FORMA DELLA DONAZIONE

 

L'art.782 cod. civ. espressamente prevede che la donazione “deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità.

 

Se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell'atto medesimo della donazione ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio”.

E', inoltre, necessaria la presenza, non derogabile dalle parti, di due testimoni. Non è a tal proposito ininfluente osservare che vi è chi riconnette il rigore formale, che deve assistere la donazione, alla particolare debolezza dell'elemento causale, che si esaurirebbe nell'unilaterale intento liberale di arricchire il donatario. La debolezza causale dell'atto ,nel quale all'attribuzione patrimoniale non si oppone alcuna controprestazione, sarebbe pertanto controbilanciata da un supplemento di forma.

La natura contrattuale della donazione implica che la stessa possa perfezionarsi in un arco temporale durante il quale ad una proposta del donante faccia seguito l'accettazione del donatario, da notificarsi al donante ai sensi del II comma dell'art. 782 cod. civ. In questo caso ci si chiede se la forma vincolata qui in esame sia indispensabile anche per l'atto con il quale il donatario accetta la liberalità. Vanta consistenti consensi la tesi meno rigorosa, osservandosi che la ragione del formalismo ha a che fare con la figura del donante e non con quella della parte che si giova dell'incremento patrimoniale.

L'art 783 cod. civ. prevede una deroga alla disciplina prevista dall'articolo precedente per quanto concerne le donazioni di modico valore.


In tal caso, infatti, il trasferimento “è valido anche se manca l'atto pubblico, purché vi sia stata la tradizione”. E' importante precisare che “la modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante”.

Sono equiparate alle donazioni di modico valore, dal II comma dell'art 770 c.c. le liberalità in occasione di servizi resi o in conformità agli usi nonché le liberalità indirette, fattispecie alle quali si applica la disciplina del 783 cd. civ.

Per tanto questo tipo di donazioni può essere realizzata attraverso due distinti strumenti formali:


a) la forma dell'atto pubblico (la quale sortisce effetti traslativi indipendentemente dalla consegna, stante il principio di cui all'art. 1376 cod. civ. ),
b) la dazione materiale della res, che viene così a surrogare il difetto formale.

Il formalismo previsto dall'art. 782 c.c, non si applica nemmeno alle donazioni indirette, in quanto non richiamato dall'art. 809 c.c

Ciò comporta l'utilizzo della diversa forma eventualmente richiesta in relazione all'atto per il tramite del quale si estrinseca la liberalità indiretta.


Particolare attenzione merita la figura della donazione mista

Questa figura ricorre quando in un negozio oneroso una delle prestazioni è notevolmente inferiore all'altra e chi la riceve intende, in tal modo, arricchire volontariamente l’altra parte.
Esempi:
1) vendita per un prezzo inferiore al valore della cosa venduta e viceversa;
2) vitalizio la cui rendita è inferiore al reddito della cosa trasferita;
3) divisione con cui uno dei condividenti volontariamente riceve beni di valore inferiore alla quota di diritto a lui spettante.
4) Concedente di enfiteusi che dispensa l’enfiteuta dall’obbligo di pagare il canone annuo.

Si discute in dottrina su quale sia la disciplina applicabile e quindi in quale categoria possa essere ricompresa:
• ►►►  Al negozio misto (Carnevali - Rescigno – Bianca).
Per contratto misto si intende una fattispecie negoziale atipica che possiede elementi causali propri di più contratti tipici. All'interno di questo orientamento sono state prospettate due teorie per la disciplina applicabile. Secondo la teoria della combinazione dovrebbero essere applicabili le norme relative a tutti i tipi negoziali rinvenibili nel negozio misto. Secondo la teoria dell'assorbimento occorrerebbe, invece, valutare quale sia, in concreto, la causa prevalente, per poi applicare analogicamente le sole norme concernenti il tipo negoziale al quale fosse stato assimilato il negozio misto.
• ►►►  Alla donazione indiretta (Capozzi – Torrente – Biondi – Giannattasio – Cassazione II^ sez.civ. 17/11/2010 n. 23215).
Questa è la tesi preferibile, in quanto una delle due parti ha l’intenzione di arricchire l’altra e realizza tale scopo attraverso un atto diverso dalla donazione tipica, e, cioè, indirettamente, a mezzo di un diverso negozio (vendita, rendita e divisione). Difatti, secondo la sentenza su citata, si è precisato che il negotium mixtum cum donatione non è riconducibile alla figura del contratto misto, quanto, invece, al negozio indiretto, la cui principale caratteristica risiede nell’utilizzazione di un negozio tipico in vista della realizzazione di uno scopo ulteriore o diverso rispetto a quello del negozio realmente posto in essere.
Pertanto non dovrà rivestire la forma prescritta della donazione ma quella propria dello schema negoziale effettivamente adottato. In virtù anche dell'art 809 c.c. che, nel sancire l’applicabilità delle norme sulle donazioni agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c..

