Cassazione civile, sez. III 31 luglio 2015, n. 16276 - Pres. Chiarini - Est. Rossetti.

Il pubblico impiegato che abbia adottato o concorso alla formazione, nell'esercizio delle proprie funzioni, di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento, non ostandovi il disposto del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, il quale, interpretato in modo costituzionalmente orientato, non esclude la responsabilità del pubblico dipendente per lesione di interessi legittimi.

 

Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 31 luglio 2015, n. 16276

Presidente: Chiarini - Estensore: Rossetti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Salvatore D. nel 2003 convenne dinanzi al Tribunale di Perugia la Gestione Liquidatoria della ULSS "Valle Umbra Sud" e Orfeo C., esponendo che:

- nel 1993 l'Università di Perugia e la USL "Valle Umbra" avevano stipulato una convenzione, in virtù della quale la seconda si impegnava a mettere a disposizione della prima proprie strutture per l'attività didattica e terapeutica, e la prima avrebbe messo a disposizione il personale necessario per la gestione di quelle strutture;

- nell'ambito di tale convenzione, l'Università aveva designato Salvatore D. quale dirigente del reparto di oculistica dell'ospedale di Foligno;

- l'amministratore straordinario della USL, Orfeo C., aveva ritenuto di non tenere conto della designazione compiuta dall'Università, e bandire per quella carica un pubblico concorso, esigendo dai candidati requisiti non posseduti da Salvatore D.;

- a causa dei restrittivi requisiti richiesti dal bando, Salvatore D. non poté conseguire l'incarico di direttore del reparto di oculistica;

- la condotta dell'amministratore della USL era sottesa dal deliberato proposito di escludere Salvatore D. dall'incarico dirigenziale, perché "non gradito" alla USL.

Chiese pertanto la condanna dei convenuti in solido al risarcimento del danno patito in conseguenza della mancata nomina dirigenziale.

2. Orfeo C. si costituì eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; negando la propria responsabilità e in subordine invocando la responsabilità esclusiva dell'Università, che provvedeva a chiamare in causa.

3. Anche la USL "Valle Umbra" si costituì, contestò la giurisdizione del giudice ordinario; negò in subordine la propria responsabilità, e in subordine chiese di essere manlevata dall'Università di Perugia ovvero dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la società Generali s.p.a., che provvide a chiamare in causa.

4. Si costituirono altresì i due enti chiamati in causa (Università di Perugia e Generali s.p.a.), ciascuno negando sia la fondatezza della domanda principale, sia di quella di garanzia.

5. Il Tribunale di Perugia con sentenza 5 giugno 2007 dichiarò il proprio difetto di giurisdizione.

6. La Corte d'appello di Perugia, adìta dal soccombente, con sentenza 27 luglio 2011 confermò il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta da Salvatore D. nei confronti della Gestione Liquidatoria, mentre la ammise rispetto alla domanda proposta nei confronti di Orfeo C.

Nel merito, tuttavia, la Corte d'appello rigettò la domanda attorea, sul presupposto che il pregiudizio lamentato dall'attore consisteva nella lesione d'un interesse legittimo, e che di tale danno i pubblici impiegati non possano essere chiamati a rispondere.

7. La sentenza d'appello venne impugnata per cassazione dagli eredi di Salvatore D., deceduto nelle more del giudizio (Marco D., Claudia D., Maria Pia A.), sulla base di due motivi illustrati da memoria.

Hanno resistito con controricorso la Gestione Liquidatoria, la Generali e l'Università di Perugia.

8. Prospettando il primo motivo di ricorso una questione di giurisdizione, il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno ritenuto infondato il suddetto motivo con sentenza 19 gennaio 2015, n. 739, e rimesso la causa a questa Sezione per l'esame del secondo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. La tempestività del ricorso per cassazione, sebbene compiuta dopo la scadenza del termine di legge, è stata già affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella pronuncia sulla questione di giurisdizione, e non è più in discussione nella presente fase.

