REPUIIIª Sezione giurisdizionale centrale d'appello
sent. n. 241 del 16/04/2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO

composta dai seguenti magistrati:
Dott. Ignazio de Marco Presidente relatore
Dott. Angelo DE MARCO Presidente aggiunto
Dott. ssa Marta TONOLO Consigliere
Dott. Bruno Marcello TRIDICO Consigliere
Dott. ssa Maria Nicoletta QUARATO Consigliere
pronuncia la seguente
SENTENZA
nel giudizio in appello iscritto al n. 40.861 del Registro di Segreteria, proposto dal sig. Antonio Noce, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Romano, elettivamente domiciliato in 00192 / Roma, presso lo studio Valenti alla via Duilio n. 130
avverso
la sentenza n. 198/2011, depositata il 24 febbraio 2011, emessa dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.
Visto l’atto d’appello;
Esaminati tutti gli altri atti e/o documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 20 marzo 2013, con l’assistenza della Segretaria sig.ra Lucia Bianco, il Presidente/relatore dott. Ignazio de Marco; l'avv. Vincenzo Romano (per il sig. Noce) nonché il P.M., nella persona del V.P.G. dott. Roberto Benedetti.
FATTO

Con atto di citazione depositato il 7 luglio 2010, la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti in Bari aveva convenuto in giudizio i signori Potenza Aldo e Noce Antonio per sentirli condannare al pagamento, in favore dell’Erario, in via solidale della somma di €. 1.023.417,69 debitamente rivalutata e aumentata degli interessi legali e delle spese di giudizio.
Il danno è connesso a fenomeni di concussione/corruzione verificatisi durante la gestione contrattuale dell’Arsenale Militare di Brindisi (nella specie, per aver percepito tangenti nell’importo di euro 367.269,90 e altre utilità, allo scopo di agevolare alcune imprese).
Nella specie, la vicenda risale a complesse indagini, fatte eseguir ad hoc, da cui emergeva che alcune imprese locali avevano costituito una forma di “cartello” - con a capo un imprenditore - che aveva intessuto illeciti rapporti con il Direttore e numerosi ufficiali dell’Arsenale al fine di aggiudicarsi appalti di lavori o di forniture.
Detti episodi portavano al rinvio a giudizio di numerosi soggetti del predetto Arsenale, tra cui il NOCE, con l’accusa di concussione, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio e abuso di ufficio; il Tribunale penale, però, con sentenza n.67/09 passata in giudicato, dichiarava non doversi procedere per alcuni reati perché estinti per intervenuta prescrizione e per diversi reati assolveva (anche il Noce) perché il fatto non sussiste.
Ad avviso della Procura Regionale, pur in assenza di una sentenza penale di condanna, sussistevano, comunque, elementi di prova che (se non vi fosse stata la prescrizione) avrebbero condotto alla condanna; pertanto, ha convenuto in giudizio il NOCE (e altro) contestando, tra l’altro, il danno da disservizio.
La Corte territoriale, respinte alcune eccezioni preliminari (violazione del principio di ne bis in idem, nullità/ inammissibilità/ improcedibilità dell’atto di citazione in riferimento all’art. 17, comma 30 ter della legge n. 102/2009 e dichiarazione di manifesta infondatezza della q.l.c. di detta norma), ha condannato - tra gli altri - il NOCE al pagamento di euro 15.000,00 (oltre rivalutazione, interessi e spese), determinati in via equitativa ex art. 1226 c.c, per danno da disservizio consistente nell’inutile dispendio di ulteriori attività, da parte dell’Amministrazione militare, per effetto degli illeciti dal medesimo commessi.
