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L’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Ente locale

1. Profili generali

Qualora l’Ente locale si rende conto che la propria pretesa tributaria è infondata, al fine di evitare il sorgere di un contenzioso ingiustificato con conseguente aggravi di spesa e conseguente danno erariale[1] può annullare, in qualsiasi momento, gli atti impositivi in autotutela.

L’esercizio di tale potere (jus poenitendi) trova la propria fonte:

a) nell’art. 23 Cost., il quale dispone che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge;

b) nell’art. 53 Cost., in quanto tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro effettiva capacità contributiva;

c) nell’art.97 Cost., in quanto rappresenta un mezzo che contribuisce a realizzare il buon andamento dell’azione amministrativa, perseguendo in maniera efficace l’interesse pubblico generale.

L’istituto in argomento è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 68 del D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287 ad oggetto “Tutela dei diritti dei contribuenti e trasparenza dell'azione amministrativa”[2], successivamente disciplinato dall’art. 2-quater, del D.L. 30 settembre 1994 n. 564 convertito, con modificazioni, con L. 30 novembre 1994, n. 656 e dal relativo regolamento[3], per esser poi riconosciuto agli enti locali con l'art. 27 della L. 18 febbraio 1999, n.28 (con l'aggiunta del comma 1-ter all'art. 2 - quater del D.L. 564/1994, convertito con modificazioni dalla L. 656/1994). In base a tale disposizione le Regioni, le Province ed i Comuni, secondo i rispettivi ordinamenti indicano gli organi competenti per l'esercizio dei poteri di sospensione, annullamento, revoca degli atti amministrativi illegittimi. Tale potere discrezionale[4] viene riconosciuto all'ente pubblico al fine di riesaminare la propria attività, in vista di assicurare il più efficace perseguimento dell'interesse pubblico, ed eventualmente correggere l’attività amministrativa mediante l'annullamento dei propri atti.

Da ultimo è intervenuto l’art. 7, c. 2, lett. b) L. 212/2000 - statuto dei diritti del contribuente - che impone di indicare nell’atto impositivo l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela.

2. Presupposti per l’esercizio del potere di autotutela

Ai sensi del combinato disposto delle norme sopra citate, l'Amministrazione procede d'ufficio all'annullamento degli atti in presenza di due presupposti:

1. l'illegittimità dell'atto;

2. lo specifico, concreto ed attuale interesse pubblico all'eliminazione dello stesso[5].

Le cause di illegittimità sono le seguenti:

a) errore di persona;

b) evidente errore logico o di calcolo;

c) errore sul presupposto dell'imposta;

d) doppia imposizione;

e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

g) sussistenza dei requisiti per fruire di agevolazioni precedentemente negati;

h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.

Gli atti oggetto dell’esercizio di autotutela sono tutti quelli elencati nell’art. 19, c.1 D.Lgs. 546/1992.

3. Effetti dell’esercizio del potere di autotutela

L'annullamento dell'atto travolge tutti gli altri atti a esso consequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento determina automaticamente la nullità delle cartelle di pagamento emesse in base all'avviso stesso) e comporta l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse. In ogni caso è opportuno precisare che l’Amministrazione entro i termini di decadenza previsti dalla normativa regolante i singoli tributi può sostituire l’avviso di accertamento annullato in autotutela con altro avviso di accertamento[6].

Tuttavia, occorre rilevare che l'art. 2-quater, c. 1-bis D.L. 30 settembre 1994, n. 564 espressamente prevede che "Nel potere di annullamento o di revoca (...) deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato", ciò al fine di consentire all'ufficio di valutarne la legittimità e la fondatezza, prima di adottare l'eventuale provvedimento di annullamento[7]. Pertanto rientra nell’ordinario potere di autotutela anche la sospensione amministrativa del ruolo, in pendenza di processo, in caso di iscrizione derivante da avviso di accertamento, salvo che l'atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell'eventuale giudicato formatosi sull'atto nullo[8].

Poiché la sospensione dell'efficacia dell'atto è strumentale a quello di annullamento, l’ufficio dovrà prima di accordare la sospensione della riscossione, valutare le concrete possibilità che l'atto che ha dato origine all'iscrizione al ruolo sia revocato o annullato in via amministrativa o contenziosa (valutazione del c.d. fumus boni juris). Inoltre, occorre valutare il pericolo per il contribuente di subire un danno grave ed irreparabile a seguito della riscossione coattiva (c.d. periculum in mora). Qualora la sospensione, venga concessa nell’ambito del procedimento giudiziario, gli effetti cessano con la pubblicazione della sentenza (art. 27 L. 28/1999).

