Riparto di giurisdizione sui diritti fondamentali

La categoria dei "diritti non affievolibili" è stata tradizionalmente elaborata in giurisprudenza con lo scopo di garantire una tutela "piena" a quelle particolari situazioni soggettive che, ricevendo un riconoscimento a livello costituzionale, "dovrebbero" risultare immuni da ogni tentativo di compressione da parte del potere pubblico.

Il punto di partenza di questo percorso è rappresentato dalla pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite del 9 marzo 1979, n. 1436, che ha inaugurato un trend giurisprudenziale votato all'individuazione di diritti soggettivi assoluti che, per la loro particolare rilevanza (diritti fondamentali), non sono soggetti a "degradazione": si tratta di diritti connotati da inviolabilità assoluta o per la loro natura di situazione giuridica personalissima (es. diritto al nome, diritto all'integrità personale), o per il loro rango costituzionale (diritto alla salute, diritto all'integrità ambientale). Tali diritti sono insuscettibili di qualsiasi compressione da parte dell'amministrazione ed il contrasto tra diritto assoluto e provvedimento amministrativo si traduce nella declaratoria della nullità di quest'ultimo in costanza di un difetto assoluto di attribuzione.

La giurisdizione, in tali fattispecie, rimane radicata in capo al giudice ordinario, in ossequio al tradizionale criterio di riparto che poggia sulla natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio: al giudice ordinario spetta la cognizione delle controversie che hanno a oggetto i diritti soggettivi, mentre al giudice amministrativo spetta la cognizione delle controversie riguardanti gli interessi legittimi (art. 103 Cost.).

Tale teoria viene ripresa e confermata in numerose sentenze.

In particolare le Sezioni Unite con la sentenza n. 2092 del 20 febbraio 1992 affermano che: “ il diritto leso, nella vicenda concreta, diritto denominato "alla salute" ma meglio definibile "di salute", cioè il diritto di star bene, "fondamentale" per natura costituzionale e dalla tutela completa (artt. 2 e 32, primo comma, della Costituzione della Repubblica), è esso sovrastante all'Amministrazione, di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo ma neanche di pregiudicarlo nel fatto, indirettamente. È un diritto "primario" ed "assoluto" dell'individuo, nei cui riguardi l'Amministrazione, spoglia delle prerogative pubblicistiche, non soltanto non ha potere ablatorio ma può essere passibile di provvedimento inibitorio da parte del giudice naturale dei diritti. Nei confronti, e anche soltanto per i riflessi di quel diritto, non sono configurabili opzioni di scelte amministrative, quelle che solo il giudice amministrativo può sindacare. Verso di esso l'Amministrazione non ha facoltà di scelta; deve assoluto, incondizionato rispetto. Quando trasgredisca siffatto dovere, allora essa, come si suol dire, "agisce nel fatto", abbia o meno emessi apparenti provvedimenti. (...) "Agisce nel fatto" perché, non essendo giuridicamente configurabile un suo potere in materia, essa, per il diritto, "non provvede", esplica comunque e soltanto attività materiale illecita. Nella ipotesi, dunque, non vi sono, giuridicamente, provvedimenti amministrativi da revocare o da modificare ma semplicemente si tratta di emettere condanna a un fare, di segno opposto al fatto lesivo del diritto di salute dell'individuo e tale pronuncia compete al giudice ordinario.”

In alcune pronunce i giudici di legittimità hanno risolto la problematica valorizzando due differenti componenti del diritto alla salute: una componente oppositiva (da intendersi come diritto all’intangibilità della propria sfera psico–fisica) del tutto inaffievolibile e quindi devoluta alla giurisdizione ordinaria, ed una componente pretensiva, la quale, consistendo nel diritto ad ottenere le dovute prestazioni sanitarie dallo Stato, deve essere contemperata con la disponibilità di risorse pubbliche, ed è per tale ragione che in questa ipotesi la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo.

Con la celebre sentenza della Corte Costituzionale del 6 luglio 2004, n. 204 però il tradizionale criterio di riparto viene riletto ed integrato attraverso la formulazione del principio per cui viene considerato elemento fondamentale della giurisdizione amministrativa l’esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere pubblico autoritativo.

