Cass SSUU 14828/2012. La decisione in esame scioglie il nodo, controverso in dottrina e giurisprudenza, relativo alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto nell'ambito di una causa promossa per la risoluzione del vincolo.

Con la sentenza n. 14828 del 4 settembre 2012 le sezioni Unite della Corte di cassazione sono intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale da tempo esistente tra le diverse sezioni della Corte, propense,
►►►  alcune, a negare la possibilità di dichiarare ex officio la nullità di un contratto nel caso in cui ne fosse stata domandata l’annullabilità o la risoluzione, e
►►►  altre, favorevoli a una maggiore libertà da parte dell’autorità giudiziaria .


ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE ANTECEDENTE ALLA SENTENZA
E’ opportuno ricordare brevemente che , a norma dell’art. 1418,
l’ordinamento considera nullo il negozio :
- 1) se mancante di un elemento essenziale
- 2) se contrario a norme imperative , al buon costume , o all’ ordine pubblico,
- 3) se contiene una condizione illecita
- 4) ovvero nei casi espressamente previsti dallo stesso legislatore.
Il negozio , se dichiarato nullo,
non produrrà alcun effetto giuridico tra le parti , nonostante la volontà delle stesse (esplicatasi in forza del riconoscimento della autonomia privata)e quindi non produrrà alcuna modificazione giuridica della situazione preesistente tra le parti.
L ‘ordinamento inoltre, considerata la gravità del vizio, assiste la nullità : - sia con la imprescrittibità dell’ azione (1422) - sia con la possibilità che sia fatta valere da chiunque vi abbia interesse - sia con la rilevabilità d’ ufficio da parte del giudice in qualsiasi stato e grado del giudizio .
L’ ordinamento giuridico , quindi, pur riconoscendo e tutelando la autonomia dei privati
salvaguarda anche i principi ed i valori fondamentali posti a tutela degli interessi generali della collettività , a garanzia dei quali conferisce al giudice anche il potere / dovere di rilevare eventuali nullità presenti nei negozi che le parti gli sottopongono.
Ma proprio la rilevabilità d’ ufficio da parte del giudice della nullità , affermata espressamente dall ‘art 1418 cc,ha generato incertezze e contrasti dottrinari e giurisprudenziali.
Infatti , sino ai recenti pronunciamenti della Cassazione dell’anno 2012 e dell’anno 2014, la giurisprudenza dominante affermava che il principio della rilevabilità d ‘ ufficio dovesse essere necessariamente coordinato
“all’ ordinamento normativo nel suo complesso”
e, in particolare ,alle norme processuali di cui agli art 99 e 112 c.p.c .
La giurisprudenza sosteneva quindi che il dettato dell’art. 1418 dovesse coordinarsi con la normativa processuale in tema di: - corrispondenza tra il chiesto e pronunciato(divieto per il giudice di ultrapetizione) -principio della domanda Ma tale coordinamento tra la norma civilistica e le norme procedurali aveva di fatto ormai quasi subordinato, la fondamentale rilevabilità di ufficio della nullità (svilendola e depotenziandone l’ essenza ,finalizzata alla immediata identificazione di negozi improduttivi di effetti) al rispetto della normativa processuale. Infatti , escludendo la immediata rilevabilità di ufficio da parte del giudice, si poteva quindi verificare che , in alcuni casi, alle parti fosse consentito di utilizzare nel processo un contratto nullo, nonostante l’ ordinamento giuridico, all’art. 1418, ne affermasse la improduttività di effetti.

giurisprudenza di cassazione dominante dall ‘ anno 1958 all ‘anno 2012 ).


La giurisprudenza tradizionale riteneva , quindi, che il giudice potesse rilevare d’ ufficio la nullità di un contratto , in carenza di richieste o eccezioni di parte in tal senso, solo ed esclusivamente quando le parti avessero agito in giudizio per ottenere l’ adempimento di tale contratto, in quanto la validità del contratto rappresentava un elemento costitutivo della domanda di parte;


qualora la domanda di parte fosse stata invece diretta a far dichiarare la risoluzione del contratto (o la invalidità , ma per altra causa di nullità diversa da quella rilevata di ufficio) il giudice non poteva rilevare di ufficio la ( per così dire “sua” ) nullità in quanto sarebbe scattato il divieto di decidere su domande non proposte dalle parti , che costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione e le cui violazione vizia la sentenza per extrapetizione. ( in tal senso la dominante giurisprudenza di cassazione dall ‘ anno 1958 all ‘anno 2012 ).

Secondo tale orientamento (cfr., da ultimo, Cass. 10 maggio 2012 n. 7173; Cass. 30 gennaio 2012 n. 1284, in questa Rivista, 2012, I, 1221), la rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell'attore se ne richieda l'adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e a rilevare d'ufficio le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e non possano configurarsi come mere difese del convenuto. Quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l'invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un'eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell'interpretazione coordinata degli art. 1421 c.c. e 112 c.p.c., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell'art. 111 cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d'iniziativa officiosa (in tal senso anche Cass. 27 aprile 2011 n. 9395; Cass. 6 ottobre 2006 n. 21632, in Foro it., 2007, I, 430; Cass. 14 ottobre 2005 n. 19903, ivi, 2006, I, 2107, con nota di Di Ciommo, La rilevabilità d'ufficio delle nullità negoziali tra (artificiosi)limiti processuali ed incertezze giurisprudenziali).
Secondo tale prospettiva, il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità dell'atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (ad esempio, di esecuzione di un atto nullo), non anche quando sia invece la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall'interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d'ufficio o tardivamente indicati, giacché in tal caso l'invalidità dell'atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea (Cass. 26 giugno 2009 n. 15093; Cass. 26 luglio 2005 n. 15583; Cass. 20 ottobre 2004 n. 20548, in Giur. it., 2005, 1609, con nota di Tommasi, La simulazione come causa di nullità del contratto: profili critici; Cass. 10 settembre 2004 n. 18210; Cass. 8 settembre 2004 n. 18062, in Arch. civ., 2004, 1275; Cass. 23 aprile 2004 n. 7780, in Riv. dir. comm., 2005, II, 27, con nota di Iacono, Rilevabilità d'ufficio della nullità nel negozio giuridico e nei contratti a favore dei consumatori; Cass. 5 giugno 2003 n. 8993; Cass. 30 maggio 2003 n. 8810; Cass. 17 febbraio 2003 n. 2354; Cass. 14 gennaio 2003 n. 435; Cass. 26 agosto 2002 n. 12482; Cass. 23 settembre 2000 n. 12644). Essa si pone come limite assoluto alla pronuncia giurisdizionale (Cass. 16 aprile 2004 n. 7293; Cass. 24 febbraio 2004 n. 3612; Cass. 21 febbraio 2003 n. 2637, in Foro it., 2003, 2768; Cass. 1o agosto 2001 n. 10498, in Riv. not., 2002, II, 184), stante il divieto di pronunciare ultra petita (Cass. 8 gennaio 2000 n. 123, in Giur. it., 2000, I, 907; Cass. 22 aprile 1995 n. 4607; Cass. 9 febbraio 1994 n. 1340, in Foro it., 1995, I, 611; Cass. 11 marzo 1988 n. 2398, ivi, 1989, I, 1936, con nota di Massetani, Ingiustificate limitazioni alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto).
Secondo tale impostazione, dunque, il potere officioso del giudice ricorrerebbe (indipendentemente dall'attività assertiva delle parti) soltanto se risulti contestata l'applicazione o l'esecuzione di un negozio la cui validità rappresenti l'elemento costitutivo della domanda, e non anche quando la domanda iniziale sia diretta alla caducazione del contratto in base ad un vizio diverso dalla nullità (risoluzione, rescissione, annullabilità), e si fondi su ragioni diverse da quelle successivamente individuate dal giudice come causa di invalidità del negozio (Cass. 9 gennaio 1999 n. 117).
Ove si contesti, dunque, l'applicazione o l'esecuzione di un atto, la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare l'eventuale nullità dell'atto stesso in qualsiasi stato e grado del giudizio e indipendentemente dall'attività assertiva delle parti; quando, invece, nel giudizio si controverta della illegittimità dell'atto, costituisce domanda nuova la proposizione per la prima volta in appello della richiesta di accertamento della nullità per un titolo diverso da quello dedotto in primo grado e vizio di ultrapetizione l'eventuale dichiarazione d'ufficio della nullità per causa diversa da quella dedotta dalla parte (Cass. 8 gennaio 2007 n. 89).

