Responsabilità ex artt. 2043 e ss. del c.c e risarcimento del danno in capo al Comune. Cass. 25052/16. La Cassazione trae lo spunto per ribadire la sua posizione in merito al riparto di giurisdizione fra g.o. e g.a.

Con la sentenza n. 25052 del 2016 la Corte di Cassazione, in particolare, ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento promosso da un privato nei confronti di un comune, per danni subiti dalla propria autovettura tamponata da ignoti mentre era ferma negli stalli di parcheggio. Per comprendere appieno la soluzione è d’uopo considerare la vicenda da cui origina la domanda risarcitoria. Si tratta di un tamponamento fra autovetture avvenuto negli stalli del parcheggio, in cui però il danneggiato non conosceva il danneggiante. Pertanto, il primo decideva di ricorrere al giudice di pace che, però, si dichiarava incompetente poiché la questione ineriva il dimensionamento degli stalli adibiti a parcheggio e quindi rientrava nell’orbita della indagine sulla legittimità di un atto amministrativo per violazione di legge di competenza del g.a. Il primo motivo concerneva il difetto di giurisdizione. Quest’ultima. Per la parte spettava al g.o., poiché la causa concerneva, non la legittimità di un atto amministrativo, bensì la condotta colposa della p.a. rientrante nell’alveo dell’art. 2043 c.c.

La Corte risponde alla censura attraverso un breve excursus. IN particolare evoca i postulati della sentenza 204/04

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente deduce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, rilevando come il giudizio non abbia ad oggetto la legittimità o meno dell'atto amministrativo ma l'accertamento di un comportamento colposo della P.A. , chiedendo, con il secondo motivo, la decisione della causa nel merito ai sensi dell'articolo 384, comma secondo, c.p.c.

Va, al riguardo, rilevato che la sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 (dichiarativa della incostituzionalità del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, comma 1 (come sostituito dalla L. 21 luglio 2000„ n. 205, art. 7, lettera b), nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto "gli atti, i provvedimenti e i comportamenti" anziché "gli atti e i provvedimenti" delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia) ha escluso che la mera partecipazione del soggetto pubblico al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del Giudice amministrativo e, dall'altro Iato, ha evidenziato come non "sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta ai giudice amministrativo" (cfr. sub 3.2 in motivazione).

La giurisdizione del Giudice amministrativo resta, in ogni caso, delimitata dal collegamento dell'esercizio in concreto dei potere amministrativo secondo le forme tipiche previste dall'ordinamento, pertanto l'Amministrazione deve essere convenuta davanti al Giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l'azione risarcitoria costituisca lesione di diritti incomprimibili„ come la salute o l'integrità personale o quante volte l'azione della pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto (cfr Cass.20.10.2006 n. 22521) Questa Corte, al riguardo ha già affermato che "nell'attuale assetto costituzionale, successivamente alla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, la giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non esercita alcun potere pubblico, in particolare va riconosciuta la giustiziabilità davanti al giudice ordinario in tutte le controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti EnC art. 2043 cod. civ., e a fronte dei quali, per non avere la P.A. osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo, restando escluso il riferimento ad atti e provvedimenti, di cui la condotta dell'amministrazione sia esecuzione, quando essi non costituiscano oggetto del giudizio, per essersi fatta valere in causa unicamente l'illiceità della condotta dell'ente pubblico, suscettibile di incidere sulla incolumità e i diritti patrimoniali del terzo, potendo in tali casi il giudice ordinario non solo condannare l'amministrazione al risarcimento, ma anche ad un "facere" specifico senza violazione del limite interno delle sue attribuzioni" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20117 del 18/10/2005)

2. Il primo motivo è inammissibile in quanto non sono stati evidenziati gli elementi da cui desumere se oggetto del giudizio, con riguardo al "petitum sostanziale", sia la violazione delle norme di settore poste a presidio della integrità fisica dei cittadini fruitori della strada di proprietà del Comune per l'eccessivo dimensionamento degli stalli di sosta, eseguito in violazione delle norme di legge, in relazione all'ampiezza della corsia di marcia, oppure la richiesta di risarcimento danni conseguenti al comportamento colposo ed illegittimo del Comune. Non risulta adeguatamente censurata la valutazione del Tribunale che ha ritenuto, sostanzialmente, trattarsi di materie e rapporto assegnati alla giurisdizione amministrativa. Nel caso di specie non risulta adeguatamente censurato il dictum del Tribunale che ha rilevato come la controversia risulti incentrata unicamente sul dimensionamento degli stati di sosta, asseritamente eseguito in violazione delle norme di legge mentre il danno al patrimonio dell'attore , cioè alla sua autovettura, si assume come conseguenza del comportamento illegittimo del Comune e potrebbe trovare tutela risarcitoria anche davanti al giudice amministrativo, quale conseguenza della eventuale accertata violazione del dimensionamento degli stalli di sosta alla cui osservanza il Comune era tenuto sulla base della normativa esistente.

Il motivo, così come formulato, non consente di verificare se la richiamata violazione rilevi come richiamo alla causa del lamentato danno, e cioè agli atti illegittimi in sè, da cui sarebbe derivato il danno lamentato oppure come attività comportamentale colposa del Comune „ in violazione del principio del neminem laedere, con la conseguenza che se dall'osservanza dell'art. 2043 c.c. derivi un danno al terzo, deve a questi riconoscersi azione risarcitoria, anche in forma specifica, davanti al giudice ordinario, vertendosi in terna di fatto illecito lesivo di posizioni di diritto soggettivo (cfr. Cass. Sez. U, Ordinanza 14/03/2011 n. 5926; Cass., Sez. Un., 6 dicembre 1988 n. 6635)

Il secondo motivo, con cui il ricorrente chiede la decisione nel merito della controversia, ai sensi dell'articolo 384, comma secondo, c.p.c., rimane assorbito. Va, conseguentemente, dichiarata l'inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Pr.21v1 Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità che liquida in €: 3.000 per compensi professionali, € 200 per esborsi oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

 

 

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