RESPONSABILITA' PATRIMONIALE

 

RESPONSABILITA' PATRIMONIALE

Nel caso di inadempimento del debitore, in alternativa alla tutela reale, il creditore può agire per ottenere il risarcimento del danno. Ove anche l’obbligazione risarcitoria rimanga inadempiuta, il creditore potrà agire esecutivamente sul patrimonio del debitore nelle forme dell’espropriazione forzata. A tal fine il creditore deve essere munito di titolo esecutivo e poi potrà procedere al pignoramento del bene o dei beni che intende aggredire. Il creditore è libero di scegliere i beni che intende aggredire, ma quando il valore dei beni pignorati ecceda l’ammontare del credito, il giudice dell’esecuzione potrà disporre la riduzione del pignoramento, restringendolo ad alcuni dei beni individuati. Del bene pignorato il giudice disporrà la vendita forzata, che può consistere in incanto, cioè pubblica asta, o trattativa privata; il relativo incasso sarà attribuito al creditore fino a concorrenza dell’importo dovuto, mentre la differenza residua spetterà al debitore.
L’art. 2740 stabilisce che << il debitore risponde dell’adempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni, presenti e futuri>>. Tale disposizione fonda la responsabilità patrimoniale del debitore, che costituisce il vincolo cui il patrimonio del debitore è assoggettato in funzione del soddisfacimento coattivo dell’interesse del creditore. Inizialmente tale vincolo è generico, esaurendosi nella possibilità accordata al creditore di ricorrere ai c.d. mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (azione surrogatoria, azione revocatoria e sequestro conservativo), che sono rimedi di natura cautelare, volti ad evitare che il debitore disperda il patrimonio prima che il creditore possa aggredirlo. Ecco perché l’art. 2740 fa riferimento anche ai beni futuri, intesi sia come beni che non facevano parte del patrimonio del debitore al momento in cui l’obbligazione è sorta, sia come beni originariamente appartenenti al debitore, ma successivamente fuoriusciti dal suo patrimonio (per compravendita, donazione). La responsabilità patrimoniale si attualizza quando si verifica l’inadempimento e il creditore si sia procurato il titolo esecutivo, ma il vincolo che grava sul patrimonio del debitore si concretizza solo in occasione del pignoramento: infatti, gli atti di disposizione compiuti dal debitore dopo il pignoramento sono inefficaci, cioè inopponibili al creditore, che potrà soddisfarsi anche presso il terzo acquirente (art. 2913).

Il principio della par condicio creditorum


L’art. 2740 deve essere letto unitamente all’art. 2741, secondo cui <<i creditori hanno uguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore>>: è il c.d. principio del par condicio creditorum. Tale principio si atteggia diversamente a seconda che l’esecuzione forzata abbia carattere individuale o collettivo. Nel 1° caso è il singolo creditore ad avviare l’esecuzione, nella quale gli altri hanno diritto di intervenire per far valere i loro crediti sui beni già pignorati; in tale ipotesi la par condicio si risolve nella parità di trattamento in sede di distribuzione del ricavato della vendita forzata. In alcuni casi la legge impone una liquidazione concorsuale di tutto il patrimonio del debitore, vietando le esecuzioni individuali e predisponendo meccanismi di avviso per coinvolgere tutti i creditori, come nel fallimento, procedura con cui si fa fronte allo stato di insolvenza del debitore, e come nella procedura di liquidazione dell’eredità accettata con beneficio d’inventario.
La ragione per cui le 2 disposizioni sono collegate è che se si consentisse di modulare la responsabilità patrimoniale, riportandola per ciascun debito ad una porzione del patrimonio, si avvantaggerebbero solo quei creditori che abbiano la possibilità di far valere il loro diritto su beni di maggior valore. Tuttavia, il codice contempla ipotesi in cui si realizza una separazione tra più patrimoni imputabili al medesimo soggetto: eredità accettata con beneficio d’inventario, fondo patrimoniale costituito per i bisogni della famiglia, vincoli di destinazione sui singoli beni funzionali al soddisfacimento di interessi di particolare rilievo o natura e, nel caso delle s.p.a. i patrimoni destinati ad uno specifico affare. In tali casi la garanzia patrimoniale segue i patrimoni separati, con conseguente frammentazione del ceto creditorio e indebolimento del principio della par condicio. Tali fenomeni di limitazione della responsabilità patrimoniale sono soggetti ad una riserva di legge (art. 2740, 2° co.) e ricorrono nel caso delle persone giuridiche, ossia soggetti collettivi dotati di autonomia patrimoniale perfetta (società di capitali, fondazioni, associazioni riconosciute).
Il trust è quell’accordo con cui un soggetto trasferisce la proprietà di uno o più beni ad un altro, che si obbliga a amministrali e gestirli in vista del raggiungimento di determinati risultati o del soddisfacimento di determinati interessi, anche di terzi. La caratteristica del trust è che i beni in esso confluiti costituiscono un patrimonio separato sia da quello del settor, sia da quello del trustee. Tale istituto mal si concilia con l’art. 2740.

