo stesso valore nominale, ma valore reale minore. Per questo si ricorre sovente alle clausole di indicizzazione, che prevedono la rivalutazione della somma in funzione dell’indice di andamento dei prezzi rilevato periodicamente dall’ISTAT: si tratta di tecniche di sterilizzazione della svalutazione monetaria. Il principio nominalistico opera solo per i debiti di valuta, ma non per i debiti di valore: i primi hanno ad oggetto una somma di denaro liquida (determinata); i secondi hanno ad oggetto il valore economico, espresso in termini monetari, che un determinato bene presenterà alla scadenza del debito medesimo e sono per definizione illiquidi, ma al momento della liquidazione si trasformano in debiti di valuta. Sono debiti di valore le obbligazioni risarcitorie da fatto illecito e da inadempimento, perché la somma dovuta a titolo di risarcimento è commisurata al danno, valutato al momento della sua liquidazione, le indennità dovute al possessore o al conduttore per i miglioramenti apportati al bene.
Problematica è la qualificazione del debito quando la clausola inserita nel titolo negoziale al fine di contenere la svalutazione monetaria ancori la determinazione dell’importo dovuto all’andamento del valore di mercato del bene (è la c.d. clausola d’oro). Si deve ritenere che si tratti di debito di valore.
Gli interessi
Gli interessi sono i frutti civili di un capitale monetario. Essi si distinguono in diversi tipi. Gli interessi corrispettivi, costituiscono il corrispettivo del godimento che un soggetto abbia di una somma di denaro di cui è debitore. Il fondamento normativo è l’art. 1282 secondo cui i crediti liquidi (determinati nel loro ammontare) e esigibili (non sottoposti a condizione sospensiva non ancora verificatasi o a termine non ancora scaduto) producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente. Ne deriva che l’obbligazione accessoria di corrispondere interessi corrispettivi ha fonte legale. L’art. 1282 è, tuttavia, norma dispositiva, per cui il titolo negoziale da cui discende l’obbligazione può escludere che gli interessi siano dovuti o disciplinarne diversamente presupposti e misura: in tal caso gli interessi corrispettivi hanno fonte negoziale (ad es. interessi dovuti dal mutuatario, che peraltro maturano in relazione ad un credito non esigibile, ossia prima della scadenza del termine di restituzione del capitale: le parti possono concludere un mutuo a titolo gratuito, senza prevedere interessi; nel caso del mutuo comunque gli interessi decorrono anche nel silenzio del titolo ed è necessaria una pattuizione espressa per escluderne la spettanza). Il 2° co. stabilisce che i crediti per fitti e pigioni (canone di locazione) producono interessi solo con la costituzione in mora del debitore.
Gli interessi compensativi: ai sensi dell’art. 1499 il venditore ha diritto agli interessi sul prezzo, sebbene esso non sia ancora esigibile, quando egli abbia già consegnato il bene al compratore e questi si appropri dei relativi frutti (gli interessi maturano anche laddove il prezzo sia esigibile, ma in tal caso avranno carattere corrispettivo). La differenza tra interessi compensativi e corrispettivi sta nel fatto che i primi prescindono dall’esigibilità del credito.
Quanto alla misura degli interessi (ossia alla percentuale del capitale sulla base del quale ne viene determinato l’ammontare), quando essi hanno fonte legale maturano al tasso legale, che viene periodicamente aggiornato con decreto ministeriale (oggi è del 3%); quando hanno fonte contrattuale maturano al tasso determinato dal titolo del rapporto, ma se il titolo nulla dispone troverà applicazione il tasso legale. Nel 1° caso gli interessi si dicono legali, nel 2° caso si dicono convenzionali.
Le legge consente alle parti di fissare liberamente gli interessi, ponendo 2 limiti: 1) la pattuizione che prevede un tasso superiore a quello legale deve rivestire, a pena di nullità, la forma scritta, perché, in caso, contrario gli interessi saranno dovuti al tasso legale (è un caso di sostituzione automatica di clausola contrattuale nulla); 2) la clausola che preveda interessi usurari è nulla e in tal caso non sono dovuti interessi (da qui il mutuo che era a titolo oneroso diventa a titolo gratuito). Ai sensi della l. 108/1996, si considera usurario il tasso che supera della metà il tasso effettivo globale medio rilevato trimestralmente con decreto dal Ministro dell’economia per ogni singola operazione e applicato da banche e intermediari finanziari. Tale criterio è stato criticato perché non specificava come considerare i tassi di interesse che al momento della stipulazione del contratto fossero inferiori a tale soglia, ma che nel corso del rapporto l’avessero superata. Il legislatore è intervenuto in materia nel 2001 stabilendo che si considerano usurari gli interessi che superino il limite legale al momento in cui vengono convenuti, risultando irrilevante una loro usurarietà sopravvenuta.
