Ai fini del riconoscimento delle differenze retribuitive per lo svolgimento di mansioni superiori è necessario un atto formale di nomina, un posto in organico vacante e l’effettivo svolgimento delle stesse. E' questo il principio ribadito dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 25 luglio 2014, n. 3969.

 

Nel pubblico impiego vige il principio dell’indisponibilità degli interessi coinvolti, non potendo il trattamento economico del dipendente essere liberamente determinabile da parte degli organi amministrativi.

Nel caso in oggetto, l’appellante, nella qualità di dipendente USL, ha dedotto di avere svolto le mansioni superiori di collaboratore amministrativo, chiedendo l’accertamento del suo diritto di percepire le relative differenze stipendiali. Successivamente, il TAR ha respinto il ricorso, rilevando che non risulta alcun ordine di servizio che abbia attribuito all’interessata lo svolgimento delle mansioni superiori, né tanto meno è stata comprovata l’esistenza di un corrispondente posto vacante in pianta organica. Secondo l'appellante, la vacanza del posto in organico ed il conferimento delle mansioni superiori con un atto formale, sarebbero requisiti rilevanti unicamente per l’inquadramento nella qualifica superiore, ai sensi della legge n. 207 del 1985, ma non avrebbero alcun rilievo per la spettanza delle differenze retributive ed ha altresì contestato la rilevanza della copertura in organico dei due posti di collaboratore amministrativo.

Alla luce della consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, salvo che la legge disponga altrimenti, “lo svolgimento da parte di un pubblico dipendente di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento non rileva ai fini sia giuridici che economici, sia perché il provvedimento di inquadramento è presupposto indefettibile delle mansioni e del correlativo trattamento economico, sia perché, ancor più in generale, il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, vista anche la natura indisponibile degli interessi coinvolti, non potendo essere il trattamento economico del dipendente liberamente determinabile da parte degli organi amministrativi”, si considerino, ad esempio, Cons. Stato, V, 28 dicembre 2011, n. 6966; Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3251; Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2811; Sez. V, 28 aprile 2011, n. 2539; Sez.., 7 aprile 2011, n. 2166.

Oltre a ciò, non può poi essere richiamato l’art. 36 Cost., il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla quantità e qualità del lavoro prestato, infatti – alla luce di quanto disposto dai Giudici di Palazzo Spada – “tale norma non può trovare incondizionata applicazione del rapporto di pubblico impiego, dovendo concorrere in tale ambito con altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali l’art. 97, per il quale l’esercizio delle mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con i principi di buon andamento e di imparzialità dei pubblici uffici e quindi con la rigida determinazione delle sfere di competenza, funzioni e responsabilità dei funzionari, e l’art. 98, dal quale discende il divieto che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla mera logica del rapporto di scambio”, così come altresì statuito da Cons. Stato, VI, 19 settembre 2000, n. 4871; id., 11 luglio 2000, n. 3882.

Inoltre, è bene chiarire che le disposizioni della legge n. 207 del 1985, appaiono del tutto coerenti con il principio generale della “irrilevanza delle mansioni superiori”, invero “essa ha previsto in alcuni casi la ‘sanatoria’ in base ai relativi presupposti, ma non ha attribuito rilievo al loro svolgimento al di là dei casi ivi tassativamente previsti”.

Dunque, “se anche nel corso del giudizio fosse stata acquisita la prova della esistenza di un posto vacante in pianta organica, dell’emanazione di un atto formale di conferimento delle mansioni superiori nonché del loro effettivo svolgimento – comunque la domanda dell’appellante sarebbe risultata infondata”. GMC