Incompatibilità, astensione e ricusazione dei componenti delle commissioni tributarie.
1. Composizione delle commissioni tributarie e cause di incompatibilità dei componenti delle commissioni tributarie.
Ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. 545/1992, a ciascuna delle Commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente, che presiede anche la prima sezione. A ciascuna sezione è assegnato un presidente, un vice presidente e non meno di quattro giudici tributari. Ogni collegio giudicante è presieduto dal presidente della sezione o dal vicepresidente e giudica con numero invariabile di tre votanti.
Nel processo tributario l'imparzialità del giudice - in ossequio all’art. 108, c. 2 della Costituzione - viene tutelata con la previsione, nella legge, di incompatibilità di servizio ed organiche, nei casi indicati dall'art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 e di incompatibilità funzionali, che possono dar luogo alla astensione e alla ricusazione, disciplinate dall'art. 6, D.Lgs. 546/1992 [1].
Di seguito si approfondiscono le fattispecie di incompatibilità relative allo svolgimento delle attività di consulenza previste dall’art. 8 D.Lgs. 545/1992 c.1 lett. i) e lett. m).
L'art. 8, lett. i), D.Lgs. 545/1992, prevede una specifica causa di incompatibilità per i giudici tributari, connessa all’indubbia anomalia della composizione di tali magistrati, molti non “togati”. In base a tale causa, non possono essere componenti delle commissioni tributarie, finché permangono in attività di servizio o nell'esercizio delle rispettive funzioni o attività professionali coloro che esercitano in qualsiasi forma, “anche se in modo saltuario o accessorio” la “consulenza tributaria”, ovvero l' “assistenza” o la “rappresentanza di contribuenti” nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario. Qualsiasi forma di consulenza tributaria è incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità del suo svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell’indipendenza del giudice, essendo siffatta verifica puntuale propria dei soli istituti della ricusazione e dell’astensione del giudice. La compromissione della terzietà e dell’indipendenza del giudice tributario, almeno a livello di immagine, si configura indipendentemente dalla dimostrazione dello svolgimento “in proprio” dell’attività di consulenza tributaria[2]. La nozione di "consulenza tributaria" per la quale è prevista l' incompatibilità non è quindi soltanto quella che abbia luogo nei concreti rapporti con l'amministrazione finanziaria ma anche, la consulenza generica, indiretta, strumentale. Il giudice tributario decade dall’ufficio laddove versi in alcuna delle circostanze che possono incidere o compromettere la posizione di indipendenza, terzietà e funzionalità della giurisdizione.
Conseguentemente, deve ritenersi incompatibile con la funzione giusdicente:
- la partecipazione a società, associazioni o strutture nelle quali gli altri soci o associati esercitano l’attività di consulenza fiscale[3];
- la partecipazione ad uno studio associato[4];
- la redazione di bilanci e/o la tenuta di scritture contabili;
- la cura degli adempimenti di natura fiscale;
- la mera tenuta e custodia di scritture contabili[5];
- l’attività di curatore fallimentare;
- l’attività di custode giudiziale.
La rappresentanza, l'assistenza e la consulenza in materia fiscale costituiscono attività vietate per i giudici tributari (in senso lato) anche se esercitate in modo saltuario ed occasionale oppure in maniera accessoria a quella principale[6]. Infatti, come precisato dal Consiglio di stato, stante l'estrema latitudine della norma sancita dall'art. 8 lett. i), D.Lgs. n. 545/1992, nel testo novellato dalla legge n. 449 del 1997, qualsiasi forma di consulenza tributaria deve ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o la continuità nello svolgimento compromettano il requisito della terzietà e dell'indipendenza del giudice, essendo siffatta puntuale verifica propria dei soli istituti della ricusazione e dell'astensione del giudice (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 giugno 2007, n. 3760; id., 22 giugno 2006, n. 3951)[7].
Altra, rilevante ipotesi con particolare riferimento a quelle previste dalla successiva lettera m) dello stesso art. 8 (rapporto di coniugio o parentela entro il secondo grado o affinità entro il primo grado con coloro che sono iscritti negli Albi professionali o negli elenchi istituiti presso le Direzioni Regionali delle Agenzie delle Entrate nella sede della Commissione tributaria di appartenenza del giudice o che, comunque, vi esercitano abitualmente la loro professione). In particolare, ricorre l'incompatibilità nel caso in cui il coniuge, il parente fino al secondo grado o l'affine di primo grado di un componente - che svolga le proprie funzioni presso la Commissione tributaria provinciale - sia iscritto in un albo o elenco della stessa provincia ed eserciti la propria attività professionale davanti alla stessa Commissione, anche se in via occasionale. Nel caso, invece, in cui il parente o l'affine sia iscritto in un albo o elenco di altra provincia, l'incompatibilità ricorre se l'esercizio della professione, davanti alla Commissione Tributaria del componente, sia abituale.