Ai sensi dell’art. 644 gli interessi hanno altresì carattere usurario quando, pur inferiori al predetto tasso, risultino comunque sproporzionati in ragione delle condizioni di difficoltà economica e finanziaria in cui versava chi li ha dati o promessi.
Gli interessi elencati finora hanno funzione remuneratoria. Hanno, invece, funzione risarcitoria i c.d. interessi moratori che rappresentano la peculiare forma che assume il risarcimento del danno cagionato dal ritardo nell’adempimento dell’obbligazione (art. 1218). Gli interessi si producono solo se il debitore viene costituito in mora. Si ricordi che le obbligazioni pecuniarie, ove il titolo non disponga diversamente, sono portables e che in tal caso il debitore versa in mora sin dal momento della scadenza del termine (mora ex re), senza che sia necessaria un’intimazione scritta. Gli interessi moratori sono dovuti nella misura del tasso legale, indipendentemente dalla circostanza che il creditore provi di aver sofferto un danno a causa del ritardo (si tratta una deroga all’art. 1218 che stabilisce che il danno è risarcibile se il creditore lo prova in giudizio). Nel caso in cui il debitore si fosse obbligato a corrispondere al creditore interessi (corrispettivi) in misura superiore al tasso legale, gli interessi moratori saranno dovuti nella medesima misura. Gli interessi moratori non necessariamente assicurano una riparazione integrale del pregiudizio causato dal ritardo, per cui l’art. 1224, 2 co. riconosce un risarcimento ulteriore al creditore che dimostri di aver subito un maggior danno. Tra le voci di danno che il creditore può lamentare viene in rilievo la svalutazione monetaria, che assume rilievo, ai fini del risarcimento del maggior danno, solo nelle obbligazioni di valuta, perché nelle obbligazioni di valore l’incidenza della svalutazione monetaria è già assorbita dalla liquidazione del danno che, come detto, viene determinato al momento della pronuncia. La risarcibilità del danno ulteriore è preclusa quando le parti abbiano predeterminato la misura degli interessi moratori (art. 1224, 2° co.): tale previsione è riconducibile alla disciplina della clausola penale.
Per anatocismo bancario si intende il fenomeno della maturazione degli interessi sugli interessi già maturati (cioè la loro capitalizzazione). L’ordinamento vede con sfavore tale fenomeno, perché esso aumenta esponenzialmente gli interessi di cui il debitore è gravato. L’art. 1283 stabilisce che gli interessi già maturati possono costituire base per la maturazione di nuovi interessi solo in 2 ipotesi: 1) quando ciò venga chiesto dal creditore con la domanda giudiziale volta ad ottenere la condanna del debitore al pagamento delle somme dovute; 2) quando la capitalizzazione degli interessi sia frutto di un accordo tra le parti, purché essa sia circoscritta agli interessi precedentemente maturati. In entrambe le ipotesi è necessario che gli interessi di cui viene domandata o convenuta la capitalizzazione siano maturati in relazione ad un arco temporale di almeno un semestre. Questi limiti non operano in caso di usi contrari: in un primo momento la giurisprudenza ha ritenuto per integrare tale presupposto fosse sufficiente una mera prassi negoziale e, quindi, considerava legittime le clausole inserite nei contratti bancari che prevedevano in via anticipata la periodica capitalizzazione degli interessi maturati sulle esposizioni debitorie dei clienti. Recentemente la giurisprudenza ha cambiato orientamento, affermando che per usi contrari si debbano intendere gli usi normativi, con conseguente nullità delle clausole predette.
La necessità di tutelare gli equilibri economici del sistema bancario, improvvisamente esposto a pretese restitutorie ingenti, ha indotto il legislatore ad intervenire dettando una norma speciale secondo cui <<le clausole di capitalizzazione sono lecite purché bilaterali>>, nel senso che la capitalizzazione deve essere prevista con eguale periodicità sia per gli interessi passivi, sia per gli interessi attivi.