Con tempestivo appello, il sig. Noce ha rappresentato che :
a) non è stato tenuto conto dei suoi concreti ed effettivi comportamenti (rispetto all’altro condannato) limitati “a liquidare gli importi dovuti alle varie imprese appaltatrici sulla base di verifiche, controlli e quantificazioni operate dai competenti uffici all’uopo preposti (pag. 4) ;
b) non è stato dimostrato il (preteso) disservizio (che avrebbe) arrecato (sicché è da mandare assolto, come da giurisprudenza della Cassazione e di questa Corte) mancando in atti una specifica e precisa notizia del danno a lui attribuibile e/o dei principi di buona amministrazione che sarebbero stati violati e mancando una sentenza irrevocabile di condanna in sede penale. Per converso, il Giudice territoriale non ha tenuto conto degli elementi di prova forniti dal convenuto, a sua difesa;
b) in altra occasione, è stato assolto dalla stessa Sezione territoriale (con la sentenza n. 488/2010) per liquidazione di lavori;
c) tenuto conto della giurisprudenza contabile in materia, è da escludere il disservizio poiché “l’eventuale e presunta dazione di denaro elergita in favore del NOCE da parte di alcuni imprenditori, non solo non ha arrecato alcun danno, né diretto né indiretto, alle casse dell’Amministrazione, ma non ha neanche recato nocumento alla produttività ed alla efficienza dell’Amministrazione datrice. Anzi !” (pag. 7);
d) dai processi penali innanzi al Tribunale di Brindisi risulta incontrovertibile che egli “non poteva determinare e/o influenzare né le partecipazioni e le aggiudicazioni delle gare d’appalto né, soprattutto, attestare o certificare la regolare e puntuale esecuzione delle opere appaltate e che dunque non aveva alcuna possibilità per chiedere e ottenere vantaggi (…). Al più poteva ricevere qualche regalo (….) ” come confermato dalle dichiarazioni del teste Roberto FERRARO (pagg. 8 ss.);
e) il pronto e sollecito pagamento dei creditori non configura danno all’erario, tanto più se non caratterizzato da metodi preferenziali;
f) la sentenza n. 67/09 del Tribunale penale di Brindisi (di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione) non è decisiva per affermare la colpevolezza e la responsabilità del NOCE anche perché, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., prima dell’estinzione, quel Giudice avrebbe dovuto assolverlo nel merito essendo evidente che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
Conclude per l’inammissibilità/improcedibilità del procedimento, per la nullità/inammissibilità/improcedibilità dell’atto di citazione; per il rigetto nel merito della domanda risarcitoria; in subordine, per la riduzione del quantum debeatur.
La Procura Generale, con proprie conclusioni pervenute il 22 febbraio 2013, ha insistito nel merito per la responsabilità del NOCE desumendola dalle risultanze processuali penali; la percezione delle tangenti ha, infatti, alterato o intaccato l’obiettività e neutralità delle funzioni assegnate al medesimo il quale ha utilizzato per fini diversi il potere attribuitogli nella liquidazione dei pagamenti a favore delle imprese. Ha evidenziato la palese infondatezza dell’appello e chiesto la conferma della gravata sentenza.
Nella pubblica udienza odierna, l’avv. ROMANO ha rappresentato sia l’insussistenza del danno da disservizio – avendo il Noce provveduto ai pagamenti in maniera tempestiva e senza preferenze – sia la mancanza di responsabilità del proprio assistito non essendo configurabile la condotta illecita del medesimo. Evidenziata la presunzione d’innocenza del medesimo, ha escluso il nesso causale e l’elemento soggettivo e ha rilevato l’inidoneità della sentenza penale a fare stato nel processo contabile poiché, dalla stessa, non si desumono elementi decisivi per affermare la colpevolezza o la responsabilità dell’appellante.
Il P.M. ha ribadito la corruzione (confermata dalla prescrizione) e richiamato i motivi a sostegno del rigetto dell’appello, palesemente infondato, come da conclusioni in atti.