Il divieto del patto commissorio

 


Il patto commissorio è quel patto con cui si conviene che, in caso di inadempimento, la proprietà del bene ipotecato o costituito in pegno passi al creditore. Secondo una parte della dottrina il codice vieta tale patto e ne prescrive la nullità perché, ove il valore del bene risulti superiore all’entità del debito, tale patto pregiudicherebbe sia il debitore (dando luogo ad un abuso nei suoi confronti), sia gli altri creditori ai quali verrebbe impedito di concorrere sulla differenza tra il ricavato della vendita forzata del bene e l’importo del credito soddisfatto. In realtà, appare più convincente la tesi che ricollega il divieto all’ostilità dell’ordinamento verso una forma di soddisfacimento coattivo del credito destinata a dispiegarsi al di fuori del processo esecutivo, ostilità collegata all’eccezionalità del ricorso dell’autotutela privata.
La giurisprudenza ritiene valido il c.d. patto marciano, con cui si stabilisce che, in caso di inadempimento, la proprietà del bene oggetto di pegno o ipoteca passi al creditore, dietro pagamento al debitore della differenza tra il valore del bene (stimato al momento dell’inadempi-mento) e l’importo del credito.
Il divieto di patto commissorio è aggirabile con operazioni negoziali che indirettamente conducono allo stesso risultato, come la compravendita con patto di riscatto, che si presta a realizzare una causa di finanziamento (non di scambio): in tal caso il prezzo corrisposto dal compratore (mutuante) è il capitale prestato; l’esercizio del patto di riscatto da parte del venditore (mutuatario), con il conseguente rimborso del prezzo ricevuto corrisponde alla restituzione del capitale finanziario. Come è evidente qui il compratore/mutuante è garantito dalla proprietà del bene acquisita al momento della conclusione del contratto e, quindi, prima dell’inadempimento. La giurisprudenza ritiene che fattispecie del genere, integrando gli estremi del contratto in frode alla legge (la norma imperativa elusa qui è l’art. 2744), debbano considerarsi nulle: ovviamente non sono vietate tutte le vendite con patto di riscatto, ma solo quelle nelle quali lo scambio tra bene e prezzo (e nel caso di riscatto tra prezzo e bene) sia stipulato a scopo di garanzia al fine specifico di attribuire il bene al creditore solo nel caso di inadempimento del debitore.

Le cause legittime di prelazione


Il principio della par condicio creditorum incontra un ulteriore limite nelle c.d. cause legittime di prelazione: privilegi, pegno e ipoteca. Il creditore privilegiato, infatti, è preferito ad ogni altro creditore nella ripartizione del ricavato della vendita forzata del bene sul quale egli vanti un titolo di prelazione. Caratteristica comune di pegno, ipoteca e privilegi (ma solo quelli speciali, cioè aventi ad oggetto un bene specifico) è, inoltre, la circostanza che il creditore privilegiato possa aggredire un bene anche quando quest’ultimo sia stato alienato ad un terzo in un momento successivo al sorgere del titolo di prelazione (diritto di sequela). Inoltre, se il bene soggetto a pegno, ipoteca o privilegio sia coperto da un’assicurazione contro i danni, in caso di perimento o deterioramento, le somme dovute dall’assicuratore risultano vincolate al pagamento del credito assistito dalla causa di prelazione, salvo che esse vengano impiegate per la riparazione della cosa. In assenza di una copertura assicurativa, anche quando il deterioramento o il perimento dipendano da caso fortuito, il creditore che veda compromessa la garanzia del proprio diritto, può chiedere che gli venga prestata una garanzia su altri beni o, in mancanza, egli potrà chiedere immediatamente il pagamento del credito.