Dottrina e giurisprudenza minoritaria


In contrasto con tale consolidato orientamento , autorevole dottrina (per tutti si vedano Irti ed Amato ) ed una parte minoritaria della giurisprudenza (Cass. n. 2858/97 e Cass. 6170/2005 ) mettevano in rilievo che:
- la domanda di risoluzione era anche essa domanda di applicazione del contratto, e che quindi , implicitamente, presupponeva la validità dello stesso, in pratica parificandola quindi alla domanda di adempimento,
- che quindi era illogico poter risolvere un contratto per inadempimento (magari ottenendo anche la condanna al risarcimento dei danni) quando, a causa della nullità di quel contratto , dallo stesso non poteva nascere alcun obbligo da adempiere .
Si rilevava anche che, in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto, la eventuale pronunzia di rigetto, non poteva portare ad un giudicato “implicito” sulla validità del contratto , se le questioni concernenti esistenza, validità e qualificazione del rapporto che ne costituiva il presupposto logico giuridico non avessero costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte dello stesso giudice.

In tal senso, Cass. 7 febbraio 2011 n. 2956 (in Contratti, 2011, 681, con nota di Pirovano, Rilevabilità d'ufficio della nullità e domanda di risoluzione) e Cass. 2 aprile 1997 n. 2858 (in questa Rivista, 1997, I, 2459, con nota di Vidiri, Sulla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto), secondo cui il giudice può rilevare d'ufficio la nullità di un contratto, a norma dell'art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione del contratto), senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest'ultima da parte del giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente.
Così anche Cass. 15 settembre 2008 n. 23674 (in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 197, con nota di Nardi, Risoluzione di contratto nullo e rilevabilità d'ufficio della nullità) ha statuito che nel caso in cui le parti di un contratto, ascrivendosi reciproci inadempimenti, chiedano ciascuna nei confronti dell'altro la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c., il giudice può rilevare d'ufficio la nullità del contratto stesso (nella specie, per difetto di forma scritta prescritta ad substantiam) in ogni stato e grado del giudizio, col solo limite della formazione del giudicato interno.
Secondo tali pronunce, dunque, a norma dell'art. 1421 c.c. il giudice deve rilevare d'ufficio le nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche se sia stata proposta azione di risoluzione o di annullamento o di rescissione del contratto, procedendo all'accertamento incidentale relativo a una pregiudiziale in senso logico-giuridico (concernente cioè il fatto costitutivo che si fa valere in giudizio), idoneo a divenire giudicato, con efficacia pertanto non soltanto sulla pronunzia finale ma anche (ed anzitutto) circa l'esistenza del rapporto giuridico sul quale la pretesa si fonda (Cass. 22 marzo 2005 n. 6170: in Corr. giur., 2005, 957, con nota di Mariconda, La cassazione rilegge l'art. 1421 c.c. e si corregge: è vera svolta?; in Resp. civ. prev., 2006, 1667, con nota di Pilloni, La Cassazione e il rilievo ex officio della nullità contrattuale oggetto del giudicato, principio dispositivo e corrispondenza tra il chiesto e pronunciato; in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 372, con nota di Dottore, Il senso della rilevabilità d'ufficio della nullità negoziale nel sistema civilistico e processuale: la Cassazione torna sull'art. 1421 c.c.).

biennio (2012/2014): graduale ma imponente inversione di tendenza giurisprudenziale da parte della corte suprema in materia di rilevabilità di ufficio delle nullità.


Nel corso degli anni alle sollecitazioni provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza stessa, ancorchè minoritaria, si sono aggiunte le spinte provenienti dalla giurisprudenza comunitaria , dalla evoluzione normativa a tutela dei consumatori e dall’ inserzione di un secondo comma all art 101 cpc
Tale comma aggiunto , infatti, dichiara ” nulla la sentenza fondata su una nullità rilevata d ‘ufficio dal giudice” ma priva di una remissione in termini, che consentisse alle parti di dedurre su tale nullità
Erano quindi maturi i tempi affinchè la cassazione si pronunciasse sul dibattito giurisprudenziale e dottrinario, al fine di fornire un indirizzo giurisprudenziale uniforme che superasse i contrasti , anche armonizzandosi alla legislazione comunitaria .
Ed infatti nell’arco di un biennio (2012/2014) si è verificata una graduale ma imponente inversione di tendenza giurisprudenziale da parte della corte suprema in materia di rilevabilità di ufficio delle nullità.
Infatti:
la sentenza del 2012 asserisce il potere del giudice di rilevare di ufficio la nullità anche in caso di domanda di risoluzione del contratto. La sentenza contempera la rilevabilità di ufficio con il principio di collaborazione tra il giudice e le parti del processo. Il giudice ,infatti , ( a pena di nullità della sua stessa sentenza ) in
relazione alle nullità che rileva di ufficio, ha l’obbligo di provocare su di esse il contraddittorio delle parti, garantendo cosi’ il diritto di difesa alle stesse, coordinando quindi la normativa civilistica a quella processuale


Dopo brevissimo tempo ,ampliando la sentenza del 2014 asserisce l’ obbligo del giudice, una volta provocato il contraddittorio tra le parti, di rilevare sempre la causa di nullità negoziale , anche in caso di mera nullità di protezione. Il giudice dovrà comunque dichiararla in motivazione, ma solo incidenter tantum, rigettando la impugnazione principale ma senza effetto di giudicato, a meno che le parti non richiedano, in seguito alla rilevazione del giudice, una pronunzia della nullità.
Con la sentenza della cassazione a sezioni unite del 2014 si giunge finalmente al superamento dell’ orientamento della giurisprudenza tradizionale ,dovuto forse all’ eccessivo timore di incorrere in extrapetizione , che aveva di fatto prodotto una quasi subalternità delle istanze civilistiche alle garanzie processuali .Tale sentenza si allinea anche alle tendenze della giurisprudenza comunitaria in materia di tutela del consumatore, riconoscendo la rilevabilità di ufficio anche della nullità di protezione , ma facendo salva la volontà del consumatore di dare comunque esecuzione al contratto.

