TAR Piemonte, sez. II, sent. 14.3.2013, n. 326. Il giudice amministrativo, nel valutare la fondatezza di motivi di ricorso incentrati sulla violazione dell’art. 49 del TUEL, ha affermato che nel concetto di “mero atto di indirizzo” rientrano le scelte di programmazione della futura attività, che “necessitano di ulteriori atti di attuazione e di recepimento” da adottarsi da parte dei dirigenti preposti ai vari servizi, secondo le proprie competenze

SENTENZA

sul ricorso
ASSOCIAZIONE PROMOZIONE SOCIALE, U.T.I.M. - UNIONE PER LA TUTELA DEGLI INSUFFICIENTI MENTALI, U.L.C.E.S. - UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE, rappresentate e difese dall'avv. Roberto Carapelle, con domicilio eletto presso Roberto Carapelle in Torino, via San Pio V, 20;
contro
CONSORZIO INTERCOMUNALE SOCIO-ASSISTENZIALE “VALLE DI SUSA”, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Ciccia, con domicilio eletto presso Antonio Ciccia in Torino, via Susa, 23;
per l'annullamento
- della deliberazione dell'Assemblea del Consorzio Intercomunale Socio-Assistenziale "Valle di Susa" n. 11/A/2012 del 13/04/2012, affissa all'Albo del Consorzio per quindici giorni consecutivi, avente ad oggetto: "Programmazione delle attività e dei servizi del Consorzio per l'anno 2012. Definizione linee di indirizzo residue";
- di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale a quello impugnato, con particolare riferimento al verbale dell'assemblea consortile in data 30/03/2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio Intercomunale Socio-Assistenziale “Valle di Susa”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2013 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con il ricorso in esame le associazioni ricorrenti – tutte aventi, quale scopo statutario, la tutela delle esigenze e dei diritti delle fasce più deboli della popolazione, con particolare riguardo ai minori, agli handicappati o insufficienti mentali, agli anziani ed ai malati cronici non autosufficienti – hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, della deliberazione n. 11/A/2012, del 13 aprile 2012, con la quale l’Assemblea del Consorzio Intercomunale Socio-Assistenziale “Valle di Susa” ha definito la “Programmazione delle attività e dei servizi del Consorzio per l’anno 2012: definizione linee di indirizzo residue”. Ciò di cui si dolgono le associazioni ricorrenti, in particolare, è che – mediante l’impugnata deliberazione – il Consorzio Intercomunale ha approvato una serie di misure di contenimento della spesa, incidenti sulle predette categorie deboli sia da un punto di vista prettamente economico (con riferimento, in particolare, alla numero di registro generale 706 del 2012, proposto da: compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi offerti) sia da un punto di vista della riduzione dei servizi socio-assistenziali (a seguito della previsione di liste di attesa e del divieto di nuovi inserimenti nelle strutture a gestione diretta e/o convenzionata).

2. Nel dettaglio, i motivi di gravame sollevati sono diretti, anzitutto, a contestare la regolarità formale dell’intera deliberazione impugnata sotto un duplice profilo:
- violazione dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000: la delibera impugnata sarebbe illegittima perché è stata, nella specie, omessa la richiesta dei pareri dei responsabili dei servizi interessati;