Privilegi


L’art. 2745 stabilisce che <<il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito>>. Ci sono ipotesi in cui il sorgere del privilegio è subordinato dalla legge ad una specifica convenzione tra le parti, ma in tal caso l’autonomia privata si limita ad attivare una garanzia che, per il resto, è individuata e disciplinata dalla legge, non potendo tale convenzione derogare ad es. all’ordine dei privilegi.
Esistono 2 categorie di privilegi: 1) il privilegio generale, che si esercita su tutti i beni mobili del debitore; 2) il privilegio speciale, che si esercita su un singolo bene (mobile o immobile) spesso, anche se non sempre, collegato alla vicenda generatrice del credito (ad es. il credito che l’artigiano matura in ragione della prestazione resa per la conservazione o per il miglioramento di una cosa mobile è assistito da un privilegio sulla cosa medesima, fino a quando essa si trovi presso l’artigiano medesimo: art. 2756).
Il privilegio speciale è considerato, come il pegno e l’ipoteca, una garanzia reale, sicché esso assicura al creditore un diritto di prelazione (soddisfacimento preferenziale sul bene oggetto della garanzia) e un diritto di sequela (opponibilità della garanzia ai terzi acquirenti), previsto dall’art. 2747, 2° co. secondo cui << il privilegio speciale sui beni mobili può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al suo sorgere>>. In alcuni casi è previsto che il privilegio possa farsi valere in pregiudizio dei diritti dei terzi acquistati sul bene anteriormente al sorgere del credito, purché il creditore ne ignorasse l’esistenza. Nonostante il silenzio del codice, anche il privilegio speciale su beni immobili attribuisce al creditore un diritto di sequela.
Il privilegio generale, invece, non è una garanzia reale, perché al creditore non è riconosciuto un diritto di sequela; ovviamente al creditore privilegiato saranno inopponibili gli atti di disposizione posti in essere dal debitore sul bene pignorato, ma questa inopponibilità discende dal pignoramento del bene e non dal carattere privilegiato del credito. Il privilegio generale si risolve in una qualità del credito che attribuisce al creditore un diritto di prelazione in sede di ripartizione del ricavato della vendita del bene oggetto di tale causa di prelazione.
Per il caso in cui sul medesimo bene insistano più privilegi a garanzia di crediti diversi, il codice detta un ordine dei privilegi, ossia istituisce una gerarchia tra essi in funzione della causa del credito. Ove, poi, più crediti siano assistiti dal medesimo privilegio o da privilegi di pari grado, essi concorreranno tra loro in misura proporzionale al rispettivo importo. Nell’ipotesi in cui sul medesimo bene mobile insistano un privilegio speciale e un pegno ovvero nel caso di un bene immobile un privilegio speciale e un’ipoteca, l’art. 2748 stabilisce che il pegno prevale sul privilegio speciale sui beni mobili, mentre il privilegio speciale sui beni immobili prevale sull’ipoteca. Va da sé che il pegno prevale anche sul privilegio generale. Nell’ordine dei privilegi, il privilegio speciale prevale su quello generale.
In alcuni casi il privilegio generale gode di un trattamento più favorevole (privilegio generale rafforzato), come il privilegio che assiste il credito avente ad oggetto la retribuzione e il TFR dovuti al lavoratore subordinato e il credito avente ad oggetto il compenso dovuto ai prestatori d’opera intellettuale. Tale privilegio prevale su ogni altro privilegio, anche speciale, ad eccezion fatta per quello relativo alle spese di giustizia. Inoltre, in caso di infruttuosa escussione dei beni mobili del debitore, al creditore munito di tali privilegi generali è attribuito un titolo di preferenza nei confronti degli altri creditori chirografari qualora concorra nell’esecuzione forzata dei beni immobili del debitore.