A titolo esemplificativo possiamo riportare la fattispecie illustrata nella sentenza della Cass. Sez.civ.II n°23215/2010.
Due soggetti, nella loro qualità di eredi , convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Savona un terzo soggetto, che per convenzione chiameremo Tizio, e sua moglie.
Essendo accertata, con sentenza passata in giudicato, la responsabilità per sinistro stradale a causa del quale è deceduto il de cuius, Tizio veniva condannato ad un risarcimento danni.
La domanda attorea era la seguente: dal rogito era emerso che tra la data di deposito della sentenza e quella del rogito, Tizio aveva venduto alla moglie l’unico bene immobile di sua proprietà , ad un prezzo di gran lunga inferiore al valore reale del bene. Gli attori, assumendo che tale atto dovesse ritenersi simulato, chiedevano al tribunale di dichiarare la nullità ed inefficacia del rogito e , in via subordinata, nel caso di ravvisata sussistenza di un atto di donazione dissimulato sotto la forma dell’atto a titolo oneroso, la nullità e l’inefficacia dello stesso per mancanza delle forme prescritte a pena di nullità dall’art 782 cod.civ..
Tizio resta contumace, la moglie costituitasi in giudizio, nella comparsa di risposta sosteneva che il prezzo della cessione dell’immobile rappresentava il frutto di una compensazione per una precedente azione immobiliare.
All’esito dell’istruttoria il giudice rigettava la domanda attorea, ritenendo che l’atto impugnato dovesse qualificarsi come negotium mixtum cum donatione.
In virtù dell’appello alla Corte di Genova, veniva formulata una sentenza che accoglieva l’impugnazione e, in riforma della sentenza gravata, dichiarava la nullità dell’atto di compravendita , sul presupposto che in esso ( da qualificarsi quale contratto misto) la donazione avesse avuto fine prevalente ,preponderanza dell’animus donandi,rispetto al corrispettivo e che pertanto avrebbe dovuto essere concluso per atto pubblico ex 782 cod.civ..
Le sez.civ. della Cassazione ,dietro ricorso, hanno affermato che la Corte d’appello è incorsa nell’errore di procedere ad un’impropria qualificazione della fattispecie, in quanto la donazione mista non era riconducibile allo schema del contratto misto, bensì a quello della donazione indiretta, la cui principale caratteristica è l’utilizzazione di un negozio tipico in vista della realizzazione di uno scopo ulteriore e diverso rispetto a quello del negozio realmente posto in essere.
Dunque, accogliendo il ricorso, la Cassazione cassa con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, la quale dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
Nel negotium mixtum cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa, ma il negozio commutativo stipulato tra i contraenti ha lo scopo di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità, diversa e ulteriore rispetto allo scambio, consistente nell’arricchimento , per puro spirito di liberalità, di quello tra i contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, realizzandosi così una donazione indiretta. Conseguentemente, per la validità di tale negozio, non è necessaria la forma della donazione, ma quella prescritta per lo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti, sia poiché l’art 809 cod.civ. nel sancire l’applicabilità delle norme sulla donazione agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previstidall’art 769 cod.civ., non richiama il 782 cod.civ, che prescrive la forma dell’atto pubblico per la donazione; sia perché essendo la norma richiamata volta a tutelare il donante essa, a differenza delle norme che tutelano i terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono l’intento di liberalità con schemi negoziali per il raggiungimento di finalità diverse.”

Un ulteriore caso peculiare sulla forma della donazione è riscontrabile nella materia delle donazioni di cosa altrui .
Il legislatore si limita a comminare la nullità degli atti traslativi di beni futuri, ex art. 771 cod.civ., lasciando all’interprete il problema ermeneutico relativo alla c.d. donazione di cosa altrui

 