- difetto assoluto di motivazione.
Da un punto di vista sostanziale, poi, le associazioni ricorrenti contestano singole previsioni contenute nel documento allegato alla impugnata deliberazione, il quale individua, nel dettaglio, tutte le “Misure di contenimento della spesa” oggetto di approvazione da parte dell’Assemblea consortile. Questi, dunque, i punti oggetto dell’odierno scrutinio di legittimità:
- punti nn. 1, 10 e 13 dell’allegato: si tratta delle misure che, con riferimento alla retta dovuta dagli utenti disabili ed anziani non autosufficienti, impongono di “Conteggiare l’intero reddito ai fini della compartecipazione, senza detrarre la quota per le spese personali” (ovvero, con riferimento agli inserimenti degli utenti anziani non autosufficienti nelle c.d. strutture a gestione diretta, “Conteggiare il 50% [della] quota per spese personali [...]; in presenza di risparmi o di familiari non indigenti la quota per le spese personali può essere azzerata”). Tali previsioni, secondo i ricorrenti, contrasterebbero con “le direttive impartite dalla Regione Piemonte”, di cui alla d.G.R. n. 37-6500 del 23 luglio 2007, riguardanti proprio i criteri per la compartecipazione degli anziani al costo della retta, il cui art. 4.1 impone una “franchigia sul reddito” non inferiore a 110 euro mensili da lasciare a disposizione del beneficiario per le proprie esigenze e spese personali; si avrebbe, inoltre, contrasto con l’art. 24, comma 1, lett. g, della legge n. 328 del 2000, laddove si prevede il “riconoscimento degli emolumenti anche ai disabili o agli anziani ospitati in strutture residenziali, in termini di pari opportunità con i soggetti non ricoverati, prevedendo l'utilizzo di parte degli emolumenti come partecipazione alla spesa per l'assistenza fornita, ferma restando la conservazione di una quota, pari al 50 per cento del reddito minimo di inserimento di cui all'articolo 23, a diretto beneficio dell'assistito”;
- punti nn. 2, 3, 4, 5 e 7 dell’allegato: si tratta delle misure che impongono un aumento della compartecipazione degli utenti disabili al costo della mensa e del trasporto (così i punti nn. 2, 3 e 4) nonché l’applicazione della compartecipazione sia ai servizi di “educativa territoriale” (punto n. 5) sia al servizio di assistenza domiciliare “Gabbianella” riguardante i bambini con grave disabilità (punto n. 7). In questo caso – sulla premessa che tali previsioni contrasterebbero “con il principio costituzionale di riserva di legge sancito dall’art. 23 Cost., in base al quale ‘Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge’” – il parametro di legittimità sollevato è costituito dalle d.G.R. n. 39-11190 del 6 aprile 2009 e n. 56- 13332 del 15 febbraio 2010 le quali hanno previsto che la richiesta di contribuzione al costo delle prestazioni, sia in ambito residenziale che domiciliare, debba avvenire nel rispetto di una c.d. franchigia, nel caso di specie non rispettata;
- punti nn. 9 e 13 dell’allegato: si tratta delle misure che, ancora nel riferirsi ai criteri di compartecipazione alla retta, conferiscono rilevanza alla situazione economica dei familiari dell’utente (ciò, in quanto rispettivamente si prevede, allorché si sia in presenza di “di familiari non indigenti”, un abbattimento, per i disabili, del 30% del contributo spettante come integrazione al minimo vitale e l’azzeramento, per gli anziani non autosufficienti, della quota per le spese personali). Sarebbe, qui, violato uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, livello – nella specie – previsto dal d.lgs. n. 109 del 1998 (quale modificato dal d.lgs. n. 130 del 2000) allorché tale ultima fonte normativa nazionale ha conferito rilevanza alla situazione economica del solo assistito;
- punti nn. 9, 10.1 e 13 dell’allegato: si tratta delle misure che, sempre con riferimento ai criteri di compartecipazione (sia per gli utenti disabili che per gli anziani non autosufficienti), hanno ulteriormente conferito rilevanza alla presenza di “risparmi” o di proprietà immobiliari da parte dell’utente. In questo caso risulterebbe violato il disposto degli artt. 4.2 e 4.3 della d.G.R. n. 37-6500 del 23 luglio 2007, a norma dei quali andrebbero comunque rispettate alcune rispettive “franchigie”;
- punti nn. 5, 7 e 13 dell’allegato: si tratta delle misure che incidono, direttamente, sulla prestazione dei servizi socio-assistenziali del Consorzio (sia per i disabili che per gli anziani non autosufficienti), riguardanti il mantenimento delle liste di attesa e la previsione di “attivazione di nuovi interventi solo in caso di dimissioni” (o, per gli anziani, “nel caso si rendano liberi posti letto”). Si tratterebbe, in questo caso, di “prestazioni riconosciute e garantite in forza di legge in quanto rientranti a tutti gli effetti all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza”, di cui all’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, all’art. 54 della legge n. 289 del 2002 ed all’Allegato 1.C del d.P.C.M. 29 novembre 2001, prestazioni che non potrebbero essere disattese a meno di non configurare “un illegittimo diniego di prestazioni obbligatorie”.

3. Si è costituito in giudizio il Consorzio Intercomunale Socio-Assistenziale “Valle di Susa”, in persona del Presidente pro tempore, depositando documenti e concludendo per il rigetto del gravame. Nel prendere analiticamente posizione nel merito di tutte le censure svolte da controparte, l’amministrazione resistente ha peraltro preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame sia per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sia per mancata notifica dell’atto introduttivo ad almeno uno dei controinteressati (da individuarsi nei singoli Comuni consorziati), sia ancora – relativamente all’impugnazione delle misure concernenti gli anziani non autosufficienti – per mancata impugnazione di atto presupposto (costituito dalla precedente delibera dell’Assemblea consortile n. 8/A/2012 del 30 marzo 2012). Ulteriori eccezioni di inammissibilità, per mancata impugnazione di atto presupposto, sono state poi avanzate con riferimento a singoli motivi di censura.

4. Alla camera di consiglio del 27 luglio 2012, chiamata per la discussione dell’incidente cautelare, le associazioni ricorrenti hanno rinunciato alla sospensiva.

5. Successivamente, in vista della pubblica udienza di discussione, tutte le parti hanno depositato memorie, ciascuna ribadendo le proprie argomentazioni. Esse, in particolare, si sono anche soffermate sulla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 296 del 2012 – peraltro oggetto di aspra critica da parte delle associazioni ricorrenti – concernente la problematica delle quote di compartecipazione al costo dei servizi e della relativa questione se l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito (di cui all’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998) costituisca o meno livello essenziale delle prestazioni ex art. 117, comma 2, lett. m, Cost.

Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2013, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto dell’odierna disamina di legittimità è la deliberazione con la quale l’assemblea del Consorzio Intercomunale socio-assistenziale resistente, in data 13 aprile 2012, ha stabilito di introdurre alcune misure volte al contenimento delle spese necessarie all’erogazione dei servizi: ciò, in particolare, è stato fatto sia mediante un innalzamento delle quote di compartecipazione richieste agli utenti (disabili ed anziani non autosufficienti, per lo svolgimento dei servizi di assistenza residenziale e semi-residenziale) sia attraverso la previsione di “liste di attesa” collegate all’effettiva disponibilità di posti o di precedenti dimissioni di altri pazienti.
Insorgono avverso dette misure alcune associazioni (l’associazione “Promozione Sociale”; la U.T.I.M.- Unione per la Tutela degli Insufficienti Mentali; la U.L.C.E.S.- Unione per la Lotta contro l’Emarginazione Sociale) aventi quale scopo statutario quello di proteggere, promuovere e tutelare i diritti e gli interessi delle c.d. categorie deboli (su tutte, disabili ed anziani non autosufficienti), ossia delle categorie interessate in negativo dalle misure adottate dal Consorzio resistente. Vengono quindi azionati, in questa sede, gli interessi collettivi di cui tali associazioni sono sicuramente portatrici, avuto riguardo al loro oggetto sociale quale individuato dai rispettivi statuti (depositati in atti).
Resiste il Consorzio Intercomunale intimato svolgendo difese ed evidenziando, in particolare, che le restrizioni impugnate trovano causa nel drastico ridimensionamento dei trasferimenti regionali per il settore socio-assistenziale.

2. Va, anzitutto, scrutinata l’eccezione di inammissibilità dell’intero gravame per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
L’eccezione non è fondata.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, chiamata recentemente a pronunciarsi su azioni di annullamento di provvedimenti, sia di natura individuale che di natura regolamentare, adottati da Enti locali disciplinanti la compartecipazione al costo di servizi socio-assistenziali erogati dagli Enti medesimi, ha deciso nel merito le relative cause, in tal modo condivisibilmente affermando, seppure in forma solo implicita, la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere delle relative controversie (cfr., da ultimo, sez. V, n. 5185 del 2011). Tale implicito riconoscimento di giurisdizione è stato, poi, espressamente riconfermato dalla sentenza n. 4578 del 2012 della Sezione VI del medesimo Consiglio di Stato la quale – nell’affrontare proprio la questione di giurisdizione – ha evidenziato l’indubbia valenza autoritativa degli atti concernenti i criteri e le modalità di erogazione delle prestazioni economiche sociali, nonché il concorso al pagamento delle prestazioni medesime: si tratta, infatti, di atti emanati nell’esercizio del potere discrezionale di determinazione dei criteri >riguardanti l’an ed il quantum di compartecipazione dell'assistito e dei suoi congiunti al costo dei servizi socio-assistenziali, rispetto ai quali la situazione giuridica soggettiva dei destinatari non può che assumere le vesti dell’interesse legittimo, con conseguente radicamento – in applicazione del criterio generale di riparto ed avendo riguardo al petitum sostanziale – della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo. In proposito – ed analogamente – già la giurisprudenza dei TAR (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. II, n. 1384 del 2005) aveva efficacemente osservato che le prestazioni di assistenza sociale e di servizi alla persona sono riconducibili all'esercizio di un potere casualmente connotato dal carattere dell’autoritatività e della “supremazia specifica”, con riferimento a quanto enunciato dall’art. 1, comma 1, della legge n. 328 del 2000 (legge quadro in tema di assistenza sociale), a norma del quale la Repubblica è chiamata ed eliminare o ridurre le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione. Questa finalità di interesse pubblico connota il relativo potere amministrativo da predominanti elementi di autoritarietà, poiché "la rimozione delle cause che limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona umana" è un interesse pubblico non disponibile, irrinunciabile e cogente; ne consegue che la sua realizzazione deve essere assicurata attraverso una coazione, posto che le cause che limitano o impediscono il pieno sviluppo della persona sono espressioni "spontanee" delle distorsioni esistenti nel tessuto sociale e vanno quindi autoritativamente corrette in funzione di un necessario riequilibrio (così TAR Sicilia, Catania, n. 1384 del 2005, cit.).

Si deve pertanto concludere circa la sussistenza della giurisdizione in capo al giudice amministrativo.

3. Venendo quindi alla disamina dell’odierna impugnazione, devono anzitutto respingersi – in quanto non fondate – le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate, con riferimento all’intero gravame, dal Consorzio Intercomunale resistente.
Non è, in primis, condivisibile l’eccezione che fa leva sulla mancata notifica dell’atto introduttivo ad almeno uno dei controinteressati, asseritamente da individuarsi nei singoli Comuni consorziati. Secondo l’amministrazione resistente, infatti, tali Enti locali sarebbero interessati alla conservazione dell’impugnata delibera in quanto dal suo annullamento deriverebbe “un maggiore carico per le casse comunali”. In contrario deve, tuttavia, osservarsi che i singoli Comuni che hanno dato vita al Consorzio non possono intendersi, nella specie, quali detentori di una posizione giuridicamente qualificata alla conservazione dell’atto impugnato: il Consorzio è, infatti, dotato di personalità giuridica e di autonomia gestionale, finanziaria e patrimoniale (artt. 31 e 114 d.lgs. n. 267 del 2000), sicché eventuali ricadute di carattere economico (derivanti da un eventuale annullamento della delibera impugnata) potranno giuridicamente apprezzarsi solo con riferimento alla sfera giuridica ed al patrimonio del medesimo, rimanendo l’eventuale incisione sui bilanci dei singoli Comuni solo una conseguenza meramente fattuale ed indiretta.

