COLLABORAZIONE, CONSULENZA, STUDIO E RICERCA, AI FINI DELL’ADEMPIMENTO DI CUI ALL’ART. 1, COMMA 173 DELLA L. N. 266/2005
Cconti SRC Emilia Romagna 241/2021 - LINEE GUIDA RIGUARDANTI INCARICHI DI COLLABORAZIONE, CONSULENZA, STUDIO E RICERCA, AI FINI DELL’ADEMPIMENTO DI CUI ALL’ART. 1, COMMA 173 DELLA L. N. 266/2005
Controllo sul regolamento degli enti locali per il conferimento di incarichi a soggetti estranei alla pubblica amministrazione, e controlli sugli atti puntuali di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche
Il comma 173, dell'art. 1 della L. n. 266/2005, prevede che “Gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione”.
L’art. 7, comma 7, della l. 5 giugno 2003, n. 131 conferisce alle Sezioni regionali la verifica, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, del perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio o di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché della sana gestione finanziaria degli enti locali e del funzionamento dei controlli interni, riferendo sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai Consigli degli enti interessati.
Un primo tipo di controllo concerne i regolamenti degli enti locali, per il conferimento di incarichi a soggetti estranei alla pubblica amministrazione, con l’invio del testo alla Sezione regionale (art. 3, commi 56 e 57, l. n. 244/2007, come sostituito dall’art. 46, comma 3, del d.l. n. 25 giugno 2008, n. 112) della Corte dei conti entro 30 giorni dall’adozione. Nelle more dell’espletamento di tale controllo da parte della Corte dei conti, il regolamento è comunque efficace. La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione del 14 marzo 2008, n. 6/AUT/2008, ha precisato al riguardo che le ricadute dell’obbligo di trasmissione vanno ricostruite applicando i principi generali. La Sezione delle autonomie ha sottolineato che l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte dei conti; deve, quindi, escludersi l’effetto tipico del controllo preventivo di legittimità, che è integrativo dell’efficacia dell’atto (e sarebbe comunque incompatibile con la riforma costituzionale del Titolo V); purtuttavia, la trasmissione dei regolamenti deve ritenersi strumentale al loro esame e ad una eventuale pronuncia della Corte dei conti; il controllo della Corte dei conti è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, in una prospettiva non più statica ma dinamica (secondo l’orientamento della Corte costituzionale), volta a finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive (da parte degli enti); a parametro delle disposizioni regolamentari vanno altresì assunti i limiti normativi di settore ed in particolare l’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 e l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000, che, positivizzando principi affermati da una giurisprudenza ormai univoca, costituiscono regole di organizzazione non derogabili da disposizioni regolamentari ed, in gran parte, neppure da norme di rango superiore in quanto trovano fondamento in principi costituzionali.
Un secondo tipo di controllo concerne, invece, gli atti puntuali di spesa relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, accomunandoli a quelli in materia di relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (prevedendo quindi, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della l. 23 dicembre 2005, n. 266, che “gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione”).
I PRESUPPOSTI DI LEGITTIMITÀ PER IL CONFERIMENTO DI INCARICHI:
A) Straordinarietà e eccezionalità delle esigenze da soddisfare
B) L'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente
C) Accertata impossibilità oggettiva di poter utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno
D) La prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata
E) predeterminazione preventiva di durata, oggetto e compenso della collaborazione
F) esigenza di una previa procedura comparativa per la scelta del collaboratore
2.1 La norma fondamentale che detta i limiti entro i quali l’ente pubblico può ricorrere agli incarichi esterni e alle consulenze: l’art. 7, comma 6 del d. lgs. n. 165/2001
L’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, come invero i commi 5-bis, 6-bis, 6-ter e 6-quater, costituisce la norma fondamentale cui riferirsi per la verifica, da parte dell’ente pubblico che intende affidare incarichi esterni e consulenze, della sussistenza dei presupposti necessari; le disposizioni appena citate prevedono che: “(omissis) 5-bis. È fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi dell’art. 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato. Resta fermo che la disposizione di cui all’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, non si applica alle pubbliche amministrazioni.
6. Fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; 14 d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso ai contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 36, comma 3, del presente decreto e, in caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma, fermo restando il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si applica quanto previsto dal citato articolo 36, comma 5-quater. 6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. 6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6. 6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi “indipendenti di valutazione di cui all’art. 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le 15 finalità di cui all’art. 1, comma 5, della l. 17 maggio 1999, n. 144.” Detta norma, nella versione novellata dalle recenti disposizioni di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 75 del 2017, con cui sono state vietate le c.d. co.co.co. nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, prevede quindi che le pubbliche amministrazioni possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria; detta disposizione viene affiancata dal precedente comma 5-bis (a sua volta introdotto dal d. lgs. 75/2017) che pone il divieto alle p.a. di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, sanzionando con la previsione di nullità i contratti posti in essere in loro violazione nonché prevedendo la responsabilità erariale e contemplando altresì, ai sensi dell’art. 21 d. lgs. 75/2017, la responsabilità del dirigente precludendo l’erogazione della retribuzione di risultato.
2.2 Le regole stringenti fissate nella norma dell’art.7 comma 6 del D.lgs. 165/2001 L’utilizzo della facoltà di ricorso all’esterno di incarichi professionali è pertanto soggetta a condizioni rigorose che devono trovare nella motivazione dei singoli provvedimenti l’indicazione dell’esigenza da soddisfare e l’esplicitazione delle risultanze dell’istruttoria, dalle quali emerga come la specifica esigenza non possa essere soddisfatta con il personale in servizio. Più specificamente l’Amministrazione pubblica può procedere al conferimento dell’incarico solo quando si riscontrino i seguenti presupposti di legittimità.
2.2.1 Straordinarietà e eccezionalità delle esigenze da soddisfare La P.A. può ricorrere alla facoltà che la legge eccezionalmente le riconosce, qualora si manifesti un’esigenza straordinaria e imprevista che non può essere soddisfatta con personale in servizio bensì ricorrendo ad un incarico di lavoro autonomo, nel caso in cui tale esigenza si caratterizzi per il fatto di esulare dalle comuni conoscenze dell’ufficio e l’ente non disponga di profili professionali adeguati, in quanto oggettivamente assenti ovvero non sufficientemente qualificati, rispetto alle eccezionali esigenze da soddisfare. Oltre a ciò, e ad ulteriore conferma di quel carattere di straordinarietà che debbono avere le attività concernenti gli incarichi esterni, l’articolo 46, comma 1, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008 - che ha modificato il comma 6 dell’art. 7 del d.lgs. 165/2001 - prevede espressamente che: “il ricorso a contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”. Trattasi, dunque, di un’espressa previsione sanzionatoria, che statuisce la responsabilità per danno erariale dei soggetti che abbiano conferito un incarico avente ad oggetto attività ordinarie, ovvero, nel caso in cui i collaboratori esterni siano stati utilizzati alla stregua di lavoratori subordinati.
2.2.2 Oggetto della prestazione L’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione stessa. La giurisprudenza contabile costante ritiene possibile ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge: si precisa inoltre che lo stesso dovrà avere ad oggetto un’attività specifica e non potrà essere di carattere generale e astratto; sono stati, infatti, ritenuti illegittimi gli incarichi cd. di “consulenza globale”, ovvero, a carattere indeterminato. Sono stati considerati, inoltre, illegittimi e suscettibili di determinare la responsabilità erariale a carico di chi li abbia disposti, gli incarichi il cui oggetto è generico e indeterminato, ovvero, privi di un sufficiente nesso funzionale che li colleghi alle finalità attribuite all’ente. Quanto, ancora, all’oggetto dell’incarico di collaborazione, l’attività, inoltre, non potrà essere prevalentemente manuale o esecutiva (a titolo esemplificativo manutenzione del verde pubblico o conduzione di scuolabus) dovendo piuttosto trattarsi di attività che richiedono una professionalità elevata di tipo intellettuale, altamente qualificata e specializzata, la quale non deve, inoltre, avere ad oggetto attività che rientrano nei compiti propri del personale con qualifica dirigenziale. Infine, il collaboratore non potrà mai agire in nome e per conto dell’amministrazione, a meno che non sia stato conferito potere di rappresentanza.