Il pegno


Il pegno è un diritto reale di garanzia: ciò implica che, da un lato, il creditore potrà soddisfarsi in via preferenziale sul bene che ne costituisce l’oggetto e, dall’altro, che esso, in quanto diritto reale, è sempre opponibile anche agli eventuali terzi acquirenti. Caratteristica del pegno è la sua accessorietà al credito garantito, quindi esso si estingue nel momento in cui, per qualsiasi ragione, il rapporto obbligatorio venga meno. Possono essere costituiti in pegno: le cose mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi ad oggetto beni mobili (in particolare i diritti reali di godimento relativi a beni mobili soggetti alla stessa disciplina dei beni mobili).
La costituzione del pegno avviene mediante contratto, le cui parti sono il creditore e il debitore ovvero il terzo datore di pegno. Tale contratto deve avere la forma scritta, data certa e un contenuto idoneo ad indicare con sufficiente certezza sia il credito garantito, sia il bene costituito in pegno. La giurisprudenza ritiene che questi requisiti formali non siano previsti ad substantiam actus, ma ai fini dell’opponibilità del pegno agli altri creditori che concorrano sul ricavato della vendita del bene, perché il codice stabilisce che in difetto di questi requisiti la prelazione non ha luogo. Il contratto di pegno è un contratto reale, perché si perfeziona con la consegna della cosa data in pegno (o del documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della stessa). E’, tuttavia, previsto che la cosa o i documenti possano essere consegnati ad un terzo designato dalle parti o alla custodia di entrambi purché, in tale ultimo caso, il costituente (debitore o terzo datore in pegno) sia nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione del creditore.
Il pegno non è soggetto a pubblicità formale (a differenza dell’ipoteca): una funzione latu sensu pubblicitaria è assolta proprio dalla consegna del bene, nel senso che lo spossessamento del proprietario dovrebbe, nelle intenzioni del legislatore, risultare indicativo dell’esistenza del pegno. Per questo motivo ai fini del perfezionamento del contratto di pegno è necessaria la consegna materiale del bene, non bastando una traditio ficta e per questo motivo quando il codice consente che il bene sia affidato in custodia ad entrambe le parti, secondo lo schema del compossesso, si premura di aggiungere che il debitore va messo nelle condizione di non poterne disporre senza la cooperazione del creditore.
Ove al momento dell’esecuzione il bene costituito in pegno non sia più nel possesso del creditore o del terzo designato dalle parti, il creditore non può vantare alcun titolo di prelazione.
In quanto possessore, il creditore pignoratizio è legittimato ad esperire sia le azioni possessorie, sia l’azione di rivendicazione: in tal caso il creditore agisce in via surrogatoria perché non è titolare del diritto di proprietà, pur avendo interesse a farlo valere per recuperare il possesso del bene.
Il creditore pignoratizio ha l’obbligo di custodire la cosa, sicché in caso di suo perimento o deterioramento sarà chiamato a risponderne secondo le regole generali in materia di responsabilità contrattuale. Egli, inoltre, non può disporre, godere della cosa, a meno che ciò non sia stato consentito dal debitore ovvero l’uso della cosa sia necessario alla conservazione medesima (ad es. pegno di un’azienda, dove la conservazione della cosa implica l’esercizio dell’impresa). Quando oggetto di pegno sia una cosa fruttifera, il creditore ha sempre facoltà di appropriarsi dei frutti a titolo di rimborso del proprio credito.
Qualora il creditore abusi della cosa, ossia ne goda o ne disponga al di fuori dei casi in cui ciò sia consentito, il debitore o il terzo datore potranno chiedere il sequestro. La restituzione della cosa da parte del debitore o del terzo datore potrà essere pretesa solo ove il diritto di pegno venga meno: ciò avviene quando l’obbligazione si estingua o si verifichi la condizione risolutiva cui è soggetto il titolo costitutivo del pegno o quando spiri il termine finale. Tuttavia, il creditore può trattenere presso di sé il bene finché non siano stati rimborsati, oltre al capitale e agli interessi, anche le spese sostenute per la conservazione della cosa. Secondo la dottrina in quest’ultimo caso la norma attribuirebbe al creditore pignoratizio un diritto di ritenzione, ma in realtà ai sensi dell’art. 2799 il bene costituito in pegno garantisce il credito nella sua interezza, quindi l’inesigibilità della cosa data in pegno è un riflesso di esso.
Il creditore pignoratizio ha il diritto di far vendere la cosa ricevuta in pegno (ius distrahendi), al fine di soddisfarsi in via preferenziale sul ricavato. Il ius distrhaendi può aver luogo sia nella forma di espropriazione mobiliare prevista dal c.p.c., sia nella forma della procedura semplificata prevista dal c.c.: il creditore deve notificare al debitore, a mezzo di un ufficiale giudiziario, un’intimazione di pagamento, contenente l’avvertimento che, in difetto di pagamento, si procederà alla vendita del bene costituito in pegno. Se il debitore non si oppone entro 5 giorni o se l’opposizione è rigettata, il creditore può incaricare un ufficiale giudiziario della vendita all’incanto (o al prezzo corrente di mercato) della cosa, salvo che le parti non abbiano concordato forme di vendita diverse (qui il creditore, a differenza che nell’espropriazione forzata, non ha bisogno di munirsi di un titolo esecutivo).
In alternativa alla vendita forzata del bene, il creditore può chiederne al giudice l’assegnazione: in questo caso al creditore sarà imputato il valore del bene fino a concorrenza dell’importo del credito.
Si possono costituire in pegno somme di denaro, merci o titoli di credito: ad es. somma di denaro attribuita al creditore a titolo di deposito cauzionale (c.d. pegno di cose fungibili). In questi casi il creditore acquista la proprietà delle cose pignorate ed è obbligato a restituirne la stessa quantità dello stesso genere. Tale figura è nota come pegno irregolare e non troveranno applicazione le disposizioni relative alla custodia, all’uso e alla disposizione del bene costituito in pegno, poiché esse presuppongono che il creditore restituisca, esauritosi il rapporto, esattamente lo stesso bene su cui ha solo il possesso. Inoltre, in caso di inadempimento, non sarà necessario attivare una procedura di vendita, ma si ricorrerà ad un’operazione di compensazione, fino alla reciproca concorrenza, tra l’importo del credito garantito e la somma di denaro data in garanzia. Il paradigma di riferimento è l’ipotesi di pegno irregolare prevista dall’art. 1851 dove il debitore, a garanzia della propria esposizione verso una banca, vincola un deposito di denaro costituito presso la banca medesima: quest’ultima potrà disporne liberamente e, al temine del rapporto, dovrà restituire solo la somma che eccede l’ammontare del credito garantito.
Non sono riconducibili alla figura del pegno irregolare, rientrando, invece, nello schema generale le ipotesi di pegno costituito su cose fungibili, ma esattamente individuate (ad es. costituzione in garanzia di una partita di grano puntualmente individuata).
Nella prassi bancaria è frequente il ricorso al pegno rotativo (di solito su titoli di credito): in tal caso le parti pattuiscono la possibilità di sostituire i titoli originariamente costituiti in garanzia con titoli diversi, senza che ciò implichi una novazione del rapporto originario. La ratio di questo istituto è evitare che i titoli costituiti in garanzia restino immobilizzati.
Nel pegno di crediti, al creditore spetta il ius exigendi, cioè il diritto di riscuotere, alla sua scadenza, il credito su cui era stato costituito il pegno, oltre agli interessi maturati medio tempore: in tal caso il creditore è anche obbligato nei confronti del debitore alla riscossione delle somme dovute, perché il costituente perde la legittimazione a far valere il credito e il creditore pignoratizio è l’unico soggetto nelle cui mani la prestazione che costituisce oggetto di pegno può essere adempiuta. La costituzione di un pegno su un credito si perfeziona con un contratto in forma scritta; la costituzione deve essere notificata al debitore o da questi accettata con atto scritto avente data certa. Ai fini del perfezionamento non è necessaria la consegna dell’eventuale documento probatorio del credito costituito in pegno, consegna cui tuttavia il costituente obbligato. Una volta riscosso il credito costituito in pegno, qualora il suo credito sia già esigibile, il creditore pignoratizio potrà trattenere le somme riscosse nella misura necessaria all’integrale soddisfacimento delle proprie ragioni, restituendo al debitore la differenza residua. Se, invece, il credito costituito in pegno ha ad oggetto cose diverse dal denaro, il creditore può farle vendere o chiederne l’assegnazione.
Quanto alle eccezioni opponibili dal debitore del credito dato in pegno al creditore pignoratizio, il debitore può opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al proprio creditore. Nel caso di compensazione, se i presupposti di essa si verificano dopo la costituzione del pegno, il debitore non potrà opporre la relativa eccezione, ma potrà opporla se tali presupposti si erano verificati al momento della costituzione del pegno, tranne che il debitore abbia accettato il pegno senza riserve.

