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L’esame preliminare del ricorso
1. Iscrizione del ricorso nel registro generale e formazione del fascicolo d’ufficio
La segreteria della commissione tributaria, dopo la costituzione in giudizio delle parti, iscrive il ricorso nel registro generale (R.G.R) e forma il fascicolo d'ufficio del processo, inserendovi:
- il fascicolo del ricorrente, con gli atti e i documenti prodotti;
- il fascicolo del resistente, con gli atti e i documenti prodotti;
- i verbali di udienza, le ordinanze, i decreti e copia delle sentenze.
I fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo. Le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio. Tale richiesta a seguito del D.P.R. n.115/2002, il cui art. 299 ha abrogato parzialmente l’art. 25 c.2 D.Lgs. 546/92, non è più subordinata al pagamento dei diritti di copia previsti dal D.M. finanze n. 6539/1996.
2. Trasmissione del fascicolo d’ufficio al Presidente della commissione tributaria
La segreteria, dopo aver formato il fascicolo d'ufficio, sottopone lo stesso al presidente della Commissione (art. 25 u.c. D.Lgs. 546/1992) perchè provveda all'assegnazione del ricorso.
3. Assegnazione del ricorso ad una delle sezioni.
Il presidente della commissione tributaria assegna il ricorso ad una delle sezioni (art. 26 del D.Lgs. 546/1992), e per ragioni di economia organizzativa ha la facoltà di assegnare alla stessa sezione le controversie concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo (trattandosi qui di controversie che sebbene di identico contenuto sono processualmente indipendenti).
4. Riunione dei ricorsi
Il Presidente della Sezione può valutare l'opportunità di riunione dei ricorsi per la trattazione congiunta laddove:
a) siano fra loro connessi, cioè sono proposti dal medesimo ricorrente nei confronti dei medesimi soggetti (connessione soggettiva) oppure presentano oggetto, titolo o questioni affini (connessione oggettiva);
b) oppure, abbiano ad oggetto identiche ragioni giuridiche.
Viene quindi proposta nel processo tributario la disciplina prevista dagli artt. 273 e 274 c.p.c..
In tal caso il giudice dovrà emanare un’unica sentenza, a meno che non disponga la separazione dei procedimenti stessi[1].
Se i processi pendono dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione il presidente di questa, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire (art. 29 del D.Lgs. 546/1992). In linea di principio, per prevenire il rischio di conflitto di giudicati, due sono i rimedi previsti dal legislatore: la riunione dei procedimenti e/o la sospensione del giudizio dipendente. Accanto a queste due alternative, la prassi giurisprudenziale registra il fenomeno della motivazione per relationem. Questa, però, è legittima soltanto nel caso in cui:
a) si riferisca ad una sentenza che abbia già valore di giudicato tra le parti (ed abbia, quindi, un concreto ed attuale contenuto precettivo);
b) ovvero, riproduca la motivazione di riferimento, autonomamente ed autosufficientemente recepita e vagliata nel contesto della motivazione condizionata (Cass. 14814/2008; 14816/2008).
La soluzione che meglio concilia tutte le diverse esigenze processuali (economia dei giudizi, rispetto del diritto al contraddittorio ed eliminazione del rischio di giudicati contrastanti), è quella della riunione dei procedimenti connessi (simultaneus processus), prevista e disciplinata, per il processo tributario, dall'art. 29 del D.Lgs. 546/1992 (nel giudizio di Cassazione si applica l'art. 274 c.p.c), che riguarda qualsiasi tipo di connessione (oggettiva, soggettiva, continenza, pregiudizialità). In forza di tale disposizione:
a) il presidente della sezione dispone la riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno "lo stesso oggetto o sono fra loro connessi" (c. 1);
b) il presidente della commissione tributaria, di ufficio o su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi relativi ai ricorsi aventi lo stesso oggetto o connessi tra loro devono proseguire, riservando al presidente della sezione designata il compito di provvedere alla riunione (c. 2).
Sulla natura dei ricorsi riuniti e sulla relativa disciplina applicabile non vi è una univoca posizione giurisprudenziale.