Obbligazioni alternative e obbligazioni facoltative

 


Un’obbligazione è alternativa quando ha ad oggetto 2 prestazioni alternative, nel senso che il debitore si libera eseguendo una delle 2 prestazioni. Il momento cruciale di tali obbligazioni è la scelta, cui consegue la c.d. concentrazione: consumata la scelta, l’obbligazione diventa semplice e, quindi, il debitore sarà obbligato a eseguire la sola prestazione prescelta. La scelta spetta al debitore, salvo che il titolo la riservi al creditore o a un terzo. La scelta si realizza e diviene irrevocabile con una dichiarazione comunicata all’altra parte del rapporto; alla dichiarazione è assimilata l’esecuzione della prestazione. Non si avrà scelta e, quindi l’obbligazione non è alternativa, quando si stabilisca convenzionalmente un ordine di esigibilità tra le prestazioni. Il potere di scelta è un diritto potestativo, perché il suo esercizio incide sul rapporto e sull’altra parte, che sarà in una posizione di soggezione. Se il potere di scelta spetta al debitore, la legge tutela il creditore attribuendogli, dopo aver ottenuto una sentenza di condanna del debitore ad adempiere (quindi dopo che l’obbligazione è divenuta esigibile), la possibilità di ricorrere al giudice ai fini della fissazione di un termine entro cui il debitore deve scegliere: scaduto il termine il potere di scelta passa al creditore. Se l’obbligazione non è divenuta esigibile, il creditore non può ricorrere al giudice. Se il potere di scelta spetta al creditore, l’inosservanza del termine stabilito dal titolo o dal debitore comporta il passaggio del potere di scelta al debitore.
Nel caso di impossibilità sopravvenuta non imputabile della prestazione prima che venga compiuta la scelta, si ha una concentrazione del rapporto, a prescindere dalla parte cui la scelta spettava. Se l’impossibilità sopravviene dopo la scelta, l’obbligazione divenuta semplice si estingue.
Diverso è il caso in cui la prestazione divenga impossibile prima della scelta per causa imputabile al debitore o al creditore. Se la scelta spettava al debitore e la prestazione diviene impossibile per causa a lui imputabile, l’obbligazione diventa semplice. Se la scelta spettava al debitore e impossibilità della prestazione è imputabile al creditore o l’obbligazione si estingue (ciò sul presupposto che il debitore avrebbe potuto scegliere la prestazione divenuta impossibile) ovvero il debitore rimane obbligato ad eseguire la prestazione possibile, avendo, però, diritto al risarcimento del danno patito per aver perduto il potere di scelta. Se la scelta spettava al creditore e l’impossibilità della prestazione è imputabile al debitore, il creditore o può esigere la prestazione ancora possibile o può chiedere il risarcimento del danno commisurato al mancato conseguimento della prestazione divenuta impossibile. Se la scelta spettava al creditore e l’impossibilità sia a lui imputabile, il creditore medesimo può scegliere tra l’estinzione del rapporto o l’esecuzione della prestazione possibile accompagnata dal risarcimento del danno cagionato al debitore.
Dalle obbligazioni alternative si distinguono le obbligazioni facoltative: in questo caso oggetto dell’obbligazione è 1 sola prestazione, ma al debitore è data la facoltà di liberarsi eseguendo un’altra prestazione che, però, è rimane estranea all’obbligazione. Tale differenza si coglie ove si rifletta sul fatto che il creditore può chiedere l’esecuzione della prestazione dedotta come oggetto del rapporto, perché l’altra, non essendo dovuta dal debitore, non è esigibile dal creditore. In caso di inadempimento il risarcimento del danno sarà commisurato alla sola prestazione dovuta e nel caso in cui questa diventi impossibile per causa non imputabile al debitore l’obbligazione si estingue, a nulla rilevando la possibilità di eseguire l’altra prestazione.

Obbligazioni SOLIDALI

 