2.2.3 Accertata impossibilità oggettiva di poter utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno La P.A. conferente deve aver verificato preliminarmente la mancanza al proprio interno di strutture e di apparati preordinati al soddisfacimento dell’esigenza manifestatasi, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza di personale, in relazione all’eccezionalità delle finalità sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo. Deve sottolinearsi che queste non devono essere soggettivamente indisponibili, ma oggettivamente non rinvenibili all’interno dell’amministrazione. Non integra i presupposti dell’art. 7, comma 6, la circostanza che le risorse presenti siano già impegnate a tempo pieno: l’incarico, infatti, deve rispondere ad esigenze di natura eccezionale e straordinaria, oggettivamente non sopperibili dalle professionalità interne, non già ad esigenze ordinarie e permanenti, seppur rese urgenti da mancata, errata o tardiva valutazione e/o programmazione dei fabbisogni di personale. In questo senso è esemplificativo quanto espresso dalla Corte dei conti, Sezione di controllo del Friuli Venezia-Giulia, con deliberazione n. 180 del 23/12/2015, secondo la quale “Sono perciò da considerare illegittimi tutti i provvedimenti che nel decidere il conferimento di un incarico non rechino un siffatto corredo motivazionale (come pure, ovviamente, quelli in cui quest’ultimo sia insufficiente, se incongruo o apparente), anche se precisazioni in proposito risultino aliunde da atti successivi o da atti precedenti o coevi che siccome non richiamati non valgano come motivazione per relationem. Giova precisare, per quanto ovvio, che la verifica della indisponibilità di risorse interne costituisce un antecedente logico necessario nel percorso valutativo che si conclude con la (motivata) decisione di affidare un incarico esterno. In altri termini, tale decisione suppone svolto compiutamente (e con sicuro e dimostrabile esito negativo) il previo accertamento che certi compiti o attività non possono essere utilmente svolti dalle strutture dell’ente. E detto accertamento è evidentemente cosa ben diversa da quella che, una volta che sia stato deciso di affidare un incarico (perché tra i dipendenti dell’ente non ve n’è alcuno che, in quanto dipendente, possieda una determinata professionalità), l’ente effettui per verificare se l’incarico possa essere conferito prima che a un esterno ad un dipendente ma al di fuori delle mansioni di servizio quali derivantigli dal profilo professionale di inquadramento”. Ne deriva che in presenza di professionalità all’interno dell’amministrazione, al fine di procedere al conferimento di un incarico esterno, questa non potrà limitarsi a mere enunciazioni generali circa l’impossibilità di utilizzo delle risorse in servizio, ma è tenuta a dimostrare con una congrua ed esaustiva motivazione, anche con richiami di atti e determinazioni approvate dall’ente, l’effettiva impossibilità di utilizzo del personale dipendente.
2.2.4 Temporaneità e alta qualificazione La prestazione deve essere di natura temporanea (l’incarico deve essere a tempo determinato) e altamente qualificata (esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria); in altri termini è possibile ricorrere agli incarichi esterni esclusivamente per ottenere prestazioni altamente qualificate. La giurisprudenza ha precisato che la locuzione “particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” deve essere interpretata nel senso di verifica del possesso di conoscenze specialistiche equiparabili a quelle che si acquisirebbero tramite un percorso formativo universitario. La specializzazione richiesta deve essere comprovata, e dunque deve essere oggetto di accertamento in concreto tramite l’esame di documentati curricula. Si evidenzia, tuttavia, che il mero possesso formale di titoli non sempre è necessario e sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali. È possibile, inoltre, prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La temporaneità dell’incarico - prevista espressamente per legge - consegue necessariamente all’esigenza di carattere straordinario. Ragionando a contrario, si giungerebbe alla conclusione che l’esigenza non è di carattere straordinario e transitorio ma di carattere stabile; quest'ultimo caso dovrebbe, dunque, essere oggetto di programmazione ordinaria e di relativa assunzione di personale. Quanto agli istituti di proroga e rinnovo deve sottolinearsi che, fermo restando la natura temporanea dell’incarico e la necessità di programmazione delle attività dell’amministrazione con riferimento ad aspetti o fasi della stessa, l'incarico non potrà ritenersi prorogabile se non nei limiti del completamento di un’attività avviata, in quanto la sua durata è predeterminata in relazione allo specifico aspetto o fase dell’attività da 19 eseguire. È vietato il rinnovo, in quanto l’incarico dovrebbe fare riferimento ad un nuovo progetto ed essere conferito a seguito di apposita procedura comparativa (in questo senso vedasi Circolare Dipartimento Funzione Pubblica 2/2008).
2.2.5 La predeterminazione preventiva di durata, oggetto e compenso della collaborazione. Considerato, inoltre, che il rapporto instaurato non è di tipo subordinato sarà necessario verificare che la PA non si riservi - tramite clausola contrattuale o de facto – la facoltà di esercitare un potere direttivo come quello che esercita nei confronti dei suoi dipendenti, in quanto non è titolare di alcun potere disciplinare nei confronti del collaboratore; potrà semmai definire criteri direttivi ed impartire istruzioni in relazione all’adempimento dell’obbligazione del collaboratore, allo scopo di rendere la prestazione utile e funzionale alle esigenze dell’ente. A tale proposito, nei contratti non si deve più indicare il luogo di svolgimento della prestazione, perché sarebbe troppo evidente l’imperio del committente nel disporre il modo col quale svolgere la prestazione, incompatibile con la ratio e la lettera delle nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 75/2017. Quanto specificatamente all’elemento “compenso”, si precisa che detto elemento non può essere demandato ad un successivo provvedimento, posto che altrimenti ciò determinerebbe un’assoluta incertezza sulla spesa. È considerato illegittimo, infatti, un incarico in cui sia carente il dato circa il compenso con un rinvio in bianco ad un futuro atto di liquidazione.
2.2.6 L’esigenza di una previa procedura comparativa per la scelta del collaboratore Un ulteriore requisito di legittimità è la procedura comparativa per la scelta del collaboratore; a tal proposito, si evidenzia che non è considerato legittimo nemmeno procedere all’affidamento diretto in caso di esiguità del compenso da erogare, in quanto la disciplina degli incarichi di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 non è assimilabile alle procedure previste dal codice degli appalti. La giurisprudenza contabile ha ritenuto che, in via eccezionale, si possa procedere ad affidamento diretto unicamente in caso di procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale. In merito alla predeterminazione dei criteri oggettivi ai fini dell’avvio della procedura comparativa, la giurisprudenza contabile ha affermato che: “ (...) risulta principio generale quello per cui in presenza di procedure selettive condotte dalla PA, al fine preminente di evitare abusi o violazioni della par condicio e del principio di imparzialità, tutte le condizioni o criteri di scelta siano predeterminati dalla amministrazione ed in particolare siano resi noti i suddetti criteri al momento della pubblicazione degli avvisi, bandi o atti equipollenti costituenti lex specialis della procedura comparativa” (cfr. tra le altre Corte dei conti Sezione Piemonte, deliberazione n. 22/2015/SRCPIE/REG). Per finalità di maggiore trasparenza, la P.A. deve procedere con un avviso pubblico obbligandosi a valutare, semmai, anche solo esclusivamente i curricula pervenuti. Selezionato il contraente, il conferimento dell’incarico dovrà avvenire con forma scritta e dovrà contenere i seguenti elementi: − adeguata motivazione in relazione alla descrizione dell’esigenza transitoria e imprevista da soddisfare, avuto riguardo all'obiettivo che l’ente intende perseguire nell’ambito della propria discrezionalità, descrizione delle caratteristiche professionali richieste per soddisfare quell’esigenza, assenza nella struttura di personale in possesso di quelle determinate caratteristiche – da provarsi per tabulas mediante una specifica attività istruttoria svolta sul punto, sussistenza nella persona esterna (individuata dai criteri manifestati dall’ente) delle caratteristiche richieste e risultanti dal curriculum; − caratteristiche dell’incarico in relazione alla durata, definizione puntuale dell’oggetto della prestazione, compenso. Si evidenzia che in base all’articolo 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, gli incarichi sono di tipo “individuale”, escludendosi dall’ambito di applicazione, pertanto, gli incarichi a persone giuridiche, associazioni, comitati o fondazioni.
