Problemi e casi pratici
1. Autonomia impositivia degli Enti locali
1.1. D. Quali sono i presupposti per l’istituzione da parte delle Regioni di tributi propri, in base all’art. 119 Cost.?
R. In materia tributaria, non è ammissibile l’esplicazione di potestà regionali autonome in mancanza della fondamentale legislazione statale di coordinamento. La premessa necessaria per l’attuazione dell’art. 119 Cost. è l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente di Stato, Regioni ed Enti locali (Corte Cost. 19 luglio 2004 n. 241 del 2004).
1.2. D. Può una legge regionale prevedere agevolazioni in materia di IRAP?
R. No. L’IRAP è un tributo erariale, pertanto la Regione può intervenire soltanto nei limiti previsti dalla legge istitutiva del tributo.
1.3 D. Quali sono i limiti del legislatore statale in materia di tributi (IRAP, addizionale regionale) istituiti dallo Stato, ma il cui gettito è attribuito agli Enti territoriali?
R. E’ riconosciuta al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, salvo che per i soli aspetti espressamente rimessi all'autonomia degli Enti territoriali, della disciplina dei tributi esistenti istituiti dalla legge statale ed il cui gettito è destinato, in tutto o in parte, a quest’ultimi. Condizione di legittimità dell’intervento statale è il divieto di procedere in senso inverso a quanto prescritto dal nuovo art. 119 della Costituzione, sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali, o configurando un sistema finanziario complessivo in contraddizione con l’art. 119 (Corte Cost. 26 gennaio 2004 n. 37).
1.4 D. E’ legittima la sospensione dell’aumento dell’addizione regionale all’IRPEF?
R. Si. Tale misura risulta giustificabile, sul piano della legittimità costituzionale, in quanto si traduce in una temporanea e provvisoria sospensione dell’esercizio del potere regionale in attesa di un complessivo ridisegno dell’autonomia tributaria delle Regioni, nel quadro dell’attuazione del nuovo art. 119 Cost.. Né, per altro verso, risulta dimostrato e nemmeno dedotto che la misura dia luogo ad una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione delle Regioni per l’adempimento dei loro compiti e quindi che sia gravemente alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte (Corte Cost. 14 dicembre 2004, n. 381).
1.5 D. Può un Comune istituire un tributo proprio?
R. L’Ente locale non può autonomamente istituire nuovi tributi (Ris. Min. Fin. 2 aprile 2002, n. 5/DPF). Stante la riserva di legge che copre tutto l’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte (art. 23 Cost.), e che comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo quanto meno gli aspetti fondamentali dell’imposizione, e data l’assenza di poteri legislativi in capo agli enti sub-regionali, dovrà altresì essere definito, da un lato, l’ambito (sempre necessariamente delimitato in forza appunto della riserva di legge) in cui potrà esplicarsi la potestà regolamentare degli enti medesimi; dall’altro lato, il rapporto fra legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario dei tributi locali: potendosi in astratto concepire situazioni di disciplina normativa sia a tre livelli (legislativa statale, legislativa regionale, e regolamentare locale), sia a due soli livelli (statale e locale, ovvero regionale e locale) (Corte Cost. 26 gennaio 2004 n. 37).
1.6 D. Può una legge regionale prevedere esenzioni in materia di tributi comunali (ICI, TOSAP, TARSU…)?
R. I tributi locali sono istituiti dallo Stato e sono disciplinati da legge statale, salvo quanto espressamente rimesso all'autonomia dei Comuni ( vedi ad es. art. 4 del d.lgs. n. 504 del 1992 e art. 59 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, recante «Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali»). Ne consegue che una legge regionale, nell'introdurre casi di esenzione dal tributo non previsti dalla normativa statale, interviene su una materia non attribuita alla competenza del legislatore regionale.
1.7 D. Quali sono gli effetti dell’omessa trasmissione della proposta di accertamento, disciplinata dall’art. 44 del DPR 600/73 e dall’art. 1, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, da parte dell’Amministrazione finanziaria ai Comuni?