Hanno osservato le Sezioni Unite, in particolare, che è ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui quando la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l'onere di chiedere all'ufficiale giudiziario la c.d. "ripresa del procedimento notificatorio" e, ai fini del rispetto del termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l'esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso.

Tale conclusione è imposta dal principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale per rinnovare una notificazione comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio (ex multis, Sez. lav., sent. n. 20830 dell'11 settembre 2013, Rv. 627938; Sez. lav., sent. n. 21154 del 13 ottobre 2010, Rv. 615083; e soprattutto Sez. un., sent. n. 17352 del 24 luglio 2009, Rv. 609264; Sez. 5, sent. n. 6547 del 12 marzo 2008, Rv. 602726).

1.2. Ancora in via preliminare deve rilevarsi come, per effetto della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, l'oggetto del presente giudizio sia venuto a ridursi alla domanda proposta dagli eredi di Salvatore D. contro l'erede di Orfeo C.

Sono invece ormai escluse dal thema decidendum:

(a) la domanda di risarcimento del danno proposta dall'originario attore nei confronti della USL Valle Umbra, per la quale è stato definitivamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

(b) la domanda di manleva proposta da Orfeo C. nei confronti della Università di Perugia, anche per la quale è stato definitivamente dichiarato dalla Corte d'appello il difetto di giurisdizione del giudice ordinario (p. 4, ove si afferma il difetto di giurisdizione nei confronti "degli enti pubblici" convenuti in giudizio), con statuizione confermata dalle Sezioni Unite di questa Corte (p. 6 della sentenza 739/2015, ove si afferma che la questione di giurisdizione riguarda "la domanda nei confronti della USL e dell'università");

(c) la domanda di manleva proposta dalla USL nei confronti della Generali s.p.a., che resta assorbita dalla pronuncia di difetto di giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla pretesa avanzata nei confronti della USL.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.

Si assumono violati gli artt. 2043 c.c.; 23 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; 58 della l. 8 giugno 1990, n. 142.

Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che un pubblico dipendente non possa essere chiamato a rispondere del danno causato a terzi nell'esercizio dell'attività d'ufficio, e consistito nella lesione d'un interesse legittimo.

2.2. Il motivo è fondato.

La Corte d'appello di Perugia ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti di Orfeo C. (ed ora, per lui, del suo erede) con la seguente motivazione:

(a) il danneggiato, lamentando la mancata assegnazione di un incarico dirigenziale, ha prospettato la lesione d'un interesse legittimo;

(b) il pubblico impiegato che nell'esercizio delle sue funzioni causi a terzi un danno ne risponde, ma solo a condizione che tale danno sia consistito nella lesione d'un diritto;

(c) ergo, il pubblico impiegato non risponde dei danni provocati da atti amministrativi da lui adottati nell'esercizio delle sue funzioni, e lesivi soltanto d'un interesse legittimo.

Questa motivazione è erronea.

2.3. Il "danno ingiusto" di cui all'art. 2043 c.c. può consistere tanto nella lesione d'un diritto soggettivo assoluto, quanto nella lesione d'un diritto soggettivo relativo; quanto, infine, nella lesione d'un interesse legittimo come pure d'ogni altra situazione giuridica soggettiva "presa in considerazione dall'ordinamento" (così la fondamentale decisione pronunciata da Sez. un., sent. n. 500 del 22 luglio 1999, Rv. 530553).

Vero è che la lesione d'un interesse legittimo non può derivare che da una condotta della pubblica amministrazione, giacché solo a fronte dei poteri autoritativi di cui questa è titolare può concepirsi quella situazione giuridica soggettiva; ma è altresì vero che in tema di responsabilità aquiliana vige la regola dell'equivalenza delle condotte di cui all'art. 2055 c.c.: pertanto, se la P.A. con un proprio provvedimento viola un interesse legittimo, a provocare tale danno concorre anche il funzionario che quel provvedimento adotta ovvero non ostacola.