Come detto, il d.lgs. n. 75/2017 ha espunto dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 la possibilità di concludere contratti di natura occasionale i quali, tuttavia, sono stati reintrodotti dall’art. 54-bis del d.l. n. 50/2017 (conv., con modificazioni, dalla l. n. 96/2017). Malgrado ciò, dalla lettura della norma da ultimo citata, ed in particolare del suo comma 7, appare evidente che le ipotesi di utilizzabilità di tale forma contrattuale sono sensibilmente differenti rispetto a quelle già previste dal comma 6 dell’art. 7 del TUPI dato che “7. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono fare ricorso al contratto di prestazione occasionale, in deroga al comma 14, lettera a), del presente articolo, nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e fermo restando il limite di durata di cui al comma 20 del presente articolo, esclusivamente per esigenze temporanee o eccezionali: a) nell'ambito di progetti speciali rivolti a specifiche categorie di soggetti in stato di povertà, di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o che fruiscono di ammortizzatori sociali; b) per lo svolgimento di lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi; c) per attività di solidarietà, in collaborazione con altri enti pubblici o associazioni di volontariato; d) per l'organizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritative”.
3 LE NECESSARIE DISTINZIONI CON LE ALTRE FIGURE DI ATTINGIMENTO DELLE RISORSE UMANE
Va premesso che l’affidamento degli incarichi di consulenza e collaborazione contemplati dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 rappresenta un’opzione cruciale proprio nel momento in cui l’amministrazione individua e progetta la realizzazione degli obiettivi che ha individuato negli atti fondamentali e nel programma di governo. Sul piano strettamente operativo, infatti, qualora una pubblica amministrazione necessiti di un approvvigionamento di risorse umane può valersi alternativamente di tre possibili soluzioni a seconda della natura delle prestazioni richieste: può ricorrere all'assunzione di un lavoratore subordinato tramite un concorso pubblico; può affidare un incarico esterno tramite un contratto d'opera professionale mediante valutazione del curriculum; può procedere all'aggiudicazione di un appalto di servizi tramite una procedura di gara di appalto e relativa scelta del contraente mediante le regole del codice dei contratti. La scelta in concreto tra le varie opzioni subisce non pochi condizionamenti ad opera dei numerosi vincoli di finanza pubblica (in materia di personale ed in materia contrattuale) che, di volta in volta, il legislatore pone per le ragioni storiche presenti al momento di apposizione di tali vincoli. Con riguardo a ciò, spesso si assiste all'utilizzo di tali strumenti in chiave elusiva: la materia degli incarichi si presta, proprio per la sua natura, a questo possibile abuso, dovuto a un uso distorto del fenomeno, aggirando le regole poste a presidio del contenimento della spesa, su cui la Sezione vigila attentamente. Il problema è accresciuto dalla non semplice distinzione tra queste categorie, che trovano nella pratica non rari momenti di confusione.
3.1 La distinzione con il contratto di lavoro subordinato Una prima distinzione dalla categoria degli incarichi previsti dall’art. 7 comma 6 del d.lgs. 165/2001 deve essere operata con la fattispecie del contratto di lavoro subordinato che, come noto, rappresenta, secondo quanto espresso dalla Costituzione agli artt. 97 e 98, l’opzione assolutamente prioritaria per l’espletamento delle funzioni pubbliche: e dove, assai spesso, il legislatore interviene per limitare le assunzioni di personale, in nome del necessario contenimento della spesa pubblica, alimentata assai spesso da fenomeni di mala gestio o duplicazione di funzioni e compiti. La distinzione tra le due figure è posta in termini generali dalle norme del Codice civile: l’art. 2094 definisce il prestatore di lavoro subordinato come chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore, mentre l’art. 2104 (Diligenza del prestatore di lavoro) stabilisce: “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. Per converso, lo stesso Codice civile, all’art. 2222, definisce il contratto d’opera professionale: “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente [...]”, stabilendo altresì, all’art. 2230, che “Il contratto che ha per oggetto una prestazione di opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente”. Le coordinate poste dalle norme sopra citate consentono di individuare alcuni principi di fondo che distinguono il lavoro subordinato dal lavoro autonomo: infatti le caratteristiche fondamentali del lavoro subordinato sono rappresentate dalla subordinazione gerarchica con il datore di lavoro; dall’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione dell’Ente; dall’esclusività e continuità della prestazione; dall’osservanza di un orario di lavoro; dal fatto che si tratta di una obbligazione di mezzi, in cui vi è la predeterminazione della retribuzione. Per contro, il contratto di lavoro autonomo è caratterizzato dall’assenza di qualsiasi vincolo di subordinazione; dal rischio della prestazione posto a carico dell’incaricato; dal fatto che non vi è esclusività di rapporto tra committente ed incaricato; inoltre, il prestatore è autonomo nella gestione del tempo e la sua attività utilizzando il lavoro proprio e di pochi altri collaboratori; infine si tratta per lo più di una obbligazione di risultato, nella misura in cui il prestatore si obbliga a consegnare materialmente il riscontro del proprio operato; di conseguenza la retribuzione è legata all’opera od al risultato4. ( A tale proposito risulta chiarificatrice la sentenza emanata dal Tar Umbria, 14 Gennaio 2004, n. 1 “Gli incarichi di consulenza danno luogo ad obbligazioni di risultato e cioè alla formulazione di pareri (di solito scritti ma anche prestati in via orale) la cui valenza professionale prescinde dal tempo impiegato, essendo assolutamente prevalente il loro contenuto tecnico-scientifico ed anche la loro utilità pratica in relazione agli eventuali obiettivi concreti che essi consentono di realizzare. In sostanza, al di fuori dell’attività di consulenza specifica istituzionalmente prestata nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, l’attività di consulenza è quella che deriva normalmente da un contratto di lavoro autonomo ed, in particolare, da un contratto d’opera di tipo intellettuale”.)
Peraltro, il comma 6 dell’art. 7 (come modificato dal d.lgs. n. 75/2017), prevede che le pubbliche amministrazioni possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, disposizione che viene affiancata dal precedente comma 5-bis (a sua volta introdotto dal d.lgs. n. 75/2017) che pone il divieto alle p.a. di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (5-bis. È fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato. Resta fermo che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, non si applica alle pubbliche amministrazioni).
Come già sopra anticipato, l’osservanza delle disposizioni appena ricordate, è sanzionata dalla previsione di nullità dei contratti posti in essere in loro violazione e dalla responsabilità erariale. Inoltre, i dirigenti sono responsabili ai sensi dell’art. 21 d. lgs.75/2017 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato, fermo, altresì, il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Da quanto sopra esplicitato, il collaboratore non potrà essere assoggettato ad uno specifico orario di servizio e alla relativa rilevazione di presenza, così come di conseguenza non potrà esserne richiesta alcuna attestazione. Non potranno essere concessi giorni di ferie (istituto tipizzato nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato), tutt’al più l’amministrazione potrà concordare con il collaboratore la sospensione della prestazione per garantire il coordinamento con l’attività, gli obiettivi e l’organizzazione. Il collaboratore, del pari, non avrà diritto ad ottenere i buoni pasto, che come noto spettano al personale contrattualizzato dipendente, a fronte di un orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi ed in assenza di un servizio mensa o altro servizio sostitutivo presso la sede lavorativa.
