In caso di inadempimento, da parte di un privato, all'impegno assunto con un comune nell'ambito di un accordo corrispondente allo schema procedimentale contemplato dall'art. 28 l. n. 1150 del 1942 - avente a oggetto il rilascio di una o più licenze edilizie, subordinate all'impegno di attuare le opere di urbanizzazione - il diritto del comune di avvalersi della tutela della esecuzione del contratto non è indisponibile e, quindi, è soggetto a prescrizione.
Non basta, infatti, a integrare la indisponibilità - cui fa riferimento l'art. 2934, comma 2, c.c. - l'esistenza di una finalità di pubblico interesse, il cui perseguimento non si sottrae, in via di principio, agli effetti del trascorrere del tempo, nemmeno quando si sia in presenza di atti autoritativi della Pa, dovendosi - comunque - avere riguardo al contenuto oggettivo del diritto della cui prescrizione si discute, non già alla natura e alla causa degli atti negoziali dai quali quel diritto trae origine
La giurisprudenza tende a ricondurre le convenzioni di lottizzazione, e le convenzioni urbanistiche, in genere, agli accordi sostitutivi di provvedimento, di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11 (dei quali anzi avrebbero agevolato l'elaborazione, anticipandone lo schema di riferimento: Cass. 15.12.2000, n. 1262; analogamente la giurisprudenza amministrativa: da ultimo Cons. Stato, sez. 4, 8.7.2013, n. 3597).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato il 17.9.1993, il Comune di Verona conveniva in giudizio P.G. e Pa.Gi.
quali eredi di A.B., e M.G. e M. A., quali eredi di N.L., davanti al Tribunale di quella città, chiedendone la condanna alla realizzazione di campo giochi e parcheggio, in adempimento di obbligazione assunta con la convenzione di lottizzazione stipulata il 27.12.1973. Si costituivano in giudizio i convenuti, che eccepivano la prescrizione del diritto azionato e l'inammissibilità della domanda, avendo essi alienato a terzi gli immobili su cui localizzare le attrezzature.
2. Con la sentenza di primo grado, depositata il 5.10.1999, che dichiarava la prescrizione del preteso diritto alla realizzazione del campo giochi, che avrebbe dovuto essere eseguito entro anni 3, e rigettava ogni ulteriore domanda ritenendo la sopravvenuta inefficacia delle obbligazioni dei lottizzanti, per doversi considerare attuato il piano a seguito della realizzazione, entro anni 10, dell'80% degli edifici, proponeva appello il Comune di Verona, limitatamente alla questione relativa alla realizzazione dei parcheggi.
3. Con sentenza depositata il 10.4.2006, la Corte d'appello di Venezia, ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pa.Gi., al quale l'atto di appello non era stato notificato, accogliendo il gravame, condannava gli appellati P.G. e Pa.Gi. e M.G. e M.A. a realizzare e ad attrezzare le aree di parcheggio previste dalla convenzione 27.12.1973, osservando che il piano di lottizzazione doveva essere attuato, a termini della convenzione, entro 10 anni, e che la previsione per cui doveva considerarsi attuato ove alla scadenza la realizzazione degli edifici avesse raggiunto l'80% dei lotti, si riferiva alla realizzazione degli edifici, non anche alle opere di urbanizzazione la cui esecuzione diretta era stata assunta dai lottizzanti, mentre la domanda di realizzazione del parcheggio doveva considerarsi ritualmente introdotta fin dall'inizio del processo ed il trasferimento degli immobili a terzi non elideva l'obbligazione escludendone al più la concedibilità. 4. Ricorre per cassazione M.G., affidandosi a cinque motivi, illustrati da memoria, al cui accoglimento si oppone con controricorso il Comune di Verona.
Aderiscono al ricorso P.G. e Pa.Gi., che propongono ricorso incidentale fondato su sette motivi, illustrati da memoria. Il ricorso incidentale non risulta notificato al Comune. Non ha spiegato difese in questa sede M.A..


MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei procedimenti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., avendo essi ad oggetto ricorsi avverso la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo di ricorso, M.G., denunciando omesso esame e insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), censura la sentenza impugnata per aver ritenuto l'efficacia della convenzione di lottizzazione in mancanza di trascrizione.
Con il secondo motivo di ricorso, M.G., denunciando ulteriore insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5 in relaz. all'art. 8 della convenzione edilizia del 27.12.1973), censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la previsione per cui il piano si considerava attuato ove fosse stato realizzato l'80% degli edifici, si riferisca ai soli immobili e non anche alle opere di urbanizzazione, come i parcheggi. Con il terzo motivo di ricorso, M.G., denunciando ulteriore insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento all'art. 2934 c.c. e ss.), censura la sentenza impugnata per aver ritenuto l'applicabilità dei termini di attuazione del piano di lottizzazione, solo ai fabbricati, e non anche alle opere di urbanizzazione, alle realizzazione delle quali non ha applicato il termine di prescrizione.
Con il quarto motivo di ricorso, M.G., denunciando nuova inadeguata motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5 in riferimento all'art. 345 c.p.c.), censura la sentenza impugnata per non aver considerato inammissibile una domanda nuova proposta in appello, quella per la realizzazione del parcheggio.
Con il quinto motivo di ricorso, M.G., denunciando ulteriore insufficiente motivazione su punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5 in relaz. all'art. 110 c.p.c.), censura la sentenza impugnata per aver condannato i convenuti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, nonostante l'avvenuta alienazione degli immobili a terzi. 3. Con il primo motivo del ricorso incidentale, P.G. e Pa.Gi., denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo relativo alla sussistenza dei presupposti giustificanti l'integrazione del contraddittorio riguardo all'appellato Pa.
G., censurano la sentenza impugnata per aver configurato un'ipotesi di litisconsorzio necessario che induceva a integrare il contraddittorio nei confronti di quest'ultimo.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, P.G. e Pa.Gi., denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c. e violazione dell'art. 1292 c.c. in relazione all'ordinanza della Corte d'appello che ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pa.Gi., censurano la sentenza impugnata per aver configurato un'ipotesi di litisconsorzio necessario nonostante che la realizzazione di opere di urbanizzazione costituisse obbligazione solidale.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, P.G. e Pa.Gi., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 331 e 332 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), nonchè dell'art. 324 c.p.c. sempre in relazione all'ordinanza della Corte d'appello che ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Pa.Gi., censurano la sentenza impugnata per non aver dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di quest'ultimo, nei cui confronti, essendo scaduti i termini per l'appello, non poteva ordinarsi l'integrazione del contraddittorio, non essendosi in presenza di litisconsorzio necessario, per essere le obbligazioni scindibili.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale (contrassegnato ancora con il n. 3), P.G. e Pa.Gi., denunciando vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che la previsione di attuazione nel piano di lottizzazione di cui all'art. 8 della convenzione, non riguardasse l'obbligazione assunta dalle lottizzanti, sull'esecuzione delle aree destinate a parcheggio.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale (contrassegnato con il n. 4), P.G. e Pa.Gi., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1262, 1263 e 1370 c.c. in materia di interpretazione dei negozi giuridici, censurano la sentenza impugnata per aver trascurato di prendere in considerazione il comportamento dei contraenti successivo alla convenzione, e gli artt. 1, 2, 6, 8 della stessa e di non averla interpretata, nel dubbio, contro l'amministrazione che la predispose.
Con il sesto motivo del ricorso incidentale (contrassegnato con il n. 5), P.G. e Pa.Gi., denunciando omessa pronuncia sull'appello incidentale proposto da P.G. (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all'art. 112 c.p.c.) censurano la sentenza impugnata per non aver esaminato il motivo di gravame con cui si chiedeva il rigetto della domanda per avvenuta prescrizione del diritto di credito del Comune relativo al parcheggio, per decorso di 10 anni.
Con il settimo motivo del ricorso incidentale (contrassegnato con il n. 6), P.G. e Pa.Gi., denunciando violazione dell'art. 1183 c.c. e correlativamente degli artt. 2935 e 2946 c.c., censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che trattandosi di obbligazione da esigere immediatamente, il termine prescrizionale decorreva dal momento stesso in cui fu stipulata la convenzione, convenzione.


4. Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilità del ricorso incidentale P., che non è stato notificato al Comune di Verona.

E' pur vero che l'impugnazione segue a quella proposta da M. G., e che i P. aderiscono sostanzialmente ai motivi da questi fatti valere. Ma a parte che li rielaborano con autonoma impostazione, il ricorso contiene altri mezzi (i primi tre), inerenti la specifica posizione processuale del Pa.Gi..
L'impugnazione mira alla cassazione della sentenza, non per le statuizioni in essa contenute, favorevoli all'amministrazione comunale. Il ricorso è da considerare incidentale solo perchè segue nel tempo quella della M.. Nei confronti del Comune si tratta di ricorso autonomo, che doveva essere notificato, non solo alla prima ricorrente, riguardo all'impugnazione della quale esso seguiva nel tempo, ma anche al Comune, nei confronti del quale l'emananda sentenza della Corte sarebbe comunque destinata a fare stato. Il contraddittorio sulle proprie richieste non può dirsi instaurato nei confronti del Comune, per il semplice fatto di essere questo intimato dalla M..


5.1. Passando all'esame del primo motivo del ricorso principale, va disattesa, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilità avanzata dal Comune controricorrente, secondo cui il difetto di trascrizione della convenzione di lottizzazione sarebbe stato irritualmente proposto in grado di appello, in violazione dell'art. 345 c.p.c. La preclusione per le nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio (tra le quali va fatta teoricamente rientrare quella inerente la non vincolatività dell'obbligazione dedotta in giudizio per i convenuti per la mancata trascrizione, trattandosi di eccezione volta unicamente a provocare il rigetto della domanda avversaria), fu stabilita con la novella di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 (art. 52), non applicabile ai giudizi pendenti al 30.4.1995, cui si applicano le disposizioni anteriormente vigenti (Cass. 11.9.2008, n. 23389).
Il presente giudizio fu introdotto con citazione notificata il 17.9.1993. Il testo dell'art. 345 c.p.c., allora vigente, consentiva la proposizione di nuove eccezioni in appello, con possibili conseguenze unicamente sul regime delle spese. La questione di cui al primo motivo va dunque esaminata, non essendo la parte ora ricorrente principale incorsa in decadenze nella proposizione dell'eccezione in appello.


5.2. La pretesa inefficacia della convenzione lottizzazione stipulata dai danti causa degli attuali ricorrenti, con il Comune di Verona nel 1973, per la mancata trascrizione della medesima, pone all'attenzione del Collegio la travagliata questione della natura giuridica delle convenzioni di lottizzazione previste dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, comma 5, come sostituito dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 8. Il tema in vario modo si riflette sulle doglianze sollevate con i ricorsi all'esame, che dunque richiedono da parte di questa Corte una sommaria ricognizione, per quanto d'interesse nella causa, delle soluzioni professate nella ricostruzione dell'istituto.
Va affermato, in relazione alla specifica doglianza sollevata dalla ricorrente principale con il primo mezzo, che essa è inammissibile, sia pure per motivi diversi da quelli eccepiti dal Comune.
La doglianza è prospettata quale vizio di motivazione, nel senso che il giudice, nel riconoscere la fondatezza della pretesa del Comune, di condannare la parte privata all'adempimento della convenzione, non avrebbe tenuto conto che la convenzione non era trascritta. La critica rimane irrisolta, perchè priva di argomentazione sulle conseguenze della mancata trascrizione, che il giudice di merito, nel suo ragionamento logico, avrebbe dovuto applicare, con riguardo allo specifico status dei ricorrenti, in quanto successori delle parti private nella convenzione di lottizzazione.
L'esercizio del diritto di impugnazione non può prescindere dall'esistenza, in capo a chi se ne avvale, di un interesse che, dovendo essere concreto e attuale e configurandosi come condizione dell'azione, deve desumersi dal raffronto fra il contenuto della sentenza ed il gravame, sicchè il ricorso per cassazione, che lamenti, nella valutazione del giudice, l'omessa considerazione di talune circostanze, deve dimostrare che le stesse avrebbero condotto ad un esito più favorevole della causa (Cass. 6.10.2005, n. 19510).
Potrebbe anche dubitarsi che la circostanza della mancata trascrizione possa paralizzare una pretesa nei confronti della parte, per il mancato compimento di un'attività che proprio ad essa competeva. La ricorrente non motiva la propria critica in relazione alla pretesa del Comune nei propri confronti: non s'interroga sulla ratio della norma che ha imposto quell'adempimento, nè sulla funzione della trascrizione, quale mezzo di pubblicità previsto dall'ordinamento, nella specifica ipotesi delle convenzioni di lottizzazione.