Da un lato, parte della giurisprudenza di legittimità afferma che i ricorsi riuniti dal giudice, benché istruiti e decisi congiuntamente, mantengono la propria autonomia. Difatti, la pronuncia del giudice, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna pronuncia è impugnabile con il mezzo che le è proprio[2].
Altra parte, minoritaria, della giurisprudenza di legittimità ritiene, invece, che, una volta disposta la riunione, i ricorsi perdono la loro autonomia, stante l'impossibilità di configurare una duplicità di termini di impugnazione per una stessa parte[3].
Per quanto concerne la riunione delle impugnazioni, in sede di appello, tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la medesima sentenza devono essere riunite, anche d'ufficio, mentre è facoltativo disporre la riunione nell'ipotesi di impugnazioni proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, qualora sussistano ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia o se vi sia l'eventualità di soluzioni contrastanti. Il mancato esercizio da parte del giudice di merito di questa facoltà di riunire le impugnazioni non è sindacabile in sede di legittimità[4].
5. Esame preliminare del ricorso e dichiarazione di inammissibilità
Il presidente della sezione, scaduti i termini per la costituzione in giudizio delle parti, esamina preliminarmente il ricorso (art. 27 del D.Lgs. 546/1992) ed in caso di esito positivo nomina il relatore e fissa la trattazione della controversia (art. 30, c. 1 D.Lgs. 546/1992). Pertanto la trattazione stessa della controversia non può mai essere fissata anteriormente al predetto termine di 60 giorni.
L'esame preliminare corrisponde a un potere - dovere dei presidenti di sezione[5] ed è spettante anche a quelli delle Commissioni regionali in sede di giudizio d'appello, ai sensi dell'art. 55 D.Lgs. 546/1992.
Il presidente di Sezione, al fine di evitare la trattazione della causa per ragioni di economia processuale può decidere, ex art. 27 D.Lgs. 546/1992, con decreto motivato, soggetto a reclamo innanzi alla Commissione, le questioni relative alla:
a) inammissibilità se manifesta, nei seguenti casi:
- difetto di giurisdizione (art. 3 D.Lgs. 546/1992);
- mancanza o assoluta incertezza di uno o più elementi da indicare nel ricorso o della sua sottoscrizione (art. 18 D.Lgs. 546/1992);
- ricorso non notificato all’Ufficio o Ente impositore;
- mancanza di sottoscrizione del ricorso (art. 18 D.Lgs. 546/1992);
- proposizione del ricorso oltre il termine previsto dall’art. 21 del D.Lgs. 546/1992;
- costituzione in giudizio del ricorrente oltre il termine previsto dall’art. 22 D.Lgs. 546/1992;
- non conformità della copia del ricorso depositato presso la segreteria della Commissione provinciale all’originale consegnato o spedito alla controparte (art. 22 D.Lgs. 546/1992);
b) interruzione (ex art. 40 D.lgs. 546/1992), sospensione (ex art. 39 D.lgs. 546/1992), estinzione (ex artt. da 44 a 48 D.lgs. 546/1992) del processo prima ancora che il ricorso venga messo in discussione a norma dell'art. 30.
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso (oppure dell'appello) può essere disposta con sentenza della Commissione tributaria, anziché con decreto del presidente del collegio, poiché l'inosservanza delle forme degli atti processuali è causa di nullità solamente se ciò è previsto dalla legge. La dichiarazione di inammissibilità disposta, con sentenza, dal collegio, anziché dal proprio presidente, non è legislativamente passibile di nullità[6].
6. Reclamo avverso il decreto
Il decreto di sospensione, interruzione o estinzione del processo è comunicato, a cura della Segreteria, alle parti costituite, affinchè possano proporre reclamo alla Sezione cui il ricorso è stato assegnato, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla loro comunicazione da parte della segreteria.
Il reclamo va notificato alle altre parti costituite con la stessa procedura prevista per il ricorso, ex art. 20 D.Lgs. 546/1992, e successivamente va depositata presso la segreteria una copia del documento notificato nel termine perentorio di 15 giorni dall'ultima notificazione, a pena d'inammissibilità rilevabile d'ufficio.