3.2 La distinzione tra incarichi affidati ai sensi dell’art. 7, comma 6 del d. lgs. n. 165/2001 e gli appalti di servizi disciplinati dal d. lgs. n. 50 /2016
La distinzione tra gli incarichi e gli appalti pubblici di servizi postula il necessario approfondimento circa l’estensione della disciplina vincolistica di rango pubblicistico, operato dalla giurisprudenza amministrativa e contabile. È noto, infatti, che nell’attuale panorama normativo, alla tradizionale ricostruzione, meramente civilistica, della distinzione tra appalto e incarico – secondo cui il criterio soggettivo (professionalità della prestazione resa da esperto iscritto in albi in assenza di stabile organizzazione di tipo imprenditoriale), e il criterio oggettivo (natura intellettuale della prestazione) convergono sotto il profilo qualificatorio della fattispecie, nell’affidamento di un contratto di lavoro autonomo, mentre caratteristica del contratto di appalto è la stabile organizzazione di mezzi resa da imprenditore – si sostituisce un criterio, dettato dal diritto comunitario, che abbandona la dicotomia - e le connesse difficoltà interpretative - prestatore d’opera intellettuale/appaltatore, a vantaggio della definizione di “operatore economico” tout court: ovvero “una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”. La giurisprudenza amministrativa sottolinea, altresì, come “il prestatore di servizi non debba necessariamente, per dette fonti comunitarie, possedere un’organizzazione di impresa, requisito, invece, imprescindibile per il nostro codice civile (art. 1655 c.c.). Allo stesso modo, le forniture di prodotti si fanno rientrare nel contratto di appalto, cosa che nel nostro ordinamento, prima dell’impatto con il diritto comunitario, non sembrava certamente corretto, non fosse altro perché il codice disciplina il contratto di fornitura”7. La definizione di “operatore economico” adottata dal d.lgs. n. 50/2016 non fa alcuna distinzione in relazione alle modalità di esercizio di una determinata attività secondo quelle che, nel diritto interno, potrebbero individuare il prestatore d’opera intellettuale o l’appaltatore, ma attrae le figure che, tipicamente, sarebbero riconducibili agli artt. 2222, 6 Cfr. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Veneto, delib. n. 146/2013 e quindi anche Sez. reg. contr. Liguria, delib. n. 79/2015/PAR e Sez. reg. contr. Lombardia, deliberazioni n. 355/2012/PAR, n. 51/2013/PAR e n. 178/2014/PAR. 7 TAR Veneto, sent. n. 1899/2006. 26 2229 e 1665, nell’alveo della disciplina dettata dal codice dei contratti pubbliche che, peraltro, in esecuzione di specifiche direttive comunitarie, nel delineare l’ambito oggettivo di applicazione, contiene altresì una definizione di “appalto pubblico di servizi” (l’art. 3, lett. ss)8 del citato d.lgs. n. 50/2016 e in precedenza art. 3, commi 3, 6 e 10, d.lgs. n. 163 del 2006) molto più ampia di quella del codice civile. Alla riconosciuta prevalenza delle norme di matrice comunitaria9, di cui il codice dei contratti rappresenta in questo ambito il fedele recepimento, consegue quindi una diversa ricostruzione del concetto di appalto pubblico: esso trova significativi momenti di divaricazione rispetto al modello civilistico, nel quale a un diverso ambito oggettivo, costituito non solo dalla realizzazione dell’opera e/o del servizio, ma anche della fornitura, corrisponde una differente individuazione di soggetti che sono abilitati a realizzare, per l’appunto, l’opera, il servizio, la fornitura. Va rammentato che il precedente codice dei contratti pubblici evidenziava espressamente che le regole del diritto civile si applicano solo in via suppletiva e residuale, ove cioè non diversamente stabilito dal codice stesso (art. 2, comma 4: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, 8 Art. 3, Definizioni, comma 1, lett. ss) «appalti pubblici di servizi», i contratti tra una o più stazioni appaltanti e uno o più soggetti economici, aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi da quelli di cui alla lettera ll) (appalti di lavori pubblici). 9 Secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo, loro imposto dall’art. 5 del Trattato (divenuto art. 10 CE), di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire tale adempimento valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice statale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e delle finalità della direttiva, onde garantire la piena effettività della direttiva stessa e conseguire il risultato perseguito da quest’ultima, così conformandosi all’art. 249, terzo comma, del Trattato (v., tra le altre, Sent. 13 novembre 1990, C-106/89, Marleasing sa; Sent. 25 febbraio 1999, causa C-131/97, Carbonari; Sent. 5 ottobre 2004, n. da C- 397/01 a C- 403/01, Pfeiffer; Sent. 7 settembre 2006, n. da C-187/05 a C- 190/05, Areios Pagos). Ex multis, in ambito domestico cfr. Cassazione civile, SS.UU., sent. 17.11.2008 n. 27310 secondo cui l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo, loro imposto dall’art. 5 del Trattato (divenuto art. 10 CE), di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire tale adempimento valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice statale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e delle finalità della direttiva, onde garantire la piena effettività della direttiva stessa e conseguire il risultato perseguito da quest’ultima. Nella evoluzione della giurisprudenza comunitaria il principio della interpretazione conforme del diritto nazionale, pur riguardando essenzialmente le norme interne introdotte per recepire le direttive comunitarie in funzione di una tutela effettiva delle situazioni giuridiche di rilevanza comunitaria – quale strumento per pervenire anche nell’ambito dei rapporti interprivati all’applicazione immediata del diritto comunitario in caso di contrasto con il diritto interno, così superando i limiti del divieto di applicazione delle direttive comunitarie immediatamente vincolanti non trasposte nei rapporti orizzontali – non appare evocato soltanto in relazione all’esegesi di dette norme interne, ma sollecita il giudice nazionale a prendere in considerazione tutto il diritto interno ed a valutare, attraverso l’utilizzazione dei metodi interpretativi dallo stesso ordinamento riconosciuti, in quale misura esso possa essere applicato in modo da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva. 27 l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”). Pur non ignorando la differenza tra impresa e operatore economico (ma sottolineando che in ogni caso la seconda definizione ricomprende in sé la prima: art. 3, comma 1, lett. p), d.lgs. n. 50/2016), il codice degli appalti non presuppone infatti che la controparte dell’amministrazione sia un imprenditore in senso civilistico; e del resto, tipici appalti di servizi sono quelli che hanno ad oggetto servizi di progettazione (si pensi alla redazione di un piano urbanistico o di un progetto di opera pubblica) in cui la controparte dell’amministrazione può essere (e spesso è) appunto un libero professionista; ciò dimostra quindi che la disciplina del codice può applicarsi anche quando l’amministrazione debba procurarsi la prestazione di un libero professionista. In particolare, come visto, l’attuale definizione di “operatore economico” in ambito europeo è molto ampia e tende ad abbracciare tutta la gamma dei soggetti che potenzialmente possono prender parte ad una gara pubblica: peraltro, già l’art. 1, comma 8 della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dopo aver definito gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, designava, con i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”, una persona fisica o giuridica, o un ente pubblico, o un raggruppamento di tali persone e/o enti che “offra sul mercato”, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi; lo stesso comma 8, quindi, specificava, poi, che il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di servizi ed è utilizzato allo scopo dichiarato di semplificare il testo normativo. La conseguenza che se ne ricava è quella di un ampliamento e di una estensione del concetto di appalto, in ambito pubblico, a tutta una serie di ipotesi in cui, come detto, il soggetto che realizza non è un imprenditore (e che secondo i canoni del codice civile in ambito privatistico sarebbero assimilati a prestazioni d’opera), e, per converso, di un restringimento delle fattispecie in cui si può ricorrere all’affidamento di un vero e proprio incarico. 28 In definitiva, viene meno il criterio tradizionale – valevole solo in ambito civilistico – secondo cui le norme in tema di appalto si palesano solamente nelle ipotesi in cui il professionista si sia obbligato a strutturare una stabile organizzazione per l’esecuzione della prestazione, mentre la consulenza e/o collaborazione autonoma sono caratterizzate dalla carenza di tale requisito derivante dall’unicità, dalla singolarità e puntualità dell’incarico, nonché dalla determinatezza dell’arco temporale in cui si deve svolgere la prestazione professionale. L’indifferenza del legislatore comunitario nei confronti della forma (TAR Veneto, sent. n. 1899/2006 che sottolinea come “La pragmaticità o flessibilità delle norme europee (che non si pongono, a quanto pare, scrupoli di corretta costruzione teorica degli istituti da esse regolati), del resto, è comprovata – per quanto concerne la materia degli appalti pubblici”.) e delle modalità soggettive di realizzazione degli appalti(11 Ex multis Corte di Giustizia pronuncia del 2 dicembre 1999 (causa C-176/98), che si è spinta a teorizzare, con riferimento specifico ad un appalto di servizi, il principio generale, valido anche al di fuori dei rapporti infragruppo, secondo cui è possibile che un operatore economico, privo dei requisiti economici o tecnici richiesti dal bando, partecipi alla gara avvalendosi dei requisiti di soggetti terzi, indipendentemente dalla natura giuridica del legame con tali soggetti), si traduce in una attenzione focalizzata sull’aspetto sostanzialistico dei rapporti(AVCP Determinazione n. 2 del primo agosto 2012. 