DELIBERAZIONE n.1/2015/PAR - Corte conti Molise.

La possibilità per l'ente locale di stipulare un negozio di comodato ad uso gratuito avente ad oggetto un bene immobile facente parte del proprio patrimonio disponibile rappresenta una scelta che, non essendo sindacabile dalla Sezione che non può ingerirsi nelle concrete scelte amministrative dell'Amministrazione, risulta rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell'ente. Ad ogni modo, il Comune, oltre a dover considerare le possibili conseguenze di un tale atto gestionale, nei provvedimenti in concreto adottati dovrà dare conto, con una chiara ed esaustiva motivazione, delle finalità di interesse pubblico, unitamente alla compatibilità finanziaria dell'intera operazione posta in essere.
Dovrà, pertanto, trovare applicazione la disciplina generale dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici contenuta nell’art. 12 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che, sotto la rubrica “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, stabilisce che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi” e che “l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.
La deroga al principio generale di redditività del bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni, da accertare in concreto.

 

Visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione;

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con Regio Decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni;
Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
Vista la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004; Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;
Vista la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in particolare l’art. 7, comma 8;
Visto l’atto d’indirizzo della Sezione delle Autonomie del 27 aprile 2004, avente ad oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva, come integrato e modificato dalla deliberazione della medesima Sezione del 4 giugno 2009, n. 9;
Vista la deliberazione della Sezione delle Autonomie del 17 febbraio 2006, n. 5;

Vista la deliberazione delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 54/CONTR/10 del 17 novembre 2010;
Vista la nota del 24 novembre 2014, registrata al protocollo di questa Sezione n. 2506 del 24 novembre 2014, con la quale il Sindaco del Comune di Casacalenda ha avanzato richiesta di parere;

Vista l’ordinanza n.1/PRES/2015 del 13 gennaio u.s. di convocazione della Sezione per l’odierna seduta per deliberare sulla suddetta richiesta;
Udito il relatore, Ref. Alessandro Verrico;

Oggetto del parere

Il Sindaco del Comune di Casacalenda ha trasmesso una richiesta di parere nella quale si chiede di conoscere “se sia legittimo e conforme alle regole di contabilità pubblica che un Comune affidi in comodato d’uso gratuito ad una Cooperativa sociale ONLUS un immobile appartenente al patrimonio disponibile del Comune per finalità di interesse pubblico, individuabile segnatamente nella necessità di ospitare presso tale immobile una struttura ad alta intensità terapeutico socio-riabilitativa (CRP), gestita dalla medesima cooperativa in regime di accreditamento istituzionale con il servizio sanitario regionale, addossando ad essa tutti gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria”.

PREMESSO

La funzione consultiva delle Sezioni regionali si inserisce nel quadro delle competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.

Deve essere dunque innanzi tutto esaminata la circostanza se la richiesta proveniente dal Comune di Casacalenda rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della legge 6 giugno 2003, n. 131. In virtù di tale norma Regioni, Province e Comuni possono rivolgere a dette Sezioni richieste di pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

A tal proposito, va osservato che diverse sezioni regionali, in più occasioni, hanno avuto modo di precisare che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità dell’attività amministrativa.

Ne consegue che i pareri, al pari delle altre forme di collaborazione, si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo loro, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, di operare scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, senza che ciò implichi alcuna forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno (si veda, per tutte, la deliberazione della Sezione di Controllo della Lombardia n. 36/2009).

Va infatti precisato che i pareri resi dalle Sezioni di controllo attengono sempre a profili di carattere generale anche se, ovviamente, le richieste provenienti dagli enti pubblici sono motivate, prevalentemente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione a situazioni contingenti. L'esame e le analisi svolte nei pareri, tuttavia, si devono limitare all’individuazione dell’interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell'ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente, competendo sempre a quest'ultimo, ovviamente, la decisione in ordine alle modalità applicative delle norme interpretate in relazione alla specifica situazione che ha originato il quesito.

Pertanto, in riferimento a quanto richiesto dal Sindaco del Comune di Casacalenda, si deve osservare quanto segue.

In via preliminare va verificata la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di ammissibilità della richiesta di parere.

Con particolare riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva, per l'attivazione di questa particolare forma di collaborazione, nel caso del Comune si ritiene per consolidato orientamento che il Sindaco sia l’organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere, in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L. Pertanto, nel quesito formulato dal Comune di Casacalenda, il presupposto soggettivo sussiste.

Sotto il profilo oggettivo, i pareri sono previsti, dalla Legge n. 131 del 2003, esclusivamente nella materia della contabilità pubblica.