Nei successivi 15 giorni dalla notifica del reclamo le altre parti possono presentare memorie.
Scaduto il termine per la presentazione delle memorie, il plenum della Sezione adita decide, in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, pronunciando:
- sentenza, qualora opti per il non accoglimento del reclamo e per la conseguente conferma del decreto presidenziale con cui è stata dichiarata l’inammissibilità ovvero l’estinzione del processo. Con la sentenza, la commissione, dichiara l'inammissibilità del ricorso o l'estinzione del processo. Contro la sentenza le parti possono proporre impugnazione in CTR oppure per motivi di legittimità in Cassazione;
- ordinanza, allorché:
a) ritenga non fondato il decreto presidenziale con cui è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso ovvero dichiarata l’estinzione del processo;
b) ovvero comunque decida sulla legittimità del decreto con cui è stata dichiarata l’interruzione o la sospensione del processo.
L’ordinanza non è autonomamente impugnabile.
Relativamente ai reclami avverso i provvedimenti del presidente, le parti non possono chiedere la discussione in pubblica udienza, in quanto è prevista esclusivamente la trattazione in Camera di consiglio.
[1] Cass. sez. trib. 19 aprile 2005 n. 21241 per la quale “laddove il giudice emetta due sentenze, quella depositata per seconda è nulla, ciò trovando conferma nella legislazione in materia: artt. 35 e 36 D.Lgs. 546/1992 ed artt. 132 e 133 c.p.c. e art. 119 disp.att. c.p.c.”
[2] Cass. sez. III 14 marzo 1988 n. 2425; Cass. sez. I 7 settembre 1991 n. 9430 per la quale “l'opportunità e l'esigenza processuale della riunione delle cause non possono influire sulla loro individualità e distinzione anche con riferimento alle regole processuali applicabili a ciascuna di esse”; Cass. sez. trib. 10 settembre 2004, n. 18271 in base alla quale “in caso di impugnazione avverso l'atto di applicazione dell'Ici (emanato dal Comune) e l'atto di classamento catastale (emanato dall'Ute) che costituisce il logico presupposto dell'atto del comune, si instaurano due controversie distinte, riunite in ragione del vincolo di subordinazione logica esistente fra le questioni, sorge quindi un litisconsorzio processuale improprio, in cui ciascuna delle controversie conserva la sua autonomia. Quindi ove il giudice di primo grado accolga il ricorso del contribuente, l'Ufficio del territorio soccombente nella controversia catastale deve proporre tempestivo appello principale; ed ove invece faccia valere le sue ragioni in sede di appello incidentale entro i 60 giorni dalla notifica dell'appello del comune, ma oltre i 60 giorni dalla notifica della sentenza, l'appello principale deve essere qualificato come appello principale e quindi essere dichiarato inammissibile siccome tardivo”
[3] Cass. sez. lav. marzo 1990, n. 1783.
[4] Cass. sez. trib. 19 dicembre 2002 n. 18072 avente ad oggetto l'impugnazione di due distinte sentenze emesse nei confronti di un medesimo soggetto, e riguardanti l'una il merito di un avviso di liquidazione imposta, l'altra l'inammissibilità del ricorso proposto avverso l'avviso di liquidazione integrativo del precedente, per mancanza dei requisiti prescritti dalla legge. Conforme Cass. sez. III 4 maggio 1989 n. 2065.
[5] Come affermato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento per le Politiche fiscali - con nota 17 luglio 2002 n. 66981.
[6] Cass. sez. trib. 27 novembre 2006 n. 25087. Nel caso di specie, un contribuente ricorreva in Cassazione avverso la decisione della CTR che con propria sentenza, considerava inammissibile l'appello da questi proposto per vizi dell'atto; secondo il contribuente, la dichiarazione della Commissione doveva considerarsi nulla in quanto secondo gli artt. 27 e 52, D.Lgs. n. 546/1992 l'inammissibilità del ricorso in appello deve essere presa dal Presidente del collegio con proprio decreto.
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