Nel momento in cui si assume che il presupposto fondamentale ed indefettibile, affinché possa radicarsi la giurisdizione del giudice amministrativo, è l’esercizio da parte dell’autorità amministrativa di una potestà pubblicistica, non è più sufficiente valutare la natura della posizione giuridica vantata dal soggetto al fine di individuare il giudice a cui devolvere la controversia, ma diventa necessario chiedersi se, ed entro quali limiti, sia possibile esercitare un potere pubblico a fronte dei diritti primari dell’individuo.

Facendo seguito alle affermazioni della Corte Costituzionale e modificando radicalmente rotta rispetto alla giurisprudenza fino a quel momento prevalente, il Consiglio di Stato ha affermato che rispetto a situazioni di interesse che sono in relazione con diritti fondamentali della persona, non si può e non si deve escludere a priori la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

In merito, il Cons. Stato, Sez. VI, con sentenza n. 556 del 13 febbraio 2006, affermava che: “Quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo.(...) Va osservato, inoltre, che la concezione dei diritti "perfetti" o "non degradabili" è stata elaborata per riconoscere ulteriori possibilità di tutela per il cittadino, non certo per escludere forme di tutela preesistenti. Di conseguenza da tale concezione non si può desumere alcuna riduzione della legittimazione a ricorrere avanti al giudice amministrativo.”

 

A partire dal 2007 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno pertanto mutato orientamento, riprendendo i principi espressi dalla Corte Costituzionale, sostenendo che anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento espressione di poteri autoritativi della P.A., compete ai giudici amministrativi la cognizione esclusiva delle relative controversie e circa la sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o la limitazione dei suddetti diritti in rapporto all'interesse generale pubblico.

Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 27187 del 2007: «Le controversie relative alla installazione delle discariche di rifiuti spettano all'esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo in quanto questioni afferenti la gestione del territorio nell'interesse dell'intera collettività nazionale, anche qualora sia denunciata una lesione ai diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.), accertando la sussistenza in concreto dei diritti vantati e provvedendo in ordine al contemperamento o alla limitazione dei suddetti diritti in rapporto all'interesse generale pubblico all'ambiente salubre».

 

Anche la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 140/2007 ha espressamente ritenuto conciliabile la giurisdizione esclusiva del G.A. con la tutela dei diritti fondamentali.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di occuparsi, anche recentemnte, della questione relativa al riparto di giurisdizione in materia di diritti fondamentali.

 

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - SENTENZA 2 settembre 2014, n.4460

1. La dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse presuppone che, per eventi successivi alla instaurazione del giudizio, debba essere esclusa l'utilità dell'atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l'inutilità di una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato.

2. Sussiste la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo su una controversia avente ad oggetto il rifiuto dell'amministrazione rispetto alla richiesta di prestazione sanitaria avanzata dal privato, rifiuto opposto mediante l'esercizio di un potere autoritativo e all'esito di un procedimento iniziatosi ad istanza di parte.

3. La teoria dei diritti incomprimibili non solo presuppone l'ormai obsoleta teoria della degradazione, che non è in grado di descrivere appropriatamente la dinamica delle situazioni giuridiche soggettive nel confronto con il pubblico potere, ma non risponde più nemmeno al tradizionale criterio che regola il riparto della giurisdizione e, cioè, il petitum sostanziale e la natura sostanziale della situazione giuridica soggettiva lesa, criterio che, a suo volta, necessita di essere letto e compreso alla luce delle coordinate interpretative delineate dalla Corte costituzionale.

4. La "consistenza" della situazione giuridica soggettiva, che radica, a seconda dei casi, la giurisdizione del g.o. o del g.a., non può essere aprioristicamente affermata sulla base dell'astratto suo contenuto od oggetto – la salute o l'ambiente – ma deve essere apprezzata, in concreto e nella mutevole dinamica del rapporto con l'amministrazione, rispetto all'esercizio, seppur in forma mediata, del pubblico potere.

