CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; 30 aprile 2014 n. 2246
AUTORITÀ DI GARANZIA – AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO – COMPETENZA – ATTI AMMINISTRATIVI GENERALI DA ESSA RITENUTI LESIVI DELLA LIBERTÀ DI CONCORRENZA E MERCATO – IMPUGNAZIONE – SENZA PREVIA ADOZIONE DI PARERE MOTIVATO – INAMMISSIBILITÀ

Ai sensi dell'art. 21 bis, l. 10 ottobre 1990 n. 87, aggiunto dall'art. 35 comma 1, d.l. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011 n. 214, il potere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato di agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti amministrativi da essa ritenuti lesivi della libertà di concorrenza e mercato deve essere necessariamente preceduto, a pena di inammissibilità, da una fase precontenziosa caratterizzata dall'emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla Pubblica amministrazione nel quale sono segnalate le violazioni riscontrate e indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato; la funzione di detto parere motivato è duplice:

a) sollecitare la Pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell'Autorità, mediante uno speciale esercizio del potere di autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest'ultimo sia assicurata innanzitutto all'interno della stessa Pubblica amministrazione e restando il ricorso all'Autorità giudiziaria amministrativa extrema ratio, non essendo l'Autorità dotata di poteri coercitivi nei confronti dell'Amministrazione pubblica;

b) d'altro canto, la fase precontenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente ed esclusivamente al giudice per la tutela di un interesse pubblico.

Il termine di trenta giorni per l'impugnazione del provvedi­mento ritenuto anticoncorrenziale da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi dell'art. 21 bis l. 287/90 decorre o dalla comunicazione dell'atto definitivo di non conformazione o, in caso di inerzia dell'amministrazione interessata, dal sessantesimo giorno dalla comunicazione del parere motivato (nella specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l'inosservanza di tale disposizione non ammettesse la rimessione in termini per errore scusabile).CONSIGLIO DI STATO; sezione IV; sentenza 28 gennaio 2016, n. 323