5.3. Nella ricostruzione dei fatti di causa, e nell'applicazione delle norme, deve tenersi conto che l'accordo di cui si discute venne stipulato nel 1973, quando, ben lungi da una complessiva regolamentazione delle convenzioni in materia pubblicistica, operata con la L. 7 agosto 1990, n. 241, la prassi amministrativa non poteva contare su un consistente numero di applicazioni, pur se le convenzioni di lottizzazione costituivano l'esempio cui vennero modellate, negli anni successivi all'emanazione della legge urbanistica, ulteriori previsioni legislative di "urbanistica contrattata". La circostanza spiega la non compiuta regolamentazione, nella fattispecie all'esame, dei rapporti inter partes con riferimento alle aree destinate a ospitare le opere di urbanizzazione direttamente eseguibili delle proprietarie lottizzanti, evidentemente a scomputo degli oneri di urbanizzazione, di cui non si da notizia, nella sentenza impugnata, di un eventuale successivo trasferimento al patrimonio dell'ente pubblico. Neppure si da conto dell'assunzione complessiva degli obblighi indicati dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28, comma 5, n. 1) e 2), quale contenuto della convenzione, e della successiva gestione degli spazi destinati a opere di urbanizzazione, ai fini della fruizione pubblica, risultando soltanto un obbligo di manutenzione da parte degli acquirenti dei lotti.
La giurisprudenza tende oggi a ricondurre le convenzioni di lottizzazione, e le convenzioni urbanistiche, in genere, agli accordi sostitutivi di provvedimento, di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11 (dei quali anzi avrebbero agevolato l'elaborazione, anticipandone lo schema di riferimento: Cass. 15.12.2000, n. 1262; analogamente la giurisprudenza amministrativa: da ultimo Cons. Stato, sez. 4, 8.7.2013, n. 3597).
Le difficoltà di ricostruzione dogmatica della convenzione di lottizzazione, prima della L. n. 241 del 1990, stava nell'insofferenza a razionalizzare un accordo privatistico quale condizione per l'esercizio del potere discrezionale in materia di pianificazione urbanistica. Il che portava a dubitare, in primo luogo, della sinallagmaticita del contratto accessivo al piano di lottizzazione, giacchè a fronte degli obblighi assunti dal privato lottizzante per l'urbanizzazione delle aree da edificare, appariva difficile teorizzare l'esercizio negoziato del potere pianificatorio, che oltre ad essere indisponibile ed incoercibile (nel senso civilistico del termine), è soggetto a valutazioni che possono variare nel tempo.