5. L'esercizio del pubblico potere non "degrada" la situazione giuridica soggettiva del privato, con una sorta di capitis deminutio, così come, per converso, la "forza" della situazione giuridica soggettiva non annulla l'esercizio del potere. Il nucleo sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva lesa, diritto soggettivo o interesse legittimo, resta il medesimo, sul piano dell'ordinamento generale, e non può essere inciso dall'esercizio del potere, se lo stesso ordinamento non riconosce all'Amministrazione, per un superiore fine pubblico, la potestà di conformarlo.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - ORDINANZA 28 maggio 2015, n.11131

1. Il provvedimento di sospensione di diritto dalla carica di sindaco, di cui all'art. 11, d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, incide sul diritto di elettorato passivo, sicché le relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

2. Nella configurazione legislativa dell'istituto della sospensione, previsto dall'art. 11, d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, non è attribuita alla P.A. alcuna discrezionalità in ordine all'adozione del provvedimento di sospensione; la sospensione opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore; al Prefetto non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine all'adozione del provvedimento di sospensione e non è consentito di modularne la decorrenza o la durata sulla base della ponderazione di concorrenti interessi pubblici.

3. La sospensione è assimilabile, per continenza, alle suddette questioni di ineleggibilità, incandidabilità, decadenza. Inoltre, la mera circostanza della temporaneità degli effetti della causa che impedisce di rivestire la carica in nessun modo è idonea a far rifluire la situazione giuridica di diritto soggettivo ad una posizione di interesse legittimo, così da radicare la giurisdizione al g.a.

4. La sospensione si differenzia rispetto alla decadenza soltanto perché a tempo determinato e non a tempo indeterminato e, poiché il più contiene il meno, anche la controversia che questa concerne spetta alla cognizione del g.o., appunto perché attiene ad una posizione giuridica di diritto soggettivo, tutelato dall'art. 51 Cost., perfetto e non degradabile in interesse legittimo.

 

CORTE CASSAZIONE, SEZIONI UNITE CIVILI SENTENZA 25 novembre 2014, n. 25011

1. La natura fondamentale del diritto all'istruzione del disabile non è di per sé sufficiente a ritenere devolute le controversie che ad esso si riferiscono alla giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale. Per un verso, infatti, occorre considerare la presenza nell'ordinamento di una norma - l'art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c), - che, in continuità con l'abrogato d.lgs. n. 80 del 1998, art. 33 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi (...) relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo. Per l'altro verso, e più in generale, la categoria dei diritti fondamentali non delimita un'area impenetrabile all'intervento di pubblici poteri autoritativi: questi sono sempre più spesso chiamati, non solo all'assolvimento dei compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, ma anche ad offrire ad essi una tutela sistemica, nel bilanciamento con le esigenze di funzionalità del servizio pubblico e tenendo conto, ai fini del soddisfacimento dell'interesse generale, del limite delle risorse disponibili secondo le scelte allocative compiute dagli organi competenti.

2. Una volta che il piano educativo individualizzato, elaborato con il concorso determinante di insegnanti della scuola di accoglienza e di operatori della sanità pubblica, abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell'alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l'amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per i servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l'assegnazione, in favore dell'alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo - se del caso, là dove la specifica situazione di disabilità del bambino richieda interventi di sostegno continuativi e più intensi - all'attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni, per rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dell'alunno disabile all'istruzione, all'integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini. L'omissione o le insufficienze nell'apprestamento, da parte dell'amministrazione scolastica, di quella attività doverosa si risolvono in una sostanziale contrazione del diritto fondamentale del disabile all'attivazione, in suo favore, di un intervento corrispondente alle specifiche esigenze rilevate, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico.

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In sede legislativa, risultando quale ratio ispiratrice dell'abrogata l. n. 675/1996 (ora confluita nel d.lgs. n. 196/2003) in tema di protezione dei dati personali, della l. n. 230/1998 in tema di obiezione di coscienza, nonché del d. lgs. n. 286/1998 in tema di disciplina dell'immigrazione: in relazione a questi casi, si osserva che, essendo stato riconosciuto al giudice ordinario il potere di annullare gli eventuali provvedimenti amministrativi illegittimi, non è stata introdotta un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario (come invece ritiene una parte minoritaria della dottrina), ma è stata più semplicemente riconosciuta l'esistenza di aree nelle quali il diritto soggettivo del singolo non subisce compressioni a causa dell'intervento del potere amministrativo.