L’ipoteca


L’ipoteca è un diritto reale di garanzia, in quanto attribuisce al creditore il diritto di soddisfarsi sul ricavato della vendita della cosa in via preferenziale, salvo che non vi siano creditori assistiti da privilegio speciale (diritto di prelazione) ed è opponibile anche al terzo acquirente (diritto di seguito).
L’ipoteca può avere ad oggetto solo beni immobili e i beni mobili registrati (navi, aeromobili e autoveicoli). Quanto agli immobili, l’ipoteca può gravare sul diritto di proprietà, sui diritti di usufrutto, enfiteusi e superficie. Sono capaci di ipoteche anche le rendite dello Stato.
L’ipoteca sorge solo con la sua iscrizione nei registri immobiliari, che realizzano una forma di pubblicità costitutiva. L’iscrizione è possibile solo sulla base di un titolo idoneo, che investe il creditore del diritto potestativo di procedere all’iscrizione del vincolo. Il codice, in base al titolo, prevede 3 tipi di costituzione dell’ipoteca: volontaria, legale o giudiziale. Nell’ipoteca volontaria il titolo è un contratto o un negozio unilaterale, che devono rivestire, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. L’ipoteca, dunque, può avere titolo solo in un atto inter vivos: è espressamente prescritto che essa non possa costituirsi sulla base di un testamento, sebbene il testatore possa porre a carico dell’erede, per il tramite di un legato o di un modus, l’obbligo di costituire un’ipoteca a favore di un terzo, perché in tal caso il titolo dell’ipoteca sarà l’atto inter vivos posto in essere dall’erede.
L’ipoteca è legale quando il diritto di procedere all’iscrizione venga attribuito al creditore dalla legge in relazione al verificarsi di una delle fattispecie previste dall’art. 2817. In particolare, l’alienante gode (ha diritto di iscrivere) di un’ipoteca legale sul bene alienato, a garanzia delle obbligazioni assunte nei suoi confronti dall’acquirente (ad es. garanzia dell’obbligo gravante sul compratore di corrispondere il prezzo convenuto). La seconda ipotesi di ipoteca legale ricorre in materia di comunione (ordinaria ed ereditaria): se uno dei condividenti risulta obbligato al pagamento di un conguaglio, gli altri, a garanzia di questo credito, possono iscrivere ipoteca sull’immobile assegnato in sede di divisione al soggetto obbligato. Infine, lo Stato vanta un’ipoteca legale sui beni della persona imputata di un reato a garanzia del pagamento delle spese processuali.
L’ipoteca giudiziale si ha in caso di sentenza che contempli una condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, o all’adempimento di un’obbligazione avente altro oggetto.
2 connotati essenziali dell’ipoteca sono la specialità e la indivisibilità. La specialità comporta che l’ipoteca abbia ad oggetto beni specificamente individuati: l’atto di costituzione nel caso di ipoteca volontaria deve fornire tutti gli estremi per l’identificazione catastale dell’immobile sul quale il vincolo potrà essere iscritto; la costituzione dovrà aver luogo per ognuno dei beni su cui si intende costituire la garanzia, specificando l’importo massimo garantito, ossia il limite dell’importo entro cui il creditore ipotecario potrà far valere il proprio diritto di prelazione sul ricavato della vendita forzata dell’immobile. Tale importo, denominato montante ipotecario, non necessariamente coincide con l’ammontare del debito garantito: ad es. è prassi che le ipoteche volontarie vengano costituite per montanti maggiori rispetto al debito, al fine di garantire anche il pagamento degli interessi e delle spese.
Indivisibilità significa che se a garanzia di un debito di 100.000 euro viene iscritta ipoteca su 2 diversi immobili del debitore, essa graverà per l’intero su ciascuno di essi e nel caso di divisione di uno di essi graverà su ciascuna delle parti risultanti dal frazionamento. Ciò implica che l’eventualità che il valore dei beni ipotecati superi l’ammontare del credito garantito, per cui il codice attribuisce al debitore la facoltà di promuovere una domanda giudiziale diretta ad ottenere la riduzione dell’ipoteca, secondo 2 modalità alternative: 1) attraverso la riduzione del montante per cui è stata iscritta l’ipoteca; 2) restringendo l’ipoteca soltanto ad alcuni beni sui quali essa è stata iscritta. Secondo la giurisprudenza non incorre in responsabilità aquiliana il creditore che iscriva ipoteca sui beni il cui valore complessivo ecceda di gran lunga l’importo del credito garantito. Una responsabilità del creditore ex art. 96 c.p.c. solo nel caso in cui egli resista con male fede o colpa grave nel giudizio per la riduzione delle ipoteche proposto dal debitore. La Cassazione ha ammesso la possibilità di richiedere la riduzione dell’ipoteca anche nel caso in cui alcuni beni gravati siano stati alienati a terzi che conoscevano l’esistenza della garanzia reale.
L’ipoteca può essere concessa anche su un bene altrui o su un bene futuro: in tal caso il titolo negoziale sarà immediatamente valido, ma potrà procedersi all’iscrizione solo quando il concedente acquisterà la proprietà del bene o quando il bene verrà ad esistenza. E’ difficile ipotizzare casi di ipoteca su beni futuri. L’ipoteca potrà costituirsi su fabbricati da costruire o in corso di costruzione, ma dal codice risulta che si può subito procedere all’iscrizione dell’ipoteca sul terreno, destinata ad estendersi, secondo lo schema dell’accensione, al fabbricato. Un es. potrebbe essere quello del titolare di un diritto di superficie che, prima ancora di realizzare la costruzione (della quale acquisterà la proprietà superficiaria), conceda ad un terzo un’ipoteca su cosa futura, fermo restando che il superficiario conserva pur sempre la possibilità di costituire l’ipoteca anche sul diritto di superficie, ipoteca immediatamente suscettibile di iscrizione.
