Cassazione civile, SEZIONE I, 2 gennaio 1995, n. 7 Le ragioni che militano contro la estensione analogica del principio di cui all'art. 2332 c.c. alle società di persone sono lucidamente espresse dalla stessa sentenza del Tribunale di Bologna, ove si rileva che tale ipotesi interpretativa è impedita dalla reciproca autonomia dei sistemi delle società di capitali e delle società di persone e che la norma, supposta estensibile, è in realtà imperniata su un procedimento formale (la iscrizione della società, come è detto in apertura dell'art. 2332) che è assente, nel suo valore costitutivo, nelle società di persone.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Mario CORDA Presidente
" Pellegrino SENOFONTE Consigliere
" Salvatore NARDINO "
" Giuseppe BORRÈ Rel. "
" M. Gabriella LUCCIOLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 9019-91 proposto
da
FALLIMENTO S.R.L. GIEFFESTUDIO, in persona della Curatrice dott.
Silvia Biagetti, el.te dom.ta in Roma, Via Cuboni 12, presso la dott.
proc. Simona Bellettini (studio Macchi Di Cellere e Cangemi),
rappresentata e difesa dall'avv. Giancarlo Berti per procura in calce
al ric.
Ricorrente
contro
GIEFFESTUDIO S.R.L., in persona del suo legale rappresentante p.t.,
el.te dom.ta in Roma, Via Michelini Tocci 50, presso l'avv. Carlo
Visconti, che insieme all'avv. Giuseppe Germano la rappresenta e
difende per procura a margine del controricorso
Controricorrente
e nei confronti di
BRIGHETTI LUCIANO E BRIGHETTI GIUSEPPE, in proprio e quali soci della
Brighetti s.n.c.
e
BANCA DI ROMA S.P.A.
CREDITO ROMAGNOLO S.P.A.
TESSIL GROSSO di Grosso Valerio e C. s.a.s.
Intimati
e sul ricorso n. 9056-91 proposto da:
GIEFFESTUDIO S.R.L., ut supra
Ricorrente incidentale
contro
FALLIMENTO GIEFFESTUDIO S.R.L., ut supra
Controricorrente al r.i
e nei confronti di
FALLIMENTO BRIGHETTI S.N.C., in persona della curatrice dott.ssa
Silvia Biagetti, nonché dei soci Luciano e Giuseppe Brighetti.
BRIGHETTI LUCIANO E BRIGHETTI GIUSEPPE, in proprio e quali soci della
s.n.c. Brighetti.
BANCA DI ROMA, CREDITO ROMAGNOLO, TESSIL GROSSO di Grosso Valerio e
c. s.a.s.
Intimati
Avverso la sentenza n. 557 dep. il 3 maggio 1991 della Corte di
appello di Bologna;
Udita nella pubblica udienza del 24 marzo 1994 la relazione del cons.
Giuseppe Borrè;
Udito l'avv. Berti il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso
principale e il rigetto dell'incidentale e l'avv. Germano il quale ha
chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento
dell'incidentale;
Sentito il P.M., in persona del dott. Vincenzo Maccarone, il quale ha
concluso per l'accoglimento p.q.r. del secondo motivo del ricorso
principale e per il rigetto del primo e secondo motivo del ricorso
incidentale.
Fatto
Venuto in possesso di una scrittura privata datata 18 luglio 1985, con cui i soci della s.n.c. Brighetti di Brighetti Giuseppe e Brighetti Luciano, dichiarata fallita dal Tribunale di Bologna il 24 aprile 1987, dichiaravano di aver ceduto il 50 per cento delle quote sociali alla s.r.l. Gieffestudio, il curatore di quel fallimento chiese al predetto Tribunale, ai sensi dell'art. 147 capov. legge fall., che tale società fosse dichiarata fallita quale socio occulto illimitatamente responsabile della collettiva.
Il fallimento fu dichiarato con sentenza del 10 gennaio 1989, rilevandosi dal Tribunale che la scrittura 18 luglio 1985 costituiva la formalizzazione di un rapporto societario già posto in essere con un precedente contratto dell'11 settembre 1984, che, al di là del dichiarato affidamento alla s.r.l. Gieffestudio della consulenza aziendale, in realtà aveva attribuito alla stessa ogni potere gestionale, così da consentirle l'esercizio indiretto dell'attività d'impresa della società in nome collettivo.