E' evidente che la problematica riguardava soprattutto l'eventualità di mancata attuazione degli obblighi assunti dalla parte pubblica (anche con riguardo alle pretese di eventuali terzi non partecipanti all'accordo), in un settore in cui la posizione del privato, a fronte dello ius variandi della p.a., difficilmente poteva attestarsi al livello di diritto soggettivo. La permanenza di poteri autoritativi in capo alla p.a. anche nella fase di esecuzione dell'accordo rende appropriata, con la L. n. 241 del 1990 (art. 11, comma 5), la devoluzione delle controversie in materia di accordi integrativi e sostitutivi di provvedimenti, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Questione che nella presente causa non si pone, giacchè non sollevata e non rilevata nel corso del giudizio.
La problematica appare semplificata nella direzione delle pretese della parte pubblica nei confronti del privato inadempiente agli obblighi assunti con la convenzione lottizzatoria, per i quali, se la problematica riconducibilità dell'accordo al sinallagma contrattuale non ne ha precluso l'affermazione di risolubilità (il rimedio contrattuale di cui all'art. 1453 c.c. non è apparso incompatibile con la definizione delle convenzioni di lottizzazione in termini di accordo procedimentale e non di contratto: Cons. Stato, sez. 4, 4.5.2010, n. 2568), non sì è dubitato che il Comune possa avvalersi dell'azione di adempimento, chiedendo la condanna all'esecuzione in forma specifica delle prestazioni dedotte in convenzione: trattasi di iniziativa mediante la quale la p.a., in relazione ad un obbligo che è già determinato nell'accordo, mira a conseguire un titolo esecutivo. Lo stesso L. n. 241 del 1990, art. 11 al comma 2, dispone che gli accordi procedimentali sono regolati, ove non diversamente disposto, dai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili.
L'esperibilità dell'azione ex art. 2932 c.c., ad esempio, almeno da parte del Comune, ove il privato lottizzante abbia omesso di dare esecuzione all'accordo, è giustificata dalla riconosciuta applicabilità del rimedio non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi fattispecie dalla quale sorga l'obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto (Cass. 30.3.2012, n. 5160), e ritenuta non incompatibile con la struttura del processo amministrativo (Cons. Stato, ad. plen, 20.7.2012, n. 28).
Si è già accennato che l'azione esperita dal Comune di Verona nella presente causa, non è inquadrabile nello schema di cui all'art. 2932 c.c., non proponendosi il trasferimento coattivo dell'area destinata alle opere di urbanizzazione, e risultando qualificabile quale ordinaria azione di adempimento: per quello che è dato di comprendere dalla sentenza impugnata, e non emergono controindicazioni negli scritti di parte, i privati lottizzanti si erano semplicemente impegnati a realizzare un'area di parcheggio su aree di loro proprietà.