Le obbligazioni soggettivamente complesse
Si dicono soggettivamente complesse le obbligazioni caratterizzate dalla presenza di una pluralità di debitori o di creditori tutti tenuti a eseguire o legittimati a ricevere la prestazione oggetto del rapporto. Su questa figura si contrappongono 2 dottrine: quella che ritiene configurabile un fascio di rapporti convergenti sul medesimo oggetto (ogni debitore è legato ad un creditore da un rapporto distinto, ma avente ad oggetto la medesima prestazione) e la tesi che ritiene configurabile un unico rapporto che presenta dal lato attivo e passivo una parte plurisoggettiva, ossia più soggetti legati dalla comunanza di interessi. Il codice si occupa delle modalità di esecuzione della prestazione (solidarietà/parziarietà) e dell’oggetto del rapporto (divisibilità/indivisibilità)
Solidarietà e parziarietà passive
Si consideri l’ipotesi in cui vi siano più debitori: ad es. Tizio e Caio acquistano in comunione una automobile, risultando coobbligati al pagamento del prezzo. Se l’obbligazione è soggetta al regime di solidarietà (passiva), il creditore potrà chiedere l’esecuzione dell’intera prestazione a ciascuno dei condebitori, perché ciascuno di essi è obbligato in solido (per l’intero); l’esecuzione della prestazione da parte di un condebitore estingue l’obbligazione, liberando anche gli altri condebitori nei confronti del creditore. Quanto ai rapporti interni tra condebitori, l’art. 1298 stabilisce che la prestazione deve essere divisa tra i diversi debitori in parti eguali, salvo che risulti diversamente dal titolo, e il debitore adempiente potrà agire in via di regresso nei confronti degli altri condebitori, ripetendo solo la parte su ciascuno di essi gravante (nei rapporti interni, quindi, non opera la solidarietà). Se in questa fase uno dei condebitori risulta insolvente, la perdita viene ripartita pro quota tra tutti gli altri.
L’obbligazione è, invece, parziaria quando ciascuno dei debitori è obbligato a eseguire solo la parte di prestazione a suo carico: in tal caso il creditore sarà costretto ad agire pro quota nei confronti di ciascun debitore, non potendo esigere dal singolo condebitore la prestazione intera.
Tra i 2 regimi, solidarietà passiva e parziarietà passiva, il 1° è più vantaggioso per il creditore perché è meno oneroso per lui esigere l’intera prestazione da uno solo dei condebitori e perché può sempre selezionare il condebitore con il patrimonio più capiente, attenuando il rischio della insolvenza.
Quanto alla determinazione del regime da applicarsi al caso concreto (solidarietà o parziarietà), l’art. 1294 stabilisce che <<i condebitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulti diversamente>>. Un caso di solidarietà normativa è previsto dall’art. 2055 che stabilisce che più soggetti a cui è imputabile il medesimo evento lesivo sono obbligati in solido al risarcimento del danno. Qui, però, sul piano dei rapporti interni la somma risarcita dovrà essere ripartita in sede di regresso, <<in una misura determinata dall’entità della rispettiva colpa e delle conseguenze che ne sono derivate>>. Un caso di obbligazione parziaria normativa è l’obbligazione dei debiti ereditari, per i quali ciascun erede risponde pro quota. La Cassazione ha ritenuto che la responsabilità dei condomini è retta dal criterio di parziarietà, secondo criteri simili a quelli previsti per le obbligazioni ereditarie.

Le applicazioni della solidarietà passiva
La solidarietà passiva opera anche nel caso in cui tra condebitori non vi sia comunione di interessi, ma si possa distinguere tra un’obbligazione principale e un’obbligazione accessoria: al debitore si affianca un altro soggetto, coobbligato ad eseguire la prestazione dovuta dal primo, sia pure sulla base di una distinta vicenda di costituzione del vincolo. Si pensi al fideiussore (soggetto che si obbliga personalmente verso il creditore, garantendo l’adempimento di un’obbligazione altrui) ovvero alle figure della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo (quando il debitore originario non viene liberato, ad egli si affianca in solido il nuovo debitore, ma in tal caso i 2 non sono posti sullo stesso piano perché l’obbligazione dell’uno è sussidiaria rispetto all’obbligazione dell’altro).
Nel caso in cui tra i condebitori vi sia una comunione di interessi, essi sono una parte plurisog-gettiva di un rapporto obbligatorio che rimane unico; nel 2°caso si ha una pluralità di rapporti. La differenza tra le 2 ipotesi si manifesta sul piano dei rapporti interni tra condebitori, perché la regola secondo cui l’obbligazione in solido si divide, in via di regresso, tra i condebitori trova un’eccezione nel caso in cui <<l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno di essi>>: tale eccezione trova applicazione proprio nel caso in cui tra condebitori non vi sia un vincolo di comunione, ma all’obbligazione principale si affianchi un obbligazione accessoria, perché in tal caso la prestazione è in ultima istanza destinata a gravare sul debitore principale (ad es. il fideiussore può agire in regresso dopo aver eseguito la prestazione, ma il debitore principale non ha tale possibilità). Un’altra differenza è che in questo 2° caso la solidarietà subisce un attenuazione, posto che il creditore agisce verso il coobbligato solo dopo essersi rivolto infruttuosamente al debitore principale. Peraltro, l’attenuazione della solidarietà è minore o maggiore a seconda che si ponga a carico del creditore un mero onere di preventiva richiesta della prestazione al debitore principale (beneficium ordinis) o un onere di preveniva escussione dello stesso (beneficium escussionis).
Ai sensi dell’art. 1307 se la prestazione è divenuta impossibile per causa imputabile ad uno dei condebitori, gli altri non sono liberati e sono obbligati al risarcimento del danno nei limiti del valore della prestazione originariamente dovuta, atteso che il danno ulteriore grava sul condebitore cui è imputabile l’impossibilità della prestazione.