Dalla Gieffestudio fu proposta opposizione all'estensione del fallimento, in particolare sul rilievo della inammissibilità della partecipazione di una società di capitali ad una società di persone e della nullità del relativo contratto. L'opposizione fu respinta con un'argomentata sentenza del Tribunale di Bologna, la quale, pur non discostandosi dalla tesi giurisprudenziale della inammissibilità della partecipazione di società di capitali in società di persone, rilevò che si imponeva una distinzione fra contratto di società e concreto svolgimento dell'attività societaria, che consentisse di valutare, al di là della nullità della partecipazione, la concreta attività sociale realizzata e di collegare a tale effettività il coinvolgimento nella procedura concorsuale.
La Corte di appello di Bologna, adita dalla Gieffestudio, con sentenza del 3 maggio 1991 riformò la decisione di primo grado e revocò il fallimento dichiarato in estensione. Osservarono i giudici di appello che il problema dell'ingresso di una società di capitali in una collettiva già costituita era stato negativamente risolto da questa Suprema Corte, anche a Sezioni unite, e che la nullità della partecipazione comportava, nella specie, che la s.r.l. Gieffestudio non fosse mai divenuta socia della s.n.c. Brighetti e che pertanto essa fosse rimasta estranea alla previsione dell'art. 147 legge fall., che presuppone l'esistenza di un valido vincolo sociale, anche se occulto o sorto per accordo verbale o da fatti concludenti.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il curatore del fallimento Gieffestudio con due mezzi di annullamento. La società Gieffestudio ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. La curatela ha depositato memoria.
Le altre parti cui è stato notificato il ricorso (s.n.c.
Brighetti e suoi soci, creditori istanti) non si sono costituite.
Diritto
1. Deve preliminarmente provvedersi alla riunione dei ricorsi principale ed incidentale, trattandosi di impugnazioni proposte contro la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, nonché violazione degli artt. 1418, primo comma, e 1420 c.c. In particolare egli si duole che il tema della partecipazione di società di capitali in società di persone sia stato liquidato con un semplice richiamo giurisprudenziale, senza indicazione alcuna delle norme imperative che l'atto, ritenuto nullo, avrebbe violato.
Soggiunge che la sentenza n. 5636-1988 delle Sezioni unite, che ha affermato la nullità di tale partecipazione, si riferisce ad ipotesi non pienamente coincidente con quella ora in esame e comunque ha superato l'assunto di un'incompatibilità ontologica fra i due tipi di società e posto invece l'accento sull'esigenza di difesa dei creditori (e dei soci) della società di capitali.
La resistente s.r.l. Gieffestudio eccepisce la inammissibilità del motivo sul rilievo che il Tribunale stesso aveva condiviso (o almeno non contrastato) tale giurisprudenza, e dunque ritenuto la nullità della partecipazione: conseguentemente il fallimento avrebbe dovuto proporre appello incidentale contro questa parte della sentenza e, in mancanza, si sarebbe formato, sul punto, il giudicato interno.
Questa Corte non può che ribadire, al riguardo, il proprio insegnamento, secondo cui l'appello incidentale presuppone una sia pur parziale soccombenza. Nella specie, invece, il fallimento ha visto accolte in toto, dal Tribunale di Bologna, le proprie conclusioni (rigetto dell'opposizione), il che esclude la necessità dell'appello incidentale, fermo l'onere di riproporre (come sono state riproposte) le questioni risolte sfavorevolmente ed integranti la c.d. soccombenza teorica, come quella della ammissibilità della partecipazione di società di capitali a società di persone.
Il motivo è dunque esaminabile, ma non è fondato.
A parte l'uso improprio del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. concernente soltanto la motivazione in fatto, non può dirsi che il tema sia stato liquidato dai giudici di appello con una semplice citazione giurisprudenziale, essendo ben nota l'esistenza di una risalente e consolidata giurisprudenza nel senso della inammissibilità della predetta partecipazione, giurisprudenza recentemente rinverdita (con moderne e non stereotipe argomentazioni) dalla sentenza 5636-1988 delle Sezioni unite, alla quale la decisione impugnata fa esplicito richiamo.