5.4. Venendo più propriamente ai motivi di ricorso, la prima questione che si pone attiene alla titolarità passiva dell'obbligo, atteso che la casistica giurisprudenziale evidenzia pretese tardive della parte pubblica, il più delle volte azionate dopo la scadenza del termine di efficacia del piano di lottizzazione (fissato, nella misura massima di anni 10, dall'art. 28, comma 5, n. 3) in cui il tempo trascorso pone davanti all'ente che pretende l'adempimento soggetti diversi (aventi causa a titolo particolare o universale) dal contraente in fase di lottizzazione. Il fenomeno induce allora al reperimento delle condizioni per le quali possa pretendersi l'adempimento dell'obbligo convenzionale da altri soggetti, e la predicabilità di una estinzione di detti obblighi per decorso del tempo. All'adempimento degli obblighi assunti dal privato con la convenzione tende ad attribuirsi il carattere di obligatio propter rem, la cui prerogativa fondamentale, l'ambulatorietà, sarebbe condizionata alla trascrizione della fonte dell'obbligo sulla cosa, ut transeat cum onere suo. Che anzi, è proprio nella pubblicità assicurata alle convenzioni urbanistiche dalla trascrizione immobiliare, che si è riscontrato il supporto legislativo al suddetto inquadramento dogmatico dell'impegno assunto dal privato in ambito lottizzatorio, attesa la tipicità di tali obbligazioni (ribadita da ultimo in Cass. 26.2.2014, n. 4572).
Nella prospettiva in cui è necessario porsi riguardo alla fattispecie dedotta in causa, la mancata trascrizione della convenzione, da parte dei privati lottizzanti, è questione ultronea, e non decisiva, che rende irrilevante, e quindi configura ulteriore ragione di inammissibilità, del primo mezzo di impugnazione.
Riprendendo quanto sopra accennato, in merito alla riscontrata carenza del primo motivo, la nozione di decisività, cui è subordinata la denuncia del vizio di motivazione, concerne la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, afferisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa (Cass. 14.2.2013, n. 3668). Nella specie, la trascrizione della convenzione non appare elemento determinante per la configurazione dell'obbligo di realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico degli attuali ricorrenti. La titolarità dell'obbligo appare nella specie conseguenza del subingresso di essi quali successori a titolo universale nei rapporti che facevano capo alle rispettive danti causa ( A.B. per P.G. e Gi.; N.L. per M. A. e G.), a suo tempo autorizzate alla lottizzazione, come in tutte le posizioni contrattuali, comprensive di crediti e di vantaggi, ma anche di debiti pecuniari ed obbligazioni di fare, che non abbiano la prerogativa dell'infungibilità. Con la convenzione del 1973, peraltro la N. e la B. assumevano l'impegno "in proprio e per i loro successori e aventi causa".
In primo luogo, non appare corretto richiamarsi alla trascrizione per giustificare la successione nell'obligatio propter rem da parte dell'acquirente del diritto reale e indipendentemente dalla sua volontà, essendo necessario stabilire, in via generale, se e in quali limiti la norma permetta la successione anche senza e perfino contro la volontà dell'acquirente.
La trascrizione di un onere non apparente, inoltre, non appare idonea a tenere indenne il venditore dalla responsabilità di cui all'art. 1489 c.c. (Cass. 30.1.1987, n. 881), ove abbia dichiarato l'inesistenza di oneri o diritti reali sul bene.
Venendo all'ipotesi specifica della convenzione regolata dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28 in cui è il proprietario lottizzante ad essere onerato della trascrizione della convenzione di lottizzazione, si verrebbe ad attribuirgli una mera facoltà di obbligare l'acquirente all'adempimento delle prestazioni sancite dalla convenzione da lui stesso stipulata. Nell'ipotesi di inadempimento del proprietario lottizzante, seguirebbe l'automatica liberazione dall'obbligo, ad autorizzazione conseguita, con il semplice trasferimento a terzi dei lotti. E' infatti considerato elemento della obligatio propter rem l'identificazione del debitore attraverso la titolarità del bene cui l'obbligo accede, sicchè il trasferimento della cosa comporta la liberazione del dante causa, e, in sostanza, l'estinzione dell'obbligazione, ove sia mancata a trascrizione. A maggior ragione nella successione ereditaria, è difficilmente ipotizzabile un interesse del de cuius resosi inadempiente agli obblighi della convenzione, a onerare esplicitamente l'erede alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Ci si può chiedere, allora, quale sia l'esigenza cui intende ovviare la previsione della trascrizione (oltre che della stipula della stessa quale condizione del provvedimento comunale abilitativo) della convenzione regolante gli obblighi sanciti dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28, comma 5, a carico del soggetto che abbia richiesto l'autorizzazione. Il piano di lottizzazione è concepito, nel contesto della legge urbanistica, come alternativa al piano particolareggiato, cioè, in sostanza, alla stregua di piano attuativo.
La matrice contrattuale dei piani di lottizzazione, che ne colloca la formazione al di fuori dello schema procedimentale del piano particolareggiato, si traduce nella pubblicità che agli atti privati si riconnette, nella inapplicabilità delle disposizioni dettate per pubblicazione dei piani di matrice pubblicistica. Tale finalità, che meglio si addice alla funzione del piano di lottizzazione come strumento urbanistico, pur di iniziativa privata, che comunque ha una funzione conformativa della proprietà (art. 869 c.c.), rispecchia peraltro la natura dei registri immobiliari, in modo che la trascrizione prevista dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28 è strumento di pubblicità - notizia riguardo all'assetto del territorio, non anche di costituzione di obblighi.
Il che comporta, ad esempio, che ove sia mancata la trascrizione della convenzione, l'amministrazione può legittimamente provvedere, mediante varianti, a modificare l'assetto urbanistico-edilizio della zona interessata dal piano, senza obbligo di specifica motivazione circa le ragioni di interesse pubblico che l'abbiano indotto a dare diversa destinazione alle aree della programmata lottizzazione (Cons. Stato, sez. 4, 6.10.1984, n. 744). A riprova dell'assunto, in ordine alla responsabilità del proprietario lottizzante per gli impegni assunti mediante la convenzione, e della loro trasmissibilità unicamente rimessa alle regole generali in tema di successione ereditaria e di cessione del contratto (o di contratto a favore di terzo, o di vendita del lotto con espresso patto di esecuzione delle opere di urbanizzazione), e non già in virtù di una problematica ambulatorietà dell'obbligazione, sta nell'espressa previsione di una garanzia indiretta del Comune nei confronti dell'acquirente che intenda trasformare il terreno in senso edificatorio: l'art. 28, comma 7 stabilisce che la concessione edilizia è in ogni caso subordinata all'impegno della esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relativamente ai lotti, contemporaneamente all'edificazione. Trattasi, com'è evidente, di una distinta e autonoma fonte di obbligazioni, che grava sul concessionario dell'opera parallelamente all'edificazione del suolo, che nulla ha a che vedere con l'obbligazione assunta dal lottizzante autorizzato al frazionamento della proprietà a fini edificatori, a condizione dell'urbanizzazione (non dei singoli lotti) ma della zona o del comparto, unitariamente considerato.