4. Iniziativa per l’esercizio del potere di autotutela

L’autotutela può essere attivata su istanza del contribuente[9] oppure d’ufficio e può esser esercitata nei seguenti casi:

a) atto impositivo non ancora definitivo;

b) atto impositivo definitivo per il decorso dei termini per ricorrere. La definitività dell'atto per mancata impugnazione nei termini, non costituisce in sé una condizione ostativa all'esercizio del potere di annullamento. Un limite è rappresentato dalla impossibilità di richiedere un rimborso dopo l’estinzione dell’obbligazione tributaria;

c) in pendenza di giudizio[10]. L’unico limite esterno al potere di annullamento riconosciuto all’Ente locale è costituito dall’esistenza del giudicato “sostanziale”[11] favorevole all’Amministrazione[12], sempreché i motivi dell'annullamento non siano diversi da quelli presi in esame dal giudice[13]. L’ufficio in tal caso dovrà produrre, con le modalità e nel rispetto dell'art. 24, c. 1, del D.Lgs. n. 546/1992, alla Commissione tributaria la documentazione relativa all'avvenuto riconoscimento delle ragioni del contribuente, unitamente alla formale richiesta di emissione del decreto di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere ai sensi dell'art. 46, c. 2, D.Lgs. 546/1992.

Essendo l’atto in autotutela un atto discrezionale dell’Amministrazione, l’istanza del contribuente volta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, non sospende il termine per il ricorso giurisdizionale.

5. Autotutela esercitata nel giudizio tributario

L’autotutela in pendenza di giudizio è preclusa soltanto dall’esistenza del giudicato “sostanziale” favorevole all’Amministrazione.

Pertanto è ammissibile:

- in presenza di giudicato formale, che ha riguardato, quindi, questioni di rito che hanno escluso l’esame del merito da parte del giudice;

- in presenza di giudicato di merito parziale e quindi limitatamente alle parti non decise;

- in presenza di giudicato sostanziale, ma soltanto laddove venga esercitato il potere di autotutela per motivi diversi rispetto a quelli esaminati dal giudice ed oggetto della sentenza.

In secondo grado, l'interesse ad agire dipende dal contenuto della sentenza del giudice di primo grado che può avere accolto o respinto il ricorso del contribuente, per cui l'esercizio dell'autotutela può manifestarsi:

- attraverso la semplice inerzia dell'ufficio tributi che lascia trascorrere inutilmente il termine previsto per proporre il ricorso in secondo grado;

- attraverso il ritiro dell'atto oggetto del giudizio innanzi la Commissione tributaria regionale, qualora l'ufficio tributi dell'Ente locale assume la veste di parte resistente, con conseguente estinzione della controversia per cessata materia del contendere ex art. 46 D.Lgs. 546/1992;

- attraverso la rinuncia al ricorso da parte dell'appellante, secondo la procedura dell'art. 44 D.Lgs. n. 546/1992, qualora l'ufficio tributi assume la veste di appellante. In questo caso, però, a differenza dell'altra ipotesi di estinzione per cessazione della materia del contendere, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro.

6. Le spese processuali in caso di annullamento dell’atto impositivo in autotutela

Le spese processuali, a seguito della sentenza Corte Cost. 4 luglio 2005 n. 274 vanno sostenute dal soggetto che richiede la cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge[14]. La citata sentenza ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del c. 3 dell’art. 46 D.Lgs. 546/1992, nella parte in cui prevedeva che le spese di giudizio restavano a carico della parte che le aveva anticipate.

A seguito di tale sentenza, la DRE Lombardia, con la nota del 31 agosto 2005 n. 50700, ha invitato gli uffici ad attivarsi al fine di esaminare tempestivamente le controversie rispetto alle quali possono individuarsi gli estremi per il legittimo esercizio del potere di autotutela prima dell'instaurazione del giudizio di merito. La DRE Lombardia ha precisato che ove ciò non sia possibile sarà cura dell'ufficio, al momento di emanazione del provvedimento di autotutela, acquisire da controparte rinuncia formale alle spese di giudizio (...) senza tuttavia subordinare l'adozione dell'atto di riesame alla preventiva rinuncia delle spese del giudizio da parte del contribuente. Se così non fosse, si verificherebbe un'inaccettabile violazione del principio di collaborazione e di buona fede sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente.