Nemmeno può sostenersi che l'ipotesi ora sub iudice si diversifichi significativamente da quella esaminata dalle Sezioni unite: queste hanno considerato il caso di società di capitali partecipante ad una società in accomandita semplice nella veste di accomandante, ma hanno respinto ogni suggestione derivante da tale specificità (ivi compresa quella di cui all'art. 1 della legge 5 agosto 1981 n. 416, sull'editoria) ed espressamente affermato il principio della nullità della partecipazione con riferimento a tutti i tipi di società personali.
È vero, invece, che tale sentenza ha superato l'idea di un'incompatibilità ontologica fra i due tipi di società e posto l'accento sulla tutela di creditori e soci della società di capitali, ma ciò significa soltanto che è stato riconosciuto il limite della motivazione tradizionale e valorizzato il fatto che con la partecipazione una parte del patrimonio della società di capitali verrebbe sottratto alle norme imperative dettate per tale tipo di società in tema di amministrazione e di bilanci, il che non solo non attenua, ma anzi consolida, il persistente responso giurisprudenziale della nullità.
È significativo, del resto, che il Tribunale di Bologna, in una sentenza di indubbio impegno teorico come quella che esso ha reso, abbia ritenuto di non contrastare l'orientamento giurisprudenziale in esame, nella sua ultima e più approfondita espressione offerta dalle Sezioni unite: orientamento al quale anche questo Collegio (peraltro non sollecitato da nuovi argomenti critici) non può che prestare adesione.
3. Con il secondo motivo il ricorrente fallimento denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 147 l. fall., 1418, 1420, 1423, 2332, 2291 c.c., e 14 delle preleggi. La Corte di appello, limitatasi a rilevare il vizio di nullità e a dichiarare che, a causa di esso, mai era sorto un vincolo societario della Gieffestudio con la compagine della società Brighetti, avrebbe omesso di considerare gli argomenti desumibili sia dall'art. 2332 c.c., per l'efficacia che esso attribuisce agli atti compiuti dalla società il cui atto costitutivo sia stato dichiarato nullo, sia dall'art. 147 legge fall., in quanto esso prende in considerazione l'esistenza del socio illimitatamente responsabile come "fatto", indipendentemente dal "negozio" da cui la qualità di socio derivi.
L'esistenza di una società, precisa il ricorrente, non dipenderebbe tanto dall'accordo originario quanto dai risultati dell'agire del sodalizio, che sono ineliminabili semplicemente perché prodottisi. Tale caratteristica, propria anche delle società di persone, implicherebbe l'estensione analogica del principio della conversione delle cause di nullità in cause di scioglimento, codificato per le società di capitali dal citato art. 2332 c.c., o almeno il riconoscimento che i rapporti posti in essere dalle società di persone sono efficaci fino alla pronunzia di nullità del vincolo sociale, o in virtù del principio dell'apparenza o attraverso un parallelismo fra società invalida e società di fatto.
Della non riconducibilità dei vizi dell'atto costitutivo di società alla pura e semplice patologia negoziale (e alla logica di eliminazione ex tunc che la caratterizza) sussisterebbero, secondo il ricorrente, i seguenti indici sistematici: a) la società apparente, in quanto comporta l'applicazione della normativa societaria, ivi compreso l'art. 147 legge fall., indipendentemente dalla sua riconducibilità ad un accordo costitutivo e per il solo fatto esteriore dell'operare di soggetti apparentemente uniti da vincoli ed intenti societari; b) la ingestione dell'accomandante nell'amministrazione sociale (art. 1320 c.c.), che mentre in termini di patologia interna può esser causa di esclusione del socio, è invece fonte della sua illimitata responsabilità sul piano dei rapporti esterni; c) la estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili ai sensi dell'art. 147 legge fall. la cui struttura normativa è imperniata sull'acquisizione di una dimensione meramente fattuale della partecipazione societaria.
