CASS. CIV., SEZ. II, 6 LUGLIO 2017, N. 16698 LE SERVITÙ DI PARCHEGGIO

La servitù di parcheggio, consiste nel diritto di fare stazionare uno o più veicoli sul fondo altrui, al fine di dotare di detta utilità l’immobile di proprietà di altri, che siano ivi presenti per periodi continuativi. La sua ammissibilità è stata contestata proprio facendo leva sul fatto che l’utilitas si risolverebbe in un vantaggio personale dei proprietari e non del fondo. Ed in effetti il problema non è di semplice risoluzione perché, se in astratto è facile parlare di “utilità riferita al fondo” o di “servizio da predio a predio”, in concreto è difficile concepire l’utilitas di un bene che sia indipendente dalle persone che ne godono.

L’orientamento tradizionale

La giurisprudenza si era da tempo assestata su un’impostazione negativa, affermando che “la pretesa utilizzazione per parcheggio non potrebbe rientrare nello schema di alcun diritto di servitù né di altro diritto reale. Invero, una delle precipue caratteristiche di tale diritto reale consiste nella realità, ossia nell’inerenza del peso al fondo dominante dell’utilità ed al fondo servente, mentre nel caso di specie la comodità derivante dal parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedono al fondo consisterebbe in un vantaggio personale dei proprietari.

Per pacifica giurisprudenza, nella determinazione del concetto di utilitas non si devono considerare elementi soggettivi ed estrinseci relativi all’attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, bensì il fondamento obbiettivo e reale dell’utilità stessa, dal lato attivo e passivo. In altri termini, essa deve costituire un vantaggio diretto del fondo dominante, come mezzo per la sua migliore utilizzazione.

La decisione di cui sopra è stata più volte ripresa dalle successive pronunce sul punto, alcune delle quali hanno altresì fornito alcune specificazioni. In particolare, si è detto, l’utilizzazione di un’area condominiale a fini di parcheggio da parte dei condomini non può essere tutelata mediante l’azione di reintegrazione del possesso di servitù nei confronti di chi l’abbia recintata in quanto proprietario. Infatti, per esperire detta azione è necessario un possesso che presenti i caratteri esteriori di un diritto reale, mentre il parcheggio, in quanto privo della realità, non consiste in una servitù. Si è poi aggiunto che “il nostro sistema giuridico non prevede la facoltà, per i privati, di costituire servitù meramente personali (c.d. servitù irregolari), intese come limitazioni del diritto di proprietà gravanti su di un fondo a vantaggio non del fondo finitimo, bensì del singolo proprietario di quest’ultimo, sì che siffatta convenzione negoziale, del tutto inidonea alla costituzione del diritto reale limitato di servitù, va inquadrata nell’ambito del diritto d’uso, ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato”. In questi casi il diritto trasferito ne attesta la natura personale ed il carattere obbligatorio.

 

È stato tuttavia osservato che, in realtà, i citati precedenti negavano l’ammissibilità della servitù di parcheggio non in via generale ed astratta, ma in relazione al caso di specie oggetto di analisi. Infatti, se è principio ormai consolidato che la servitù volontaria può avere contenuto atipico, sarebbe una contraddizione affermare la inconfigurabilità in assoluto della servitù di parcheggio.

È allora opportuno ripercorrere brevemente in ordine cronologico i precedenti maggiormente rilevanti. Per quanto concerne Cass. 8137/2004 e Cass. 1551/2009, esse avevano negato la tutela possessoria del parcheggio in ragione della mancanza di un titolo, mentre con riferimento a Cass. 19987/2013 e Cass. 14829/2014 il diniego era giustificato dal fatto che, basandosi il diritto su un contratto di locazione, non era stato dimostrato che l’utilizzo del parcheggio si fondasse sull’interversione del possesso. Ancora, in Cass. 6762/2012, Cass. 11192/2012 e Cass. 13013/2013 la domanda era stata respinta in quanto mancava la menzione negli atti della servitù di parcheggio, laddove Cass. 14510/2014 e Cass. 27442/2014 aveva negato la sussistenza di detta servitù in quanto ciò non risultava precisamente dal titolo.