7. Sostituzione dell’atto impositivo annullato in autotutela

Si ritiene ammissibile la sostituzione di un atto impositivo annullato in autotutela (c.d. autotutela sostitutiva) [15] purchè:

- il potere di sostituzione venga esercitato entro i termini decadenziali previsti per l’emissione dell’atto;

- venga annullato il precedente atto impositivo[16];

- qualora, nel caso di contenzioso, non si sia formato il giudicato sul rapporto tributario. Ciò al fine di evitare l’elusione o la violazione da parte dell’Amministrazione del giudicato stesso formatosi sull’atto[17].

8. Impugnazione del diniego di autotutela[18]

Nel corso degli anni si è attenuato l’orientamento giurisprudenziale che riteneva che gli organi giurisdizionali non potessero sindacare l’esercizio del potere di autotutela ovvero il mancato esercizio dello stesso, in considerazione dell’esistenza nel nostro ordinamento del principio della separazione dei poteri. Da ciò discendeva che a fronte del potere dell’Amministrazione non sussisteva in capo al contribuente un diritto soggettivo o un interesse legittimo[19], in quanto l’esercizio del potere di autotutela riguardava un potere discrezionale della Pubblica amministrazione e non un obbligo giuridico[20].

Successivamente si è affermato il principio in base al quale la asserita inconfigurabilità di un obbligo a provvedere non preclude ex se l’azione intesa alla verifica della legittimità dell’eventuale diniego, non essendo ammissibile nell’ordinamento l’esercizio di un potere “ad libitum”: sussiste invero un interesse a tale verifica ed il titolare di tale interesse è legittimato ad acquisire, a procedimento concluso, la conoscenza degli atti infraprocedimentali che incidono su tale interesse[21].

L’esercizio del potere di autotutela “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente” e “nel giudizio instaurato contro il mero, ed esplicito, rifiuto di esercizio dell’autotutela può esercitarsi un sindacato - nelle forme ammesse sugli atti discrezionali - soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria”. Pertanto, il giudice tributario non potrà entrare nel merito della questione, visto che il provvedimento di autotutela è pur sempre discrezionale per i limiti posti dall’art. 4 L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E. Contrariamente opinando, ci sarebbe una indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa e un superamento dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle Commissioni tributarie[22].

Il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica. In tale ipotesi, ove l'atto di rifiuto dell'annullamento d'ufficio contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal giudice, l'Amministrazione finanziaria dovrà adeguarsi a tale pronuncia. In difetto potrà essere esperito il rimedio del ricorso in ottemperanza di cui all'art. 70 del D.Lgs. n. 546 del 1992, con l'avvertenza che tale norma, a differenza di quanto previsto per l'analogo rimedio dinanzi al giudice amministrativo ex art. 27, n. 4), del testo unico sul Consiglio di Stato (R.D. 26 giugno 1924, n. 1054), non attribuisce alle Commissioni tributarie una giurisdizione estesa al merito[23].

Qualora l’istanza di autotutela promossa dal contribuente è volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito è inammissibile in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale[24] sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività. Diversamente opinando, si darebbe inammissibile ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo[25].

9. Giurisdizione in caso di diniego di autotutela

Il potere di autotutela, secondo consolidato orientamento, sia del giudice amministrativo, che ha negato ripetutamente la propria giurisdizione[26], e sia della Suprema Corte[27], è sottoposto ad impugnazione ed alla giurisdizione del giudice tributario secondo le regole dettate dal D.Lgs. 546/1992 e, in particolare, degli artt. 2 e 19. Infatti, in base all'art. 12, c.2 L. 28 dicembre 2001, n. 448, configurandosi la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato, nè consegue la devoluzione alle commissioni tributarie anche delle controversie relative agli atti di esercizio dell'autotutela tributaria, non assumendo alcun rilievo in proposito la natura discrezionale di tali provvedimenti. D’altronde, l'art. 103 Cost. non prevede una riserva assoluta di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per la tutela degli interessi legittimi, pertanto, si può ritenere definitivamente superato l’orientamento, secondo il quale spetterebbe al giudice amministrativo ex l. 205 sul contenzioso amministrativo, dare giustizia sostanziale, in considerazione della esclusiva valutazione, tipicamente discrezionale, riconosciuta all’Amministrazione nell’esercizio del potere di autotutela[28].