Su un bene possono essere costituite più ipoteche a garanzia di più crediti. L’eventuale conflitto tra creditori è risolto in base al criterio dell’ordine temporale con cui le ipoteche sono state iscritte: l’ipoteca, si dice, prende grado dal momento della sua iscrizione e il creditore che vanti un’ipoteca di grado successivo potrà rivalersi sul ricavato della vendita del bene (prima dei creditori chirografari, ma) dopo che sia stato soddisfatto il creditore di un’ipoteca di grado poziore.
Il momento dell’iscrizione è determinante anche quando il credito cui la garanzia accede non sia ancora sorto (l’art. 2852 consente di iscrivere ipoteca a garanzia di un credito sospensivamente condizionato o a garanzia di crediti che potrebbero nascere in virtù di un rapporto già esistente). In tali casi, l’ipoteca potrà essere iscritta, ma acquisterà efficacia solo al momento del sorgere del credito. In caso contrario rivestirà carattere meramente cartolare.
Il codice all’art. 2856 disciplina la surrogazione del creditore perdente stabilendo che << il creditore che ha ipoteca su uno o più immobili, qualora si trovi perdente perché sul loro prezzo si è in tutto o in parte soddisfatto un creditore anteriore, la cui ipoteca si estendeva a tali beni, dello stesso debitore, può surrogarsi nell’ipoteca iscritta a favore del creditore soddisfatto, al fine di esercitare l’azione ipotecaria su questi altri beni con preferenza rispetto ai creditori posteriori alla propria iscrizione. Lo stesso diritto spetta ai creditori perdenti in seguito alla suddetta surrogazione>>. Esempio: Tizio e Caio sono creditori di Mevio. Il credito di Tizio è garantito da un’ipoteca di 1° grado sugli immobili Alfa e Beta. Caio vanta un’ipoteca di 2° grado sull’immobile Alfa. Tizio sceglie di aggredire il bene Alfa, ottenendo l’integrale soddisfacimento del suo credito e senza che nulla residui per gli altri creditori, danneggiando Caio. In tal caso Caio può surrogarsi nell’ipoteca di Tizio sull’immobile Beta con preferenza rispetto agli altri creditori.
Con riferimento all’ipoteca concessa sulla cosa comune da 1 dei comproprietari, occorre chiarire che il comproprietario può disporre e costituire ipoteca solo sulla propria quota; pertanto l’ipoteca concessa sull’intero bene comune è assimilabile all’ipoteca su un bene altrui e soggiace alla medesima disciplina. Il problema di questa fattispecie deriva dall’impossibilità di iscrivere l’ipoteca sulla quota, perché la regola della specialità impone la dettagliata individuazione del bene su cui il vincolo viene costituito. Per questo motivo si dovrà procedere alla iscrizione dell’ipoteca su una parte dei beni in comunione corrispondente alla quota del concedente. Tuttavia, si può verificare che in sede di divisione al concedente vengano assegnati beni o porzioni di beni diversi da quelli su cui l’ipoteca è stata iscritta. L’art. 2825, al fine di risolvere tale problema, stabilisce che l’ipoteca costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla comunione produce effetto rispetto ai beni che gli verranno assegnati in sede di divisione. In pratica, si verifica un anomalo trasferimento dell’ipoteca dai beni su cui è stata iscritta ai beni assegnati al concedente. A tal fine il creditore ha l’onere di procedere entro 90 giorni dalla trascrizione della divisione ad una nuova iscrizione d’ipoteca, questa volta, però, sui beni di cui il debitore risulta esclusivo proprietario in seguito alla divisione. In tal caso, il grado di questa nuova iscrizione sarà quello derivante dall’originaria iscrizione, che finisce per rivestire una funzione prenotativa. Non sono, invece, pregiudicate dall’effetto prenotativo dell’ipoteca concessa da singolo comunista sulla propria quota le ipoteche iscritte contro tutti i comproprietari e l’ipoteca legale riconosciuta a garanzia del pagamento dei conguagli previsti in sede di divisione.
L’ipoteca decade decorsi 20 anni dalla sua iscrizione, salvo che il creditore provveda a rinnovarla prima della scadenza di questo termine. Il creditore che ometta la rinnovazione conserva il diritto a iscrivere una nuova ipoteca sul bene, che però prenderà grado successivo rispetto alle ipoteche iscritte medio tempore. Inoltre, egli soccomberà di fronte al terzo che, medio tempore, abbia acquistato il bene e trascritto l’acquisto. La mancata rinnovazione è, dunque, causa di estinzione dell’ipoteca come diritto reale di garanzia, ma non investe il titolo ad essa sotteso, sulla base del quale, appunto, potrà sempre procedersi ad una nuova iscrizione. Tra le cause di estinzione occorre distinguere quelle che investono direttamente il diritto di ipoteca (cancellazione dell’iscrizione, mancata rinnovazione, rinunzia da parte del creditore) da quelle che investono il rapporto obbligatorio cui la garanzia accede (adempimento dell’obbligazione, prescrizione del diritto di credito). La cancellazione si esegue con un’annotazione a margine dell’iscrizione, previa presentazione al conservatore dei registri immobiliari della sentenza che ordini la cancellazione o dell’atto negoziale del tutto simmetrico quanto ai requisiti di forma e sostanza all’atto di concessione dell’ipoteca. Mentre le altre cause di estinzione privano di contenuto l’iscrizione ipotecaria, ma la lasciano sopravvivere sotto il profilo formale, con la cancellazione anche questo aspetto viene meno. Ciò ha delle conseguenze: si pensi al fatto che creditore rinunzi all’ipoteca e che la rinunzia venga annullata, se l’ipoteca è stata cancellata il creditore potrà solo iscrivere una nuova ipoteca, che prenderà grado dalla data in cui viene compiuta; se, invece, non è stata cancellata l’annullamento della rinunzia comporta la reviviscenza degli effetti dell’originaria iscrizione.