2.4. A queste conclusioni non osta il disposto dell'art. 23 d.P.R. 3/1957, cit. (il quale stabilisce che "è danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave").

Questa norma, infatti, fu promulgata in un'epoca in cui non si dubitava della irrisarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo (ex permultis, Sez. un., sent. n. 1950 del 25 giugno 1953, Rv. 880278).

Oggi il quadro normativo e giurisprudenziale è radicalmente mutato.

È mutato il quadro normativo, perché la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi è espressamente prevista dalla legge (art. 7, comma 4, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

È mutato il quadro giurisprudenziale, perché sin dal 1999 le Sezioni Unite di questa Corte hanno ammesso la risarcibilità del danno da lesione d'interessi legittimi (Cass. 500/1999, cit.).

Il mutato quadro normativo e giurisprudenziale, che accorda a chiunque il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, impone una lettura aggiornata e costituzionalmente orientata dell'art. 23 d.P.R. 3/1957, in virtù della quale l'espressione "violazione dei diritti dei terzi" deve intendersi quale sinonimo di "violazione degli interessi protetti dei terzi".

Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra chi ha visto vulnerare dall'amministrazione un proprio diritto, e chi ha visto vulnerare un proprio interesse: al primo, infatti, sarebbe accordata sia l'azione contro l'impiegato, sia l'azione contro la P.A.; al secondo invece sarebbe concessa solo l'azione nei confronti della P.A. E questo esito interpretativo si porrebbe in palese contrasto con l'art. 24 Cost., a norma del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

2.5. Le considerazioni che precedono sono già state implicitamente condivise da questa Corte in due occasioni.

Una prima volta con la sentenza pronunciata da Sez. 3, sent. n. 17914 del 25 novembre 2003, Rv. 568434, la quale, in un giudizio avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi proposta contro il pubblico impiegato, ha affermato che la responsabilità dei pubblici impiegati per i danni causati al cittadino in conseguenza di provvedimenti adottati nell'esercizio della proprie funzioni presuppone che il provvedimento sia stato adottato "in lesione di una situazione di interesse protetto" (e dunque non soltanto nel caso di lesione di diritti).

Una seconda volta con la sentenza pronunciata da Sez. un., sent. n. 5123 del 26 maggio 1994, Rv. 486773, la quale, sia pure pronunciandosi solo sulla giurisdizione, ha ritenuto comunque ammissibile una domanda di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo proposta direttamente nei confronti d'un pubblico impiegato.

Queste decisioni, oltre che le modifiche normative sopra ricordate, devono quindi fare ritenere abbandonato il diverso e più remoto orientamento espresso da Sez. un., sent. n. 3357 del 18 marzo 1992, Rv. 476329, secondo cui la condotta del pubblico impiegato lesiva d'un interesse legittimo "non possa costituire causa di danno risarcibile" ai sensi dell'art. 23 d.P.R. 3/1957.

In quella decisione, infatti, l'inammissibilità della domanda venne fondata unicamente sull'assunto che "la violazione dell'interesse legittimo non costituisce un danno risarcibile": sicché, venuto questo meno quest'ultimo principio, è caduta di conseguenza anche l'interpretazione restrittiva dell'art. 23 d.P.R. 3/1957, fatta propria dalla sentenza impugnata.

2.6. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia in diversa composizione, la quale nel riesaminare l'appello si atterrà al seguente principio di diritto:

Il pubblico impiegato che abbia adottato o concorso alla formazione, nell'esercizio delle proprie funzioni, di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento, non ostandovi il disposto dell'art. 23 d.P.R. n. 3 del 1957, il quale, interpretato in modo costituzionalmente orientato, non esclude la responsabilità del pubblico dipendente per lesione di interessi legittimi.

3. Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 385, comma 3, c.p.c.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:

- accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Perugia in diversa composizione;

- rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.