R. Il Ministero delle finanze con la nota n. 15/3085 del 18 aprile 1983, ha sottolineato che l’omessa ottemperanza da parte dell'ufficio delle imposte di trasmissione della proposta di accertamento al Comune, non inficia la validità dell'accertamento notificato, dal momento che la partecipazione dei comuni all'accertamento, di cui all'art. 44 del D.P.R. n. 600/1973, non ha effetti sulla legittimità formale o sostanziale dell'atto ma può solo modificare il reddito accertato.
2. Potestà regolamentare. Impugnazione dei regolamenti ed atti generali illegittimi
2.1 D. Può un Ente locale, in base alla propria autonomia regolamentare, prevedere un condono relativamente ai tributi di propria competenza?
R. L’art. 13 della Legge n. 289 del 27.12.2002, stabilisce che i Comuni, con riferimento ai tributi, possono disciplinare, con apposita deliberazione del Consiglio Comunale, la riduzione dell’ammontare delle imposte e delle tasse di cui sono soggetti attivi ovvero l’esclusione o la riduzione degli interessi e delle sanzioni applicabili, per le ipotesi in cui, entro un termine non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione della delibera stessa, i contribuenti adempiano agli obblighi tributari precedentemente in tutto o in parti non adempiuti. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento per le politiche fiscali, in sede di commento della norma sopra citata, con nota n. 2195 del 14 maggio 2004, ha precisato che:
- l’adozione della norma regolamentare di condono ha validità temporale illimitata, dato che non sussistono ragioni di diritto e di fatto che possano precludere agli enti interessati la possibilità di deliberare sanatorie e disposizioni agevolative in materia di tributi locali dagli stessi interessati;
- la facoltà di adottare il provvedimento di sanatoria potrà esplicarsi si prorogando il condono a suo tempo eventualmente deliberato, cioè in fase di prima attuazione dell’istituto agevolativo, sia approvando ex novo definizioni agevolate per offrire ai contribuenti interessati un’ulteriore opportunità fiscale;
- il regolamento di sanatoria va deliberato entro il termine fissato per deliberare il bilancio di previsione dell’Ente.
2.2 D. In che modo il contribuente può far valere i vizi di legittimità di un regolamento comunale che disciplina un tributo locale?
R. Il contribuente può impugnare il regolamento innanzi al TAR, a cui è attribuito la giurisdizione esclusiva, nel temine di decadenza di 60 giorni oppure, laddove sia trascorso il citato termine, può eccepire l’illegittimità dello stesso a seguito di impugnativa dell’atto tributario innanzi alla commissione tributaria competente.
2.3 D. In caso di notifica di un atto impositivo che si ritiene viziato in quanto la delibera di determinazione delle tariffe è illegittima per violazione al regolamento comunale disciplinante il tributo (oppure alla vigente normativa), come deve procedere il contribuente al fine di ottenere l’annullamento dell’atto impositivo?
R. Il contribuente può impugnare l’atto deliberativo di determinazione delle tariffe innanzi al TAR, a cui è attribuito la giurisdizione esclusiva in materia di ricorsi alle deliberazioni regolamentari e tariffarie emesse dagli enti pubblici, nel temine di decadenza di 60 giorni.
Qualora, sia decorso il citato termine, il contribuente nel ricorso finalizzato all’annullamento dell’atto impositivo, dovrà in via pregiudiziale chiedere all’adita Commissione tributaria la disapplicazione della delibera comunale di determinazione delle tariffe in quanto illegittima, evidenziandone i motivi di illegittimità.
2.4 D. Può un Ente locale deliberare le aliquote dei propri tributi e le misure delle tariffe dopo il termine fissato dalla legge per l’approvazione del bilancio di previsione, qualora emerga nel corso dell’esercizio finanziario uno squilibrio della gestione?
R. No. Il termine ultimo per deliberare le aliquote e le misure delle tariffe è quello previsto dalla legge per la deliberazione del bilancio di previsione.
3. I principi dello statuto del contribuente
3.1 D. Quali sono le conseguenze relative alla notifica di un avviso di accertamento, che in violazione all’art. 7 c. 2 lett. c) della L. 212/2000, non indica il termine e/o l’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere?
