Copyright © 2010 Amministrazione e contabilità pubblica - dott. Forgione Gianluca

 L’esame preliminare del ricorso

1. Iscrizione del ricorso nel registro generale e formazione del fascicolo d’ufficio

La segreteria della commissione tributaria, dopo la costituzione in giudizio delle parti, iscrive il ricorso nel registro generale (R.G.R) e forma il fascicolo d'ufficio del processo, inserendovi:

-         il fascicolo del ricorrente, con gli atti e i documenti prodotti;

-         il fascicolo del resistente, con gli atti e i documenti prodotti;

-         i verbali di udienza,  le ordinanze,  i decreti e copia delle sentenze. 

I fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo. Le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio. Tale richiesta a seguito del D.P.R. n.115/2002, il cui art. 299 ha abrogato parzialmente l’art. 25 c.2 D.Lgs. 546/92, non è più subordinata al pagamento dei diritti di copia previsti dal D.M. finanze n. 6539/1996.

2. Trasmissione del fascicolo d’ufficio al Presidente della commissione tributaria

La segreteria,  dopo aver formato il fascicolo d'ufficio,  sottopone lo stesso al presidente della  Commissione (art. 25 u.c. D.Lgs. 546/1992)  perchè  provveda all'assegnazione del ricorso. 

3. Assegnazione del ricorso ad una delle sezioni.

Il presidente della commissione tributaria assegna il ricorso ad una delle sezioni (art. 26 del D.Lgs. 546/1992), e per ragioni  di  economia  organizzativa ha la facoltà di assegnare alla stessa sezione le controversie concernenti  identiche  questioni  di diritto  a carattere ripetitivo (trattandosi qui di controversie che sebbene di identico contenuto sono processualmente indipendenti).

4. Riunione dei ricorsi

Il Presidente della Sezione può  valutare  l'opportunità  di  riunione  dei  ricorsi  per  la trattazione congiunta laddove:

a)      siano  fra loro connessi, cioè sono proposti dal medesimo ricorrente nei confronti dei medesimi soggetti (connessione soggettiva) oppure presentano oggetto, titolo o questioni affini (connessione oggettiva);

b)      oppure, abbiano ad oggetto identiche ragioni giuridiche.

Viene quindi proposta nel processo tributario la disciplina prevista dagli artt. 273 e 274 c.p.c..

In  tal caso il giudice dovrà emanare un’unica sentenza, a meno che non disponga la separazione dei procedimenti stessi[1].   

Se i processi pendono dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione il presidente di questa, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti  alla quale i processi devono proseguire (art. 29 del D.Lgs. 546/1992).  In linea  di  principio,  per  prevenire  il  rischio  di  conflitto  di giudicati, due sono i rimedi  previsti  dal  legislatore:  la  riunione  dei procedimenti e/o la sospensione del giudizio dipendente.  Accanto  a  queste due alternative, la prassi  giurisprudenziale  registra  il  fenomeno  della motivazione per relationem. Questa, però, è legittima soltanto nel  caso  in cui:

a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti (ed abbia, quindi,  un  concreto  ed  attuale  contenuto  precettivo);

b)  ovvero, riproduca  la   motivazione   di   riferimento,   autonomamente   ed autosufficientemente recepita e  vagliata  nel  contesto  della  motivazione condizionata (Cass. 14814/2008; 14816/2008).

La soluzione che meglio concilia tutte le diverse  esigenze  processuali (economia  dei  giudizi,  rispetto  del  diritto   al   contraddittorio   ed eliminazione del rischio di giudicati contrastanti), è quella della riunione dei procedimenti connessi (simultaneus processus), prevista e  disciplinata, per il processo tributario, dall'art. 29 del D.Lgs. 546/1992  (nel  giudizio di Cassazione si applica l'art. 274 c.p.c), che riguarda qualsiasi  tipo  di connessione (oggettiva, soggettiva, continenza, pregiudizialità).  In  forza di tale disposizione:

a)      il presidente della sezione dispone la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno "lo stesso oggetto o sono fra  loro connessi" (c. 1);

b)      il presidente della commissione tributaria, di ufficio o  su  istanza di parte o su segnalazione  dei  presidenti  delle  sezioni,  determina  con decreto la sezione davanti alla quale i processi relativi ai ricorsi  aventi lo stesso oggetto o connessi  tra  loro  devono  proseguire,  riservando  al presidente della sezione designata il compito di  provvedere  alla  riunione (c. 2).