PORTATA INNOVATIVA DELLA SENTENZA


Nell’ambito delle patologie del contratto la nullità costituisce la forma più grave.
In generale, un contratto invalido è affetto da un vizio tale da renderlo inidoneo ad acquistare pieno ed inattaccabile valore giuridico. Ma tra i contratti invalidi quelli nulli sono affetti da un vizio tale da renderli totalmente inidonei a produrre gli effetti voluti dalle parti.
Il fondamento di una siffatta sistemazione dogmatica è individuato in una sua “anormalità”, per una parte della dottrina, mentre per quella maggioritaria nella mancanza o nella grave anomalia di un elemento essenziale, costitutivo, tale da non consentire la rispondenza alla figura tipizzata dall’ordinamento. Infatti, nell’art. 1421 c.c. sono previsti tutta una serie di vizi talmente gravi da comportare la condanna perentoria di inidoneità dell’atto a produrre gli effetti cui tende.


Negli ultimi anni si è assistito al proliferare di nuove ipotesi di nullità,
infatti, dalla nullità strutturale si distinguono le nullità parziali, le quali colpiscono le sole clausole salvo i limiti di cui all'art. 1419 co. 2 c.c, e, sotto l’influenza comunitaria sono state introdotte ipotesi di nullità parziali, quali le nullità di protezione accordate in favore del c.d. consumatore.
La nullità è posta a garanzia del principio di certezza giuridica e dei valori fondamentali dell’ordinamentoNell’ambito delle patologie del contratto la nullità costituisce la forma più grave.
infatti, se la dottrina e la giurisprudenza qualificano, disciplinano e tutelano l’atto negoziale quale manifestazione dell’autonomia privata lo stesso è però sottoposto ad un giudizio inderogabile di meritevolezza ed idoneità alla produzione degli effetti voluti dalle parti che può avere esito positivo solo se ed in quanto non deroghi ai principi generali di certezza giuridica e non siano manifestazioni in contrasto con lo schema legale e con gli interessi generali dell’ordinamento.
Nel corso del 2012 le S.U.con la sent.14828/2012 ,che ha una portata innovativa,segue il secondo orientamento affermando che il giudice di merito,investito della domanda di risoluzione del contratto,avrebbe il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati o comunque emergenti “ex actis”,una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del contratto stesso ex art.1421 c.c, purchè non soggetta a regime speciale.(nullità di protezione).

La nullità deve essere dichiarata sia pure in via incidentale e senza effetto di giudicato e per esporre le restituzioni,ma valorizzando il principio di collaborazione tra il giudice e le parti del processo.

Le Sezioni unite, dopo aver ripercorso tutto l’evolversi delle alterne decisioni della Corte, osservano che la ragione dell’ostilità nei confronti della dichiarazione di nullità ex officio da parte delle Corti è da attribuirsi alla natura per metà sostanziale e per metà processuale dell’art. 1421 c.c., e al timore di violare il principio di terzietà del giudice e quello dell’obbligo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Le Sezioni unite sottolineano, inoltre, che a corroborare questa conclusione vi sono anche le recenti modifiche degli articoli 101 e 153 del Codice di procedura civile.
Il nuovo secondo comma dell’art. 101 c.p.c. (introdotto dalla legge n. 69 del 2009) impone infatti anche al giudice che sia in fase di riserva della decisione, se ritiene,di porre a fondamento di quest’ultima una questione rilevata d’ufficio, di assegnare alla parti un termine per memorie contenenti osservazioni sulla questione.
Infine, l’art. 153 c.p.c. ha ampliato la facoltà della parte di essere rimessa in termini quando la decadenza sia dipesa da causa ad essa non imputabile, come quando ad esempio il rilievo della nullità ex officio giunga tardivamente.
Pertanto, affermano le Sezioni unite, il giudice che, dopo l’udienza di trattazione, ritiene di sollevare una questione rilevabile d’ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporgliela con l’obiettivo di provocare un contraddittorio sul punto e permettere di svolgere le relative difese. La mancata segnalazione da parte del giudice rappresenta una violazione del dovere di collaborazione e determina la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti.

La parabola motivazionale della Suprema Corte parte dalla semplice constatazione che sia la domanda di adempimento sia quella di risoluzione implicano allo stesso modo la richiesta di applicazione del contratto, presupponendo che esso sia valido: anche la domanda di risoluzione comporta infatti l'esistenza di un atto valido, perché mira a eliminarne gli effetti.
La funzione dell'art. 1421 c.c. è quella di impedire che il contratto nullo, sul quale l'ordinamento esprime un giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti. Ne deriva che al giudice, al quale si chiede di giudicare secundum ius, spetta di rilevare se un atto è nullo e quindi di evidenziare in giudizio l'impossibilità di accogliere una domanda che presupponga la sussistenza dei requisiti di validità del contratto.
Le sezioni unite pongono particolarmente attenzione al dato che il fondamento della nullità (che esprime un giudizio di disvalore per un assetto negoziale) risiede nella tutela di interessi generali, che comunque trascendono quelli del singolo e che tale categoria è stata negli ultimi decenni ampliata, introducendo con la legislazione speciale nuovi casi di nullità contrattuale, rilevabili di ufficio, salvi i casi di espressa deroga.
Muovendo dunque dal rilievo che l'azione di risoluzione per inadempimento è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, la Corte ribadisce che dal punto di vista logico la nullità del contratto rappresenta un evento impeditivo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, cosicché il giudice chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e comunque ex actis, non può sottrarsi all'obbligo del rilievo, senza che ciò conduca ad una sostituzione dell'azione proposta con altra o all'introduzione di una materia del contendere che non faccia già parte dell'oggetto del giudizio.
La Corte, peraltro, ribadisce la piena compatibilità del principio espresso con il sistema processuale per come venutosi a definire per effetto delle modifiche apportate alla fase della trattazione, caratterizzate sin dalla versione originaria del codice di rito, dal potere-dovere (codificato dall'art. 183 c.p.c.) del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio — tra le quali senza dubbio rientra la nullità del contratto — con la possibilità di armonizzare il principio di cui all'art. 1421 c.c. con quelli del contraddittorio, della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
A seguito del rilievo officioso della nullità, dunque, le parti hanno possibilità di formulare la domanda che ne sia conseguenza e quindi anche la eventuale domanda di risoluzione potrà essere convertita in azione di nullità o cumulata con essa.

In linea con questo sviluppo processuale si pongono anche le modifiche apportate agli art. 101 e 153 c.p.c. dalla l. n. 69 del 2009 (e in tal senso deponeva già l'art. 384 c.p.c.): il primo impone al giudice che si sia riservato la decisione, e che ritenga di porre a fondamento di quest'ultima una questione rilevata d'ufficio, di assegnare alle parti un termine per memorie contenenti osservazioni sull'argomento; il secondo ha ampliato la facoltà di essere rimessa in termini della parte che sia incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, come accade quando il rilievo officioso giunga tardivamente.
Tale percorso processuale, ormai divenuto obbligato in forza delle ricordate modifiche al codice di rito, consente di spazzare via tutte le perplessità in tema di extrapetizione formulate dalla giurisprudenza fino ad oggi maggioritaria.
La Corte regolatrice si sofferma anche sulla sorte delle domande restitutorie, accessorie all'originaria domanda di risoluzione, sancendone la compatibilità (e dunque l'accoglibilità) con il rilievo d'ufficio della nullità e del relativo accertamento, che fa venir meno la causa adquirendi del bene consegnato in esecuzione del contratto.

formazione del giudicato

 

Non manca, infine, un accenno alla formazione del giudicato, in relazione alle diverse ipotesi prospettabili:
a) qualora dopo il rilievo ufficioso sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all'accertamento della nullità, la statuizione sul punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato;
b) nel caso in cui sia omesso il rilievo officioso della nullità, e l'omissione venga fatta valere in sede di appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l'appellante per lo svolgimento nel processo d'appello delle attività il cui esercizio non sia stato possibile in primo grado (così già Cass. 31 ottobre 2005 n. 21108, in Corr. giur., 2006, 507, con nota di Consolo C., Questioni rilevabili d'ufficio e decisioni della terza via: conseguenze);
c) ove non sia formulata la relativa domanda, il rilievo della nullità fa pervenire al rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum del vizio, ma senza effetto di giudicato sul punto.