DIRITTO
1. Premette la Sezione che i motivi di appello del sig. Noce - cui occorre dare risposta, in base al fondamentale principio del chiesto/pronunciato (art. 112 c.p.c.) - sono sinteticamente i seguenti: a) non è stato dimostrato il (preteso) disservizio arrecato, mancando in atti una specifica e precisa notizia sia del danno a lui attribuibile sia dei principi di buona amministrazione (che sarebbero stati) violati. Il pronto e sollecito pagamento dei creditori non configura danno all’erario, tanto più se non caratterizzato da metodi preferenziali; b) è, comunque, da escludere il disservizio stesso poiché la (eventuale e presunta) elargizione di denaro, da parte di alcuni imprenditori, non solo non ha arrecato alcun danno, diretto o indiretto, all’Amministrazione ma neppure nocumento alla produttività e all’efficienza della stessa; c) la sentenza n. 67/09 del Tribunale penale di Brindisi (di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione) non è decisiva per affermare la colpevolezza e la responsabilità.
2. Questi argomenti meritano, in linea di massima, adesione.
2.1 - In materia di prova vale rammentare, anzitutto, la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui spetta al Procuratore regionale “(…) l’onere di fornire la prova della esistenza di tutti gli elementi della responsabilità amministrativa attraverso il diretto conseguimento della certezza di un fatto ovvero attraverso indizi e principi di prova che il giudice dovrà verificare” (cfr. ex multis, tra le più recenti: Sez. II giur.le c.le d’appello, sentt. n. 14 del 10.01.2013 e n. 126 del 1°.3.2012; Sez. III giur.le c.le d’appello, sentt. n. 838 del 28.12.2012, n. 508 del 10.7.2012 e n. 364 del 18.05. 2012; Sez. Appello Sicilia, sentt. n. 173 del 6.6.2012, n. 112 del 28.3.2012 e n. 249 del 3.12.2003, ecc.). E’, infatti, generalissimo e indefettibile principio del nostro ordinamento giuridico (art. 2697 c.c.; art. 115 c.p.p.) - di derivazione romanistica - che l’onere della prova spetta all’attore (incumbit ei qui dicit) sicché, tranne gli sporadici casi in cui eccezionalmente è ammessa la c.d. “inversione”, egli è tenuto a fornire al Giudice tutti gli elementi (legali, documentali, testimoniali, logici, fattuali, storici, dell’esperienza, ecc.) sui quali fonda la propria pretesa. Tanto più questo principio assume validità nell’ambito processuale se, come nella specie, si tratta di peculiari ed innovative figure di danno erariale (ad esempio: da disservizio, all’immagine, da perdita di chance, ecc.) che si discostano dai tradizionali parametri civilistici.
Aggiungasi, inoltre, che il metodo presuntivo (tra cui gli indizi ex art. 192, comma 2 c.p.p.) - di per sé non utile né sufficiente - può avere ingresso solo quando sia in grado di offrire presunzioni gravi, precise e concordanti ragion per cui, in difetto, non può ritenersi provato il pregiudizio subito dall' Amministrazione (arg. ex Sez. App. Sicilia, sent. 22.4.2004, n. 66 e Sez. III giur. c.le d’appello, sent. 9.3.2004, n. 176).
2.2 - Nella specie, il Procuratore regionale ha contestato al convenuto/ appellante sig. NOCE una condotta, connotata da dolo, causativa di danno erariale sub specie del c.d. danno da disservizio “consistente nell’inutile dispendio di ulteriori attività da parte dell’Amministrazione, per effetto degli illeciti commessi” (pag. 33 dell’atto di citazione). Ha individuato, in particolare, anche un danno da “disservizio da pubbliche funzioni” che si risolve in una “mancata connessione tra il potere esercitato ed il fine istituzionale attribuito ad esso ordinamento, ossia nel danno che si viene inevitabilmente a concretizzare per l’ amministrazione quando il pubblico agente abbia posto in essere una condotta criminosa e l’attività di questi sia stata svolta senza utilità per l’ordinamento” (v. pag. 34 dell’atto stesso).
E ha specificato, ancora, che quando l’attività “sia stata svolta senza utilità per l’ordinamento, si viene inevitabilmente a concretizzare un danno per l’Amministrazione stessa da liquidarsi equitativamente ex art. 1226 c.c. (…)” (sempre alla pag. 34 della citazione).