Quanto, poi, all’eccezione di inammissibilità per asserita mancata impugnazione della precedente delibera assembleare n. 8/A/2012, del 30 marzo 2012, ai fini del suo rigetto è sufficiente osservare che tale deliberazione – con la quale l’Assemblea del Consorzio già aveva approvato le misure di riduzione dei servizi nei confronti degli anziani non autosufficienti, poi riproposte nella successiva deliberazione del 13 aprile 2012 – rientra senz’altro tra gli atti oggetto dell’odierno gravame: essa, infatti, è stata specificamente impugnata con l’atto introduttivo del presente giudizio, laddove è richiamata nell’epigrafe del medesimo. Per ragioni sistematiche, le ulteriori eccezioni di inammissibilità sollevate dal Consorzio resistente – e riguardanti non l’intero gravame, ma singoli motivi di censura – saranno infra esaminate congiuntamente con la trattazione delle singole censure.

4. Deve, a questo punto, esaminarsi l’istanza di “chiamata di terzo” formulata dall’amministrazione resistente nel proprio atto di costituzione. Il Consorzio Intercomunale, in proposito, vorrebbe chiamare nella presente causa la Regione Piemonte rispetto alla quale la controversia sarebbe “comune”, “atteso che alla Regione Piemonte sono imputabili i tagli del fondo per i servizi sociali ed è sempre la Regione competente alla assegnazione dei fondi necessari alla copertura dei servizi nei termini richiesti dalle ricorrenti associazioni”. Si chiede a questo TAR, in particolare, di ordinare alla Regione Piemonte, ex art. 117 cod. proc. amm.: a) di procedere alla ripartizione dei fondi regionali; b) di mantenere gli stanziamenti regionali al Consorzio resistente, per l’anno 2012, in misura almeno pari a quelli previsti per il 2011; c) di adottare alcuni determinati criteri di riparto delle risorse regionali per i servizi sociali; d) di tenere indenne il Consorzio resistente da qualsiasi conseguenza economica negativa che possa discendere da un eventuale accoglimento del ricorso principale.

L’istanza non può essere accolta. La chiamata in causa della Regione presupporrebbe, infatti, ai sensi degli artt. 269 e 106 c.p.c. (quali richiamati dall’art. 39 cod. proc. amm.), l’esistenza di una connessione oggettiva

(da intendersi come identità del petitum o della causa petendi) tra l’azione introdotta con la presente causa e la pretesa che si vorrebbe far valere avverso il terzo chiamato. Tale presupposto, nella specie, non ricorre, in quanto con la chiamata della Regione Piemonte verrebbe, in realtà, introdotta una nuova e distinta controversia eccedente i limiti dell’originario rapporto litigioso: non si tratterebbe solo di giudicare sulla legittimità delle misure disposte dall’amministrazione resistente, ma anche di verificare la percorribilità di una condanna della Regione a versare determinate somme al Consorzio a titolo di finanziamenti. Ciò tuttavia non toglie, come è ovvio, che il Consorzio potrà eventualmente agire nei confronti della Regione Piemonte in altro e diverso procedimento, nei modi consentiti dall’ordinamento.

5. Nel merito, il ricorso è fondato solo in parte.
Per ragioni espositive, si prenderanno ora in esame i singoli motivi di gravame, seguendo l’ordine numerico dell’atto introduttivo.

5.1. Non sono, anzitutto, fondati i primi due motivi di censura, concernenti aspetti formali della delibera adottata.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 (omissione dei pareri dei responsabili dei servizi) deve premettersi che tale disposizione, nel testo all’epoca vigente (prima cioè delle modifiche intervenute con decreto-legge n. 174 del 2012, convertito in legge n. 213 del 2012, in questa sede non rilevanti), così disponeva: “Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione”. La deliberazione n. 11/A/2012, del 13 aprile 2012, dell’Assemblea consortile è stata, in effetti, adottata senza i pareri indicati dalla norma; sul punto, nella motivazione, si legge che ciò è dovuto alla “natura politica” dell’atto
. Premessa qui l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dal Consorzio (inconferente rivelandosi l’invocata impugnazione dello Statuto del Consorzio “nella parte in cui disciplina le funzioni dell’Assemblea consortile”, posto che in tale Statuto non si rinviene alcuna norma che, per la fattispecie de qua, porti ad escludere la necessità degli indicati pareri), deve tuttavia evidenziarsi la natura di mero atto “di indirizzo” della delibera in questione, la quale ha compiuto alcune scelte di “programmazione” della futura attività (come si evince dal titolo della delibera medesima) a fronte della drastica riduzione delle risorse economiche sofferta dall’ente; scelte che peraltro – come correttamente evidenziato dall’ente resistente – necessitano di ulteriori atti di attuazione e di recepimento (ancorché di natura vincolata, l’“indirizzo” espresso dall’Assemblea consortile apparendo, nella specie, conformativo della determinazione definitiva) che dovranno essere adottati da parte del Consiglio di amministrazione o dei dirigenti preposti ai vari servizi, secondo le proprie competenze.