29 servizio il cui esito finale assuma, all’interno dei vari procedimenti amministrativi “funzione autonoma e stabile”), a fronte della riconduzione delle ipotesi sopra descritte (ma anche ovviamente alle altre che la legge prevede) alle individuazioni operate dal codice appalti che sole specificano gli ambiti di applicazione delle regole di evidenza pubblica. Anche alla luce dell’ampio dibattito sviluppatosi sul tema della distinzione tra incarichi affidati ai sensi dell’art. 7, comma 6, del d. lgs. n. 165/2001 e gli appalti di servizi disciplinati dal d. lgs. n. 50/2016, ad avviso di questo Collegio sul punto devono contestualmente essere recepiti quegli orientamenti di derivazione comunitaria secondo i quali, al fine di garantire i principi della concorrenza tra operatori economici, di libera circolazione dei servizi ed il diritto di stabilimento, la nozione di “contratto di appalto di servizi” da considerarsi è più ampia di quella del codice civile, con la conseguenza che numerosi rapporti negoziali qualificati come contratti d’opera o di opera intellettuale devono considerarsi attratti, sotto il profilo delle modalità di affidamento, nella disciplina dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 50/2016. Ciò significa che ogni incarico affidato a un professionista munito del titolo di ingegnere o architetto va tendenzialmente fatto rientrare nell’alveo della richiamata disciplina dei contratti pubblici, e comunque in essa dovranno rientrarvi tutte quelle prestazioni di servizio il cui esito finale assuma, all’interno dei vari procedimenti amministrativi “funzione autonoma e stabile
Con riguardo alla interpretazione di tale locuzione, premesso che il Codice dei contratti pubblici non contiene una definizione di servizi di natura intellettuale, la giurisprudenza ha già avuto modo di evidenziare che: “in coerenza alla ratio dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici ciò che differenzia la natura intellettuale di un’attività è l’impossibilità di una sua standardizzazione e, dunque, l’impossibilità di calcolarne il costo orario” e che non può essere qualificato come appalto di servizi di natura intellettuale quello che “ricomprende anche e soprattutto attività prettamente manuali” o che “non richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate”; di conseguenza, per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse; al contrario va esclusa la natura intellettuale del servizio avente ad oggetto l’esecuzione di attività ripetitive che non richiedono l’elaborazione di soluzioni personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l’esecuzione di meri compiti standardizzati (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 1974/2020; id, sez. IV, n. 7094/2021; n. 1291/2021; n. 4806/2020)
Il comune obbligo di perseguimento del canone di economicità dell’azione amministrativa e la distinzione sotto il profilo degli oneri procedimentali
Nondimeno, se pure sono sottratti agli oneri procedimentali connessi alla specifica tipologia di controllo qui illustrata, gli appalti di servizi partecipano della medesima esigenza di perseguimento delle finalità di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, vieppiù stringenti a seguito della canonizzazione del principio anzidetto nell’art. 1 della legge 241/1990 e nell’art. 7, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (convertito dalla legge n. 29 luglio 2021, n. 108 recante “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”): a tal fine, e quindi anche nel caso degli appalti di servizi, non diversamente dall’affidamento degli incarichi di cui all’art. 7 comma , “si rammenta che le pubbliche amministrazioni devono perseguire i loro fini istituzionali utilizzando il proprio personale, e che il ricorso a figure esterne è consentito solo qualora sia necessaria una specifica professionalità non presente all’interno dell’Ente; in ogni caso l’utilizzo di detta tipologia di personale non deve rappresentare una duplicazione delle risorse umane già presenti” (Corte conti, Sez. contr. Piemonte, delib. n. 123/2011/VSG). L’esigenza di razionalizzazione delle risorse diviene pertanto il tratto comune delle figure degli incarichi ex art. 7, comma 6, del TUPI e degli appalti e, pur nella descritta diversità delle regole procedimentali e di controllo, responsabilizza gli organi gestionali e di controllo interno, per evitare diseconomie e sprechi, nella previa, indefettibile, verifica delle risorse umane presenti nell’Ente. E se, tuttavia, le fattispecie degli incarichi e degli appalti vengono accomunate dalla considerazione tratta dalla costante giurisprudenza(Ex multis cfr. Corte dei conti, Sez. contr. Piemonte, delib. n. 123/2011/VSG ) secondo cui, per affidare all’esterno una attività, occorre prima effettuare una attenta e puntuale verifica delle esistenza di risorse umane interne, onde evitare duplicazioni indebite di spesa, nondimeno la cennata distinzione ha rimarchevoli implicazioni, oltreché per le (venute meno) conseguenze rilevanti per l’art. 6 del d.l. n. 78/2010, anche per altri fenomeni come la tracciabilità dei pagamenti (Autorità di Vigilanza dei contratti pubblici, delibera n. 4/2011, punto 2.7(15 Ivi si legge: Non si ritengono soggetti agli obblighi di tracciabilità gli incarichi di collaborazione ex art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”). Tale disposizione consente, in presenza di determinati presupposti di legittimità, di ricorrere ad incarichi individuali di natura occasionale e coordinata e continuativa per esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio. Si tratta di contratti d’opera, previsti dall’articolo 2222 c.c. – che hanno ad oggetto un facere a favore del committente, senza vincolo di subordinazione – e con lavoro prevalentemente proprio (...) Data la contiguità delle fattispecie contrattuali in esame ed al fine di evitare elusioni della normativa, si raccomanda alle stazioni appaltanti di porre particolare attenzione nell’operare la distinzione tra contratto di lavoro autonomo – la cui disciplina si rinviene nel citato decreto n. 165/2001 – e il contratto di appalto di servizi – disciplinato dal Codice dei contratti e soggetto alle regole di tracciabilità. )), la qualificazione del soggetto che presta l’opera o il servizio, o per gli effetti posti da altre discipline settoriali a presidio di interessi pubblici rilevanti.
L’ulteriore distinzione sotto il profilo degli obblighi di trasparenza
Le delineata distinzione tra contratto d’opera intellettuale ed appalti comporta delle ulteriori differenze in relazione agli obblighi di trasparenza derivanti dall’applicazione dell’art. 7, comma 6 del TUPI ovvero del codice degli appalti. che sottolinea testualmente che “A tal proposito si rammenta che le pubbliche amministrazioni devono perseguire i loro fini istituzionali utilizzando il proprio personale, e che il ricorso a figure esterne è consentito solo qualora sia necessaria una specifica professionalità non presente all’interno dell’Ente; in ogni caso l’utilizzo di detta tipologia di personale non deve rappresentare una duplicazione delle risorse umane già presenti”. In particolare, il conferimento di incarichi di collaborazione autonoma individuale secondo le regole dettate dal citato art. 7, comma 6, comporta che i relativi obblighi pubblicitari dovranno essere assolti ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 33/2013 e, pertanto, relativamente ai titolari di incarichi di collaborazione o consulenza dovranno essere pubblicati: “a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; b) il curriculum vitae; c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali; d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato” (comma 1). Ulteriormente, il comma 2 della disposizione di cui si tratta afferma che “la pubblicazione degli estremi degli atti di conferimento di incarichi di collaborazione o soggetti esterni a qualsiasi titolo per i quali è previsto un compenso, completi dei soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato, nonché la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica dei relativi dati ai sensi dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, sono condizioni per l'acquisizione dell'efficacia dell'atto e per la liquidazione dei relativi compensi”. Questi stringenti obblighi pubblicitari sono assistiti dalla espressa previsione della responsabilità del dirigente che paghi il corrispettivo in assenza della pubblicazione di quanto previsto al comma 2, accertata all’esito del procedimento disciplinare, e che comporta il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta, salvo il risarcimento del danno del destinatario se ricorrono le condizioni di cui all’art. 30 del d.lgs. 104/2010. Qualora il conferimento dell’incarico di collaborazione avvenga in applicazione delle regole del Codice degli appalti, la norma di riferimento per le pubblicazioni nella sezione “Amministrazione trasparente” è l’art. 37 del d.lgs. n. 33/2013 il quale, rubricato “obblighi di pubblicazione concernenti i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” disciplina in modo meno gravoso, rispetto all’art. 15, gli adempimenti a carico delle Amministrazioni e delle stazioni appaltanti: queste, infatti, pubblicano “a) i dati previsti dall'articolo 1, comma 32, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (vale a dire i dati relativi alla scelta del contraente per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, anche con riferimento alla modalità prescelta); b) gli atti e le informazioni oggetto di pubblicazione ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”. 32 La norma poi precisa, limitatamente alla parte lavori, che gli obblighi di pubblicazione di cui alla lettera a) sono assolti attraverso l’invio dei medesimi dati alla banca dati delle amministrazioni pubbliche ex art. 2 del d.lgs. n. 229/2011.