Seppure il legislatore sembra, prima facie, aver disciplinato in modo dettagliato l’intera materia, problemi interpretativi si pongono con riferimento alla validità o meno della c.d. donazione di cosa altrui.
In verità, infatti, il legislatore si limita a comminare la nullità degli atti traslativi di beni futuri, ex art. 771 cod.civ., lasciando all’interprete il problema ermeneutico relativo alla c.d. donazione di cosa altrui. Fattispecie che, però, non è sconosciuta al nostro ordinamento, soprattutto nel caso di vendita, ex art. 1478 c.c.. Tutto ciò porta a chiedersi in che senso vada interpretato il silenzio del legislatore nell’ambito delle donazioni, non essendo sufficiente applicare il brocardo latino “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, ma essendo, al contrario, richiesta un’operazione ermeneutica di natura sistematica.
►►► Secondo un orientamento della dottrina, la problematica posta in essere dovrebbe avere soluzione negativa. Innanzitutto, non si potrebbe fare a meno di rilevare come il concetto di bene futuro possa essere interpretato non solo in senso oggettivo, ma anche soggettivo. Infatti, secondo tale impostazione, laddove il legislatore disponga che la donazione possa comprendere solo beni presenti del donante, intenda riferirsi a beni che sostanzialmente siano nella sua disponibilità, diversamente dai beni altrui. La lettera della norma, in questo senso, sembrerebbe legittimare una libera disponibilità dei soli beni presenti nella sfera giuridica del donante. La donazione di beni futuri, invece, al pari della c.d. donazione di cosa altrui ,sarebbe nulla in quanto si riferirebbe a beni non facenti parte del patrimonio del soggetto donante al momento del compimento dell’atto traslativo. La struttura giuridica, nonché la ratio sottesa agli istituti in esame, sarebbe la stessa. Nel caso di donazione di cosa futura il bene non sarebbe presente perché non ancora esistente in rerum natura e, quindi, in senso oggettivo, mentre, nel caso di donazione di cosa altrui il bene non potrebbe ritenersi presente perché non appartenente alla sfera patrimoniale del donante, ma di un terzo. Se, allora, la struttura tipica negoziale è la medesima, evidentemente la nullità, ex art. 771 cod.civ., deve essere comminata anche nel caso di c.d. donazione di cosa altrui.
  Inoltre, secondo parte della dottrina, neanche apparirebbe sostenibile la generale ammissibilità dell’atto traslativo di cosa altrui, come nel caso di vendita ex art. 1478 c.c., estensibile, per ciò solo, alla materia delle donazioni. Infatti, la stessa vendita di cosa altrui avrebbe natura giuridica eccezionale e, quindi, non ne sarebbe ammessa l’applicabilità anche a fattispecie non espressamente previste dal legislatore. Tale assunto, poi, sarebbe imposto dallo stesso legislatore il quale, nell’ambito delle disposizioni generali della vendita, prevede che tale contratto debba avere per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un altro diritto ex art. 1470 c.c., e non l’obbligo di far acquisire un diritto di cui non ne abbia l’attuale disponibilità. In altre parole la c.d. vendita obbligatoria, di cui un esempio sarebbe, appunto, la vendita di cosa altrui, avrebbe natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina generale ex art. 1470 c.c. tale da impedirne l’estensione analogica.

►►► D’altronde, proprio tali rilievi giuridici hanno spinto altra parte della dottrina a sottolineare l’incompatibilità logica tra lo schema tipico della vendita di cosa altrui e quello della c.d. donazione di cosa altrui. Infatti, si precisa, come l’obbligo di procurare l’acquisto della cosa sarebbe riconducibile alle prestazioni di fare, le quali non potrebbero essere oggetto di donazione in quanto inidonee, in senso giuridico, a produrre l’impoverimento del patrimonio di chi si obbliga, né l’arricchimento del beneficiario, elementi invece essenziali per la configurabilità della donazione. In questo senso, allora, lo stesso inciso “una parte arricchisce l’altra” ex art. 769 c.c., impedirebbe la configurabilità di una donazione obbligatoria, perché, secondo tale impostazione, l’arricchimento dovrebbe avvenire tramite depauperamento economico da parte del donante, attraverso un collegamento causalistico diretto e reale, ma non obbligatorio. In altre parole, la lettera della legge ex art. 769 c.c., sembrerebbe individuare lo schema-tipo della donazione in un rapporto giuridico volto a cedere un bene o un diritto a titolo gratuito, da un soggetto ad un altro, in modo diretto ed immediato, non in un momento successivo al compimento del negozio giuridico, come confermato, a contrario, dalla nullità della donazione di beni futuri ex art. 771 c.c.
La nullità della vendita di cosa altrui sarebbe pur sempre comminata in caso di piena consapevolezza dell’altruità della cosa, mentre in caso di errore (perché ad esempio il donante si ritenga erroneamente proprietario del bene di cui vuole disporre) troverà applicazione l’art. 1429 c.c., tale da legittimare l’azione di annullamento secondo gli ordinari schemi di tutela dei negozi giuridici, ovvero in caso di errore sul motivo della donazione troverà applicazione l’art. 787 c.c.; lo stesso dicasi in caso di dolo (laddove, ad esempio, il donante abbia volontariamente taciuto la circostanza dell’altruità della cosa), potrà trovare applicazione l’art. 1439 c.c., e la responsabilità per i vizi della cosa ex art. 798 c.c. Il donatario, poi, qualora il donante fosse perfettamente a conoscenza della nullità della donazione, potrà esperire l’azione ex art. 1338 c.c., per aver fatto incolpevole affidamento sulla validità del contratto di donazione.


