Gli atti di “indirizzo” e di “direttiva” del Consiglio e della Giunta.

Ai sensi dell'art. 49 del TUEL (novellato dal DL 174/2012) "Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarita' tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarita' contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione. 2. Nel caso in cui l'ente non abbia i responsabili dei servizi, il parere e' espresso dal segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze. 3. I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi. 4. Ove la Giunta o il Consiglio non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione".

La novità precettiva che l’art. 3, comma 1, lett. b), del d.l. n. 174 del 2012 ha apportato all’art. 49 del TUEL consiste essenzialmente nell’avere sostituito l’espressione “qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata” con “qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente”.
Il significato da dare a tale scelta del legislatore è certamente quello di un ampliamento dei casi in cui è necessario il parere di regolarità contabile, con l’assegnazione al responsabile di ragioneria di un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di bilancio dell’ente. Tale interpretazione è rafforzata dall’introduzione del comma 4 che, ferma rimanendo la valenza non vincolante del parere (e non potrebbe essere altrimenti, pena l’esercizio sostanziale da parte della struttura burocratica di competenze attribuite ad organi diversi), ha significativamente previsto un onere di motivazione specifica del provvedimento approvato in difformità dal parere contrario reso dai responsabili dei servizi.

La nuova formulazione dell’art. 49 consente di ritenere che nel concetto di “riflessi diretti” siano ricompresi certamente gli effetti finanziari già descritti nella disposizione previgente (“impegno di spesa o diminuzione di entrata”), ma anche le variazioni economico-patrimoniali conseguenti all’attuazione della deliberazione proposta (come già suggerito dal punto 65 del principio contabile n. 2).
Quanto all’espressione “riflessi indiretti”, non vi è dubbio che questa possa ingenerare problemi applicativi, sotto il profilo della estensione del rapporto “causa-effetto” astrattamente ipotizzabile tra il contenuto della proposta di deliberazione sottoposta a parere e la situazione economico-finanziaria o patrimoniale dell’ente. Il criterio interpretativo deve pertanto essere incentrato sulla probabilità che certe conseguenze si verifichino nell’esercizio finanziario in corso o nel periodo considerato dal bilancio pluriennale. Ulteriore criterio utile a definire l’ambito di applicazione della norma è il vincolo del rispetto dell’equilibrio del bilancio, oggi costituzionalizzato nel novellato art. 119, comma 1, Cost. (in vigore dal 2014). - C conti SR Marche Deliberazione n. 51/2013/PAR -

Hanno natura di indirizzo gli atti che, senza condizionare direttamente la gestione di una concreta vicenda amministrativa, impartiscono agli organi all’uopo competenti le direttive necessarie per orientare l’esercizio delle funzioni ad essi attribuite in vista del raggiungimento di obiettivi predefiniti.” (così TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 12.4.2005, n. 531).

Il giudice amministrativo, nel valutare la fondatezza di motivi di ricorso incentrati sulla violazione dell’art. 49 del TUEL, ha affermato che nel concetto di “mero atto di indirizzo” rientrano le scelte di programmazione della futura attività, che “necessitano di ulteriori atti di attuazione e di recepimento” da adottarsi da parte dei dirigenti preposti ai vari servizi, secondo le proprie competenze (cfr. TAR Piemonte, sez. II, sent. 14.3.2013, n. 326).
D’altro canto, quale criterio discretivo, si è rilevato il “contenuto dispositivo puntualmente determinato che non lascia alcun margine valutativo al susseguente atto di esecuzione” (TAR Lombardia, sede di Milano, sez. III, sent. 10.12.2012, n. 2991 in fattispecie relativa a delibera consiliare di acquisizione sanante ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001).

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 1775 del 27 marzo 2013 ha peraltro tradotto in termini operativi le caratteristiche distintive degli atti di indirizzo o di direttiva, specificando che non possono rientrare in questa categoria atti gestionali, come l’approvazione di offerte presentate da operatori economici.

 

L’atto di indirizzo non ha contenuti amministrativi direttamente eseguibili, bensì disegna una cornice che deve poi essere sviluppata da singoli provvedimenti gestionali (dei dirigenti e dei responsabili di servizio negli enti privi di dirigenza).
Tale tipologia di atti non ha, conseguentemente:
a) necessità di essere vagliata secondo il processo di analisi della regolarità tecnica e contabile definito per le altre deliberazioni dall’art. 49 del Tuel (in quanto l’indirizzo o la scelta di alta amministrazione non sono immediatamente sottoponibili ad un confronto puntuale, in quanto rappresentano scenari molto ampi, amministrativamente e contabilmente non ancora ben definiti);
b) imputazioni contabili;
c) contenuti normativi o para-normativi o comunque profili immediatamente precettivi (in quanto gli indirizzi devono essere necessariamente tradotti in regole, obiettivi, progettualità specifiche).

