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L’interpello
1. Profili generali
L’art. 11 della legge 212 del 27 luglio 2000, ha introdotto, dal 1° agosto 2000, lo strumento dell’interpello che consente di conoscere preventivamente l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria sugli aspetti fiscali di un determinato comportamento[1]. In base a tale disposizione normativa ed al D.M. 26 aprile 2001, n. 209 - Regolamento concernente la determinazione degli organi, delle procedure e delle modalità di esercizio dell'interpello e dell'obbligo di risposta da parte dell'Amministrazione finanziaria - ciascun contribuente, prima di porre in essere un determinato comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello può inoltrare per iscritto all'Amministrazione finanziaria, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse.
La presentazione dell'istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria.
2. Istanza di interpello inoltrata dall’Ente locale all’Amministrazione finanziaria
Rientrano nella categoria di contribuenti che possono inoltrare un’istanza di interpello all’Amministrazione finanziaria anche gli Enti locali, nella loro qualifica di soggetti passivi del rapporto tributario. L’istanza di interpello, redatta in carta libera, deve essere consegnata o spedita a mezzo del servizio postale in plico, senza busta, raccomandato con avviso di ricevimento alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al domicilio fiscale dell’Ente[2].
I presupposti per l’esercizio del diritto di interpello sono i seguenti:
1. la riferibilità a casi concreti e personali;
2. il carattere preventivo, pertanto deve riguardare comportamenti ancora non posti in essere;
3. le obiettive condizioni di incertezza.
L'istanza di interpello deve contenere a pena di inammissibilità:
a) i dati identificativi del contribuente ed eventualmente del suo legale rappresentante;
b) la circostanziata e specifica descrizione del caso concreto e personale da trattare ai fini tributari sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza. Quest’ultime non sono ravvisabili nel caso in cui l'Amministrazione finanziaria abbia già compiutamente fornito la soluzione interpretativa di fattispecie corrispondenti a quella prospettata dal contribuente, mediante circolare, risoluzione, istruzione o nota, portata a conoscenza del contribuente. L'Amministrazione finanziaria deve comunque comunicare al contribuente, nelle forme di cui all'articolo 4, comma 1, l'eventuale inammissibilità dell'istanza con indicazione della circolare, risoluzione, istruzione o nota contenente la soluzione interpretativa richiesta;
c) l'indicazione del domicilio fiscale del contribuente o dell'eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell'Amministrazione finanziaria;
d) la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante[3], i quali tuttavia possono sanare l’omissione qualora provvedano alla regolarizzazione dell'istanza entro 30 giorni dal ricevimento dell'invito da parte dell'ufficio;
e) l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare;
f) copia della documentazione, non in possesso dell'Amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dall'istante, rilevante ai fini della individuazione e della qualificazione della fattispecie prospettata.
L’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere entro 120 giorni. Tale risposta può essere positiva o negativa ed ha efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante, limitatamente al caso concreto e personale prospettato nell'istanza di interpello. Tale efficacia si estende anche ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'Amministrazione finanziaria. Qualora l’Amministrazione finanziaria non fornisce entro il termine di 120 giorni alcuna risposta all’istanza del contribuente si forma il silenzio – assenso pertanto si intende che l'amministrazione concordi con l'interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente così esplicando gli stessi effetti della risposta positiva.
Gli atti impositivi, anche sanzionatori, emanati dall’Amministrazione finanziaria, in difformità della risposta fornita dall'ufficio oppure in difformità dal comportamento prospettato e posto in essere dal contribuente in caso di mancata risposta da parte dell’ufficio sono nulli.
In caso di risposta dell’Amministrazione finanziaria non conforme all’interpretazione prospettata dal contribuente, quest’ultimo può non adeguarsi al parere, adottando il comportamento da lui prospettato, salvo dimostrare in sede di contenzioso la legittimità del proprio comportamento.