3.4 I servizi di architettura e ingegneria
Gli incarichi di architettura e ingegneria (progettazione, direzione lavori, collaudi, ecc.) disciplinati dal d. lgs. n. 50/2016 devono pertanto considerarsi appalti di servizi, di natura intellettuale e tecnica: sono esclusi dall’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di cui al più volte richiamato art. 1, comma 173. Si tratta di una vasta categoria di incarichi (di rilievo sotto il profilo numerico ed economico), rientranti in un quadro di spesa che ha la natura, tra l’altro, di spesa di investimento (e non di spesa corrente, come avviene per le collaborazioni). L’esclusione dall’obbligo di invio deve altresì ritenersi operante per tutti quegli incarichi professionali che, pur non strettamente inerenti ai servizi di architettura e ingegneria, consistano in “studi e analisi direttamente funzionali e sovente anche strutturalmente collegati ad attività di progettazione o di pianificazione urbanistica (come ad es. gli studi geologici a corredo degli strumenti urbanistici o relative varianti)16. Il criterio si applica anche alle cd. “consulenze urbanistiche”. Questa Sezione effettua, pertanto, a tal fine un richiamo agli enti pubblici destinatari del presente referto, modificando l’orientamento espresso nelle precedenti delibere assunte (cfr. delib. n. 135/2015, § 2.1), al fine di escludere dall’obbligo di trasmissione tutti quei servizi disciplinati dall’art. 3, comma 1 lett. ss) del d.lgs. n. 50/2016. A tal fine si precisa che la Sezione aderisce al criterio interpretativo discretivo elaborato dal Giudice contabile secondo il quale, in assenza di espressa indicazione legislativa, è al risultato della prestazione che occorre riferirsi per una corretta qualificazione della fattispecie: si tratta senz’altro di appalto di servizi quando la prestazione resa “risulta autosufficiente nell’iter procedimentale”, mentre “l’esito di uno studio-ricerca- consulenza, per produrre effetti, necessita sempre di un ulteriore (e decisivo) impulso 16 In senso conforme Corte conti, Sez. contr. Toscana, delib. n. 6/2020; Sez. contr. Piemonte n. 54/2021/INPR. Circa la natura di appalti di servizi: cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, 31 marzo 2021, n. 278. 33 decisorio dell’amministrazione conferente, che può anche discostarsi da esso”. Ne consegue pertanto che, solo ove l’incarico assegnato dia luogo a pareri/relazioni destinate ad integrare il quadro conoscitivo dell’amministrazione, a tutela della comunità amministrata, in previsione dell’adozione di atti ulteriori programmatori, pianificatori, negoziali o provvedimentali, si tratterà di incarico che ricade nella sfera disciplinata dall’art. 7, comma 6 e, ove superi l’importo di 5.000 euro, dovrà essere comunicato alla Sezione regionale di controllo.
4 TIPOLOGIA DEGLI ATTI DI SPESA DA TRASMETTERE ALLA SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO AI SENSI DELL’ART. 1, COMMA 173 DELLA L. N. 266/2005
4.1 L’attuale portata dell’art. 1, comma 173 della l. n. 266/2005 Viene in considerazione, come già detto, la portata dell’art. 1, comma 173, legge 23 dicembre 2005, n. 266, ai sensi del quale si prevede che “Gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione”(17 L’art. 1 della l. 23 dicembre 2005, n. 266 al comma 9 dispone: “Fermo quanto stabilito dall’articolo 1, co. 11, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, co. 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, a decorrere dall’anno 2006, non potrà essere superiore al 30 per cento di quella sostenuta nell’anno 2004. Nel limite di spesa stabilito ai sensi del primo periodo deve rientrare anche la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti”. Al successivo comma 10 si prevede: “A decorrere dall’anno 2006 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, co. 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 40 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2004 per le medesime finalità”. Al comma 56 si dispone, altresì: “Le somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di consulenza da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, co. 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 settembre 2005”. Da ultimo, il comma 57 prevede che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di tre anni, ciascuna pubblica amministrazione di cui al co. 56 non può stipulare contratti di consulenza che nel loro complesso siano di importo superiore rispetto all’ammontare totale dei contratti in essere al 30 settembre 2005, come automaticamente ridotti ai sensi del medesimo comma”.).
4.1.1 L’elencazione degli atti sottoposti a controllo Nel richiamare, sul punto, quanto già riferito in precedenza da questa Sezione regionale (delib. n. 135/2015), anche nel solco delle statuizioni della Sezione delle Autonomie (delib. n. 4/2006)(18 Cfr. Corte conti, delib. Sezione reg. contr. n. 135/2015/VSGO “La disposizione del comma 173 è da ritenersi rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, secondo l’ampia accezione definita nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001; al contrario, le norme da essa richiamate non si applicano a tutte le pubbliche amministrazioni. Da un lato, infatti, lo stesso comma 9 esclude espressamente dalla sua portata le università, gli enti di ricerca e gli organismi equiparati, dall’altro i commi 12 e 64 del medesimo art. 1 della legge n. 266 esplicitamente sottraggono le regioni, le provincie autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale all’applicazione di varie disposizioni recate dall’art. 1, tra le quali i commi 9, 10, 56 e 57. Va ricordato che, per chiarire l’esatto ambito di applicazione del comma 173, la Sezione delle autonomie della Corte, con deliberazione n. 4 del 17 febbraio 2006, ha definito apposite linee guida, precisando in sostanza che: -il comma 173 abroga implicitamente i commi 11 e 42 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 che precedentemente disciplinavano l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di determinati atti;- l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti degli atti enunciato dal comma 173 riguarda anche le regioni e gli enti locali pur non essendo applicabili nei loro confronti le disposizioni limitative di cui ai commi 9, 10, 56 e 57”. ),
si chiarisce che l’obbligo di trasmissione degli atti di spesa riguarda: Tutte le pubbliche amministrazioni, secondo l’ampia accezione definita nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. A tale proposito, pertanto, si conferma che l’obbligo riguarda: regioni, enti locali (inclusi i comuni sotto i 5000 abitanti, non essendo più confermata dal comma 173 l’esenzione prevista dall’art. 1, comma 42 della l. n. 311/2014, da ritenersi implicitamente abrogato), unioni di comuni e, più in generale, tutte le pp. aa. nell’ampia accezione descritta. - Concerne i provvedimenti di impegno ed altri eventuali atti di spesa. L’obbligo di trasmissione concerne i provvedimenti di impegno di spesa, nonché gli atti di spesa da cui è possibile verificare i presupposti per il legittimo affidamento (determina o delibera di affidamento incarico, nonché convenzione stipulata con l’interessato incaricato). - È limitato agli atti che eccedono una spesa di 5 mila euro. Si conferma che, con riguardo all’obbligo di invio, la soglia dei 5 mila euro va calcolata con riferimento all’ammontare definitivo di spesa dei singoli provvedimenti e atti. - In ogni caso l’atto di affidamento di incarichi e consulenze deve essere corredato della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente locale (art. 1, c. 42, l. 311/2004). - Va assolto nei confronti della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, cui è affidato l’esercizio del controllo sulla gestione, mediante utilizzo dell’applicativo Con.Te (nel caso di Regioni e enti locali) e mediante pec (se si tratta di altri ee.pp. non territoriali).