 

COSA VIENE ESCLUSO DALLA SENTENZA



La sentenza n. 14828 del 2012 è intervenuta su un dibattito che aveva visto diviso, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, in relazione all’individuazione di un punto di equilibrio tra il potere di rilevare di ufficio l’eccezione di nullità negoziale da un lato, e dall’ altro il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 99 c.p.c.).
Le Sezioni Unite della cassazione, con questa sentenza innovativa,

►►►  riconoscono al giudice di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, il potere-dovere di rilevare dai fatti addotti dalle parti, a seguito del contraddittorio, OGNI FORMA DI NULLITA’ DEL CONTRATTO STESSO, purché non soggetta a regime speciale, escludendo quindi le nullità di protezione.

►►► Il giudice di merito, inoltre, accerta la nullità “incidenter tantum” SENZA EFFETTO DI GIUDICATO, sempre che non sia stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di remissione in termini, disponendo, in ogni caso, le giuste restituzioni, se richieste.
Viene così a consolidarsi l’orientamento in base al quale il rilievo officioso è possibile solo quando, dai fatti allegati e provati, emerge la questione di nullità.

►►► Inoltre, questa pronuncia fa emergere la necessità dell’instaurazione del contraddittorio per non incorrere nelle vietate pronunce della “terza via”.In merito a questa pronuncia, è sorta qualche perplessità riguardo alla soluzione in base alla quale, il rilievo officioso potrebbe corrispondere ad una pronuncia incidentale sulla validità, anche se, nel solo caso, poco plausibile, in cui la parte, anche se sollecitata, non assuma alcuna specifica posizione. Infatti, ai sensi del riformato art. 115 c.p.c., viene data importanza anche al comportamento inattivo delle parti.


►►► La sentenza del settembre 2012 non analizza le nullità di protezione (art. 36 codice del consumo) espressamente ignorate dall’art. 1421 c.c., che sono soggette a disciplina speciale; tuttavia, la motivazione di questa esclusione non convince e rischia di alimentare gli equivoci già esistenti tra vecchie e nuove nullità. Nella sentenza, infatti, non si afferma che le nullità di protezione sono diverse per natura rispetto alle nullità codicistiche, ma si conclude direttamente per l’inapplicabilità della disciplina generale in ragione della sola qualifica di “diritto speciale”.
Questa contraddittorietà è stata ben presto eliminata dalla I Sezione Civile della medesima corte che, con la decisione n. 17257 del luglio 2013 ha ribadito che: “il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati o provati, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale, con il solo vincolo del contraddittorio”.
La regola che dispone la rilevabilità d’ufficio per le sole nullità codicistiche, cosiddette “assolute”, e non anche a quelle di protezione, sta iniziando a radicarsi come principio giurisprudenziale.
Dunque, in definitiva, può dirsi che in questa pronuncia, e in particolare nell’inciso sul problema della rilevabilità d’ufficio, ex art 1421 c.c., delle nullità di protezione, confluiscono una serie di equivoci riguardanti, da un lato il concetto di nullità, i suoi dogmi e le sue regole generali, dall’altro l’emergere delle nuove nullità, la loro natura, le relative cause e la comprensione del loro rapporto con la nullità codicistica.


►►► la sentenza delle Sezioni Unite del 2012 ha, inoltre, lasciato irrisolta la problematica della rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di nullità qualora la domanda originaria avesse ad oggetto l’annullamento del contratto o la rescissione, ovvero qualora fosse stata dedotta dalle parti una nullità differente da quella individuata dal giudice della decisione. Proprio da questo punto irrisolto trae origine l’ordinanza interlocutoria di remissione n. 16630 del 2013 che mette in luce lo scarso convincimento riguardo le decisioni cui erano giunte le sezioni unite sul punto della compatibilità del rilievo officioso della nullità con la proposizione di una domanda di risoluzione contrattuale. Solo, in seguito, con la sentenza n. 26243 del 2014, le Sezioni Unite torneranno nuovamente sulla questione della rilevabilità d’ufficio dell’eccezione della nullità, non solo quando sia stata proposta domanda di inadempimento o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso.
La sentenza n. 14828 del 2012 ha:
a) evitato di prendere posizione circa i rapporti tra la domanda di annullamento o di rescissione del contratto e la nullità dello stesso.
b) affrontato in modo frettoloso il tema degli effetti del giudicato, scaturenti dalla sentenza che definisce il giudizio avente ad oggetto la causa di risoluzione, ponendo una soluzione contraddittoria e irragionevole.


►►► Le Sezioni Unite della cassazione, con detta pronuncia, hanno enunciato anche quali fossero le conseguenze, rispetto al giudicato, della soluzione accolta affermando che:
a) ove il giudice abbia sollevato d’ufficio la questione di nullità, sollecitando le parti a contraddire, in ordine ad essa, l’accertamento avviene incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, e ciò anche se, sul presupposto della nullità del contratto, la domanda attorea sia stata respinta. Solo se la parte, dopo il rilievo officioso, abbia formulato, tempestivamente o previa remissione in termini, domanda volta all’accertamento della nullità, la statuizione sul punto, una volta divenuta definitiva, produce effetti di cosa giudicata.
b) dalla decisione di merito, avente ad oggetto la richiesta di risoluzione, sia essa di accoglimento oppure di rigetto, deriva giudicato implicito sulla validità del contratto, con la sola esclusione dei casi in cui il contenuto della statuizione non implichi il riconoscimento della validità del negozio impugnato.
Questa interpretazione è incoerente e contraddittoria in ordine alla nullità del contratto. Si forma il giudicato implicito, benché, su tale questione, sia per iniziativa delle parti, sia per rilievo del giudice, non si siano avuti nel corso del processo alcun esame e alcuna decisione, mentre, quando la nullità è stata sollevata, l’accertamento avviene incidenter tantum e senza effetti di giudicato, a meno che una delle parti non abbia proposto domanda di accertamento incidentale ai sensi dell’art. 34 c.p.c.
La risposta al problema concernente l’oggetto del giudicato varia a seconda di come la questione, oggetto del processo, venga analizzata in presenza di domande di risoluzione e di invalidità del contratto. Ciò non è considerato adeguatamente dalle Sezioni Unite nella pronuncia del 2012, mentre costituisce il fulcro di due pronunce n. 26242 e n. 26243 del 2014.
-PERCHE' NON E' SUFFICIENTE CIO' CHE DICONO LE SEZIONI UNITE:
Dall'analisi del potere-dovere del giudice viene sollevata una nuova problematica:Quali sono gli effetti di questa pronuncia?Che tipo di influenza determina sula controversia?
La sentenza afferma che qualora sia rilevata d'ufficio la nullità del contratto,non dà luogo ad effetti di giudicato,se non su esplicita richiesta delle parti.Emerge in tal modo la questione sui limiti oggettivi,secondo la sent. una decisione riguardo i meriti della causa relativa alla risoluzione comporti la formazione del giudicato implicito sulla validità del contratto.Ciò è quanto si verificherebbe anche nelle ipotesi di rigetto per effetto della “ragione più liquida”,ossia a seguito dell'esame di una sola questione assorbente tutte le altre.