«il criterio discretivo tra attività di indirizzo e di gestione degli organi della p.a. è rinvenibile nella estraneità della prima al piano della concreta realizzazione degli interessi pubblici che vengono in rilievo, esaurendosi nella indicazione degli obiettivi da perseguire e delle modalità di azione ritenute congrue a tal fine».
La direttiva è da considerare illegittima per la lesione del principio della distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenti nel caso in cui in concreto «il responsabile del servizio nulla avrebbe potuto fare di diverso dopo la delibera suddetta e non avrebbe potuto porre in essere alcun atto di gestione, atteso che gli è stata imposta la già effettuata scelta di un dato contraente (che è atto di gestione, non costituendo, a prescindere dalla terminologia usata, fissazione di linee generali e di scopi da perseguire), demandandogli solo il compito di liquidare la spesa». In questi casi «l'atto di giunta costituiva invero, in concreto, atto di vera e propria gestione, a prescindere dalla solo formale qualificazione dello stesso quale atto di indirizzo gli atti di gestione includono funzioni dirette a dare adempimento ai fini istituzionali posti da un atto di indirizzo o direttamente dal legislatore, oppure includono determinazioni destinate ad applicare, pure con qualche margine di discrezionalità, criteri predeterminati per legge, mentre attengono alla funzione di indirizzo gli atti più squisitamente discrezionali, implicanti scelte di ampio livello».
È molto importante anche il giudizio sulla «inapplicabilità dell' istituto della convalida agli atti posti in essere dal responsabile successivamente alla adozione della deliberazione impugnata. Ai sensi dell' art. 21-nonies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che fa salva la possibilità del ricorso all' istituto della convalida (in cui è compresa anche la ratifica) del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole, l'Amministrazione ha il potere di convalidare o ratificare un provvedimento viziato. L'atto di convalida deve contenere una motivazione espressa e persuasiva in merito alla sua natura e in punto di interesse pubblico alla convalida, essendo insufficiente la semplice e formale appropriazione da parte dell' organo competente all'adozione del provvedimento, in assenza dell' esternazione delle ragioni di interesse pubblico giustificatrici del potere di sostituzione e della presupposta indicazione, espressa, della illegittimità per incompetenza in cui sarebbe incorso l' organo che ha adottato l' atto recepito in via sanante è necessario che emergano chiaramente dall' atto convalidante le ragioni di interesse pubblico e la volontà dell' organo di assumere tale atto».

L’illegittimità di atti di direttiva “dettagliati” della Giunta.

 

Il recente intervento del Tar Calabria n. 3/2016 ha rafforzato le indicazioni del Consiglio di Stato, partendo dal presupposto per cui l’atto di indirizzo non modifica immediatamente la situazione giuridica dei destinatari finali, ponendo dei vincoli all'organo competente a provvedere, senz'altro rilevanti in ordine alla valutazione giudiziale del successivo esercizio del potere, ma — di norma — non tali da produrre lesioni dirette per le quali possa predicarsi l'onere dell'immediata impugnazione.
Diversamente, quando la particolare natura delle prescrizioni e delle modalità d'azione prefigurate siano così stringenti da rendere ineluttabile l'effetto lesivo poi concretamente generato dall'atto attuativo, l'atto di indirizzo può esso stesso porsi come fonte direttamente lesiva, risultando invero plausibile che la certezza di una futura modifica della situazione giuridica o la stessa capacità conformativa immediata dell'indirizzo vincolante possano, in concreto, risultare fattispecie idonee a radicare un interesse giuridicamente rilevante e processualmente spendibile (T.A.R. Calabria – Reggio Calabria, 7 aprile 2011, n. 263).
Pertanto, una deliberazione della Giunta con la quale si è provveduto ad individuare specificamente una cooperativa sociale come soggetto gestore di un servizio di assistenza agli alunni disabili della scuola dell’obbligo conforma la successiva azione amministrativa rendendola inevitabilmente lesiva per gli interessi di soggetti terzi (altri operatori economici potenziali affidatari del servizio).
Tuttavia qualora la successiva determinazione del Dirigente del Settore o del responsabile di Servizio recepisca l’indicazione della Giunta comunale, affidando l’incarico alla cooperativa sociale individuata dalla Giunta stessa, essa attualizza la lesione già provocata dall’atto di indirizzo.
Scaturisce da questo quadro, pertanto, sia l’illegittimità della “direttiva dettagliata” della Giunta sia della successiva determinazione dirigenziale “attuativa”.


 

 

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