Alla luce di quanto premesso emerge chiaramente come il problema non sia capire se sia ammissibile o meno, in astratto, la servitù di parcheggio, ma di come configurare la clausola e quindi individuare gli elementi costitutivi del diritto stesso

Il revirement operato da Cassazione n. 16698/2017

La Cassazione ha ribaltato le descritte conclusioni tradizionali cui era in precedenza giunta.

La premessa da cui prende le mosse è la considerazione per cui le precedenti decisioni avevano ad oggetto un caso concreto, mentre lo schema legale della servitù è molto ampio e generico, sicché i privati, nella loro autonomia, possono “stabilire il contenuto del vantaggio per il fondo dominante cui corrisponda il peso a carico del fondo servente”. Ed in effetti, l’art. 1028 c.c. fornisce una definizione generale di utilitas, ammettendo che essa possa consistere anche “nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante”. Da ciò deriva, secondo la Corte, che la tipicità delle servitù volontarie riguarda la struttura e non il contenuto del diritto, sicché la possibilità di costituire servitù di parcheggio va valutata sul piano della conformazione dello stesso.

Come anticipato, uno dei caratteri del diritto di servitù consiste nell’inerenza dell’utilità al fondo dominante e del peso al fondo servente, in ciò distinguendosi dall’obbligazione personale, in cui il diritto si risolve in un vantaggio personale. Detta realitas implica l’esistenza di un legame strumentale ed oggettivo, diretto ed immediato, tra peso sul fondo servente e godimento del fondo dominante, nella sua destinazione, ragione per cui tale beneficio è ottenibile da chiunque sia il proprietario del fondo dominante e prescinde da ogni attività personale del soggetto.

In tal senso, si osserva, la realità sussiste anche con riferimento al parcheggio dell’auto sul fondo altrui, poiché esso può risolversi in un vantaggio a favore di questo inteso come sua migliore utilizzazione. Invero, è innegabile che la possibilità per il proprietario di un fondo a destinazione abitativa di parcheggiare l’auto nelle vicinanze ne incrementi l’utilizzo.

Tuttavia, è sempre necessario considerare anche il fondo servente, il cui utilizzo non può mai essere completamente impedito: la servitù non può portare ad eliminare ogni facoltà del proprietario del fondo servente, il quale deve poter sempre utilizzare il proprio fondo, ancorché con le limitazioni derivanti dalla sussistenza del diritto stesso.

Tanto premesso, ad avviso della Corte la questione non consiste nell’ammissibilità o meno in astratto di una servitù di parcheggio, a ciò non ostando in alcun modo la disciplina codicistica, ma si risolve nel valutare se sussista, in concreto, un diritto che comporti, contestualmente, un vantaggio a favore di un fondo e una limitazione a carico dell’altro fondo, in maniera tendenzialmente perpetua. È pertanto opportuno chiedersi se, nella servitù di parcheggio relativa al caso di specie siano presenti i requisiti del diritto reale di servitù, ossia l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza, l’inerenza al fondo servente ed al fondo dominante, la specificità dell’utilità riservata e la localizzazione (ossia l’individuazione del luogo di esercizio della servitù).

Con la pronuncia in commento, dunque, la Cassazione fa un importante passo avanti, in quanto afferma per la prima volta expressis verbis che la disciplina codicistica di cui all’art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di una servitù di parcheggio. Ciò non significa, però, affermarne la configurabilità in ogni caso, essendo il giudice di merito tenuto a verificare in concreto il titolo e la situazione oggetto del giudizio, per valutare se sussistano i requisiti propri del diritto reale in discorso.

 

 

 

 

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