6.1. Il secondo motivo del ricorso principale muove da un'interpretazione della convenzione per cui la realizzazione dell'80% degli edifici previsti nel piano di lottizzazione farebbe considerare attuata la convenzione, e di conseguenza inesigibile la pretesa del Comune alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
La doglianza è infondata.
E' pacifico in causa che le opere di urbanizzazione, cui i lottizzanti si erano impegnati, non sono state eseguite. La circostanza costituisce l'inadempimento della parte agli obblighi della convenzione, che, nella valutazione operata dalla Corte d'appello, giustifica l'azione intrapresa dal Comune per la ricognizione dell'obbligo assunto e la conseguente condanna.

6.2. La motivazione della sentenza è immune da vizi.
Non può in particolare avvalorarsi una diversa interpretazione della volontà delle parti, idonea a configurare una fittizia esecuzione delle opere per effetto del compimento, nel termine decennale stabilito, degli edifici insistenti sui terreni lottizzati, nella misura dell'80%.
Il termine decennale è stabilito per legge, specificamente, per la realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico del proprietario, dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28, comma 9 indipendentemente dalla costruzione dei lotti, che costituisce vicenda distinta, legata alla procedura per il rilascio delle concessioni edificatorie.
La previsione contrattuale (art. 8) di un termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione, è da riconnettere alla durata massima ordinaria dei piani attuativi, in primo luogo del piano particolareggiato (L. n. 1150 del 1942, art. 16, comma 5), scaduto il quale verranno meno i vincoli di inedificabilità e le dichiarazioni di pubblica utilità connesse alla destinazione pubblica delle aree, con necessità di procedere ad una nuova pianificazione (art. 17).
Nella convenzione di cui è causa, evidentemente, la quasi completa attuazione delle edificazioni sui terreni lottizzati, è da ritenere circostanza idonea a scongiurare la decadenza del piano, senza peraltro comportare l'abrogazione degli obblighi di urbanizzazione, assunti con la convenzione (agli artt. 4, 5, 6).


