SOCIETA'

 

Cassazione civile, sez. I 07 giugno 2002, n. 8276 - Pres. Criscuolo - Est. Morelli. Società - Di persone fisiche - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Organi assembleari - Mancata previsione normativa - Irrilevanza - Costituzione da parte dei soci - Legittimità - Conseguenze in tema di validità delle delibere.

 

La mancata previsione normativa di un organo assembleare nelle società di persone non comporta che ne sia, per ciò solo, vietata la costituzione, e che sia preclusa ai soci - qualora questi siano chiamati ad esprimere il proprio "consenso" nelle materie di cui agli artt. 2252, 2275, 2301, 2257 comma secondo, 2258 comma secondo, 2322 comma secondo - la possibilità di riunirsi in assemblea per deliberare, appunto, ai sensi delle norma citate, all'unanimità ovvero a maggioranza. Ne consegue che l'adozione del metodo assembleare per le deliberazioni sociali - da ritenersi del tutto legittimo - comporta che, quanto alla disciplina della validità/invalidità di tali atti deliberativi, debba farsi applicazione dei principi generali sulle patologie degli atti negoziali plurisoggettivi (esclusa, per converso, l'applicabilità degli artt. 2377 e 2379, dettati con specifico riferimento alle sole delibere delle società per azioni), di talché, dalla eventuale violazione di norme imperative (quale quella di cui all'art. 2252 cod. civ., specificativa del principio generale di immodificabilità del contratto senza il consenso di tutti i contraenti), discende senz'altro la nullità della delibera societaria, ex art. 1418 cod. civ..

 

 

Cassazione civile, SEZIONE I, 2 gennaio 1995, n. 7

Le ragioni che militano contro la estensione analogica del principio di cui all'art. 2332 c.c. alle società di persone sono lucidamente espresse dalla stessa sentenza del Tribunale di Bologna, ove si rileva che tale ipotesi interpretativa è impedita dalla reciproca autonomia dei sistemi delle società di capitali e delle società di persone e che la norma, supposta estensibile, è in realtà imperniata su un procedimento formale (la iscrizione della società, come è detto in apertura dell'art. 2332) che è assente, nel suo valore costitutivo, nelle società di persone.

 

 

Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 26 giugno 2000 n. 8670

Non è, infatti, possibile riconoscere agli eredi del socio defunto in quanto tali, il diritto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, ma soltanto il diritto a ricevere il controvalore in denaro della quota di partecipazione. Afferma la S.C. nella sentenza che si annota, come «il diritto dell'erede ha per oggetto, fin dal primo momento, un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, solo sorgendo a carico della società l'obbligo di corrispondere il valore della quota».

Ed invero, afferma ancora la S.C., «l'evento della morte comporta la cessazione della qualità di socio, che non si trasferisce agli eredi, e determina la trasformazione "ope legis" della quota, quale insieme di diritti sociali, nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l'erede e debitrice la società».

L’erede del socio – parificato al socio uscente per recesso o esclusione – potrà legittimamente chiedere la liquidazione della quota già spettante al suo dante causa, che è cosa diversa dalla quota di liquidazione spettante, invece, a coloro i quali posseggono la qualità di socio al momento dello scioglimento della stessa, in esito alle operazioni in cui si sostanzia la liquidazione della società.

 

 


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