Parte della dottrina ha messo in discussione il ricorso al giudicato implicito affermando che il giudice dovendo pronunciarsi su determinati requisiti e non lo fa dire che sul punto ha messo una decisione implicita sarebbe una finzione. Le SU torneranno sul punto nel 2014:il giudice di legittimità,avidenzia come il legislatore,nel configurare la nullità come eccezione in senso lato,non li ha ritenuti meritevoli di un'autonoma iniziativa uficiosa volta ad un suo primo accertamento sempre e comunque con effetti di giudicato..Se dunque il giudice fonda la sua decisione sulla base di una “ragione più liquida” potra'pronunciarsi sul merito della controversia, accogliendo o rigettando la domanda. Ma non essendo stata analizzata la questione nemmeno”incidenter tantum” il tema della validità del negozio,non vi è alcuna questione circa la nullità e non si formerà alcun giudicato al riguardo.

 

 

testo della sentenza


CASUS DECISUS

La controversia giunge all'esame delle Sezioni Unite perché involge la questione, controversa in dottrina e giurisprudenza, relativa alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto nell'ambito di una causa promossa per la risoluzione del contratto stesso.
Il (OMISSIS) l'odierno ricorrente A.K.A. stipulava contratto preliminare con il quale si impegnava a dare in permuta la proprietà di un terreno di circa 4.500 mq, sito in (OMISSIS) , alla impresa Silvo Costruzioni di Boscolo Sauro, la quale si obbligava a fargli avere la proprietà di 400 mq del fabbricato che avrebbe costruito sul fondo.
In pari data l'impresa del B. acquistava il terreno dal proprietario tavolare, tale sig. P.B. .
Intervenuto il fallimento della impresa Silvo Costruzioni, nel 1995 il curatore fallimentare comunicava lo scioglimento del contratto ex art. 72 comma IV L. Fall, e, in seguito alla dichiarazione del fallimento, nel (OMISSIS) veniva dichiarata interrotta la causa avviata nel 1993 nei confronti della impresa Silvo, ai sensi dell'art. 2932 cc.
Nel 2000 il dr. A. agiva per la risoluzione del contrato preliminare e la restituzione del terreno a favore proprio o, in via subordinata, del proprietario tavolare, terzo che aveva dato esecuzione al contratto. Il Fallimento Silvo Costruzioni resisteva, negando la legittimazione attiva dell'istante e il valore attribuito alle missive spedite dal curatore. il tribunale, disattese le eccezioni pregiudiziali, rigettava la domanda, affermando che lo scioglimento del contratto aveva caducato la promessa di vendita e che le pretese del contraente in bonis dovevano essere soddisfatte mediante insinuazione al passivo.
1.1) In sede di appello il dr. A. chiedeva che fosse pronunciata la nullità del contratto preliminare per indeterminatezza dell'oggetto (omessa determinazione del fondo e delle porzioni di fabbricato). In subordine lamentava che la richiesta di restituzione del fondo non avrebbe potuto essere soddisfatta mediante l'insinuazione al passivo fallimentare, trattandosi di bene infungibile.
In giudizio interveniva la snc Floridia di Broetto Sergio & C. snc, aggiudicataria del terreno, che aderiva alle ragioni del Fallimento.
La Corte di appello di Venezia con sentenza 27 agosto 2008 dichiarava inammissibile, perché nuova, la prima domanda; in proposito osservava di non poter rilevare di ufficio la nullità del contratto, essendone stata richiesta inizialmente la risoluzione.
Rigettava il motivo di appello subordinato.
Il 14 marzo 2009 parte A. ha notificato ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.
Il Fallimento Silvo costruzioni ha resistito con controricorso.
Dopo il deposito di memorie ex art. 378 c.p.c., la Prima Sezione civile, con ordinanza n. 25151 del 2011, ha rilevato l'esistenza di contrasto di giurisprudenza in ordine alla rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto e ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha assegnato la causa alle Sezioni Unite.




CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 4 settembre 2012, n.14828 - Pres. Vittoria – est. D’Ascola

Motivi della decisione

2) Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, 'il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato col principio della domanda fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c., sicché solo se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio, l'eventuale nullità dell'atto, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti. Al contrario, qualora la domanda sia diretta a fare dichiarare la invalidità del contratto o la risoluzione per inadempimento, la deduzione (nella prima ipotesi) di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e (nella seconda ipotesi) di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso dall'inadempimento, sono inammissibili: né tali questioni possono essere rilevate d'ufficio, ostandovi il divieto di pronunciare ultra patita' (tra le tante v. Cass. 2398/88; 6899/87). Cass. n. 1127/70 sostenne con chiarezza che la rilevabilità ex officio della nullità del contratto, sancita dall'art. 1421 c.c., opera, anche in sede di impugnazione, quando si chieda in giudizio l'applicazione del contratto, perché in tal caso 'la legge stessa respinge con la forza dei suoi principi imperativi gli effetti che promanano da un negozio affetto da nullità assoluta'.

Aggiunse che quando in giudizio non si chiede l'applicazione del contratto, ma la risoluzione di esso, il giudice non può dichiarare ex officio la nullità, perché il divieto di decidere su domande non proposte si concreta in un preclusione all'esercizio della giurisdizione, la cui violazione 'da luogo a vizio di extrapetizione'.

Questo insegnamento si è tramandato con continuità di accenti (cfr. Cass. 14/71; 661/71; 3443/73; 243/77; 5295/78; 5766/79), sebbene significativamente resistito dalla coeva Cass. n.578/70, la quale aveva, proprio in ipotesi di domanda di risoluzione di contratto preliminare relativo a compravendita nulla perché simulata, semplicemente osservato che la Corte di appello avrebbe dovuto senz'altro rilevare la nullità, 'dal momento che la nullità può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio' (v. anche Cass. 550/86).

2.1) Negli anni successivi, accanto a pronunce conformi all’orientamento tradizionale (indicativamente cfr. Cass. 4817/99; 1378/99; 4607/95; 4064/95; 1340/94; 141/93), costanti nel ribadire che la nullità del contratto è rilevabile d'ufficio, sempre che risultino acquisiti al processo gli elementi che la evidenziano, solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto stesso, non anche nella diversa ipotesi in cui la domanda prescinda dalla suddetta validità, come quando la domanda sia diretta a far dichiarare l'invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento, mette conto segnalare, in senso opposto, qualche significativa presa di posizione del giudice di legittimità.

Trattasi di Cass. n. 2858/97 (e anche Cass. 6710/94), che ha ritenuto che 'la nullità di un contratto del quale sia stato chiesto l'annullamento (ovvero la risoluzione o la rescissione) può essere rilevata d'ufficio dal giudice, in via incidentale, senza incorrere in vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto; pertanto il rilievo di quest'ultima da parte del giudice da luogo a pronunzia che non eccede il principio dell'art. 112 c.p.c.'.