Per quanto concerne i componenti che svolgano le funzioni nelle Commissioni tributarie regionali, l'incompatibilità si verifica nel caso in cui il coniuge, il parente fino al secondo grado e l'affine di primo grado sia iscritto in albo o elenco della regione o di una sede della regione ed eserciti la professione, sia pure sporadicamente o occasionalmente, davanti alla Commissione Tributaria Regionale o ad una delle Commissioni tributarie provinciali della regione. Nel caso in cui il congiunto risulti iscritto in un albo o elenco di altra regione, ai fini dell'incompatibilità, rileva solo l'esercizio abituale della professione presso le Commissioni tributarie regionali di appartenenza del componente o presso una Commissione Provinciale ricompresa nella regione.
A garanzia dei principi di costituzionalità relativi all’imparzialità ed alla precostituzione del giudice naturale, comuni ad ogni tipo di giurisdizione, l’art. 6 D.Lgs. 546/1992 contempla gli istituti dell’astensione e della ricusazione applicabili ai componenti delle commissioni tributarie, il primo attivabile su iniziativa del giudice, il secondo su iniziativa di ciascuna delle parti.
Il citato articolo al c. 1 disciplina, per mezzo del rinvio all'art. 51 c.p.c. le ipotesi obbligatorie di astensione e ricusazione; mentre al c. 2 disciplina le ipotesi di astensione facoltativa.
2. Astensione obbligatoria
Il giudice tributario avrà l'obbligo (astensione obbligatoria) di astenersi, ai sensi dell’art. 51 c. 1 c.p.c., nei seguenti casi in cui, per motivi relativi all’oggetto della controversia o in relazione con le parti in causa:
- abbia interesse nella controversia o in altra vertente su identica questione di diritto;
- egli stesso o la moglie sia parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o sia convivente o commensale abituale (cd assiduo frequentatore) di una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
- egli stesso o la moglie abbia controversia pendente o grave inimicizia o rapporti di debito o credito con una delle parti (escluso l'ufficio dell'Amministrazione finanziaria) o alcuno dei suoi difensori;
- abbia dato consiglio nella controversia, oppure ne abbia conosciuto come magistrato in altro grado del processo[8] o vi abbia prestato assistenza come consulente tecnico;
- sia tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; sia amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
L’art. 6, c.2 del D.Lgs. 546/1992, stabilisce tra l'altro, che il giudice ha l'obbligo di astenersi nelle ipotesi in cui:
- abbia o abbia avuto rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione con una delle parti. Per lavoro autonomo deve intendersi qualsiasi attività di lavoro non subordinato, sia abituale che occasionale; inoltre dalla formulazione della disposizione emerge che il rapporto professionale può avere qualunque oggetto, non solo di consulenza tributaria. Per quanto attiene, invece, alla "collaborazione", é da ritenere che rientri in tale nozione non solo la collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 50, c. 1, lett. c-bis), del TUIR ma anche qualsiasi attività di lavoro subordinato;
- abbia fatto parte di una commissione per l'assistenza tecnica gratuita ai non abbienti nei giudizi avanti le commissioni tributarie (ex art. 6 c. 2, D.Lgs. 546/1992) che ha esaminato controversie attinenti al processo in cui è chiamato a giudicare.
L'inosservanza dell'obbligo di astensione determina la nullità del provvedimento adottato solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento, mentre in ogni altra ipotesi la violazione dell'art. 51 c.p.c. assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede d'impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento[9].
3. Astensione facoltativa
L’art. 51, c. 2, c.p.c. prevede un’ipotesi di astensione generale c.d. facoltativa in base alla quale il giudice tributario può astenersi ogni qualvolta ravvisi gravi ragioni di convenienza. Il procedimento si realizza con la richiesta da parte del giudice al capo dell'Ufficio dell'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'Ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo dell'Ufficio superiore.
4. Provvedimento di sostituzione del giudice astenuto
La procedura di astensione si conclude con il provvedimento di sostituzione, pertanto il giudice difetta di legittimazione a comporre il collegio giudicante e l’eventuale decisione adottata è affetta da nullità[10]. Nel caso in cui il vizio non venga rilevato d’ufficio, la nullità deve esser dedotta come motivo di gravame per effetto del principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione (artt. 158 e 161 c.p.c.), altrimenti deve ritenersi sanata a seguito del formarsi del giudicato.
5. Ricusazione
Ciascuna delle parti, nei casi in cui è prevista l’astensione obbligatoria, può proporre la ricusazione mediante ricorso motivato alla Commissione investita della causa. Il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine all'uopo fissato dall'art. 52 c.p.c., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice. Consegue che in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da quegli pronunciata[11], salvo che la violazione riguardi l’ipotesi di cui al n.1) dell’art. 51 c.p.c..
L’esclusione delle ipotesi in cui sussiste astensione facoltativa è motivata dalla esigenza di circoscrivere tale procedimento ai casi un cui non sussistono apprezzamenti discrezionali.
5.1 Ricorso per ricusazione
Il ricorso deve essere depositato in segreteria della Commissione a cui appartiene il giudice ricusato:
- almeno 2 giorni prima della data di trattazione dell’udienza, se al ricusante sono noti i nomi dei giudici facenti parte del collegio giudicante;
- e comunque prima dell’inizio della trattazione o discussione nel caso contrario.