L’ambito oggettivo di tale locuzione, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Autonomie nel citato atto di indirizzo del 27 aprile 2004, nonché nella deliberazione n. 5/2006, deve ritenersi riferito “alle normative e ai relativi atti applicativi che disciplinano in generale l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione della spesa, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli”.

Le Sezioni riunite in sede di controllo, nell’esercizio della funzione di orientamento generale assegnata dall’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno fornito ulteriori chiarimenti (cfr. del. n. 54/2010, emessa nell’esercizio della funzione di orientamento generale ex art. 17, comma 31 D.L. n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009), evidenziando che, in una visione dinamica della contabilità pubblica - che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri - talune materie, estranee, nel loro nucleo originario, alla contabilità pubblica, possono ritenersi ad essa riconducibili per effetto della particolare considerazione loro riservata dal legislatore nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica. Si è precisato, infatti, che la funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo nei confronti degli Enti territoriali deve svolgersi anche riguardo a quesiti che siano connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica, e in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio. La funzione consultiva, poi, non può rivolgersi a quesiti che implichino valutazioni di comportamenti amministrativi oggetto d’iniziative giudiziarie, proprie della Procura della stessa Corte dei conti, né può avere ad oggetto condotte suscettibili di essere sottoposte all’esame di organi della giurisdizione ordinaria, contabile o tributaria, al fine di evitare che i pareri prefigurino soluzioni non conciliabili con successive pronunce giurisdizionali (Cfr. Sez. Contr. Piemonte n. 408/2013/PAR).

Infine, possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei conti le sole richieste di parere volte a ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di carattere generale.

Tanto premesso, il quesito oggetto della richiesta di parere del Comune di Casacalenda, che verte sulla richiesta di indicazione della concreta scelta gestionale da effettuarsi da parte dell’Ente nel caso specifico prospettato, oltre a non potersi ritenere afferente ad un quesito generale ed astratto, come sopra chiarito, in materia contabile, è al contrario – evidentemente - rivolto ad ottenere da parte della Corte delle indicazioni specifiche destinate a ripercuotersi sull’attività gestionale concreta, non potendo un eventuale parere non avere implicazioni sulle concrete scelte gestionali che l’Ente si troverà ad operare nell’ambito de quo e che, come tali, sono rimesse all’esclusivo prudente apprezzamento dell’Ente stesso: ne consegue la sua inammissibilità sotto il profilo oggettivo. Il quesito, infatti, non investe una questione di rilevanza generale, ma richiede alla Sezione di esprimere una valutazione che attiene ad una attività gestionale dell’Ente. In proposito, si richiama il principio per cui le richieste di parere devono avere rilevanza generale e non possono essere funzionali all’adozione di specifici atti gestionali, onde salvaguardare l’autonomia decisionale dell’Amministrazione e la posizione di terzietà, nonché di indipendenza, della Corte: è potere-dovere dell’Ente, in quanto rientrante nell’ambito della sua discrezionalità amministrativa, adottare le scelte concrete  sulla gestione amministrativo-finanziario-contabile, con le correlative opportune cautele e valutazioni che la sana gestione richiede.

Ad ogni modo, la Sezione ritiene opportuno delineare in questa sede i principi generali che, in parte già espressi da questa Corte, potranno essere presi in considerazione dall’ente nell’adozione del provvedimento gestionale oggetto della richiesta di parere.

In particolare si ricorda che la giurisprudenza contabile ha già avuto modo di precisare che, all’interno dell’ordinamento generale o nella disciplina di settore degli enti territoriali, non sussiste uno specifico divieto normativo per la concessione in uso gratuito di beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente locale. E ciò in quanto i beni patrimoniali disponibili, appartenendo all’Ente pubblico uti privatorum, non hanno una specifica destinazione o, comunque, un’utilità pubblica e vengono pertanto assoggettati, in linea di principio, alla disciplina privatistica.

Tuttavia, occorre altresì considerare che la concessione in uso gratuito di un bene immobile, facente parte del patrimonio disponibile di un ente locale, costituisce atto di per sé idoneo a determinare un’attribuzione di “vantaggio economico” in favore di un soggetto di diritto privato, nonostante sia previsto, come nel caso di specie, l’accollo in capo ad esso degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria. Dovrà, pertanto, trovare applicazione la disciplina generale dei provvedimenti attributivi di vantaggi economici contenuta nell’art. 12 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che, sotto la rubrica “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, stabilisce che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi” e che “l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.