Sulla natura dei ricorsi riuniti e sulla relativa disciplina applicabile non vi è una univoca posizione giurisprudenziale.

Da un lato, parte della giurisprudenza  di  legittimità  afferma  che  i ricorsi riuniti  dal  giudice,  benché  istruiti  e  decisi  congiuntamente, mantengono la propria autonomia. Difatti,  la  pronuncia  del  giudice,  pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna pronuncia è  impugnabile  con  il  mezzo  che  le  è proprio[2].

Altra parte, minoritaria, della giurisprudenza di  legittimità  ritiene, invece, che, una volta disposta la  riunione,  i  ricorsi  perdono  la  loro autonomia, stante l'impossibilità di configurare una duplicità di termini di impugnazione per una stessa parte[3].

Per quanto concerne la riunione delle impugnazioni, in sede di appello, tutte  le  impugnazioni  proposte  separatamente  contro  la medesima  sentenza  devono  essere  riunite,  anche  d'ufficio,  mentre  è facoltativo disporre la  riunione  nell'ipotesi  di  impugnazioni  proposte contro  diverse  sentenze  pronunciate fra le medesime  parti,  qualora sussistano  ragioni  di  unitarietà sostanziale   e processuale della controversia o se vi sia  l'eventualità di soluzioni contrastanti. Il mancato esercizio da parte del giudice di merito di questa facoltà di riunire le impugnazioni non è sindacabile in sede di legittimità[4].

5. Esame preliminare del ricorso e dichiarazione di inammissibilità

Il presidente della sezione, scaduti i termini per la costituzione in giudizio delle parti, esamina preliminarmente il ricorso (art. 27 del D.Lgs. 546/1992) ed in caso di esito positivo nomina il relatore e fissa  la trattazione della controversia (art. 30, c. 1 D.Lgs. 546/1992). Pertanto la trattazione stessa della  controversia  non  può  mai  essere fissata anteriormente al predetto termine di 60 giorni. 

L'esame preliminare corrisponde a un potere - dovere  dei  presidenti di  sezione[5]  ed  è  spettante  anche  a  quelli  delle Commissioni regionali  in  sede  di  giudizio  d'appello,  ai  sensi dell'art. 55 D.Lgs. 546/1992. 

Il presidente di Sezione, al fine di evitare la  trattazione  della causa per ragioni di economia processuale può decidere, ex art. 27 D.Lgs. 546/1992,  con decreto motivato,  soggetto a reclamo innanzi alla Commissione, le questioni relative alla:

a)      inammissibilità se manifesta, nei seguenti casi:

- difetto di giurisdizione (art. 3 D.Lgs. 546/1992);

- mancanza o assoluta incertezza di uno o più elementi da indicare nel ricorso o della sua sottoscrizione (art. 18 D.Lgs. 546/1992);

- ricorso non notificato all’Ufficio o Ente impositore;

- mancanza di sottoscrizione del ricorso (art. 18 D.Lgs. 546/1992);

- proposizione del ricorso oltre il termine previsto dall’art. 21 del D.Lgs. 546/1992;

- costituzione in giudizio del ricorrente oltre il termine previsto dall’art. 22 D.Lgs. 546/1992;

- non conformità della copia del ricorso depositato presso la segreteria della Commissione provinciale all’originale consegnato o spedito alla controparte (art. 22 D.Lgs. 546/1992);

b)      interruzione (ex art. 40 D.lgs. 546/1992), sospensione (ex art. 39 D.lgs. 546/1992),  estinzione (ex artt. da 44 a 48  D.lgs. 546/1992) del processo prima ancora che il ricorso venga messo in discussione a norma dell'art. 30. 

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso (oppure dell'appello) può essere disposta con  sentenza della Commissione tributaria, anziché con decreto del presidente del collegio, poiché l'inosservanza delle forme degli atti processuali è causa di nullità solamente se ciò è previsto dalla legge. La dichiarazione di inammissibilità disposta, con sentenza, dal collegio, anziché dal proprio presidente, non è legislativamente passibile di nullità[6].

6. Reclamo avverso il decreto

Il decreto di sospensione, interruzione o estinzione del processo è comunicato, a cura della Segreteria, alle parti costituite, affinchè possano proporre reclamo alla Sezione cui il ricorso è stato assegnato, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla loro comunicazione da parte della segreteria.