La complessa censura non può essere accolta.
Le ragioni che militano contro la estensione analogica del principio di cui all'art. 2332 c.c. alle società di persone sono lucidamente espresse dalla stessa sentenza del Tribunale di Bologna, ove si rileva che tale ipotesi interpretativa è impedita dalla reciproca autonomia dei sistemi delle società di capitali e delle società di persone e che la norma, supposta estensibile, è in realtà imperniata su un procedimento formale (la iscrizione della società, come è detto in apertura dell'art. 2332) che è assente, nel suo valore costitutivo, nelle società di persone.
Ma anche le altre considerazioni svolte dal ricorrente non portano al risultato che egli auspica. Vi è certo un'apprezzabile intuizione nell'avvertire una parziale divaricazione fra fenomeno societario e contratto che lo genera; nell'osservare che "la nullità, se è idonea ad assicurare la reintegrazione della sfera patrimoniale dei singoli soci illegittimamente alterata da un contratto nullo, non appare di per se stessa idonea a governare la sfera ulteriore che l'atto costitutivo, in quanto norma prevalentemente organizzativa, crea nei rapporti con i terzi"; e in definitiva nel rilevare che la retroattività, insita nel giudizio di nullità, dovrebbe trovare temperamento nella preservazione dell'attività sociale realizzata, in armonia con la natura stessa del contratto sociale come "norma programmatica dell'agire sociale, la cui realizzazione è destinata ad investire la sfera dei terzi estranei". Queste osservazioni del ricorrente (già fatte proprie dal Tribunale di Bologna) sono sicuramente di notevole pregio teorico, ma non trovano conforto nel sistema positivo, che, proprio per non aver dettato per le società personali un equivalente dell'art. 2332 c.c., ha mantenuto le stesse al livello della contrattualità e dei suoi rimedi.
I tre "indici normativi", che il ricorrente segnala in senso contrario, non valgono a sorreggere, almeno per il caso di specie, una diversa conclusione.
L'art. 1320 c.c. sulla disciplina della responsabilità dell'accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società esprime certamente una scelta in favore dell'effettualità, ma l'ipotesi è strutturalmente troppo lontana da quella della nullità dell'atto costitutivo per poter giovare ad un certo tipo di lettura e di ricostruzione di quest'ultima.
Non decisivo, ai fini che qui interessano, è lo stesso art. 147, secondo comma, legge fall., perché non è affatto dimostrato che esso, ipotizzando che "risult(i) l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili", si riferisca ad una dimensione di pura fattualità della partecipazione e non, invece, almeno nella generalità delle ipotesi, a figure anche informali, ma pur sempre riconducibili alla logica della concludenza negoziale.
Unico vero "strappo" alla logica contrattuale è l'indice che il ricorrente identifica nella società apparente, perché qui l'effettualità di un agire apparentemente societario basta da solo a dar vita (almeno ai fini del coinvolgimento nell'espropriazione concorsuale) a conseguenze corrispondenti a quelle dell'esistenza di una società, anche se questa non è mai stata voluta, neppure tacitamente o concludentemente, ma soltanto è potuta apparire esistente ai terzi. Non può tuttavia sfuggire che tale situazione è del tutto estranea (e in qualche modo addirittura inversa) rispetto al caso di specie, in cui si tratta non già di tutelare i terzi che hanno confidato nell'apparenza di un rapporto sociale, ma di far emergere un rapporto sociale mantenuto occulto.
4. Il primo motivo del ricorso incidentale, con cui si deduce che la Gieffestudio non avrebbe comunque potuto essere dichiarata fallita, non rispondendo delle passività anteriori al suo ingresso in società, ha carattere condizionato e va pertanto dichiarato assorbito.
Essendo stato il ricorso incidentale proposto senza distinguere circa il suo carattere condizionato, eguale pronuncia si impone anche per il secondo motivo (che sarebbe peraltro inammissibile in quanto concernente il potere discrezionale di compensazione delle spese esercitato dal giudice di appello).
5. Si ravvisano giusti motivi di compensazione anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale; compensa le spese.
Così deciso in Roma il 24 marzo 1994