►►►   Secondo altra impostazione, invece, il silenzio del legislatore in materia di donazione di cosa altrui sarebbe da interpretarsi in senso positivoe, cioè, come pienamente configurabile nel nostro ordinamento. Preliminarmente, secondo tale ricostruzione ermeneutica, lo stesso concetto di bene futuro, ex art. 771 c.c., sarebbe ben diverso da quello di bene c.d. soggettivamente futuro quale, appunto, la cosa altrui. In questo senso, infatti, si rileva come le due fattispecie siano strutturalmente diverse, tanto che lo stesso legislatore nell’ambito della disciplina della vendita le individua in modo separato: se avessero avuto la medesima struttura giuridica, in senso stretto, non avrebbe avuto alcun significato disciplinarle in modo separato, ex art. 1472 e 1478 c.c. Tale distinta previsione normativa, allora, confermerebbe implicitamente come il negozio giuridico traslativo di bene futuro sia ben diverso da quello traslativo di cosa altrui.
Il legislatore, allora, sembrerebbe richiedere l’applicabilità dell’art. 771 c.c. ai soli casi di beni necessariamente futuri, perché ancora inesistenti in rerum natura, ma non eventualmente futuri, cioè beni che possono e non possono appartenere al donante perché “non ancora separati”, ma non futuri o inesistenti in senso stretto. Anche sotto tale profilo, allora, il legislatore ammetterebbe implicitamente la donazione di cose altrui, proprio perché cose sostanzialmente esistenti già in rerum natura. Qualora si volesse optare per la tesi contraria, evidentemente, si rischierebbe di entrare non solo in contrasto con la lettera della legge, ma anche con la libertà dispositiva del donante. In verità, l’orientamento positivo sembra più condivisibile, sia perché maggiormente rigoroso verso la lettera della legge, sia perché più coerente con i principi generali di libertà negoziale.

Ad ogni modo, ci si chiede quale natura giuridica abbia il contratto stipulato tra donante e terzo per far acquisire il bene al donatario. Il donante, a rigore, stipulerebbe un contratto con il terzo per far acquisire un vantaggio al donatario, sulla falsariga del contratto a favore di terzo, ex art. 1411 c.c., tanto più che il donatario diverrebbe titolare del diritto oggetto di donazione, nel momento stesso in cui il donante ne diviene proprietario, secondo lo schema tipico della vendita di cosa altrui, ex art. 1478 c.c. Qualora così fosse il donante-stipulante potrebbe ben modificare l’oggetto contrattuale o revocarlo verso il promittente, finché il terzo-donatario non abbia dichiarato di volerne profittare, ex art. 1411 c.c., diversamente dalla disciplina generale della revocazione delle donazioni, ex art. 800 c.c., che individua in modo tassativo i casi di ammissibilità della revocazione.

Il problema, dunque, appare particolarmente complesso, perché
►►►  se si qualifica il contratto tra stipulante-donante e promittente, in favore del terzo-donatario come contratto a favore di terzo, ex art. 1411 c.c., la revoca sarà sostanzialmente ammissibile fino al momento della dichiarazione di volerne profittare del terzo-donatario;
►►►  viceversa se si qualifica il contratto tra donante e terzo (alienante), come contratto esecutivo di un contratto precedente di donazione, dovrebbe trovare applicazione l’art. 800 c.c., soprattutto in considerazione della presenza di un collegamento causale tra i due negozi giuridici posti in essere. Secondo parte della dottrina, il negozio giuridico stipulato tra donante e terzo, e il contratto di donazione tra donante e donatario, sarebbero tra loro autonomi, tale per cui l’art. 800 c.c. potrebbe risultare applicabile solo al contratto di donazione in senso stretto. Sotto tale profilo, dunque, il contratto tra donante e terzo, per avvantaggiare il donatario, potrebbe ben essere un contratto a favore di terzo, ex art. 1411 c.c.
Secondo altra impostazione, invece, il problema andrebbe risolto alla luce del concetto di collegamento negoziale. Laddove si consideri l’intera operazione contrattuale, come un iter procedimentale volto a donare un bene al donatario, per spirito di liberalità, le problematiche poste si riducono necessariamente di portata. Tanto più che la volontà contrattuale ex art. 1362 c.c. deve comunque assumere valore pregnante, non tralasciando di considerare come, generalmente, l’intero iter contrattuale, in questi casi, è animato dallo spirito di liberalità, che giustificherebbe, quindi, l’applicazione della disciplina giuridica della donazione ex art. 800 c.c. . Per quanto attiene alla problematica relativa alla forma del negozio giuridico attuativo della donazione obbligatoria, poi, sembra preferibile optare per la tesi della c.d. simmetria in quanto più rigorosa e coerente, dovendosi, quindi, utilizzare per il negozio giuridico esecutivo la stessa forma utilizzata per il negozio ad esso collegato, tanto più se l’intero iter contrattuale va considerato come unicum.

 

 

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