Altre ipotesi di obbligazioni soggettivamente complesse
Un es. di obbligazione soggettivamente complessa non contemplata dal codice è quello delle obbligazioni plurisoggettive aventi ad oggetto una prestazione indivisibile ad attuazione congiunta: 2 musicisti si impegnano a suonare in un teatro eseguendo alcuni brani per pianoforte e violino; in tal caso non si applica la regola della solidarietà perché la natura della prestazione è tale da imporre un adempimento congiunto, la regola della parziarietà perché è incompatibile con il carattere indivisibile della prestazione.
Non sono obbligazioni plurisoggettive le obbligazioni collettive, ossia le obbligazioni riconducibili a collettività organizzate, dotate di autonomia patrimoniale, ma prive di personalità giuridica (associazioni non riconosciute, comitati, società di persone): in tali ipotesi è a volte previsto che delle obbligazioni dell’ente rispondano anche in via solidale gli aderenti ad esso; qui ricorre lo schema della sussidiarietà, perché l’obbligazione gravante sul socio o sull’associato è accessoria rispetto a quella dell’ente e risponde ad una funzione di garanzia.
Poi, vengono in rilievo i casi di comunione ordinaria, comunione legale tra coniugi, comunione ereditaria e condominio: si tratta di ipotesi intermedie tra le obbligazioni collettive e quelle plurisoggettive (ma sono inquadrabili in quest’ultimo schema) perché la comunione di interesse che lega i condebitori deriva dalla contitolarità della situazione giuridica in relazione alla quale l’obbligazione è stata contratta. Il regime applicabile a queste obbligazioni varia a seconda della disciplina dell’istituto: la comunione ordinaria è assoggettata alla regola della solidarietà, mentre la comunione ereditaria a quella della parziarietà.

Solidarietà e parziarietà attive
Il codice contempla l’ipotesi in cui un rapporto abbia più creditori. Anche in questo caso si distinguono solidarietà e parziarietà. La solidarietà attiva comporta che ciascun creditore possa chiedere al debitore l’adempimento dell’intera prestazione; tale adempimento libera il debitore nei confronti degli altri creditori. Il debitore può scegliere in favore di quale creditore in solido eseguire la prestazione fin quando nei suoi confronti non sia stata proposta domanda giudiziale da uno di essi. Quanto ai rapporti interni tra creditori, la prestazione ricevuta da uno dovrà essere condivisa con gli altri. L’obbligazione è, invece, parziaria quando ciascun creditore può pretendere dal debitore solo la parte a lui spettante e il debitore deve eseguire l’adempimento pro quota, non potendo adempiere l’intera prestazione a favore di 1 solo creditore. Il regime della solidarietà rappresenta un vantaggio per il debitore perché è meno oneroso per lui eseguire l’intera prestazione nelle mani di 1 solo creditore. Quando alla determinazione del regime applicabile al caso concreto il regime solidale si applica solo se previsto dalla legge o dal titolo, in caso contrario si applica il regime della parziarietà (N.B. regola diversa rispetto al caso di solidarietà/parziarietà passiva): un es. di solidarietà attiva normativa è il conto corrente bancario cointestato a più soggetti.

Obbligazioni divisibili e indivisibili

 


L’alternativa tra solidarietà e parziarietà si pone solo per le obbligazioni divisibili, perché << le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme relative alle obbligazioni solidali, in quanto compatibili>> (art. 1317).
L’obbligazione è indivisibile quando abbia ad oggetto una prestazione non suscettibile di essere frazionata in parti idonee a soddisfare, sia pure proporzionalmente, l’interesse del creditore. Si distingue tra indivisibilità oggettiva, ove l’indivisibilità della prestazione dipende dalla natura del suo oggetto (es. restauro di una cornice antica) e indivisibilità soggettiva, ove l’indivisibilità della prestazione dipende dal modo in cui tale oggetto è stato considerato dalle parti.
Anche i debiti e i crediti ereditari se hanno ad oggetto una prestazione indivisibile non sono soggette al regime di parziarietà, ma a quello di solidarietà.
Vi sono obbligazioni indivisibili non soggette al regime di solidarietà: le predette obbligazioni ad attuazione congiunta.
La Cassazione ha affermato che l’offerta non formale di adempiere un’obbligazione indivisibile non deve necessariamente provenire da tutti i condebitori, essendo valida anche quella proveniente da 1 solo di loro.


 

 

 

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