2.3 – Ritiene il Collegio che il pur apprezzabile sforzo del Requirente di pervenire - come innanzi riportato - a questa singolare tipologia di danno non è sorretto, però, né da concreta dimostrazione dell’effettiva sussistenza di esso né dalla relativa, adeguata, specifica e puntuale prova al riguardo.
2.3.1 - Una cosa, infatti, è prendere le mosse dalla relazione del Nucleo Polizia Tributaria di Brindisi della Guardia di Finanza - corpo preposto specificamente ad indagini circa l’emersione di fattispecie aventi riflessi dannosi per il pubblico erario – che, nella specie, in dipendenza dell’indebita percezione di somme di denaro, ipotizza il possibile danno (diretto, da disservizio e all’immagine) dell’Ente Militare; altra cosa è l’effettiva, concreta e specifica dimostrazione del pregiudizio erariale conseguentemente causato all’Amministrazione.
2.3.2 - Sul punto la sentenza - nel condividere l’impostazione della Procura regionale - riconosce comunque il danno da disservizio e afferma (pag. 34) che esso “(…) con caratteri di certezza, si concretizza, tra l’altro, tutte le volte in cui il pubblico agente, nell’esercizio delle sue funzioni, antepone motivazioni di carattere personale al soddisfacimento degli interessi di cui è portatore l’Ente pubblico cui appartiene. In tali casi il servizio offerto dalla Pubblica Amministrazione risulta inevitabilmente alterato perché influenzato da scelte non scevre da condizionamenti esterni come, invece, dovrebbero essere quelle dei pubblici dipendenti in osservanza dei precetti costituzionali che impongono agli stessi di essere al servizio esclusivo della Nazione (art. 98) e ancora, di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore (art. 54)”.
2.3.3 - Questo ragionamento non può, tuttavia, essere accettato.
Ancorché dalle risultanze del processo penale, conclusosi con la sentenza n. 67/2009 del Tribunale di Brindisi, sia agevole desumere la ricezione di somme di denaro e/o regali offerti da imprenditori privati, per ottenere sia l’affidamento dei lavori presso l’Arsenale Militare di Brindisi (da parte del Potenza) sia la tempestiva liquidazione degli stessi (da parte del Noce) - e di ciò fanno piena prova le dichiarazioni rese dai medesimi nell’ambito del procedimento penale (ed acquisite nel fascicolo dibattimentale) nonché dai testimoni escussi in tale sede - non può ritenersi, con altrettanta certezza, che la pubblica funzione esercitata (in particolare) dal NOCE, presso l’Arsenale in questione, sia stata, per così dire, “turbata” oppure condizionata dalla percezione delle menzionate “elargizioni” e abbia, conseguentemente, prodotto all’Amministrazione Militare l’ipotizzato danno da disservizio di pubbliche funzioni. E’ ben vero - come si legge in più “passi” della motivazione dell’appellata sentenza - che il medesimo era solito rappresentare ai fornitori/creditori che avrebbe potuto accelerare oppure ritardare l’iter delle pratiche di liquidazione ovvero, addirittura, non liquidare le somme loro spettanti (per le forniture e le opere realizzate) se non previa corresponsione di somme in danaro o, comunque, donazioni di vario genere. Tali illeciti atteggiamenti (suoi e degli altri soggetti responsabili, a vario livello, dell’Arsenale) attengono, però, ad avviso del Collegio, esclusivamente a profili di natura penale e non configurano ex se il pretestato danno erariale che – com’è stato esattamente affermato – va riferito a fattispecie di inesecuzione dei compiti di servizio gravanti sul presunto responsabile tanto che “(…) dalla mera commissione di delitti contro la Pubblica Amm.ne non può farsi discendere automaticamente, come conseguenza necessaria e prova sufficiente, il danno da disservizio” (Corte dei conti, Sezione 1^ giur. c.le d’appello, sent. n. 185 del 31/05/2005).