2.2) Fino all'anno 2005, nel corso del quale il contrasto si è radicato con maggior vigore, si censiscono numerose sentenze ispirate all'orientamento tradizionale (v. Cass. n. 123/00; 12644/00; 13628/01; 435/03; 2637/03).

Cass. 3 sez civ. 22.3.2005 n. 6170 ha vistosamente infranto questo fronte giurisprudenziale, affermando, in accordo con la dottrina quasi unanime, che le domande di risoluzione e di annullamento presuppongono la validità del contratto, dunque 'implicano, e fanno valere, un diritto potestativo di impugnativa contrattuale nascente dal contratto in discussione, non meno del diritto all'adempimento'.

La Corte ha in quell'occasione evidenziato che la domanda di risoluzione contrattuale è animata da sostanziale identità di presupposti con la domanda di adempimento, secondo quanto riconosciuto da Cass. Sez. Un. 13533/01.

L'accertamento sulla nullità del contratto ha, secondo Cass. 6170/05, natura di pronuncia incidentale su una pregiudiziale in senso logico, con la conseguenza che: a) il giudice deve dichiarare d'ufficio la nullità negoziale in ogni caso; e b) l'accertamento d'ufficio ex art. 1421 c.c., ha effetto anche in successivi giudizi imperniati sul contratto dichiarato nullo, non perché si verta in ipotesi di cui all'art. 34 c.p.c., ma 'perché l'efficacia della decisione di detta nullità, pregiudiziale alla statuizione di rigetto della domanda, costituisce giudicato implicito'.

A pochi mesi di distanza, la sezione Lavoro della Corte (Cass. 19903/05) ha consapevolmente riaffermato l'orientamento precedente, ripetendo che la nullità può essere rilevata d'ufficio “solo se si pone in contrasto con la domanda dell'attore, solo se cioè questi ha chiesto l'adempimento del contratto, in quanto il giudicante può sempre rilevare d'ufficio le eccezioni, che non rientrino tra quelle sollevabili unicamente tra le parti e che soprattutto non amplino l'oggetto della controversia, ma che, per tendere al rigetto della domanda stessa, si configurano come mere difese del convenuto, dovendosi di contro pervenire a diverse conclusioni nei casi in cui la nullità si colloca non nell'ambito delle eccezioni ma nella zona delle difese dell'attore, che l'attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto”.

Secondo questa giurisprudenza, il rilievo di ufficio della nullità avverso la domanda di esecuzione di un negozio nullo serve ad impedire che vi sia una sentenza di accoglimento, che sarebbe un indice di legittimità di una situazione giuridica che potrebbe poi rivelarsi pregiudizievole per tutti i consociati.

Questa ratio non vi sarebbe nel caso di rilievo in relazione ad azioni diverse da quelle per esecuzione. In queste azioni (risoluzione, etc.) l'eventuale rilievo non potrebbe portare ad un giudicato sulla nullità, ma solo ad una pronuncia incidentale.

La soluzione restrittiva, secondo Cass. 19903/05, sarebbe quindi preferibile perché: a) 'evita una ingiustificata ingerenza nel potere delle parti di disporre delle eccezioni'; b) sarebbe conforme alla disciplina processuale che impone la completezza sin dall'inizio degli atti difensivi; c) previene 'ampliamenti di poteri di iniziativa officiosa suscettibili di tradursi In un soggettivismo giudiziario, capace di incidere con ricadute negative anche sulla certezza del diritto'.

2.3) L'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite da conto del successivo radicalizzarsi delle due posizioni.

Il filone restrittivo ha trovato ripetute pedisseque conferme (cfr, Cass. 12627/06; 21632/06; 11550/07; 9395/11).

L'orientamento favorevole al rilievo d'ufficio della nullità anche ove sia stata domandata la risoluzione del contratto, ripreso da Cass. 23674/08, è stato arricchito da Cass. 2956/11.

Quest'ultima, relativa a un caso di pretesa restitutoria fondata su domanda di risoluzione di un contratto preliminare di vendita immobiliare concluso oralmente, ha giudicato corretto l'operato del giudice di merito di prime cure, il quale aveva rilevato la nullità del negozio e attribuito all'attore ti medesimo bene della vita richiesto in citazione. Ha ritenuto che non sussistesse l'extrapetizione rilevata dal giudice di appello, giacché “rientra nel potere/dovere del giudice di individuare una patologia del contratto genetica e più radicale di quella azionata”. Ha aggiunto che sarebbe altrimenti inutilmente procrastinata la soddisfazione della fondata pretesa alla restituzione, rimessa a un successivo giudizio e ha opportunamente osservato che in tali casi il giudice deve sottoporre al contraddittorio delle parti il rilievo officioso.

2.4) Intorno al problema del giudicato sono da segnalare altri arresti giurisprudenziali.

Cass. 8612/06 ha affermato che una sentenza di rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore nel pagamento dei canoni relativi ad un determinato periodo impedisce nel successivo giudizio, volto al conseguimento del corrispettivo della locazione, di rilevare d'ufficio la nullità del contratto (per vizio di forma), per essersi formato nel primo giudizio il giudicato sulla validità del contratto, che costituiva 'presupposto logico giuridico essenziale' della prima decisione.

Su questa falsariga si è mossa anche Cass. 18540/09, che ha stabilito che il mancato appello avverso la sentenza di primo grado, la quale aveva implicitamente statuito sulla validità del contratto di cui era stata chiesta la risoluzione, aveva portato alla formazione del giudicato sul punto.

Alla base di queste pronunce, esplicitamente nella seconda, vi è quindi il convincimento che il giudice dovesse rilevare d'ufficio la nullità del contratto e che tale omissione, non censurata, renda il difetto del negozio non più oggetto d'eccezione rilevabile in sede di legittimità o in altro giudizio.

Sono chiare a questo punto le conseguenze che sorgono in entrambe le opposte prospettive: ove si creda che nel giudizio di risoluzione non possa essere sollevata l'eccezione, si dovrà predicare la necessità di un secondo giudizio per far valere la nullità.

Qualora si ritenga che nel giudizio di risoluzione debba e possa essere rilevata anche d'ufficio la questione di nullità, si dovrà credere, che, in mancanza, si è formato il giudicato sulla validità del contratto.

Cass. 11356/06 ha prospettato diversa soluzione.

Pur ponendosi nella linea della rilevabilità officiosa del contratto ex art. 1421 c.c. anche nell'ipotesi di domanda di risoluzione di esso, ha osservato che la pronunzia di rigetto non costituisce giudicato implicito - con efficacia vincolante nei futuri giudizi - laddove le questioni concernenti l'esistenza, la validità e la qualificazione del rapporto che ne costituisce il presupposto logico-giuridico non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice.

3) Da un lato l'ulteriore frazionarsi del quadro giurisprudenziale; dall'altro le gravi incertezze derivanti dalla radicalizzazione delle conseguenze delle due tesi impongono la composizione del contrasto.

Occorre partire dai rilievi che da gran tempo la dottrina ha formulato con riguardo al rapporto tra azione di risoluzione e nullità del contratto.

Si è osservato che la domanda di risoluzione comporta l'esistenza di un atto valido, perché mira a eliminarne gli effetti. Domanda di adempimento e domanda di risoluzione implicano quindi allo stesso modo la richiesta di applicazione del contratto, presupponendo che esso sia valido.