SENTENZA CONSIGLIO DI STATO; Sezione V; 30 aprile 2014 n. 2246

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6936 del 2013, proposto da:
AUTORITA' GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO - ANTITRUST,
in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
ROMA CAPITALE, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Rosalba Rocchi, con la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n.21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. II, n. 4451 del 6 maggio 2013, resa tra le parti, concernente regolamentazione accesso titolari di autorizzazioni noleggio con conducente rilasciate da altri comuni all'interno delle zone a traffico limitato di Roma Capitale;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Colelli, per l'Avvocatura dello Stato, e Graziosi, in dichiarata delega dell'avv. Rocchi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
1. Con la delibera di giunta n. 282 del 4 ottobre 2012 Roma Capitale ha regolamentato l'accesso dei titolari di autorizzazioni di noleggio con conducente, rilasciati da altri comuni, all'interno delle zone a traffico limitato di Roma, stabilendo che esso possa avvenire mediante la preventiva comunicazione ed il preventivo pagamento dell'importo di accesso (con gratuità per i soli veicoli ad esclusiva trazione elettrica).
Con ricorso giurisdizionale ex art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, notificato a mezzo del servizio postale il 1° dicembre 2012, l'Autorità garante per la concorrenza e del mercato (d'ora in avanti l'Autorità o AGCM), premessi il substrato normativo della questione (legge 15 gennaio 1992, n. 21, art. 5 bis) ed i propri precedenti specifici pareri (del 20 febbraio 2009 e del 27 aprile 2010), oltre alla recente segnalazione in data 17 maggio 2012 (riferita alla delibera n. 403 del 14 dicembre 2011, riguardante la stessa materia del servizio di noleggio con conducente), ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l'annullamento di tale deliberazione, deducendone l'illegittimità per violazione dei principi a tutela della concorrenza e del mercato, nonché per contrarietà si principi comunitari di tutela della concorrenza.
2. L'adito tribunale, sez. II, con la sentenza n. 4451 del 6 maggio 2013, nella resistenza dell'intimata amministrazione capitolina ed accogliendone la relativa eccezione difensiva, ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto non preceduto dal parere motivato previsto dall'art. 21 bis, comma 2, della legge n. 287 del 1990, come novellata dall'articolo 35, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
In sintesi, secondo il predetto tribunale, dalla corretta interpretazione logico – sistematica, oltre che letterale, della norma in questione, conformemente del resto all'analogo procedimento previsto dalla normativa comunitaria per la procedura d'infrazione, in cui la Commissione è legittimata a ricorrere alla Corte di Giustizia, si evincerebbe che tale parere motivato costituisce una vera e propria condizione di ammissibilità o di procedibilità del ricorso, irrilevante essendo la mancanza di un'apposita qualifica in tal senso da parte del legislatore; tale conclusione, secondo i primi giudici, avrebbe trovato conferma nella recentissima giurisprudenza costituzionale (sentenza 14 febbraio 2013, n. 20).
3. AGCM ha ritualmente e tempestivamente chiesto la riforma di tale sentenza, contestando la correttezza dell'interpretazione del ricordato art. 21 bis della legge n. 287 del 1990 prospettata dai primi giudici, giacché, a suo avviso, per converso proprio dal suo tenore letterale non emergerebbe alcun vincolo di presupposizione tra il parere motivato (fase precontenziosa) ed il successivo ricorso dell'Autorità, né sarebbe configurabile la pretesa specialità del giudizio così introdotto e tanto meno della legittimazione dell'Autorità stessa; d'altra parte, sempre secondo l'appellante, anche sul piano strettamente sistematico la tesi propugnata nella sentenza impugnata non troverebbe alcun significativo supporto nella procedimentalizzazione dell'attività amministrativa dell'Autorità (procedimentalizzazione che non potrebbe estendersi sic et simpliciter anche alla fase giudiziale) e neppure nel potenziamento della funzione di advocacy; neppure potrebbe essere riconosciuto carattere dirimente al richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 14 febbraio 2013, n. 20 (che non avrebbe affrontato in alcun modo la questione oggetto della presente controversia, ma soltanto la diversa questione della legittimità costituzionale dell'art. 35 del d.l. n. 201 del 2001, convertito con modificazioni nella legge n. 214 del 2011, su ricorso principale della Regione Veneto, con riferimento agli articoli 3, 97, comma 1, 113, comma 1, 117, comma 6, e 118, comma 1 e 2, ed al principio di leale collaborazione, dichiarandola peraltro inammissibile).
Ha resistito al gravame Roma Capitale, che ne ha dedotto l'inammissibilità e l'infondatezza ed instando per il suo rigetto.
4. All'udienza pubblica del 17 dicembre 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. L'appello è infondato.
5.1. L'art. 21 bis della legge n. 287 del 1990, aggiunto dall'art. 35, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011, significativamente rubricato "Poteri dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza", ha previsto al comma 1 che "L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato".
Al successivo secondo comma è poi stabilito che "L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norma a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni", mentre il terzo comma aggiunge infine che "Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104".
5.2. Come si ricava agevolmente dal loro stesso tenore letterale, ognuna delle ricordate disposizioni assolve ad una specifica funzione, individuando e tutelando uno specifico interesse pubblico.
5.2.1. Il primo comma infatti, attribuisce una peculiare legitimatio ad causam all'Autorità nei confronti degli atti amministrativi generali, dei regolamenti e dei provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, in tal modo evidenziando la natura di speciale interesse pubblico generale della tutela della concorrenza e del mercato, quale condizione essenziale per l'ordinato sviluppo economico e sociale e per il progresso della collettività, in armonia del resto con i principi comunitari (non è del resto un caso che l'articolo 21 bis sia stato introdotto dall'art. 35, comma 1, del D.L. n. 201 del 2011, come modificato dalla legge n. 241 del 2011, recante disposizione urgenti per la crescita e lo sviluppo economico).
E' coerente con il bene giuridico protetto dalla norma (la libertà di concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato) e con le finalità che con esse si intende perseguire (la crescita e lo sviluppo economico) la previsione che l'accertamento della violazione delle nome in questione e il loro ripristino, per un verso, trascenda l'interesse specifico del singolo operatore del mercato e sia pertanto sottratto alla libera disponibilità dell'interessato (il che giustifica la disposizione nella parte in cui ammette sostanzialmente una legittimazione ad agire concorrente, dell'Autorità e dei singoli interessati, quanto ai provvedimenti lesivi del predetto bene giuridico), e, per altro verso, la tutela debba avviarsi per quanto possibile immediatamente, in tal modo dovendo essere intesa la legittimazione ad agire dell'Autorità nei confronti dei regolamenti e dei provvedimenti generali (atti che, secondo i principi generali, in quanto in genere non immediatamente lesivi, possono essere impugnati solo unitamente ai provvedimenti di cui costituiscono applicazione).