[1] Cfr. Circ. Min. n. 198/S del 5 agosto 1998. Cass. sez. trib. 13 giugno 2006 n. 21380 che ha affermato la possibilità per il giudice di addebitare le spese di giudizio all’Amministrazione in caso di cessazione della materia del contendere dichiarata a seguito di autotutela. Più in particolare afferma che “la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per sostituzione di un atto impositivo viziato sul piano formale (nella specie, perché, in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che ritiene illegittimi gli atti non recanti l'indicazione delle aliquote applicate nei confronti del suo destinatario) con altro che sia idoneo a sanare quel vizio, tempestivamente rilevato dal contribuente, costituisce proprio uno dei casi di soccombenza virtuale dell'Amministrazione, onde la motivazione del giudice di merito che legittimamente, sia pure in base a una norma di legge riformulata, ora per allora, a seguito del giudizio della sua legittimità costituzionale, condanni l'ufficio per la soccombenza virtuale a rifondere le spese sostenute dal contribuente, non è affatto contraddittoria, ma pienamente coerente con la ratio della previsione legislativa in tali sensi resa conforme a Costituzione”.

[2] Il c.1 dell’art. 68 dispone che “salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’Amministrazione finanziaria possono procedere all’annullamento, totale o parziale dei propri atti riconosciuti illegittimo infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell’atto”.

[3] Con D.M. 11 febbraio 1997 n. 37 è stato emanato il Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria, e definiti i criteri di economicità sulla base dei quali iniziare o abbandonare l’attività dell’Amministrazione.

[4] Cass. sez. trib. 7 dicembre 2001 n. 1547 per la quale “il mancato esercizio non può essere sindacato nel giudizio di impugnazione dell'atto presupposto, poiché nel giudizio tributario rilevano soltanto i vizi propri dell'atto impositivo e inoltre perché il convincimento maturato dall'amministrazione sulla necessità di annullare o meno l'atto medesimo in via di autotutela costituisce un aspetto che rimane assorbito nella più ampia indagine circa la legittimità o non dell'atto impugnato”. Si veda Parte II, Capo IV, Parag. 1.

[5] Cass. SS.UU. 19 aprile 1996 n. 8685 in base alla quale “la c.d. autotutela della P.A. costituisce un'attività discrezionale, in quanto essa implica l'apprezzamento dell'attuale interesse pubblico alla rimozione dell'atto, interesse che non si identifica con il mero ristabilimento dell'ordine giuridico violato. Ne deriva che la P.A. non ha un dovere giuridico di ritirare i propri atti quando essi siano illegittimi”; Cons. di Stato Sez. V, 22 settembre 1993, n. 926 per cui “i provvedimenti di autoannullamento o di revoca di precedenti atti amministrativi debbono essere adeguatamente motivati non solo con l'indicazione, da parte della amministrazione, delle norme o dei principi di diritto che si assumono violati, ma anche delle ragioni di pubblico interesse, riferite alla situazione attuale e concreta cui si provvede, che inducano l'amministrazione stessa al ritiro dell'atto, per cui il mero ripristino della legalità non è di per sé sufficiente a sorreggere un provvedimento di ritiro, ove manchi, tenuto conto delle circostanze, un concreto ed attuale interesse pubblico acché ciò avvenga”.

[6] Cass. sez. trib. 15 gennaio 2003 n. 11114, che specifica che tale potere di autotutela è del tutto distinto rispetto al potere di procedere a modificazioni dell'avviso di accertamento che può essere esercitato, in base all'art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell'ufficio.

[7] Circ. Dip. Entrate 6 marzo 1998 n. 77.

[8] Ris. Agenzia delle Entrate 7 febbraio 2007 n. 21/E.

[9] L'eventuale presentazione di atti di impulso o di iniziativa o sollecitazione da parte del cittadino non genera alcun obbligo per l'Ente di provvedere, né costituisce il presupposto per la formazione del silenzio-rifiuto.

[10] Cass. sez. trib. 4 giugno 2001 n. 4534. Inoltre, l'abrogato art. 68, c. 1, consentiva l'esercizio del potere di annullamento dei propri atti "Salvo che sia intervenuto giudicato ...".

[11] Non preclude, invece, l’esercizio del potere di autotutela la sentenza passata in giudicato per aspetti procedurali (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità).

[12] Cass. sez. trib. 21 marzo 2006 n. 15121. Cass. sez. trib. 4 febbraio 2005 n. 2305.