La funzione dell'art. 1421 cc, è di impedire che il contratto nullo, sul quale l'ordinamento esprime un giudizio di disvalore, possa spiegare i suoi effetti.

Il compito di far valere la nullità è in via di azione affidato a chiunque abbia interesse, ma al giudice, al quale si chiede di giudicare secundum ius, spetta di rilevare se un atto è nullo e quindi di evidenziare in giudizio la mancanza di fondamento di una domanda che presupponga la sussistenza dei requisiti di validità del contratto.

3.1) L'aver insistentemente negato che l'azione di risoluzione presupponga, dal punto di vista logico, la validità del contratto e che dunque sia possibile la risoluzione del contratto nullo è tesi invisa alla maggioranza della dottrina civilistica.

La spiegazione dell'atteggiamento giurisprudenziale ostile al rilievo officioso della nullità riposa sulla doppia natura della norma, che è all'incrocio tra diritto sostanziale e diritto processuale.

Se si rammentano le ragioni della giurisprudenza maggioritaria sopra riassunte, si nota che la ritrosia delle Corti rispetto al rilievo della nullità del contratto nasce da timori di natura processuale, quali la violazione del principio di terzietà e dell'obbligo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Ciò ha portato a una riduttiva lettura dell'art. 1421 c.c., ipotizzando che solo l'azione di adempimento richieda la verifica dell'esistenza dei requisiti di validità ed efficacia del negozio da cui è sorta l'obbligazione, questione su cui vi è invece da interrogarsi per ogni azione contrattuale.

Si è quindi verificata una inversione logica, prontamente segnalata in dottrina: per il timore dell'extrapetizione e quindi di ampliare indebitamente la formazione del giudicato, anziché ragionare sulla portata della decisione conseguente al rilievo officioso della nullità, si è preferito restringere l'area in cui detta questione è rilevabile, limitandola (oltre che all'azione di nullità espressamente proposta) all'azione di adempimento.

Questa linea interpretativa non è più sostenibile.

3.2) Essa in primo luogo svilisce la categoria della nullità, l'essenza della quale, pur con i molti distinguo dottrinali su cui non è il caso di soffermarsi, risiede nella tutela di interessi generali, di valori fondamentali o che comunque trascendono quelli del singolo.

La qualificazione negativa che l'ordinamento da del contratto viene elusa dall'orientamento fin qui dominante, il che è incoerente con l'insegnamento professato in ipotesi di domanda di esecuzione del contratto.

Si è infatti affermato (S.U. 21095/04) che la nullità può essere rilevata d'ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, quindi anche per una ragione diversa da quella espressamente dedotta, nel caso in cui sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione del contratto, la cui validità rappresenta quindi un elemento costitutivo della domanda; con la conseguenza che la contestazione della validità dell'atto non costituisce domanda giudiziale, bensì mera difesa, che non condiziona l'esercizio del potere di dichiarare d'ufficio la nullità per vizi diversi da quelli eccepiti.

3.3) In secondo luogo viene depotenziato il ruolo che l'ordinamento affida all'istituto della nullità, per esprimere il disvalore di un assetto di interessi negoziale.

Non può negarsi che, nonostante talune critiche degli operatori del diritto, esso è stato negli ultimi decenni ampliato, introducendo con la legislazione speciale nuovi casi di nullità contrattuale.

Questo ruolo trae forza anche dalla previsione della rilevabilità di ufficio, che, salvi i casi di espressa deroga, contribuisce a definire il carattere indisponibile delle norme in tema di nullità.

Infatti, al di là delle distinzioni tra le stesse ipotesi di nullità previste nel codice, che anche in giurisprudenza sono state in proposito tentate, l'unica differenza che rilevi ai fini del disposto normativo in esame è quella ravvisabile con le nullità per le quali sia dettato un regime speciale, come nel caso delle c.d. nullità di protezione, in cui il rilievo del vizio genetico è espressamente rimesso alla volontà della parte.

3.4) Con riferimento al regime delle nullità, occorre portare l'attenzione su quanto è stato stabilito dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. 4, 4 giugno 2009, causa 0243/08 ha stabilito che il giudice deve esaminare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga.

L'uso in questa sentenza del termine obbligo, anziché di quello facoltà, in precedenza comune, è stato inteso come acquisita consapevolezza del concetto di dovere dell'ufficio di rilevare la nullità ogniqualvolta il contratto sia elemento costitutivo della domanda.

Dunque non di facoltà propriamente trattasi, ma di obbligo, così come il verbo 'può' usato nell'art. 1421 c.c., è da intendersi 'deve', laddove la domanda proposta implichi la questione da rilevare e non si ponga quindi un problema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Di sicura importanza è poi la sentenza Asturcom (6 settembre 2009 in procedimento C- 40/08), in forza della quale il giudice è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d'ufficio il carattere abusivo della clausola contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell'ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale, affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola.

Dalla considerazione che la giurisprudenza comunitaria attribuisce al potere-dovere di rilievo d'ufficio della nullità, risulta ancor più appropriato parlare di disagio del civilista in caso di mancato uso dei poteri officiosi.

4) Si torna per questa via ai profili processuali, dai quali ha tratto spunto l'orientamento restrittivo.

Muovendo dal rilievo, sopra argomentato, che l'azione di risoluzione per inadempimento è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, va detto che la nullità del contratto è un evento impeditivo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione.

Il giudice chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e comunque ex actis, non può sottrarsi all'obbligo del rilievo e ciò non conduce ad una sostituzione dell'azione proposta con altra.

Soltanto fa emergere una eccezione rilevabile d'ufficio, che può condurre a variabili sviluppi processuali, ma con cui viene qualificata una ineliminabile realtà del rapporto controverso, senza squilibrare i rapporti tra le parti, né introdurre una materia del contendere che non faccia già parte dell'oggetto del giudizio.

In quel giudizio, che mira a riconoscere vigore ai contratto, viene eccepito, anche d'ufficio, come d'obbligo, un impedimento costituito da un motivo di nullità, con la conseguenza, salvo quanto si dirà nel paragrafo seguente, del rigetto della domanda di risoluzione per una ragione che impedisce di accertare quale delle due parti sia inadempiente.

Opera così l'innegabile funzione oppositiva del potere-dovere di cui all'art. 1421, sicuramente individuata dall'orientamento restrittivo, ma da esso non ben coniugata con la regola di cui all'art. 112 c.p.c., giacché la decisione, in questi limiti, resta sicuramente nell'ambito del petitum.

La stessa funzione, si badi, non è con altrettanto nitore ravvisabile nel caso di azione di annullamento, il che peraltro rafforza il convincimento che si viene esprimendo in tema di azione di risoluzione.

Invero alcuni autori, nell'indagare la tematica che ci occupa e più in generale la funzione dell'azione di nullità, hanno evidenziato che la rilevazione incidentale della nullità è doverosa nel casi di azione per l'esecuzione o la risoluzione del contratto, ma non nel caso in cui siano allegati altri vizi genetici, come avviene nell'azione di annullamento.

La relativa domanda non postula la validità del contratto, sicché, sebbene la tradizione giurisprudenziale e dottrinale dell'orientamento favorevole al rilievo d'ufficio apparenti le ipotesi di risoluzione, annullamento e rescissione, andrà a suo tempo verificato se sussistano l presupposti per questa equiparazione.