Un’altra causa di estinzione è la prescrizione che investe direttamente il rapporto di garanzia (diversa dalla prescrizione del diritto di credito garantito): tale prescrizione opera solo a favore del terzo acquirente del bene ipotecato decorsi 20 anni dalla trascrizione del suo acquisto, salvo che si siano verificati atti interruttivi o cause di sospensione. Terzo acquirente è colui che, avendo trascritto l’acquisto dopo l’iscrizione dell’ipoteca, è tenuto a subire l’espropriazione forzata promossa dal creditore ipotecario. Egli può evitare l’espropriazione pagando tutti i crediti su di esso iscritti. Il terzo può altresì evitare l’espropriazione attraverso il rilascio del bene ai creditori, che si esegue con una dichiarazione depositata presso la cancelleria del Tribunale entro 10 giorni successivi al pignoramento. Con il rilascio il terzo non dismette la proprietà del bene, tanto che, venduto il bene e soddisfatto il creditore, ove residui una parte del ricavato questa competerà a lui. Il rilascio consente al terzo di essere estromesso dal processo esecutivo, che prosegue nei confronti di un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale e a cui va consegnato il bene. Il terzo può, inoltre, evitare l’espropriazione con la c.d. purgazione delle ipoteche: la legge prevede che il terzo notifichi a tutti i creditori iscritti un atto con cui si offre di pagare loro una somma pari al prezzo corrisposto per l’acquisto del bene o, se l’acquisto è avvenuto a titolo gratuito o senza determinazione di un prezzo (ad es. permuta), pari al valore che il terzo stesso dichiara imputabile al bene. Da questo momento ciascun creditore dispone di 40 giorni per chiedere, con ricorso al Tribunale, che si proceda all’esecuzione forzata del bene secondo le regole dell’espropriazione immobiliare. Con il ricorso, il creditore deve indicare anche il prezzo al quale egli si obbliga ad acquistare l’immobile in sede di vendita forzata che deve essere superiore di 1/10 rispetto alla somma offerta dal terzo. Il ricorso proposto da uno dei creditori iscritti preclude la purgazione delle ipoteche e ciò al fine di evitare che il terzo liberi il bene dalle ipoteche, pagando un importo inferiore a quello che si confida possa essere ricavato dalla vendita forzata. Se nessuno dei creditori iscritti propone ricorso il terzo, depositando la somma offerta nei modi e nei termini stabiliti dal c.p.c., consegue la liberazione del bene dalle ipoteche. In caso contrario, si procede alla vendita dell’immobile a cui, peraltro, potrà partecipare anche il terzo. Ove il bene venga aggiudicato al terzo, il decreto di trasferimento non costituisce titolo di acquisto della proprietà perché il terzo è già proprietario, ma rileva ai soli fini della liberazione del terzo. In questa ipotesi al terzo è attribuito un diritto di regresso contro il suo dante causa in una misura pari alla differenza tra il prezzo illo tempore pagato e il maggiore importo per il quale l’aggiudicazione ha avuto luogo.
Il terzo che subisca l’aggressione del creditore ipotecario ha ragione di indennità verso il suo autore, anche quando abbia acquistato a titolo gratuito. Inoltre, il codice prevede il subingresso del terzo nelle ipoteche iscritte sugli altri beni del debitore a garanzia del credito soddisfatto, cioè del bene al quale era vincolato il bene acquistato dal terzo, salvo il caso in cui tali beni siano stati acquistati da terzi in forza di atti trascritti prima che il terzo avesse trascritto il suo.
Per terzo si intende anche chi abbia acquistato un diritto di superficie e di enfiteusi su un bene gravato da ipoteca. La disciplina enunciata non può essere invocata da colui che abbia acquistato sul bene ipotecato un diritto di servitù, usufrutto o abitazione: il titolare, estinto il diritto con l’espropriazione del bene, potrà solo rivalersi sul ricavato della vendita forzata nei limiti dell’obbligazione risarcitoria che egli vanti nei confronti del suo dante causa, con preferenza rispetto ai creditori che abbiano iscritto ipoteca dopo la trascrizione del suo acquisto.
La persona del debitore può non coincidere con quella del proprietario del bene ipotecato anche quando l’ipoteca sia stata concessa da un terzo a garanzia di un debito altrui (terzo datore di ipoteca). Anche il terzo datore, come il terzo acquirente, rischia di subire l’espropriazione del bene, ma egli ha solo la possibilità di sottrarsi a tale evenienza pagando integralmente tutti i crediti iscritti. Egli non gode del beneficio della preventiva escussione del debitore, salvo il caso in cui questo sia convenuto. Ovviamente pagati i crediti iscritti potrà agire in via di regresso nei confronti del debitore e nei confronti dei fideiussori del debitore e degli altri datori di ipoteca, ripetendo per ciascuno la relativa porzione e potrà avvalersi del subingresso alle ipoteche iscritte su altri beni del debitore a garanzia del credito soddisfatto secondo lo schema previsto a tutela del terzo acquirente del bene ipotecato.