Quanto al dedotto difetto di motivazione, poi, non può non rilevarsi che il testo del verbale del 13 aprile 2012 – pur di per sé piuttosto scarno, in quanto si dà unicamente atto della necessità di operare i “tagli” – dà per evidente presupposto i “passaggi” delle “precedenti due sedute dell’Assemblea” nonché “degli incontri propedeutici delle tre sedute del Gruppo di Lavoro Assembleare”. Già solo a voler considerare la precedente delibera del 30 marzo 2012 (la quale, come detto, costituisce anch’essa atto impugnato nel presente giudizio), risulta del tutto evidente (nonché sussistente) la motivazione delle misure adottate: in tale precedente seduta sono stati ampiamente affrontati sia il problema dell’avvenuta riduzione degli stanziamenti regionali sia la questione di quali modalità operative fossero, nel caso, più idonee per salvaguardare i servizi sociali offerti e per ridurre, per quanto possibile, gli impatti più negativi della diminuzione delle risorse. Si ha, pertanto, un’adeguata motivazione sia (in generale) della causa scatenante dei tagli ai servizi, sia (in particolare) delle singole misure poi adottate dall’Assemblea.

6. Venendo ora alla disamina delle censure concernenti le singole misure di contenimento della spesa (di cui all’allegato alla delibera del 13 aprile 2012), deve anzitutto statuirsi la non fondatezza della prima di esse, avente ad oggetto la compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi socio-assistenziali senza la previsione di una franchigia per le “spese personali” (punti nn. 1, 10 e 13 dell’allegato).

L’illegittimità di siffatta previsione è argomentata per violazione dell’art. 4.1 della d.G.R. n. 37-6500 del 23 luglio 2007 nonché dell’art. 24, comma 1, lett. g, della legge n. 328 del 2000. Nessuno dei due invocati parametri può, tuttavia, apprezzarsi nei termini sollevati dalle associazioni ricorrenti.
Quanto alla pretesa violazione della citata d.G.R. deve infatti convenirsi con le difese svolte dal Consorzio resistente, in ordine alla natura non precettiva ma meramente programmatica di siffatta previsione regionale, avuto anzitutto riguardo al c.d. “modello incentivi” predisposto dal paragrafo n. 4 dell’Allegato A della precedente d.G.R. n. 2-3520 del 31 luglio 2006. Tale ultima disposizione, nell’ottica di predisporre criteri

uniformi per definire la condizione economica degli utenti delle prestazioni socio-assistenziali, tali da superare le esistenti “sperequazioni a danno di utenti residenti in territori differenti”, ha previsto che “nelle more di una disciplina nazionale concordata in sede di Conferenza Stato-Regioni, la Regione promuove forme di incentivazione a favore dei Comuni e/o degli Enti Gestori dei servizi socio-assistenziali che si impegnano ad attuare azioni finalizzate a realizzare una maggiore omogeneità, sul territorio regionale, per quanto attiene ai criteri di contribuzione alla retta giornaliera a carico dell'Utente anziano non autosufficiente, prendendo a riferimento il solo reddito e patrimonio dell'utente”. In tale quadro si è appunto inserita la richiamata d.G.R. n. 37-6500 del 23 luglio 2007 la quale, pur individuando criteri uniformi per la compartecipazione degli utenti (anziani non autosufficienti) alla spesa dei servizi socio-assistenziali (tra i quali, per quello che qui rileva, la previsione della invocata “franchigia” per spese personali), ha tuttavia inserito siffatte previsioni generali nell’ambito del sistema degli incentivi (di natura economica) da riconoscere agli enti che le avessero recepite. Analoga previsione è stata poi prevista per la compartecipazione a carico degli utenti handicappati, a seguito della d.G.R. n. 39-11190 del 6 aprile 2009.

Risulta allora evidente, sotto un primo profilo, che l’adeguamento a tali previsioni generali costituiva non un obbligo ma un mero invito ai vari enti interessati, proprio perché non sostenuto da alcuna sanzione, ma anzi – al contrario – accompagnato dal riconoscimento di somme a titolo di incentivo. Ne consegue che anche la previsione dell’invocata “franchigia”, lungi dal costituire un obiettivo necessario per gli enti erogatori, deve giuridicamente qualificarsi come semplice onere in vista dell’ottenimento degli incentivi. Si trattava, pertanto, di un obiettivo solo tendenziale, la cui mancata realizzazione non può quindi ridondare in vizio di legittimità; esso, del resto, non risulta previsto a livello legislativo, posto che l’art. 40 della legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004 (recante “Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”), nell’occuparsi della questione della compartecipazione, prevede le modalità della sua applicazione, ma nulla specifica circa la preservazione di una franchigia.