R. L’omissione non determina la nullità dell’avviso di accertamento, ma soltanto una mera irregolarità, rilevante sul piano processuale con riferimento alla scusabilità dell’errore cui sia incorso il contribuente per effetto di tali omissioni (ad es. termine per l’impugnazione). Tale principio può ritenersi ancora applicabile pur in esito all’entrata in vigore della L. n. 212/2000, art. 5, dal momento che, in ogni caso, la norma non prevede espressamente al nullità dell’atto tributario per il solo fatto che le richieste indicazioni non siano presenti (Cass. sez. trib. 22 settembre 2006 n. 20532).
3.2 D. Quali sono i requisiti minimi che deve contenere la motivazione dell’atto impositivo affinchè la stessa possa ritenersi esaustiva?
R. La motivazione dell'atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato lo stesso. Qualora, la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto e non ricevuto dal contribuente, l’ufficio tributario dovrà alternativamente: a) allegare quest’ultimo all’atto che lo richiama, oppure b) riprodurne il contenuto essenziale.
3.3 D. All’avviso di accertamento vanno allegate gli atti generali emanati dall’Ente, quali ad esempio le delibere di approvazione delle aliquote e/o tariffe del tributo oggetto di accertamento?
R. Le delibere comunali relative all'applicazione di un tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che debbono essere allegati agli avvisi di accertamento, atteso che si tratta di atti amministrativi di carattere generale, soggetti a pubblicità legale e pertanto, si presume la conoscibilità delle stesse da parte del contribuente (Cass. sez. trib. 10 novembre 2004 n. 3551).
3.4 D. Il contribuente può rivolgersi al Garante del contribuente in materia di tributi locali?
R. No. I poteri del Garante del contribuente sono attributi dal legislatore in riferimento ad atti, prassi e comportamenti dell'Amministrazione Finanziaria e non anche dell’Ente locale.
3.5 D. Quali sono i presupposti di fatto per l'esercizio del potere di disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie per obiettive condizioni di incertezza normativa?
L’incertezza normativa oggettiva tributaria, costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, come emerge dall’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in quanto si caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, anche di legittimità, di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo pur metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie. Ricorrendo tale circostanza, le commissioni tributarie possono dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, allorquando il contribuente abbia assolto l’onere di dimostrare gli elementi e circostanze che giustificano le condizioni di obiettiva incertezza sull’interpretazione e portata applicativa della disposizione tributaria che si asserisce violata (Cass. sez. trib. 25 giugno 2009 n. 14987).
3.6 D. Quali sono gli effetti giuridici conseguenti ad un’interpretazione autentica disposta in base alla L. n. 212 del 2000, art. 1, c. 2?
R. La disposizione di interpretazione autentica è applicabile retroattivamente. Infatti, la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica - al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione - esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma, fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (Cass. SS.UU. 29 aprile 2009, n. 9941).
3.7. D. Il giudice tributario può disapplicare le norme tributarie contrastanti con lo Statuto dei diritti del contribuente?
R. No. Le norme dello Statuto non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (tant’è che ne è ammessa la modifica o la deroga, purché espressa e non ad opera di leggi speciali: art. 1), con la conseguenza che una norma legislativa che si ponga in contrasto con esse, senza che ricorrano le dette condizioni, come non può, per ciò solo, essere oggetto di questione di legittimità costituzionale (non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità: cfr., Corte Costituzionale, ord. n. 180/2007), così non può, ovviamente, essere suscettibile di disapplicazione (Cass. sez. trib. ord. 13 ottobre 2009 n. 21718).
3.8 D. La classificazione catastale costituisce o meno elemento determinante per escludere o affermare l'assoggettabilità a Ici di un fabbricato?
R. In tema di ICI, l'immobile che sia stato iscritto nel Catasto fabbricati come rurale, con l'attribuzione della categoria A/6 o D/10, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall'articolo 9 del D.L. 557/93 convertito dalla L. 133/94 e successive modificazioni, non è soggetto all'imposta, ai sensi del combinato disposto dell'art. 23, c. 1-bis, del D.L. 207/2008, convertito dalla L. 14/2009 e dell'art. 2, c. 1, lett. a) del D.Lgs. 504/92.