7.1. Il terzo motivo del ricorso principale è infondato. Non può escludersi in astratto la prescrivibilità degli obblighi assunti con la convenzione. L'applicazione dell'art. 2934 c.c. e segg. alle prestazioni che costituiscono il contenuto della convenzione di lottizzazione, discende dalla riconosciuta applicabilità degli istituti di diritto civile agli accordi sostitutivi di provvedimenti, come previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 2.
In particolare, riguardo alla prescrizione (alla quale la parte obbligata può, anche implicitamente, rinunciare: Cons. Stato, sez. 5, 30.4.2009, n. 2768), si è ritenuto che nel caso di inadempimento da parte di un privato ad impegno assunto con un Comune nell'ambito di accordo corrispondente allo schema procedimentale contemplato dalla L. n. 1150 del 1942, art. 28 avente ad oggetto il rilascio di una o più licenze edilizie subordinate all'impegno di attuare le opere di urbanizzazione, il diritto del Comune di avvalersi della tutela dell'esecuzione del contratto non è indisponibile e, quindi, è soggetto a prescrizione: non basta, infatti, ad integrare l'indisponibilità - cui fa riferimento l'art. 2934 c.c., comma 2, - l'esistenza di una finalità di pubblico interesse, il cui perseguimento non si sottrae, in via di principio, agli effetti del trascorrere del tempo, nemmeno quando si sia in presenza di atti autoritativi della p.a., dovendosi, comunque, avere riguardo al contenuto oggettivo del diritto della cui prescrizione si discute, non già alla natura ed alla causa degli atti negoziali dai quali quel diritto trae origine (Cass. 6.2.2013, n. 2835). Con riguardo alle obbligazioni di tacere, la prescrizione del diritto del promissario ad ottenere l'adempimento della obbligazione assunta dal promittente, comincia a decorrere dal momento in cui la prestazione diventa esigibile (Cass. 18.11.1987, n. 8483). In particolare, l'azione per il conseguimento del contributo per gli oneri di urbanizzazione, come per mancata esecuzione delle stesse, sorge al momento in cui si concreta l'inadempimento, ovvero al compimento del termine di durata decennale della convenzione e non già da quello dell'assunzione dell'obbligo (Cons. giust. amm. sic, sez. giurisdiz., 14.12.2009, n. 1187).
L'azione di adempimento del Comune di Verona è stata intrapresa con citazione notificata il 17.9.1993, entro i 10 anni dal decorso del termine, localizzabile alla scadenza del termine decennale concesso per l'esecuzione delle opere, a sua volta decorrente dalla data della convenzione (27.12.1973). Anche senza tener conto di atti interruttivi.


8. Il quarto motivo è inammissibile.
La ricorrente richiama il passo della sentenza impugnata, che riproducendo le conclusioni dell'atto di appello, in comparazione con il tenore della citazione, argomenta la presenza, nell'oggetto del contendere, dell'obbligo di realizzazione del parcheggio, quale opera la cui esecuzione fu assunta dal lottizzante con la convenzione del 1973. La ricorrente stessa argomenta poi sul divieto di proporre domande nuove in appello, e riporta giurisprudenza di questa Corte, assumendo che controparte aveva introdotto domanda nuova essendo quella in primo grado (di cui non trascrive il tenore testuale) diretta alla (semplice) realizzazione del campo giochi e del parcheggio.
L'inammissibilità della doglianza va dichiarata sotto due profili.
Con la denuncia di difetto di motivazione (e il richiamo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, sia pure in relazione all'art. 345 c.p.c.), la ricorrente fa in realtà valere un error in procedendo. Costituisce causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l'erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell'una o nell'altra fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c. (Cass. 17.9.2013, n. 21165).
Anche a voler interpretare la doglianza come violazione di norma sul procedimento, l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, cosicchè è necessario, in ottemperanza del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli dal corretto svolgersi dell'iter processuale, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi dell'atto introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli del ricorso d'appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. 10.11.2011, n. 23420).
9. Il quinto motivo del ricorso principale è infondato.
Con la pretesa di attribuire la titolarità passiva delle prestazioni contemplate dalla convenzione di lottizzazione, la ricorrente fa valere un vizio di violazione di legge, e mal invoca l'insufficiente motivazione.
Si aggiunga che dalle argomentazioni svolte a confutazione del primo motivo, discende che la titolarità dell'obbligo assunto merce la convenzione di lottizzazione, riguarda il proprietario lottizzatore, e che la successione mortis causa nella convenzione stessa, comporta la legittimità della pretesa de Comune, siccome rivolta nei confronti degli attuali ricorrenti. Esclusa l'ambulatorietà dell'obbligazione in assenza di prova (e financo di allegazione), di un trasferimento del bene con specifico patto di assunzione di quegli obblighi da parte del compratore, la pretesa che sta alla base della censura, è infondata.
10. Al rigetto del ricorso principale segue la condanna della ricorrente alle spese del Comune (del quale va ritenuta la ritualità del controricorso che, indipendentemente dal deposito degli avvisi di ricevimento della notifica, è contrastato dalla memoria illustrativa del Comune, che così dimostra di averne ricevuto conoscenza).


P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente alle spese a favore del Comune di Verona, liquidate in Euro 8.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2015

 

 

 

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