Sotto altro profilo, poi, non può non dimenticarsi che è proprio a causa dei mancati trasferimenti regionali che il Consorzio resistente si è trovato nella situazione di dover adottare misure stringenti, quale quella qui in esame. Il comportamento regionale non può, allora, non avere giuridica rilevanza in punto di interpretazione delle indicazioni normative provenienti dalla stessa Regione, nel senso che queste ultime – in quanto volte a determinare un aggravio dei costi a carico degli enti del comparto socio-assistenziale – perdono giocoforza di precettività allorché vengano ridotti i finanziamenti disponibili. In altre parole: in tanto può sostenersi la giuridica vincolatività delle previsioni regionali che – sia pure ai fini di uniformare le esistenti sperequazioni territoriali nell’erogazione dei servizi socio-assistenziali – riversano determinati costi sugli enti erogatori, in quanto la stessa Regione si preoccupi poi, con effettività, di mantenere gli stanziamenti finanziari stabiliti dall’ordinamento. Anche lungo tale prospettiva, pertanto, le invocate norme della d.G.R. 37-6500 del 23 luglio 2007, lungi dal poter essere considerate attualmente come precettive, devono invece interpretarsi come meramente programmatiche, nel senso di predisporre un programma di adeguamenti che potrà trovare concreta attuazione solo a condizione che vengano ripristinati i trasferimenti regionali.

6.1. Quanto, poi, alla pretesa violazione dell’art. 24, comma 1, lett. g, della legge n. 328 del 2000 (norma che, nel calcolo della quota di partecipazione alla spesa del servizio socio-assistenziale, da parte dell’utente, prevede espressamente “la conservazione di una quota, pari al 50 per cento del reddito minimo di inserimento di cui all'articolo 23, a diretto beneficio dell'assistito”), anche in questo caso deve concludersi nel senso di una mancanza di precettività del parametro invocato. Si tratta, infatti, di un mero criterio direttivo che il legislatore statale aveva indicato al Governo in sede di conferimento di una delegazione legislativa (di cui allo stesso art. 24 della legge n. 328 del 2000) volta al riordino degli assegni e delle indennità derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo; delegazione che, però, non è mai stata esercitata dal Governo, con la conseguenza che essa risulta ormai decaduta insieme ai relativi principi e criteri direttivi, rimasti lettera morta. In nessun caso, quindi, può adesso sostenersi che tale parametro configuri un criterio cogente cui i vari enti erogatori di prestazioni socio-assistenziali devono adeguarsi.

7. Passando ora all’esame del quarto motivo di gravame – concernente le misure di cui ai punti nn. 2, 3, 4, 5 e 7 dell’allegato alla deliberazione impugnata, ossia la previsione di forme di compartecipazione degli utenti alle spese di mensa e di trasporto, nonché all’assistenza domiciliare dei disabili – deve anzitutto scrutinarsi l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Consorzio resistente, argomentata per mancata impugnazione di atto presupposto (il regolamento consortile di assistenza economica).

L’eccezione è fondata solo con riferimento all’impugnazione del punto n. 2 dell’allegato, il quale ha previsto l’aumento da 2 ad 8 euro della compartecipazione per i centri diurni (CST Susa e Sant’Antonino e CAD Sant’Antonino) per disabili. In proposito, infatti, il regolamento consortile di assistenza economica già prevede, all’art. 46, comma 6 (doc. n. 20 del Consorzio), che “I fruitori dei Centri Diurni per disabili sono chiamati a compartecipare ai costi della quota assistenziale della retta, relativa, in specifico, ai servizi di pasto e di trasporto”. Laddove, dunque, le ricorrenti hanno voluto contestare l’introduzione della quota di compartecipazione per tali centri, esse avrebbero dovuto previamente impugnare tale norma regolamentare, rispetto alla quale la deliberazione assembleare del Consorzio appare di stretta esecuzione. Non così, invece, è a dirsi per gli altri punti oggetto del presente scrutinio: con riferimento, rispettivamente, ai centri pomeridiani per disabili “Interspazio” e “Ponte” (punti nn. 3 e 4), all’educativa territoriale disabili ed a quella adolescenti e giovani (punto n. 5) ed all’assistenza domiciliare disabili del “SAD Gabbianella” (punto n. 7), l’art. 47, comma 1, lett. d) ed e), del regolamento espressamente prescrive – al contrario – l’esenzione dalla compartecipazione.

Nel merito, l’intera censura non è comunque fondata. Anche in questo caso, infatti, il parametro di legittimità invocato dalle associazioni ricorrenti (ossia, la d.G.R. n. 56-13332 del 15 febbraio 2010, nonché la precedente del 2009) si svela essere privo di attuale precettività, per ragioni coincidenti con quelle esposte nel paragrafo precedente. Non solo, infatti, le indicazioni normative regionali (prese dalle ricorrenti a parametro di legittimità) risultano prive di specifiche sanzioni, ed anzi inserite nel sistema di incentivazione prima descritto, ma esse sono altresì da interpretarsi come meramente programmatiche alla luce dei tagli dei trasferimenti operati dalla stessa Regione Piemonte a danno degli enti erogatori. Da un punto di vista più generale, poi, deve ricordarsi che è la stessa legge regionale n. 1 del 2004, all’art. 40, comma 1, a stabilire che ai servizi ed alle prestazioni sociali richieste debba applicarsi il criterio della compartecipazione dell’utente: non vi è dunque spazio per l’ulteriore profilo di censura secondo il quale l’introduzione delle misure contestate, aventi natura di prestazione patrimoniale, sarebbe avvenuto in spregio al principio costituzionale di riserva relativa di legge (art. 23 Cost.).