L'attribuzione all'immobile di una diversa categoria catastale, deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all'imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest'ultimo assoggettato ad ICI; allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l'attribuzione della categoria catastale al fine di poter legittimamente pretendere l'assoggettamento all'imposta del fabbricato. Per i fabbricati non iscritti in catasto, l'assoggettamento all'imposta è condizionato all'accertamento dei requisiti condotto dal giudice tributario (Cass. SS.UU. 7 luglio 2009 n. 18565).
3.9 D. Quali sono i presupposti per qualificare un'area come edificabile ai fini Ici?
R. L’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, ai fini ICI, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. Il D.L. 223/2006 ha disposto che l'area ai fini fiscali si deve considerare edificabile sin dalla data dell'adozione comunale dello strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'approvazione di esso e dal fatto che sia previsto uno strumento attuativo. L’adozione dello strumento urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione edificatoria, imprime infatti al bene una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile reversibilità, essendo pertanto sufficiente a far venir meno, ai fini anzidetti, la presunzione del rapporto proporzionale tra reddito dominicale risultante in catasto e valore del terreno medesimo, posto a fondamento della valutazione. Non interessa, dunque, ai fini fiscali, che il suolo sia immediatamente ed incondizionatamente edificabile, perché possa farsi ricorso legittimamente al criterio di valutazione del valore venale in comune commercio (Cass. sez. trib. 18 marzo 2009 n. 6521). In ogni caso l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (Cass. SS.UU. 30 novembre 2006 n. 25506).
3.10 D. L’avviso di accertamento ICI relativo ad un’area fabbricabile può basarsi esclusivamente sul valore determinato dai Comuni con delibera di giunta ai sensi dell’art. 59 c.1, lett. g del D.Lgs. 446/1997?
R. Per la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la delibera di Giunta con cui sono indicati i valori di riferimento delle aree in questione, pur essendo atto di carattere generale, ha assunto il valore di presunzione, ancorché suscettibile di prova contraria, assimilabile agli studi di settore. Costituisce, pertanto una fonte di presunzione dedotta da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall'Amministrazione al giudice ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente, analogamente al cosiddetto “redditometro” (Cass. sez. trib. 27 luglio 2007 n. 16700 ). Pertanto, il contribuente che intende contrastare la valutazione operata ha l'onere di portare all'attenzione del giudice tributario elementi probatori idonei a dimostrarne l'incongruità (Cass. 14 ottobre 2009 n. 21764).
3.11 D. Ai fini ICI, deve considerarsi o meno fabbricabile un'area vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico attrezzato)?
R. Qualora la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico; attrezzature pubbliche; ecc.), è da ritenersi esclusa la natura edificabile dell’area medesima in quanto tale classificazione apporta un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (Cass. sez. trib. 17 aprile 2008 n. 25672).
3.12 D. Le disposizioni richiamate dalla L. n. 241 del 1990 si applicano al procedimento tributario di accertamento concernente la debenza dell'imposta?
R. La L. n. 241 del 1990, esclude espressamente i "procedimenti tributari" sia dall'"ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione" contenute nel suo "capo terzo" (secondo comma del suo art. 13, che chiude, appunto, detto "capo") sia dal "diritto di accesso" regolato dal "capo quinto", nel quale è compreso l'art. 24, che prevede l'esclusione alla lett. b) del primo comma e (in prosieguo di ciascuna disposizione) mantiene "ferme" (ovverosia in vigore), in entrambi i casi, "le particolari norme che li regolano".
Discende da tanto che - fermo l'obbligo di motivazione (peraltro specificamente previsto, di poi, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e variamente regolamentato nelle disposizioni afferenti ciascuna imposta) - la L. n. 241 del 1990 riconosce al contribuente, quanto alla sua "partecipazione" e/o al suo "diritto di accesso" nel procedimento tributario di accertamento, soltanto le facoltà considerate (e nei limiti in cui sono considerate) dalle "particolari norme" che regolano ciascun procedimento (Cass. SS.UU. 9 luglio 2009 n. 16097).
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