 

Fideiussione e garanzie personali. Strumenti di tutela stragiudiziale del creditore contro l’inadempimento


Il creditore può rafforzare la propria posizione attraverso il ricorso a garanzie personali come: la fideiussione, la lettera di patronage, il contratto autonomo di garanzia. Esse, a differenza delle cause di prelazione, non gli attribuiscono il diritto di soddisfarsi in via preferenziale sui beni del debitore, ma gli consentono di rivolgersi ai fini dell’adempimento dell’obbligazione ad un soggetto ulteriore rispetto al debitore originario. La fideiussione è un contratto con cui un soggetto (fideiussore) garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui, impegnandosi personalmente nei confronti del creditore. Ciò significa che, ove il debitore sia inadempiente, il creditore potrà agire nei confronti del fideiussore soddisfacendosi sul suo patrimonio. L’obbligazione fideiussoria è accessoria rispetto a quella principale, sicché la fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale, non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore o essere prestata a condizioni più onerose e il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni inerenti al rapporto principale.
L’accessorietà serve a distinguere la fideiussione dal contratto autonomo di garanzia che si ha quando il soggetto garante (istituto di credito o di assicurazione) è tenuto ad eseguire la prestazione anche quando il rapporto principale è invalido.
La fideiussione può essere prestata per obbligazioni condizionate o future (fideiussione omnibus), a patto che in tale ultimo caso sia previsto l’importo massimo garantito.
Fideiussore e debitore principale sono tenuti in solido, ma le parti possono convenire il beneficio di escussione a favore del fideiussore, che ove voglia avvalersi di esso al momento della richiesta di adempimento deve indicare i beni del debitore di cui il creditore potrà soddisfarsi.
Il fideiussore che abbia pagato è surrogato nei diritti del creditore ed ha azione di regresso nei confronti del debitore.
Altri strumenti a tutela del creditore sono la decadenza dal beneficio del termine collegata alla sopravvenuta insolvenza del debitore e il diritto di ritenzione con cui il creditore si può rifiutare di restituire la cosa al debitore sino a quando egli non abbia saldato il suo debito (es. il carrozziere che non riconsegna la macchina al legittimo proprietario sino a quando questi non provveda a saldare il suo debito). Se sulla cosa ritenuta il creditore ha anche un privilegio, il diritto di ritenzione è opponibile anche al terzo, ad es. all’acquirente della macchina ancora trattenuta in carrozzeria.


 

 

 

»»»»»» »»»»» »»»»»» »»»»» 


Informazioni generali sul sito