PRINCIPIO DI EFFETTIFIVITA' . SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Grande Sezione) 3 maggio 2005 * «Diritto societario – Artt. 5 del Trattato CEE (divenuto art. 5 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 10 CE) e 54, n. 3, lett. g), del Trattato CEE (divenuto art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 44, n. 2, lett. g), CE) – Prima direttiva 68/151/CEE, quarta direttiva 78/660/CEE e settima direttiva 83/349/CEE – Conti annuali – Principio del quadro fedele – Sanzioni previste in caso di false comunicazioni sociali (falsità in scritture contabili) – Art. 6 della prima direttiva 68/151 – Requisito dell’adeguatezza delle sanzioni per violazioni del diritto comunitario»

La Corte di Giustizia Europea nel sindacare l’effettività della tutela delle situazioni soggettive di derivazione comunitaria , ha ritenuto l’obbligo dell’ordinamento interno di predisporre sanzioni dissuasive , adeguate e proporzionate alla gravità del fatto illecito , con assimilazione del trattamento della violazione comunitaria alla violazione del diritto nazionale (=standard minimo di tutela) .

Così laddove l’ordinamento comunitario si limiti ad attribuire la posizione soggettiva rimettendone le tecniche di tutela all’ordinamento nazionale , il diritto interno non deve contenere discriminazioni processuali tra situazioni soggettive di derivazione comunitaria e situazioni soggettive di diritto interno (=principio di equiparazione) , e deve predisporre mezzi sanzionatori che siano effettivi , proporzionati ed adeguati alla natura dell’interesse sostanziale leso . [2] Il principio di effettività ,dunque, può considerarsi un parametro globale ed omnicomprensivo , utile per esprimere un giudizio di valore sulla relazione di congruità , di ragionevolezza e di proporzione tra un sistema od un regime giuridico -da un lato- ed i valori ed interessi sostanziali -dall’altro lato- che l’ordinamento giuridico intende proteggere. In termini più diretti ed immediati , il principio di effettività consente nell’interpretazione pratica di un sistema giuridico la verifica sulla razionalità delle scelte normative attraverso il confronto tra la struttura formale di un istituto giuridico ed i valori sostanziali che si intendono proteggere .

IL COMMENTO (SOLE 24 ORE WEB 4.5.2005) Quando il giudice decide a metà di Valerio Onida L'attesa decisione della Corte di giustizia europea sulla questione del falso in bilancio contiene delle conferme e qualche novità. Essa adotta una soluzione solo apparentemente di merito, in realtà senza rispondere alle domande dei giudici di Milano (nel corso dello stralcio del processo Sme, che vede imputato Silvio Berlusconi) e di Lecce che avevano sollevato le questioni pregiudiziali. La Corte cioè non dice se la legge italiana vigente costituisce o meno una corretta attuazione dell'obbligo comunitario di punire con sanzioni che abbiano un carattere «effettivo, proporzionale e dissuasivo» le falsità in scritture contabili. Si limita a ribadire l'esigenza "comunitaria" di adeguatezza delle sanzioni per tali reati. La Corte, accogliendo una tesi degli imputati, afferma però che (indipendentemente dalla adeguatezza o meno, dal punto di vista comunitario, delle sanzioni previste dalla legge italiana in vigore) non si può invocare una direttiva comunitaria per farne derivare l'effetto di determinare o di aggravare la responsabilità penale degli imputati. Ci si sarebbe aspettati, a questo punto, una decisione di irricevibilità (come infatti veniva richiesto dagli imputati), in quanto i giudici che avevano sollevato la questione non avrebbero mai potuto trarre dalla decisione di merito un effetto pratico ai fini dei loro processi. Invece la Corte disattende (senza argomentare) questa eccezione, ma poi decide "nel merito" nel senso che si è detto, e cioè non 19 decidendo il vero merito. Il principio secondo cui una direttiva europea (in ipotesi non attuata o non correttamente attuata dalla legislazione nazionale) non può essere invocata dallo Stato per determinare o aggravare la responsabilità penale di un imputato è consolidato nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Tuttavia, nel nostro caso, non si trattava di applicare agli imputati una legge più severa di quella in vigore al momento dei fatti, ma solo di impedire che ad essi si applicasse una legge successiva più favorevole, ritenuta non conforme al diritto comunitario. Qui interviene la vera novità della pronuncia della Corte del Lussemburgo. Ancora in una recentissima sentenza su un altro caso italiano in materia di rifiuti (11 novembre 2004, Niselli) la Corte di giustizia, trovandosi in una situazione simile (anche lì si disputava della conformità al diritto comunitario di una legge italiana che escludeva la punibilità di certi fatti), aveva risposto nel merito ai dubbi posti dai giudici italiani, disinteressandosi delle conseguenze derivanti dal principio di legalità delle pene (per cui nessuno può essere punito se non in base alla legge) in quanto nella fattispecie i fatti addebitati erano stati commessi quando era in vigore una legge che li puniva, mentre la legge "depenalizzante" era intervenuta solo successivamente. Adesso, invece, la Corte ha ritenuto di doversi fare carico degli effetti del principio per cui la legge penale sopravvenuta più favorevole deve essere applicata anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore (retroattività della legge più favorevole: cosiddetto favor rei). Questo principio - a differenza di quello di irretroattività della legge meno favorevole - non è affermato dalla nostra Costituzione, anche se è tradizionale nel nostro diritto penale, ed è sancito dall'articolo 2 del codice penale (eccettuando il caso delle leggi eccezionali o temporanee)