In secondo luogo, occorre altresì considerare che l’indirizzo politico legislativo degli ultimi anni riconosce alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico una valorizzazione ordinariamente finalizzata all'utilizzo dei beni secondo criteri privatistici di redditività e di convenienza economica, il che finisce per rappresentare una delle forme di attuazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.), del quale l’economicità della gestione amministrativa costituisce il più significativo corollario (art. 1, legge n. 241/1990 e ss.ii.mm.).

Tuttavia, considerando che gli enti locali non devono perseguire, costantemente e necessariamente, un risultato esclusivamente economico in senso stretto nell'utilizzazione dei beni patrimoniali, ma, in quanto enti a fini generali, devono comunque curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità amministrata, in linea generale sono ammesse deroghe (come sarebbe per l’ipotesi del comodato ad uso gratuito), ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello che viene raggiunto mediante lo sfruttamento economico dei beni.

L’ente locale pertanto, oltre a dover rispettare le proprie norme regolamentari e i principi generali dettati dalla l. n. 241/90, è tenuto non solo ad indicare “le finalità pubblicistiche che intende perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì deve altresì verificare che l’utilità sociale perseguita rientri nelle finalità a cui è deputato l’ente locale medesimo” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 672/2010/PAR). In particolare, “la concessione in comodato di beni di proprietà dell’ente locale è da ritenersi ammissibile nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcun scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 172/2014/PAR).

A tal ultimo riguardo, si evidenzia inoltre che la Sezione regionale di controllo per il Veneto (deliberazione n. 716/2012/PAR, in linea di continuità con quanto già affermato dalla Sezione Lombardia - cfr., in particolare, deliberazione n. 349/2011/PAR e precedenti ivi richiamati) ha precisato che la deroga al principio generale di redditività del bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni. A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione. [...] La Sezione precisa, inoltre, che, oltre all'accertamento in concreto dell’assenza di uno scopo di lucro dell’associazione di interesse collettivo, ai fini di un corretta gestione del bene pubblico di cui si intende disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un bene, appartenente al patrimonio comunale, deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché nel rispetto delle norme regolamentari dell’ente locale”.

Inoltre, con specifico riferimento al caso de quo, occorre precisare che la particolare qualità di ente accreditato istituzionale, rivestita dalla cooperativa sociale ONLUS possibile destinataria dell’atto gestionale, deve portare l’ente, ove ricorra al comodato d’uso gratuito, a porre particolare attenzione al fine di evitare l’eventuale concretizzarsi di una indebita duplicazione di vantaggi in favore della beneficiaria stessa. Invero, l'accreditamento istituzionale della cooperativa, ai sensi dell’art. 17 della l.r. n. 18/2008, sull’intero immobile per una struttura ad alta intensità terapeutico socio- riabilitativa, del quale il Comune istante fa espressa menzione nella richiesta di parere, potrebbe comportare in favore di essa l’assegnazione di contributi da parte della Regione per l'erogazione del servizio specifico; contributi probabilmente quantificati anche in ragione degli oneri derivanti dall'uso dell’immobile, i quali, pertanto, troverebbero una idonea e sufficiente “copertura”.

Ebbene, nell’adozione dell’atto prospettato occorrerà considerare che una tale eventualità potrebbe concretamente determinare il configurarsi di forme di indebito arricchimento in favore della cooperativa, la quale verrebbe a percepire la detta contribuzione e, al contempo, in virtù del comodato d’uso gratuito, disporrebbe già dell’intero immobile in assenza di proprie controprestazioni onerose (non potendo valere a tal fine l’accollo della manutenzione ordinaria e straordinaria).

In conclusione, la possibilità per l’ente locale di stipulare un negozio di comodato ad uso gratuito avente ad oggetto un bene immobile facente parte del proprio patrimonio disponibile rappresenta una scelta che, non essendo sindacabile dalla Sezione che non può ingerirsi nelle concrete scelte amministrative dell’Amministrazione, risulta rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente. Ad ogni modo, il Comune, oltre a dover considerare le possibili conseguenze di un tale atto gestionale, nei provvedimenti in concreto adottati dovrà dare conto, con una chiara ed

esaustiva motivazione, delle finalità di interesse pubblico, unitamente alla compatibilità finanziaria dell’intera operazione posta in essere.

La Sezione

P.Q.M.

ritiene che la questione sollevata attraverso il quesito proposto dal Comune di Casacalenda sia inammissibile sotto il profilo oggettivo.
Dispone che della presente delibera sia data comunicazione all’Ente proponente.
Così deliberato in Campobasso nella camera di consiglio del 15 gennaio 2015.


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