4.1.2 Il superamento del vincolo quantitativo Va necessariamente messo in evidenza che il profilo vincolistico ere stato integrato da specifiche norme di legge che si erano via via succedute – dal d.l. n. 78/2010 al d.l. 6 luglio 2012, n. 95 convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 135 (c.d. spending review n. 2) fino alle più risalenti disposizioni, le quali avevano l’obiettivo di perseguire, da un lato, l’obiettivo del superamento del criterio della spesa storica e, dall’altro, di spingere la discrezionalità degli enti ad indirizzarsi verso una riallocazione selettiva delle risorse, promuovendone un impiego efficiente: come è noto, il processo anzidetto sembra aver subito una brusca frenata – specialmente sul descritto versante quantitativo – a causa della introduzione di norme a fine anno 2019 di segno diametralmente opposto ( Va osservato più specificamente che l’art. 57 comma 2 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito dalla l. 19 dicembre 2019, n. 157, recante: “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, ha eliminato tutta una serie di limiti di spesa. Essi concernono a partire dal 2020 i seguenti profili vincolistici di natura puntuale: • abrogazione dei limiti di spesa per studi e incarichi di consulenza pari al 20% della spesa sostenuta nell’anno 2009 (art. 6, comma 7 del d.l. n. 78/2010); • abrogazione dei limiti di spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza pari al 20% della spesa dell’anno 2009 (art. 6, comma 8 del d.l. n. 78/2010); • abrogazione del divieto di effettuare sponsorizzazioni (art. 6, comma 9 del d.l. n. 78/2010); • abrogazione dei limiti delle spese per missioni per un ammontare superiore al 50% della spesa sostenuta nell’anno 2009 (art. 6, comma 12 del d.l. n. 78/2010); • abrogazione dell’obbligo di riduzione del 50% rispetto a quella sostenuta nel 2007, la spesa per la stampa di relazioni e pubblicazioni distribuite gratuitamente o inviate a altre amministrazioni (art. 27, comma 1 del d.l. n. 112/2008); • abrogazione dei vincoli procedurali per l’acquisto di immobili da parte degli enti territoriali (articolo 12, comma 1- ter del d.l. n. 98/2011); • abrogazioni di limiti di spesa per acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi per un ammontare superiore al 30% della spesa sostenuta nell’anno 2011 (art. 5, comma 2 del d.l. n. 95/2012); • abrogazione, per i Comuni che gestiscono servizi per più di 40mila abitanti, dell’obbligo di comunicazione, anche se negativa, al Garante delle telecomunicazioni delle spese pubblicitarie effettuate nel corso di ogni esercizio finanziario, con deposito di riepilogo analitico (art. 5, commi 4 e 5 della l. n. 67/1987); • abrogazione dell’obbligo di adozione dei piani triennali per l’individuazione di misure finalizzate alla razionalizzazione dell’utilizzo delle dotazioni strumentali, anche informatiche, delle autovetture di servizio, dei beni immobili a uso abitativo o di servizio, con esclusione dei beni infrastrutturali; (art. 2, comma 594, della l. n. 244/2007); • abrogazione dei vincoli procedurali concernenti la locazione e la manutenzione degli immobili (art. 24 del d.l. n. 66/2014).),
a cui deve tuttavia fare da contraltare l’introduzione in tempi recenti proprio di un più organico e più ampio controllo sulla revisione della spesa, contemplato dall’art. 6, comma 3, del d.l. n. 174/2012 nelle coordinate delineate dalla delibera Sez. Aut. n. 20/2019 della Corte dei conti e dalla Sezione Autonomie 14/2021. Sul versante quantitativo, e del relativo vincolo, l’art. 57, comma 2, del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, coordinato con la legge di conversione 19 dicembre 2019, n. 157, recante: “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” ha stabilito infatti che “A decorrere dall’anno 2020, alle regioni, alle Province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali, come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria cessano di applicarsi le seguenti disposizioni in materia di contenimento e di riduzione della spesa e di obblighi formativi: (...) articolo 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. 37 4.1.3 L’entità di importo degli atti sottoposti a invio Permane la piena vigenza invece dell’art. 1, comma 173, della l. n. 266/2005 il quale, come detto, stabilisce che gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione. In altri termini, se i limiti quantitativi sono venuti meno, quindi, con la norma dell’art. 57, comma 2 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con la l. 19 dicembre 2019, n. 157, non è venuto meno l’obbligo di trasmettere alla Corte dei conti gli atti di importo superiore a 5mila euro riferiti a spese per studi e incarichi di consulenza (art. 1, comma 173, l. n. 266/2005 riferito, in particolare, al comma 9) con relativa valutazione dell’organo di revisione, il cui unico limite di spesa complessivo è quello indicato dal programma annuale degli incarichi e delle collaborazioni a persone fisiche di cui all’art. 3, comma 55, della l. n. 244/2007, convertito con l. n. 133/2008, inserito nel Dup( Corte dei conti, Sez. contr. Lombardia, delibere n. 213/2009/PAR e n. 506/2010/PAR, Corte dei conti; Sez. reg. contr. Piemonte, del. n. 42/2009/PAR.
LE INDICAZIONI OPERATIVE CIRCA LA TIPOLOGIE DI ATTI DA TRASMETTERE A QUESTA SEZIONE E QUELLE PER LE QUALI SI PREVEDE UN’ESCLUSIONE DALL’OBBLIGO
5 Alla luce di quanto esposto, si conferma che l’obbligo di invio degli atti di spesa alla Sezione regionale di controllo investe la sfera di atti espressamente menzionati dalla disciplina legislativa (art. 1 comma 9, l. n. 266/2005); in dettaglio si tratta di atti attinenti “studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione”.
5.1 La diversa latitudine oggettiva nel raffronto tra la previsione dell’art. 7 commi 5- bis e 6 del d.lgs. 165/2001 e l’art. 1 comma 9 l. n. 266/2005
Il combinato disposto dei commi 5-bis e 6 dell’art. 7 del TUPI delinea il concetto di contratti di collaborazione autonoma individuale senza specificare puntualmente l’oggetto della prestazione, mentre l’art. 1, c. 173, della l. n. 266/2005, nell’indicare gli atti di spesa che debbono essere inviati alla Corte dei conti si riferisce (mediante il rinvio al comma 9 dell’art. 1 della medesima legge) agli “studi e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione”. Non tutti gli incarichi esterni ex art. 7, comma 6, di importo superiore a € 5.000,00 dovranno essere inviati alla competente Sezione territoriale della Corte dei conti ma solamente quelli afferenti studi e consulenze, ed attesa questa non perfetta coincidenza terminologica, appare fondamentale andare a chiarire cosa debba intendersi, quindi, per studio e consulenza.
La delimitazione agli incarichi di studio e consulenza
Ai fini che qui rilevano, va richiamato in questa sede il quadro di riferimento delle categorie descritte, definite dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti nella delibera n. 6/2005, richiamata da consolidata giurisprudenza contabile, che ha distinto:
a) gli incarichi di studio, da individuarsi con riferimento ai parametri indicati dall’art. 5, d.P.R. n. 338/1994, si caratterizzano per la consegna, da parte dell’incaricato, dei “risultati dello studio e le soluzioni ai problemi sottoposti entro il termine stabilito nella lettera di incarico (...) I risultati dell’incarico devono essere accompagnati da una relazione illustrativa dell’attività svolta e del prodotto finale della stessa”;
b) le consulenze vere e proprie, sono da intendersi come richieste di pareri ad esperti e con esse l’amministrazione intende acquisire un giudizio finale idoneo ad orientare l’azione dei propri organi.
Per completezza, si indica anche il contenuto degli c) gli incarichi di ricerca, i quali si caratterizzano per la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione affidante l’incarico e sono la raccolta organica di materiale che consente agli organi dell’amministrazione di reperire contenuti di conoscenza utili per la realizzazione di finalità istituzionali. Essa deve concretizzarsi in un esito ben definito, ossia, in una relazione scritta che evidenzi la raccolta delle fonti reperite, ne fornisca la sistemazione organica e riassuma le conclusioni dell’incaricato.
In definitiva, è orientamento prevalente che il contenuto delle tre descritte categorie coincida e concretizzi un contratto di prestazione d’opera intellettuale (artt. 2229-2238 del cod. civ.), riconducibile alla locatio operis, in cui assume carattere centrale la personalità della prestazione resa dall’esecutore. Cosicché, la nozione appena descritta resta concettualmente distinta dalla nozione di appalto di servizi, caratterizzato da una prestazione resa da un operatore economico con organizzazione strutturata, priva di caratterizzazione personale.