Qualora, sia stata richiesta la discussione in pubblica udienza si ritiene che il ricorso possa essere presentato oralmente e verbalizzato in udienza, nel caso in cui soltanto in tale occasione si conoscano i componenti del collegio.
Il ricorso per ricusazione, debitamente sottoscritto dalla parte o dal suo difensore deve contenere l’indicazione:
- della commissione tributaria adita;
- delle parti del giudizio;
- dell’oggetto della controversia;
- del nominativo del giudice che si intende ricusare;
- dei motivi specifici di ricusazione;
- dei mezzi di prova.
Nel caso non sia stato presentato ricorso di ricusazione, la pronuncia del collegio nel merito della questione su cui verte il processo è valida e non può eccepirsi, in sede di impugnazione, come motivo di nullità della sentenza.
5.2. Provvedimenti del Collegio giudicante in merito all’istanza di ricusazione
Il ricorso sospende il giudizio principale ed è deciso con ordinanza non impugnabile, neanche per cassazione, emanata dal collegio cui appartiene il giudice ricusato, senza la sua partecipazione e con l'integrazione di altro membro della stessa commissione designato dal suo presidente, che può dichiarare :
a) l’inammissibilità del ricorso, allorquando non sono state osservate le “forme ed i termini fissati nell’art.52 c.p.c.”;
b) il rigetto, in caso di infondatezza dei motivi;
c) l’accoglimento, ed in tal caso si provvede a sostituire il giudice ricusato con un altro giudice della stessa commissione, su designazione del presidente.
Con l’ordinanza di rigetto o di inammissibilità della richiesta di ricusazione il giudice decide sulle spese e può applicare la pena pecuniaria prevista dall’art. 54 c. 3 c.p.c.[12].
L’ordinanza viene comunicata dalla segreteria della Commissione tributaria sia al giudice che alle parti.
5.3 Ripresa del processo
Entro il termine perentorio di 6 mesi dalla sopra citata comunicazione della segreteria della Commissione tributaria, la parte interessata deve depositare l’istanza di riassunzione del processo presso la segreteria della Commissione tributaria. In mancanza il processo si estingue.
Trovano applicazione gli articoli 53 e 54 c.p.c..
[1] Circ. Min. di Grazia e Giustizia n. 6/98 del 9 febbraio 1998. Incompatibilità giudici tributari.
[2] TAR Sardegna 17 gennaio 2008 n. 53.
[3] Cons. di Stato 12 marzo 2009 n. 1478.
[4] Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, Ris. n. 1 del 3 marzo 2009, Approvazione del modello di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per l'anno 2009.
[5] Cons. di Stato 23 ottobre 2009 n. 6519 per il quale “la tenuta e la custodia di scritture contabili, nonché la predisposizione della dichiarazione dei redditi, da parte di dottori commercialisti, costituisce attività incompatibile con l’esercizio dell’incarico di giudice tributario, non potendosi distinguere, nell’ambito delle consulenze professionali erogabili esclusivamente dagli iscritti all’albo, fra interventi meramente esecutivi e prestazioni intellettuali creative”; Cons. di Stato 29 maggio 2009 n. 3366; Cons. di Stato 27 giugno 2007 n. 3760.
[6] Cons. di Stato dec. 23 marzo 2004 n. 1464.
[7] Cons. di Stato dec. 28 settembre 2009 n. 5842.
[8] Cass. civ. sez. II 28 marzo 2007 n. 7578 in base alla quale “Il giudice che abbia partecipato soltanto alla attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prender parte alla decisione della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è pertanto gravato dal dovere di astensione ex art. 51, n.4, cod. proc. civ.; in ogni caso, l'inosservanza di un eventuale dovere di astensione non dà luogo alla nullità della sentenza per irregolare composizione del collegio giudicante, qualora la parte interessata non abbia proposto istanza di ricusazione”. Conforme Cass. civ. sez. V 14 marzo 2007 n. 5930.
[9] Cass. civ. sez. I 12 gennaio 2007 n. 565.
[10] Cass civ. sez. II 12 febbraio 2000 n. 1566.
[11] Cass. civ. sez. I 28 giugno 2002 n. 9483. Cass. civ. sez. II 29 marzo 2007 n. 7702 per la quale “qualora non sia stata proposta, ai sensi dell'art. 52 c.p.c., istanza di ricusazione, il vizio relativo alla costituzione del giudice per la violazione dell'obbligo di astensione non può essere dedotta quale motivo di nullità della sentenza, ex art. 158 c.p.c.; infatti, l'art.111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo, ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina anche attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione, sancendo, come ha affermato dalla Corte costituzionale (Sentenza n. 387 del 1999), che - in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti - non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l'imparzialità-terzietà del giudice solo attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione”.
[12] La Corte cost. con sent. n. 78/2002 ha dichiarato incostituzionale l’art. 53 c. 3 c.p.c., in quanto prevedeva in caso di ordinanza che dichiarava inammissibile o rigettava la ricusazione la condanna della parte o del difensore, a prescindere dalla valutazione delle circostanze che avevano determinato dette pronunce.
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