5.2. Il secondo comma, coerentemente con il principio di legalità predicato dall'articolo 97 della Costituzione, cui è improntata tutta l'attività della pubblica amministrazione, disciplina (e delimita, procedimentalizzandolo) il potere attribuito alla Autorità in relazione agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, dalla stessa ritenuti violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.
Secondo l'intenzione del legislatore, così come si ricava dall'esame della norma, il fondamentale e innovativo ruolo attribuito all'Autorità circa il controllo sull'effettivo ed efficace dispiegarsi della libertà della concorrenza e del mercato impone che il potere di agire in giudizio contro gli atti lesivi di tali principi sia preceduto da una fase pre - contenziosa, caratterizzata dall'emissione, da parte dell'Autorità, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione, parere in cui ragionevolmente sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicano i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato.
La funzione del predetto parere motivato è in realtà duplice: esso mira innanzitutto a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell'Autorità, attraverso uno speciale esercizio del potere di autotutela giustificato proprio dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest'ultimo sia assicurata innanzitutto all'interno della stessa pubblica amministrazione e restando pertanto il ricorso all'autorità giudiziaria amministrativa l'extrema ratio (non essendo stata d'altra parte dotata l'Autorità di poteri coercitivi nei confronti dell'amministrazione pubblica che non intenda conformarsi al predetto parere motivato); d'altro canto, la fase pre - contenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusivamente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico.
5.2.3. Con il terzo comma infine è stato stabilito che alle controversie azionate dall'Autorità ai sensi del comma uno trovino applicazione le disposizioni concernenti i riti abbreviati.
In presenza di una previsione di rinvio così generale, all'intero titolo V del libro IV, del codice del processo amministrativo, e in considerazione del bene giuridico tutelato, deve ragionevolmente ritenersi allo stato, anche per la mancanza di diversi elementi di valutazione, che il legislatore non abbia inteso sottoporre le controversie in questione al solo rito abbreviato dell'art. 119, fermo restando la necessità di verificare in concreto l'applicabilità delle altre specifiche disposizione del titolo V alla fattispecie sottoposta all'esame del giudice.
5.3. Ciò posto, la Sezione, condividendo le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici, è dell'avviso che l'esaminato articolo 21 bis della legge n. 287 del 1990, anche in considerazione della sostanziale unicità ed unitarietà del bene giuridico protetto (libertà della concorrenza e del mercato), sia pur nelle differenti prospettive di cui ai commi 1 e 2, non preveda due distinte forme di tutela del predetto bene giuridico, l'una con accesso diretto ed immediato al giudice e l'altra mediata alla fase pre- contenziosa.
5.3.1. A favore di tale ricostruzione propugnata dall'appellante non vi è del resto nessun argomento, né di ordine letterale, né di carattere logico – sistematico, essendo invero del ragionevole che il legislatore, dopo aver fissato al primo comma il principio della legittimazione straordinaria dell'Autorità ad agire nei confronti degli atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti violativi delle norme a tutela della concorrenza e a tutela del mercato, abbia poi, al secondo comma, stabilito le modalità di concreto esercizio di tale legittimazione straordinaria, con ciò volendo evitare che una norma, astrattamente concepita quale (ulteriore) strumento per la ripresa e lo sviluppo economico, potesse dar luogo in concreto a nuove e diverse situazioni di confusione e contraddittorietà dell'azione amministrativa.
E' in tal senso priva di autonoma rilevanza la circostanza, su cui pure indugia l'appellante, che il terzo comma dell'articolo in esame faccia riferimento, ai fini di stabilire la disciplina processuale da applicare, ai soli giudizi instaurati ai sensi del comma 1, da ciò non potendo desumersi l'esistenza di altri giudizi (instaurati ai sensi del comma 2, successivamente cioè all'espletamento della fase pre – contenziosa): infatti il riferimento operato dal legislatore (ai giudizi di cui al comma 1), lungi dall'essere equivoco o fonte di dubbi, è del tutto coerente e ragionevole, anche sotto il profilo dell'interpretazione letterale, solo nel comma 1 si prevede la legittimazione straordinaria dell'Autorità ed il potere di quest'ultima di introdurre giudizi, di cui non vi è invece alcuna menzione nel comma 2 (per le ragioni sopra già esposte e alle quali pertanto si rinvia).
5.3.2. Né alla predetta ricostruzione dell'unicità dei giudizi instaurabili dall'Autorità può opporsi che in tal modo, dovendo cioè gli stessi essere necessariamente preceduti dalla fase pre - contenziosa, potrebbero verificarsi in concreto e nell'immediato proprio quegli effetti negativi ed eventualmente irreversibili, derivanti dalla efficacia di regolamenti, atti generali e provvedimenti emessi in violazione delle norme poste a tutela della concorrenza e del mercato, che la stessa norma vuole invece scongiurare: è sufficiente rilevare al riguardo che, fermo restando la generale disciplina delineata dal secondo comma dell'art. 21 bis in esame, non vi è alcuna ragione logico – sistematica che possa ragionevolmente escludere, ricorrendone i presupposti, la richiesta da parte dell'Autorità delle misure cautelari antecausam di cui all'art. 61 c.p.a.
5.3.3. Per completezza occorre infine segnalare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 20 del 14 febbraio 2013, nel dichiarare inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell'art. 21 bis della legge n. 287 del 1990 promosse in via principale dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 113, primo comma, 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, alla legge costituzionale n. 3 del 2001 ed al principio di leale collaborazione, ha osservato che detta norma, piuttosto che introdurre un "nuovo e generalizzato controllo di legittimità" in capo all'Autorità nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni, ha soltanto integrato "...i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all'Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990", prevedendo "...un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato ...e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza del mercato", precisando quindi che tale potere "...si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso".
Trova pertanto autorevole conforto la tesi della eccezionalità della legittimatio ad causam riconosciuta all'Autorità in funzione del bene giuridico tutelato e l'unicità e unitarietà dell'azione giudiziaria dalla stessa proposta, ancorché preceduta da una necessaria fase pre – contenziosa.
6. In conclusione alla stregua delle osservazioni svolte l'appello deve essere respinto.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dall'Autorità garante per la concorrenza e del mercato avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II, n. 4451 del 6 maggio 2013, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

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