Le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità
In argomento questa Sezione rinvia ai contenuti della recente deliberazione n. 122/2021/VSG riguardante “Referto sulle spese di rappresentanza sostenute dagli enti locali dell’Emilia Romagna nell’anno 2018”. Il recente richiamato referto contiene un’ampia disamina delle fattispecie rientranti nel concetto di “spesa di rappresentanza”21, dei connotati che la stessa deve rivestire per 21 cfr. Corte conti, Sez. contr. Emilia-Romagna, delib. n. 122/2021/VSGO “...Il già citato art.16, comma 26 del D.L. n.138/2011, convertito con legge n. 148/2011, prevede che le spese di rappresentanza sostenute dagli organi degli enti locali siano elencate, per ciascun anno, in un prospetto allegato al rendiconto di cui all’art. 227 del TUEL, che deve essere trasmesso alle Sezioni regionali di controllo Corte conti che, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione (art. 7, comma 7, legge n. 131/2003), verificano il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali di principio o di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché della sana gestione finanziaria degli enti locali. Tale controllo si affianca all’ulteriore e più specifico monitoraggio di cui all’art. 1, comma 173, della legge n. 266/2005 che prevede, ai fini del controllo successivo sulla gestione, la trasmissione da parte degli enti locali alle Sezioni regionali di controllo degli atti di spesa che superano i 5.000 euro relativi a collaborazioni, consulenze, studi e ricerche, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza. Una sana gestione finanziaria presuppone una gestione che non presenti illegittimità o irregolarità di tipo amministrativo contabile o comunque spese ingiustificate che possono configurare ipotesi di danno patrimoniale per le essere qualificata tale, nonché dei requisiti di legittimità che presiedono alla corretta assunzione di detta spesa; illustra altresì le linee interpretative da assumere per la catalogazione e la corretta gestione di tipologie di spesa affini e correlate22.
5.1.3 Atti esclusi
Devono invece considerarsi esclusi dalla sfera degli atti per i quali vige obbligo di invio, le seguenti fattispecie: - gli incarichi di componente di organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché il sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici, per esplicita previsione dell’art. 6 quater dell’art. 7 del d. lgs. n. 165/2001 non soggetti alla disciplina comma 6; - gli incarichi riguardanti prestazioni professionali consistenti in servizi o adempimenti obbligatori per legge (quali il “medico competente” ai sensi del d. lgs. n. 81/2008, l’”esperto qualificato” ex d.lgs. n. 230/1995”)23; - gli incarichi ex art. 110 TUEL (alta specializzazione) ed ex art. 90 TUEL (incarichi di diretta collaborazione): gli stessi sono disciplinati da specifiche disposizioni e non finanze dell’ente ed è in tale ottica che diventa centrale il ruolo dei giudici contabili, chiamati a verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico in ossequio ai principi di giuridicità che connotano il processo di erogazione della spesa pubblica”. 22cfr. Corte conti, Sez. contr. Emilia-Romagna, delib. n. 122/2021/VSGO “[...] L’attività di rappresentanza innanzitutto va distinta dall’attività di informazione e comunicazione pubblica, di cui alla legge n. 150/2000, estrinsecazione dei principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, che le pubbliche amministrazioni svolgono, attraverso strumenti di comunicazione di massa (stampa, canali audiovisivi [...]) per consentire una diffusione omogenea e coerente della propria immagine ed, avvalendosi di soggetti individuati dalla stessa legge (uffici stampa, portavoci, sportelli di relazioni con il pubblico [...]) rivolti alla comunicazione con la collettività, per favorire la conoscenza di leggi e di procedimenti amministrativi, l’accesso a servizi pubblici, illustrare le attività ed il funzionamento delle istituzioni. Con le disposizioni con cui negli anni sono stati apportati vincoli di spesa all’attività delle pubbliche amministrazioni il legislatore ha fatto riferimento alle spese di pubblicità, a quelle relative a mostre o convegni, a pubbliche relazioni, a sponsorizzazioni, ed infine a rappresentanza. E’ evidente quindi che la norma ha contemplato più di un genere di azioni affini e comunque attinenti ad attività non strettamente essenziali per il raggiungimento dei fini istituzionali e, pertanto, oggetto di limitazioni ai fini del contenimento della spesa pubblica. Anche avvalendosi dell’ausilio della dottrina e giurisprudenza si possono qualificare spese: di pubblicità le forme di messaggio per l’informazione all’utenza sul ruolo dell’istituzione stessa o su un importante cambiamento o un risultato raggiunto, di sponsorizzazione (vietate) inerenti alla semplice divulgazione dell’immagine attraverso messaggi di promozione, di pubbliche relazioni quelle consistenti in iniziative volte a sviluppare relazioni con l’utente esterno di riferimento per averne il consenso ed infine le intuibili spese per mostre (esposizione pubblica di documenti o oggetti) e convegni (incontri di più persone su tematiche ritenute di interesse). Le attività e le connesse spese di rappresentanza in linea generale rispondono all’esigenza di rappresentare l’Istituzione e le proprie attività all’esterno al fine di accrescere il proprio prestigio per il miglior perseguimento delle pubbliche finalità che sono chiamate a svolgere, e per gli Enti locali in particolare, oggetto della presente indagine, utili a mantenere e rafforzare il rapporto fiduciario con la popolazione residente sul territorio”. 23 In senso conforme, Corte conti, Sez. reg. contr. Toscana, delib. n. 6/2020/VSG e Sez. contr. Piemonte n. 54/2021/INPR. 41 rientrano nella disciplina generale del già citato art. 7, comma 6; - gli incarichi di addetto stampa, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 150/2000, non soggetti alla disciplina dell’art. 7, comma 624; - gli incarichi di rappresentanza e patrocinio giudiziale, in quanto estranei alla nozione di consulenza; - gli incarichi di architettura e ingegneria (progettazione, direzione lavori, collaudi, ecc.) disciplinati dal d. lgs. n. 50/2016. In questa sede per completezza si ribadisce, infine, l’esclusione dalla disciplina dell’art. 7 del d. lgs. n. 165/2001 cit. anche degli ex rapporti di collaborazione coordinata e continuativa - che costituiscono una posizione intermedia tra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato - non più ammissibili nel quadro normativo vigente, stante il tenore del richiamato disposto del comma 5-bis dell’art 7. I c.d. co.co.co rientrano pertanto in un regime di divieto per la pubblica amministrazione. 24 Si rammenta che per la costituzione delle dotazioni del personale che costituisce l’ufficio stampa è necessario l’esperimento della procedura del pubblico concorso, ai sensi del principio fissato dall’art. 97 Cost.; in assenza di detta procedura, ne deriva la nullità del rapporto di lavoro subordinato svolto in violazione di norma imperativa, ferma l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (Cassaz. civ., Sez. lavoro, 4 novembre 2016, n. 22485). 42
CONCLUSIONI E INDICAZIONI OPERATIVE AGLI ENTI
Modalità sostanziali Tanto precisato circa gli obblighi che scaturiscono dall’art. 1, comma 173, in trattazione, si richiede pertanto alle amministrazioni pubbliche della sfera di competenza presenti nella regione Emilia – Romagna di: - trasmettere gli atti di pertinenza, di importo superiore ai 5.000 euro, riguardanti le tipologie menzionate e descritte al precedente §. 5.1.1. Dal punto di vista sostanziale, le amministrazioni pubbliche destinatarie della presente deliberazione, inoltre, a decorrere dalla ricezione della presente delibera: 6.2 - non sono tenute a trasmettere a questa Sezione regionale gli atti di spesa che costituiscono appalti di servizi disciplinati dall’art. 3, comma 1 lett. ss) del d.lgs. n. 50/2016, secondo la definizione data al precedente § 3. È modificato in tal senso l’orientamento espresso nella precedente delibera di questa Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna n. 135/2015, § 2.1 (gli atti già inoltrati restano acquisiti e potranno costituire oggetto di verifiche di gestione finanziaria, con riferimento ai singoli enti). Modalità operative Infine, devono considerarsi revocate le modalità operative di trasmissione (impartite con nota Sezione controllo Emilia-Romagna prot. n. 2184 del 6 giugno 2011), comportanti la compilazione e trasmissione di file excel riassuntivo dei dati qualificanti l’atto di spesa. Le amministrazioni pubbliche trasmetteranno a questa Sezione regionale di controllo solo gli atti di spesa superiori ai 5.000 euro rientranti nelle tipologie di cui al richiamato comma 173, con la precisazione che: - per gli enti territoriali (Comuni, Città Metropolitana/Province e Regione) la trasmissione continuerà ad essere fatta tramite il portale Fitnet e, quindi, effettuata la registrazione sull’anagrafica di GET, si può procedere all'invio degli atti di incarico/spesa tramite procedura Con.Te; - per tutti gli altri enti pubblici la trasmissione dei documenti in oggetto alla Sezione di 43 controllo continuerà ad avvenire tramite posta elettronica ordinaria (supporto.sezione.controllo.e.romagna@corteconti.it) o posta elettronica certificata (emiliaromagna.controllo@corteconticert.it)./p>