8. Il quinto motivo di gravame – nella parte riguardante i punti nn. 9 e 13 dell’allegato, mediante i quali l’Assemblea del Consorzio ha deliberato di conferire rilevanza alla situazione economica dei familiari dell’utente, in asserito contrasto con quanto previsto dall’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998 – non è fondato.

Va premesso che l’invocata norma del d.lgs. n. 109 del 1998 (introdotta dal d.lgs. n. 130 del 2000) ha previsto che, limitatamente alle prestazioni sociali agevolate dirette a persone con handicap grave e ad anziani non autosufficienti, i parametri di rilevamento della situazione economica introdotti con la medesima fonte legislativa avrebbero dovuto trovare applicazione “nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità”; tale decreto avrebbe dovuto essere adottato al fine, tra l’altro, “di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione”. Non essendo mai stato adottato quel decreto, la questione che si pone è quella – anche qui – dell’immediata precettività del principio indicato (ossia, appunto, del principio dell’evidenziazione della situazione economica del solo assistito), il quale è invocato dalle parti ricorrenti per argomentare l’illegittimità della previsione voluta dal Consorzio (che invece, come visto, ha dato rilievo anche alla situazione economica dei familiari dell’utente).

Non ignora il Collegio, in proposito, che – in base ad un orientamento della giurisprudenza amministrativa, anche del Consiglio di Stato (cfr. sez. V, nn. 1607 e 5185 del 2011), tuttavia non del tutto pacifico (cfr. TAR Veneto, sez. III, n. 830 del 2010; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, n. 350 del 2008) – è stato in passato ritenuto che tale norma individuasse un livello essenziale delle prestazioni concernente i diritti civili e sociali da assicurare su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m, Cost.: aver riguardo alla situazione economica del solo assistito, ai fini di stabilire le modalità della compartecipazione ai costi dell’assistenza socio-sanitaria, era infatti considerato un modo per valorizzare la dignità intrinseca, l’autonomia individuale e l’indipendenza della persona del disabile, anche in linea con quanto stabilito dall’art. 3 della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata con legge n. 18 del 2009. Tale prospettazione, tuttavia, non può oggi ritenersi più valida, essendo stata autorevolmente smentita dalla recente sentenza n. 296 del 2012 della Corte costituzionale la quale ha, in sintesi, ritenuto che la disposizione di cui all’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998 non costituisce un livello essenziale delle prestazioni relative ai servizi sociali a favore degli anziani non autosufficienti e dei disabili gravi; ciò, per un triplice ordine di ragioni: a) l’esame letterale di tale disposizione non suffraga una simile conclusione, evidenziandosi all’opposto solo una fissazione di principi e criteri direttivi da attuarsi con il successivo decreto ministeriale; b) la norma risulta carente lungo il versante dell’individuazione specifica delle

prestazioni (in tesi) da erogare, limitandosi a rinviare al successivo decreto; c) lo Stato non ha ancora organicamente esercitato la propria competenza legislativa ex art. 117, comma 2, lett. m, Cost., nella materia dei servizi sociali (cd. LIVEAS), sicché non può ad oggi ritenersi individuato alcun livello essenziale afferente a tale ambito – ciò, peraltro, deve aggiungersi, a margine dell’avvenuta individuazione dei livelli essenziali per il settore socio-sanitario, di cui all’Allegato 1.C del d.P.C.M. 29 novembre 2001 (sul quale si tornerà infra).

In tale quadro, così interpretata la norma invocata dalle ricorrenti quale parametro di legittimità, è evidente che essa non è in grado di sorreggere la censura di cui al quinto motivo. Deve pertanto concludersi che non è dato rinvenire, nell’attuale sistema legislativo (quale interpretato alla luce della richiamata sentenza n. 296 del 2012 della Corte costituzionale), una direttiva o un principio che giuridicamente imponga agli enti erogatori delle prestazioni socio-assistenziali di evidenziare – nella valutazione delle condizioni economiche degli utenti disabili gravi e/o anziani non autosufficienti – la situazione economica del solo assistito.

8.1. Parimenti non fondata – sia pure per diverse ragioni – è la parte del quinto motivo riguardante quei punti dell’allegato impugnato (i nn. 9, 10.1 e 13) che hanno conferito rilevanza, nella valutazione della situazione economica dell’assistito, alla titolarità di “risparmi” o di proprietà immobiliari. Deve in questo caso richiamarsi quanto già esposto in precedenza circa la natura meramente programmatica, e non certo attualmente precettiva, del parametro di legittimità invocato, il quale – come già in precedenza – è costituito dalla d.G.R. n. 37-6500 del 23 luglio 2007.