4.1) Gli orientamenti giurisprudenziali sin qui manifestatisi hanno trascurato gli esiti processuali che pure la dottrina aveva intuito da molto tempo e che ha ora delineato con precisione anche grazie, da ultimo, alle modifiche degli artt. 101 e 153 c.p.c..

Sin dalla versione originaria del codice di rito, il secondo comma dell'art. 183 prevedeva il dovere del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio, - tra le quali senza dubbio rientra la nullità del contratto - con la possibilità di armonizzare il principio di cui all'art. 1421 c.c. con quelli del contraddittorio, della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

A seguito della riforma di cui alla legge 353/90, l'introduzione del regime delle preclusioni ha reso ancor più stringente, per effetto delle scansioni temporali, questo obbligo del giudice (trasfuso prima nel terzo e ora nel quarto comma del medesimo articolo), indispensabilmente connesso alla conoscenza dei fatti di causa anche tramite la richiesta di chiarimenti, eventualmente in sede di libero interrogatorio.

È questo il manifestarsi del principio di collaborazione tra giudice e parti, e non un innaturale esercizio dei poteri processuali, come pure ha temuto parte della dottrina che ha sorretto l'orientamento restrittivo.

A seguito del rilievo officioso, le parti hanno possibilità di formulare domanda che ne sia conseguenza (arg. ex art. 183 comma IV, ora comma V) e quindi anche la eventuale domanda di risoluzione potrà essere convertita in (o cumulata con) azione di nullità.

A favorire questo sviluppo processuale, che, è da credere, avrà corso nella maggior parte dei casi, confinando ad ipotesi residuali la insistenza esclusivamente nell'iniziale domanda di risoluzione, sono anche le recenti modifiche sopra indicate.

Il nuovo comma secondo dell'art. 101 c.p.c. (aggiunto dall'art. 45 L. 69/09, ma già v. art. 384 c.p.c.) impone anche al giudice che sia in fase di riserva della decisione, se ritiene di porre a fondamento di quest'ultima una questione rilevata d'ufficio, di assegnare alle parti un termine per memorie contenenti osservazioni sulla questione.

L'art. 153 ha ampliato la facoltà di essere rimessa in termini della parte che sia incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, come accade quando il rilievo officioso giunga tardivamente.

In tal caso il giudice dovrà, nei limiti schiusi dal rilievo stesso, consentire la formulazione di ogni conseguente deduzione.

Giova osservare che già la problematica era stata messa fuoco in relazione alla nullità della sentenza c.d. della terza via (si veda Cass. 14637/01).

Con pienezza di argomenti, Cass. 21108/05 ha successivamente precisato che il giudice che ritenga, dopo l'udienza di trattazione, di sollevare una questione rilevabile d'ufficio e non considerata dalle parti, deve sottoporla ad esse al fine di provocare il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle opportune difese, dando spazio alle consequenziali attività. La mancata segnalazione da parte del giudice comporta la violazione del dovere di collaborazione e determina nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell'esercizio del contraddittorio, con le connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione che ha condotto alla decisione solitaria. Qualora la violazione, nei termini suindicati, si sia verificata nel giudizio di primo grado, la sua denuncia in appello, accompagnata dalla indicazione delle attività processuali che la parte avrebbe potuto porre in essere, cagiona, se fondata, non già la regressione al primo giudice, ma, in forza del disposto dell'art. 354 comma quarto cod. proc. civ., la rimessione in termini per lo svolgimento nel processo d'appello delle attività il cui esercizio non è stato possibile. È questa dunque la via da percorrere, che pone nel nulla tutte le perplessità in tema di extrapetizione, poteri del giudice e 'soggettivismo giudiziario' a suo tempo fatte proprie dalla giurisprudenza maggioritaria riassunta sub 2.2.

4.1.1) Altro esito del rilievo d'ufficio della nullità e del relativo accertamento è l'accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente alla domanda di risoluzione e compatibile con la diversa ragione rappresentata dalla nullità, come avviene nel caso di domanda restitutoria. Questa conseguenza si verifica senz'altro in ipotesi di modifica della domanda con richiesta di declaratoria della nullità.

Altrettanto avverrà però in ipotesi di rigetto - fondato sulla nullità contrattuale rilevata d'ufficio - della domanda di risoluzione, alla quale sia associata, anche originariamente, la richiesta di condanna alle restituzioni. Il rilievo della nullità fa venir meno la 'causa adquirendi' e la richiesta di restituzione del bene consegnato in esecuzione del contratto, che era già stata formulata con la pretesa iniziale, sarà accolta sulla base di questo presupposto, senza bisogno di espressa dichiarazione della nullità. Va infatti confermato che qualora venga acclarata la mancanza di una 'causa adquirendi” - tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente - l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo; ne consegue che, ove sia proposta una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e il giudice rilevi, d'ufficio, la nudità del medesimo, l'accoglimento della richiesta restitutoria conseguente alla declaratoria di nullità, non mutando la causa petendi, non viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (v. Cass. 2956/11 cit.) inoltre cfr. Cass. 9052/10; 1252/00; e anche 21096/05; 5624/09).

4.2) La ricostruzione del sistema ha conseguenze intuibili quanto al giudicato.

Qualora dopo il rilievo ufficioso sia stata formulata, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all'accertamento della nullità e ad eventuali effetti restitutori, la statuizione sui punto, se non impugnata, avrà effetto di giudicato.

Nel caso in cui sia omesso il rilievo officioso della nullità, e l'omissione venga fatta valere in sede di appello, il giudice del gravame dovrà rimettere in termini l'appellante e procedere secondo quanto dettato da Cass. 21108 cit..

Ove non sia formulata tale domanda, il rilievo della nullità fa pervenire al rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum della nullità, dunque senza effetto di giudicato sul punto.

Il giudicato implicito sulla validità del contratto, secondo il paradigma ormai invalso (cfr Cass, S.U. 24883/08; 407/11; 1764/11), potrà formarsi tutte le volte in cui la causa relativa alla risoluzione sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della validità del contratto.

5) Venendo alla fattispecie per cui è causa, alla stregua dei principi sopra affermati vanno accolti i primi due motivi di ricorso, con i quali viene censurata la sentenza della Corte veneziana perché ha negato la rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto.

Nell'atto di appello era stato infatti denunciato (pag. 4) che il tribunale di Rovigo avrebbe dovuto rilevare la questione in ogni stato del giudizio e dichiarare la nullità del contratto.

La Corte di appello ha ritenuto che sarebbe stata introdotta una nuova causa petendi a sostegno della pretesa di restituzione dell'immobile, ponendo a base di essa la nullità del contratto, non dedotta in primo grado.

Dovrà invece attenersi ai principi enucleati dalle Sezioni Unite e, ove ritenga sussistente la ipotesi di nullità contrattuale prospettata, valutare convenientemente e riesaminare sotto ogni aspetto, ivi compresi i rilievi di merito mossi in controricorso, le domande formulate dall'appellante. Resta assorbito il terzo motivo di ricorso, che attiene alla violazione dell'art. 72 L. fall.. Sulla necessità di agire concorsualmente per il recupero del bene può infatti pesare la eventuale declaratoria di nullità del contratto, con gli effetti conseguenti.

Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso nei limiti suddetti, con enunciazione del seguente principio:

Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddicono sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell'uno e nell'altro caso dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvedere anche in ordine alle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.


 

 

 

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