. La Corte di giustizia nella sentenza afferma invece - per la verità senza soffermarsi nel motivare - che «il principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri», e deve dunque considerarsi "come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l'ordinamento comunitario": con ciò facendo applicazione anticipata (senza citarla) della "Carta di Nizza" - ora confluita nella seconda parte della Costituzione europea, non ancora vigente - che appunto, all'articolo 49, afferma quel principio. In conclusione: il diritto a vedersi applicare retroattivamente la legge più favorevole impedisce che nei processi in corso a Milano e a Lecce (e in qualsiasi altro processo) si invochi la "anticomunitarietà" della legge sul falso in bilancio per aggravare la posizione degli imputati. Tale (eventuale) anticomunitarietà potrebbe ancora essere esaminata e accertata dalla Corte di giustizia in una eventuale controversia aperta dalle istituzioni europee per contestare all'Italia una violazione degli obblighi comunitari (a parte l'eventualità di una nuova questione pregiudiziale, sollevata questa volta dalla Corte costituzionale ai fini del giudizio di costituzionalità di cui è già investita). Sul piano del diritto interno, la Corte costituzionale potrebbe giudicare illegittima la legge sopravvenuta più mite? In astratto, la giurisprudenza della nostra Corte lascia la porta aperta. Anche, infatti, se si dovesse ritenere costituzionalizzato (e non è sicuro) il principio della retroattività della legge più favorevole, questo potrebbe portare ad escludere che agli imputati possa mai applicarsi la legge più severa, ma non che la Corte costituzionale possa dichiarare, per il futuro, l'incostituzionalità della legge sopravvenuta più favorevole. Fin dalla sentenza n. 148 del 1983, infatti, la Corte ha ammesso questa possibilità, pur affermando che un'eventuale 20 dichiarazione di incostituzionalità non potrebbe mai nuocere in concreto agli imputati dei processi in corso, per l'operare del principio di irretroattività della legge penale (nonché, potremmo aggiungere oggi, del principio, se c'è, di retroattività della legge più favorevole). In caso contrario, si dovrebbe constatare l'esistenza di una "lacuna" nel sistema di controllo di costituzionalità delle leggi, e dunque nel sistema di garanzie della Costituzione.

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA (Grande Sezione) 3 maggio 2005


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