Il reclamo va notificato alle altre parti costituite con la stessa procedura prevista per il ricorso, ex art. 20 D.Lgs. 546/1992,   e successivamente va depositata presso la segreteria una copia del documento notificato nel termine perentorio di 15 giorni dall'ultima notificazione, a pena d'inammissibilità rilevabile d'ufficio.

Nei successivi 15 giorni dalla notifica del reclamo le altre parti possono presentare memorie.

Scaduto il termine per la presentazione delle memorie, il plenum della Sezione adita decide, in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, pronunciando:

-   sentenza, qualora opti per il non accoglimento del reclamo e per la conseguente conferma del decreto presidenziale con cui è stata dichiarata l’inammissibilità ovvero l’estinzione del processo. Con la sentenza, la commissione,  dichiara l'inammissibilità del ricorso o l'estinzione del processo. Contro la sentenza le parti possono proporre impugnazione in CTR oppure per motivi di legittimità in Cassazione;

-   ordinanza, allorché:

a)      ritenga non fondato il decreto presidenziale con cui è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso ovvero dichiarata l’estinzione del processo;

b)      ovvero comunque decida sulla legittimità del decreto con cui è stata dichiarata l’interruzione o la sospensione del processo.

L’ordinanza non è autonomamente impugnabile.

Relativamente  ai reclami avverso i provvedimenti del presidente, le parti non possono chiedere  la discussione in pubblica udienza,  in quanto è prevista esclusivamente la trattazione in Camera di consiglio.

 



[1] Cass. sez. trib. 19 aprile 2005  n. 21241 per la quale “laddove il giudice emetta due sentenze, quella depositata per seconda è nulla, ciò trovando conferma nella legislazione in materia: artt. 35 e 36 D.Lgs. 546/1992 ed artt. 132 e 133 c.p.c. e art. 119 disp.att. c.p.c.”

[2] Cass. sez. III 14 marzo 1988  n.  2425; Cass. sez. I 7  settembre  1991 n. 9430 per la quale “l'opportunità  e  l'esigenza processuale della riunione delle  cause  non  possono  influire  sulla  loro individualità e distinzione anche con riferimento  alle  regole  processuali applicabili a ciascuna di esse”; Cass. sez. trib. 10 settembre 2004, n. 18271 in base alla quale “in  caso  di  impugnazione  avverso  l'atto  di  applicazione dell'Ici (emanato dal Comune) e l'atto  di  classamento  catastale  (emanato dall'Ute) che costituisce il logico presupposto  dell'atto  del  comune,  si instaurano due controversie distinte, riunite  in  ragione  del  vincolo  di subordinazione  logica  esistente  fra  le  questioni,   sorge   quindi   un litisconsorzio processuale improprio, in  cui  ciascuna  delle  controversie conserva la sua autonomia. Quindi ove il giudice di primo grado  accolga  il ricorso  del  contribuente,  l'Ufficio  del  territorio  soccombente   nella controversia catastale deve proporre tempestivo appello principale;  ed  ove invece faccia valere le sue ragioni in sede di appello incidentale  entro  i 60 giorni dalla notifica dell'appello del comune, ma oltre i 60 giorni dalla notifica della sentenza, l'appello principale deve essere  qualificato  come appello principale e quindi essere dichiarato inammissibile siccome tardivo”

[3] Cass. sez. lav.  marzo 1990, n. 1783.

[4] Cass. sez. trib. 19 dicembre 2002  n. 18072 avente ad oggetto l'impugnazione di due distinte sentenze emesse nei confronti di un medesimo soggetto, e riguardanti l'una  il  merito  di  un  avviso  di  liquidazione imposta, l'altra l'inammissibilità del ricorso proposto avverso l'avviso di liquidazione  integrativo  del  precedente,  per  mancanza  dei   requisiti  prescritti dalla legge. Conforme Cass. sez. III 4 maggio 1989  n. 2065.

[5] Come affermato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze  - Dipartimento per le Politiche fiscali - con nota 17 luglio 2002 n. 66981.

[6] Cass. sez. trib.  27 novembre 2006 n. 25087. Nel caso di specie, un contribuente ricorreva in Cassazione avverso la decisione della CTR che con propria sentenza, considerava inammissibile l'appello da questi proposto per vizi dell'atto; secondo il contribuente, la dichiarazione della Commissione doveva considerarsi nulla in quanto secondo gli artt. 27 e 52, D.Lgs. n. 546/1992 l'inammissibilità del ricorso in appello deve essere presa dal Presidente del collegio con proprio decreto.

Copyright © 2010 Amministrazione e contabilità pubblica - dott. Forgione Gianluca