In caso di risposta diversa da quella data in precedenza, ovvero di risposta fornita oltre il termine sopra citato, l'ufficio recupera le imposte eventualmente dovute ed i relativi interessi, senza la irrogazione di sanzioni, a condizione che il contribuente non abbia ancora posto in essere il comportamento specifico prospettato o dato attuazione alla norma oggetto d'interpello.
3. Istanza di interpello in materia di tributi locali
Con riferimento ai tributi locali, compresi i tributi che sebbene istituiti con legge statale sono gestiti dagli Enti locali (ad es. le tasse automobilistiche), l’istanza di interpello và indirizzata agli Enti locali titolari della relativa potestà impositiva sullo specifico tributo, come precisato dal Dipartimento delle politiche fiscali con la risoluzione n.1/DPF del 29 gennaio 2002. Tale competenza, discende dai principi di cui all’art. 119 della Cost., così come affermato dalla Corte Cost. con le sentenze 26 settembre 2003 n. 296 e 297, nonché dall’art.11 della L. 212 del 2000. Fa eccezione a questa regola l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), in merito alla quale l’interpello va indirizzato all’Agenzia delle Entrate competente per territorio in quanto, ai sensi degli art.24 e 25 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, considerato che allo Stato sono demandati i poteri d’accertamento, sempre che le Regioni non abbiano legiferato diversamente. In tale ultima ipotesi l’interpello va proposto all’Ente regionale[4].
Stante la valenza rafforzata dello Statuto deve ritenersi che i principi sopra esposti sono direttamente applicabili agli Enti locali, pertanto quest’ultimi hanno la possibilità, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, di rendere la disciplina maggiormente favorevole per il contribuente eventualmente integrando la normativa statale. Così ad esempio possono prevedere:
- termini inferiori ai 120 giorni;
- ammissione di domande di qualsiasi argomento a prescindere dalle obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione delle norme;
- effetti differenti relativamente al mutare dell’opinione degli enti locali in merito ad una determinata fattispecie.
In ogni caso non è ammesso interpello per questioni di carattere estimativo o di misurazione delle dimensioni di spazi o locali.
Il parere reso dall'Ente locale in risposta all'interpello previsto dall'art. 11 L. 212/2000, è vincolante nei soli confronti dell'Amministrazione, mentre il contribuente è comunque libero di adeguarsi a detto parere od opporsi a ogni eventuale provvedimento adottato dal medesimo Ente in conformità a detto parere.
Gli effetti riconducibili alla risposta fornita dall’Agenzia sono subordinati alla condizione che la situazione di fatto (fattispecie concreta) rappresentata dal contribuente sia completa e veritiera.
Attesa la natura interpretativa del parere medesimo, esso non rientra tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario ai sensi dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992[5].
4. Ulteriori tipologie di interpello.
Per completezza espositiva si elencano le seguenti tipologie di interpello, che si distinguono dall’interpello ordinario:
a) Interpello ai sensi dell’art. 37-bis, c. 8, del DPR 29 settembre 1973, n. 600. Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l’operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione[6].
b) Interpello di cui agli articoli 167 e 168 del TUIR. Gli artt. 167, c. 1, e 168, c. 1, del TUIR dettano una speciale disciplina in materia di imprese estere partecipate (c.d. controlled foreign companies), prevedendo che al soggetto residente in Italia che detiene una partecipazione di controllo o di collegamento in una società o ente residente in un Paese a regime fiscale privilegiato sono imputati i redditi conseguiti dal soggetto estero in proporzione alla partecipazione detenuta, a prescindere dall’effettiva distribuzione degli utili. Il comma 5, lett. b), del citato art. 167 del TUIR precisa che, ai fini dell’inapplicabilità della disciplina sulle società estere controllate o collegate, “il contribuente deve interpellare preventivamente l’amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212”. In tal caso, l’interpello è accolto “se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: a) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede; b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al comma 4”[7].