2.3.4 - Il Noce, al riguardo, ha dedotto che la (eventuale e presunta) dazione di denaro a suo favore non avrebbe recato nocumento alla produttività ed efficienza dell’Amministrazione posto che, dalle deposizioni testimoniali acquisite nelle fasi dibattimentali del giudizio penale, emergerebbe che egli, in concreto, non solo non alterava l’ordine di evasione delle pratiche ma provvedeva alla sollecita trattazione di tutte quelle affidategli.
E su ciò non vi è motivo per non credere e/o per dubitare - sicché la prospettata minaccia dei ritardi dei pagamenti è rimasta, per così dire, “lettera morta” - anche perché non solo non c’è stata, come innanzi rilevato (v. sub 2.2, ss.), adeguata prova contraria da parte del P.R. ma neppure è fondatamente sostenibile l’equazione: percezione di danaro/regali (tangenti) = disservizio per l’Amministrazione.
2.4 - Non può dirsi, dunque, che i delitti (concussione, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, abuso di ufficio, ecc.) - per i quali il NOCE e altri dipendenti furono rinviati a giudizio - abbiano ex se pregiudicato sic et simpliciter, in termini di efficienza ed efficacia, lo svolgimento della funzione pubblica e, tanto meno, la posizione di neutralità e imparzialità del medesimo (e, in sostanza, dell’Ente pubblico) nei confronti dei privati fornitori/creditori. Pur ammesso che, percependo tangenti, il NOCE avesse inteso “favorire” alcuni creditori non può certo negarsi che, con altrettanta contemporanea sollecitudine, abbia dato luogo al pagamento degli altrui mandati senza creare, pertanto, disfunzioni a causa di marcate priorità per alcuni ed evidenti ritardi per gli altri. L’azione amministrativa a lui facente capo è stata, sostanzialmente, ordinata e regolare e, a ben considerare, la (ipotizzata) indotta tempestività ha giovato a tutti i creditori aventi diritto, in maniera indiscriminata, senza provocare quel danno da disservizio contestato dal P.R. e, poi, quasi naturalmente recepito nella gravata sentenza.
2.4.1 - Allo stato degli atti è, dunque, da escludere che, nella fattispecie in esame, “(…) si sia verificata, quanto meno, una non completa coincidenza tra potere esercitato e fine istituzionale ad esso attribuito dall’ordinamento, fonte di inevitabile disservizio da censurare” (pagg. 36 e 37 della sentenza).
Il danno da disservizio, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è stato individuato nel pregiudizio per il servizio (Sez. III Giur. c.le d’appello, sent. n. 114 del 04/02/2011) o nel disservizio risentito dall'ente (Sez. I Giur. c.le d’appello, sent. n. 49 del 10/02/2004) o nell'aggravio delle spese (Sez. I Giur. c.le d’appello, sent. n. 491 del 21/07/2009) e deve essere provato in giudizio dal P.M. contabile (Sez. III Giur. c.le d’appello, sent. n. 176 del 09/03/2004).
Circostanze, in verità, non presenti nella vicenda in esame.
Sintomatica, per completezza, è la quantificazione di detto danno fatta solo ed esclusivamente in base all’art. 1226 c.c. - nell’impossibilità di rinvenire un pertinente e più consono parametro per l’addebito - mancando, appunto, l’esatta determinazione e la relativa prova del pregiudizio subito dall’Amministrazione.
3. In conclusione: il Collegio non ignora l’illiceità dei poco commendevoli comportamenti che ex se ripugnano alla coscienza collettiva e perciò sono stati perseguiti nella competente sede penale, con il ben noto esito assolutorio finale in rito; allo stato degli atti, però, non essendo stato dimostrato il danno erariale e il nesso causale tra condotta ed evento, la sentenza di primo grado è da riformare e il sig. Antonio NOCE deve essere assolto.
Al medesimo vanno liquidate le spese legali come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione III Giurisdizionale centrale d’appello, definitivamente pronunciando, assolve il signor Antonio NOCE.
Liquida le spese legali nella misura di complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per entrambi i gradi del giudizio.
Roma, Camera di consiglio del 20 marzo 2013.