[13] I profili di legittimità e le questioni che non sono stati oggetto di specifico esame da parte dell'organo giudicante, ancorché riferiti al medesimo provvedimento di imposizione fiscale, possono essere oggetto di valutazione in autotutela da parte dell'ufficio accertatore e determinare l'annullamento dei relativi rilievi.

[14] Tale orientamento ha superato un precedente orientamento della Corte costituzionale in base al quale in caso di esercizio dell’autotutela da parte dell’amministrazione, le spese che il contribuente ha anticipato rimangono a carico dello stesso (Corte Cost. ord. 3 novembre 2000 n. 465 e Corte Cost. ord. 29 gennaio 2005 n.68).

[15] Cass. sez. trib. 15 gennaio 2003 n. 11114.

[16] Cass. sez. I 25 giugno 1996 n. 10138; Cass. sez. trib. 26 ottobre 2001 n. 2531.

[17] Cass. sez. trib. 10 ottobre 2006 n. 24620.

[18] Sul punto si veda la Circ. Istituto di ricerca DCEC 10 novembre 2008 n. 7/IR.

[19] Cass. sez. trib. 25 maggio 2000 n. 13412.

[20] Cass. SS.UU. 23 aprile 2009 n. 9669 che ha sancito l’improponibilità di un ricorso da parte di una società che nell’impugnare il diniego di autotutela, non ha eccepito l’illegittimità del rigetto dell’istanza di autotutela bensì ha invocato un provvedimento di annullamento degli avvisi di accertamento per gli anni 1989, 1990 e 1991, non tempestivamente impugnati, che tenga luogo dell’atto di autotutela rifiutato dall’amministrazione, senza oltretutto dedurre l’esistenza di alcun interesse pubblico all’annullamento. In senso più rigido sulla possibilità di impugnare il rifiuto all’autotutela vedi Cass. SS.UU. 6 febbraio 2009 n. 2870 per la quale “avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”.

[21] Cons. di Stato 21 ottobre 2008 n. 5144.

[22] Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7388.

[23] Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7388.

[24] Corte Cass. SS.UU. 6 febbraio 2009 n. 2870.

[25] CTR di Potenza 5 dicembre 2006, n. 195.

[26] TAR Lombardia sez. I 27 marzo 2001 n. 2681; TAR Campania 11 marzo 2004 n. 2839; TAR Liguria 25 gennaio 2001 n. 931; TAR Lazio 28 luglio 2008 n. 750.

[27] Cass. SS.UU. 6 febbraio 2009 n. 2870 in base alla quale “è inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell'istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l'annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l'intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell'esercizio del potere di autotutela quanto dell'inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull'atto di accertamento munito del carattere di definitività”; Cass. SS.UU. 9 giugno 2005 n. 16776 per la quale “sussiste nella materia in esame la giurisdizione tributaria anche in ordine alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto espresso o tacito dell'Amministrazione a procedere ad autotutela (così come ripetutamente riconosciuto dalla giustizia amministrativa ord. n. 114 del 28 gennaio 2005 del Tar dell'Emilia-Romagna e sent. n. 519 dell'8 aprile 2005 del Tar della Campania). Pertanto spetta al giudice tributario, stabilire se il rifiuto all’esercizio dell’autotutela sia o meno impugnabile, così come valutare se con l'istanza di autotutela il contribuente chieda l'annullamento dell'atto impositivo per vizi originari di tale atto o per eventi sopravvenuti”; Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7388 per la quale “nel giudizio instaurato contro il mero, ed esplicito, rifiuto di esercizio dell'autotutela può esercitarsi un sindacato - nelle forme ammesse sugli atti discrezionali - soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza delle pretesa tributaria, sindacato che costituirebbe un'indebita sostituzione dal giudice nell'attività amministrativa”; Cass. sez. trib. 11 ottobre 2004 n. 23731; Cass. sez. trib. 7 dicembre 2005 n. 3608.

[28] Cons. di Stato 9 novembre 2005 n. 6269, per cui “i principi costituzionali sanciti dagli artt. 24 e 113 della Costituzione non possono ammettere che il cittadino resti privo di tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi che negano la chiesta sospensione della riscossione: poiché si è in presenza di interessi legittimi, il sindacato sui predetti provvedimenti non può che spettare al giudice amministrativo (C.d.S., Sez. IV, 6 agosto 1997, n. 770; 18 novembre 1989, n. 792; Cass., SS.UU., 25 gennaio 1989, n. 439)”.