c) Interpello di cui all’art. 21 della L. 30 dicembre 1991, n. 413. E’ finalizzato a favorire i rapporti tra contribuente e fisco in relazione all’applicazione delle disposizioni antielusive generali di cui agli artt. 37, c. 3, e 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché in ordine alla qualificazione di determinate spese tra quelle di pubblicità e propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza. Tale norma stabilisce che la richiesta di parere deve riguardare l’applicazione, ai casi concreti rappresentati dal contribuente, delle disposizioni contenute nei predetti articoli del DPR n. 600 del 1973 o la corretta qualificazione delle predette spese. In particolare, il c. 9 del citato art. 21 della L. n. 413 del 1991 - come modificato dall’art. 16, c.1, lett. a) del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 - dispone che “Il contribuente, anche prima della conclusione di un contratto, di una convenzione o di un atto che possa dar luogo all’applicazione delle disposizioni richiamate nel comma 2, può richiedere il preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle finanze fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata. La mancata comunicazione del parere da parte dell’Agenzia delle entrate entro 120 giorni e dopo ulteriori 60 giorni dalla diffida ad adempiere da parte del contribuente equivale a silenzio assenso”[8].
[1] L’interpello ordinario o generalizzato, di distingue dalle altre tipologie di interpello attivabili dal contribuente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria in determinati settori:
a) interpello antielusivo (art.21 L.413/1991);
b) interpello per la disapplicazione di norme antielusive (art.37 bis c.8 D.P.R. 600/1973);
c) interpello specifico per le imprese che operano in ambito internazionale (art.8 D.L. 269/2003).
[2] In deroga alla disposizione del c.1, le Amministrazioni centrali dello Stato, gli Enti pubblici a rilevanza nazionale, nonchè i contribuenti che hanno conseguito nel precedente periodo d'imposta ricavi per un ammontare superiore ad € 258.228.449,54, presentano l'istanza di interpello alla Direzione centrale normativa e contenzioso dell'Agenzia delle entrate. Per i tributi la cui gestione è attribuita all'Agenzia del territorio, l'istanza di interpello è presentata alla Direzione compartimentale nel cui ambito opera l'ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello. Per i tributi di competenza dell'Agenzia delle dogane, l'istanza di interpello è presentata alla Direzione compartimentale territorialmente competente per la soluzione del caso particolare.
[3] Le istanze di interpello proposte dagli Enti locali, in qualità di soggetti passivi d’imposta, a firma dei dirigenti o direttori del settore tributi anziché del sindaco o del presidente della provincia, sono da ritenersi inammissibili in quanto non recherebbero la sottoscrizione da parte del legale rappresentante così come disposto dall’art.3, c. 1 del D.M. 26 aprile 2001, n. 209.
[4] Cfr. Circ. Agenzia delle Entrate n. 50/E del 2001.
[5] Si veda Parte II, Capo IV, Parag. 3.
[6] La disciplina concernente il procedimento per la presentazione dell’istanza di cui alla suddetta disposizione è contenuta nel decreto del Ministro delle finanze 19 giugno 1998, n. 259, mentre le relative istruzioni operative sono state fornite con le circolari n. 98/E del 17 maggio 2000, n. 99/E del 2000, n. 23/E del 2005 e, da ultimo, n. 5/E del 2009
[7] Le modalità per presentare l’istanza sono stabilite dall’art. 5 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, n. 429. Inoltre, poiché detto articolo rinvia espressamente al citato DM n. 209 del 2001, che disciplina l’interpello ordinario, alla procedura in esame risultano applicabili, ove compatibili, le relative disposizioni. Per quanto riguarda i presupposti applicativi e la relativa procedura, si rinvia ai chiarimenti già forniti dall’Agenzia delle entrate con le circolari n. 18/E del 12 febbraio 2002, n. 29/E del 23 maggio 2003, n. 23/E del 2005 (punto 15) e n. 5/E del 2009.
[8] La disciplina concernente l’interpello antielusivo è completata dai regolamenti approvati con i decreti del Ministro delle finanze 13 giugno 1997, nn. 194 e 195, mentre con le circolari n. 135/E del 28 maggio 1998, n. 99/E del 2000 e n. 5/E del 2009, cui si rinvia, sono stati forniti chiarimenti in ordine ai presupposti dell’istituto ed alle procedure operative.