9. Si giunge, così, all’esame dell’ultimo motivo di gravame, mediante il quale è stata richiamata la normativa sui c.d. LEA (livelli essenziali di assistenza) di cui all’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, all’art. 54 della legge n. 289 del 2002 ed al d.P.C.M. 29 novembre 2001, allegato 1.C: ciò, con riferimento ai quei punti della delibera impugnata (i nn. 5, 7 e 13) che prevedono liste di attesa e divieto di nuovi inserimenti nelle varie strutture, ossia che vanno ad incidere direttamente – a differenza degli altri punti finora scrutinati – sull’erogazione delle prestazioni fornite dal Consorzio resistente.

Il motivo è fondato solo in parte.
In materia di LEA la giurisprudenza della Corte costituzionale ha più volte statuito che l’avvenuto inserimento nel secondo comma dell'art. 117 del nuovo Titolo V della Costituzione, fra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, della "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" ha attribuito al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto e che la conseguente forte incidenza sull'esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni e delle Province autonome comporta che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori (sentt n. 88 del 2003, n. 134 del 2006 e, da ultimo, n. 8 del 2011). A tale proposito, sulla scorta della generale previsione di cui all’art. 1, comma 6, del d.lgs. n. 502 del 1992, l'art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito in legge n. 405 del 2001, ha disciplinato il procedimento per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza (cc.dd. LEA) da concludersi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: e su questa base è stato adottato il d.P.C.M. 29 novembre 2001. L'art. 54 della legge n. 289 del 2002 ha poi confermato i livelli di assistenza così individuati (nei quali sono inclusi anche quelli afferenti all’area dell’integrazione socio-sanitaria). In taluni casi, inoltre, il legislatore statale, tramite alcune specifiche disposizioni legislative, ha anche proceduto a definire direttamente alcune prestazioni come livelli essenziali (cfr., sul punto, TAR Napoli, Campania, sez. I, n. 4740 del 2007).
In tale quadro la censura di parte ricorrente è fondata solo con riferimento ai punti nn. 5 e 7 dell’allegato alla delibera assembleare del 13 aprile 2012, i quali pertanto devono essere annullati. Si tratta, infatti, nello specifico, della previsione di liste di attesa per la fruizione dei servizi di “educativa territoriale” per i disabili e di “assistenza domiciliare” per i disabili, ossia di servizi che rientrano, a tutta evidenza, nelle definizioni di cui all’Allegato 1.C, punti 8 e 9 (dedicati, nel quadro dei servizi socio-sanitari, all’assistenza territoriale semi- residenziale e residenziale del disabile, la quale deve comprendere anche prestazioni di riabilitazione). Sul punto, peraltro, la difesa del Consorzio resistente non ha replicato in ordine alla natura, in fatto, delle prestazioni sottoposte alle liste di attesa ed alla loro riconducibilità ai livelli indicati dal d.P.C.M. 29 novembre 2001, limitandosi ad osservare che le liste di attesa “sono istituite e gestite dall’Azienda Sanitaria Locale” e non anche dal Consorzio medesimo; ma non ha specificato qual è il rapporto in concreto

sussistente tra le decisioni della ASL di riferimento ed il Consorzio dei servizi socio-assistenziali, con ciò non chiarendo dovutamente se le previsioni impugnate siano (o meno) meramente attuative di previsioni altrove disposte.
La censura di parte ricorrente non è, invece, fondata con riguardo all’impugnazione del punto n. 13 dell’allegato alla deliberazione consiliare. In tal caso infatti – come chiarito dalle difese del Consorzio, in ciò non più smentite dalla controparte – vengono in considerazione prestazioni afferenti ad anziani autosufficienti, le quali si pongono senz’altro al di fuori dei livelli essenziali delle prestazioni quali individuati dall’Allegato 1.C del d.P.C.M. 29 novembre 2001.

10. In definitiva, pertanto, il ricorso è da accogliere limitatamente all’ultimo motivo di gravame e solo con riferimento all’impugnazione dei punti nn. 5 e 7 dell’Allegato alla deliberazione dell’Assemblea consortile n. 11/A/2012 del 13 aprile 2012, i quali vanno conseguentemente annullati nella parte in cui prescrivono il mantenimento e/o l’introduzione e/o il proseguimento di liste di attesa.

In considerazione della complessità delle questioni trattate, nonché della sopravvenienza – rispetto alla data di deposito dell’atto introduttivo – della sentenza n. 296 del 2012 della Corte costituzionale, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:
a) lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla i punti nn. 5 e 7 dell’Allegato alla deliberazione dell’Assemblea consortile n. 11/A/2012, del 13 aprile 2012, nella parte in cui essi prescrivono il mantenimento e/o l’introduzione e/o il proseguimento di liste di attesa;

b) lo dichiara inammissibile con riferimento all’impugnazione del punto n. 2 della deliberazione medesima; c) lo respinge per il resto;
d) compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente
Ofelia Fratamico, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 14/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 


 

 

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