Cons. St. n. 5782/2008.
Rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande volte a ottenere il risarcimento del danno causato da sanzioni disciplinari in ambito sportivo, non operando in tal caso alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, e il giudice amministrativo può conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte in via incidentale e indiretta, al fine appunto di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzioni

Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno subito da una società in conseguenza delle decisioni adottate da una Federazione Sportiva o dagli organi della giustizia sportiva.

La giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. Proprio alla luce di tale principio, oggi, c'è sostanziale concordia sul fatto che siano riservate alla giustizia sportiva le c.d. controversie tecniche (quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva), in quanto non vi è lesione né di diritti soggettivi né di interessi legittimi. Mentre, sono riservate alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati.

L'esistenza del c.d. vincolo della giustizia sportiva, in forza del quale il ricorso giurisdizionale è proponibile solo dopo l'esaurimento dei gradi della giustizia sportiva, fa sì che l'atto fonte del danno debba essere individuato nella decisione che esaurisce i gradi della giustizia sportiva, ovvero, come accade nel caso di specie, nella decisione del Collegio arbitrale istituito presso la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport.

La decisione della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del C.O.N.I. non costituisce un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresenta la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo, benché emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale (tale qualificazione del lodo in termini di atto amministrativo non può, tuttavia, essere applicata alla fattispecie in esame).

Dalla qualificazione della decisione della Camera di Conciliazione in termini di vero e proprio lodo arbitrale (e non di atto amministrativo, come è, invece, per il lodo pronunciato su controversie arbitrabili ai sensi dello Statuto federale), discende che tale atto può formare oggetto di impugnazione nei soli limiti consentiti dal codice di procedura civile ed è soggetto ai motivi di impugnazione tassativamente indicati nell'art. 829 c.p.c.

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5578/2007, proposto

dall’A.C. Arezzo S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Guido Corso e Giovanni Pesce, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, via XX Settembre n. 1;

contro

F.I.G.C. – Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Mario Gallavotti, presso il primo elettivamente domiciliata, in Roma, via Panama n. 58;

C.O.N.I. – Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Alberto Angeletti, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla via Giuseppe Pisanelli, n. 2;

e nei confronti

della Lega Nazionale Professionisti serie A e B, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggero Stincardini, elettivamente domiciliata in Roma, via Varrone, n. 9, presso lo studio dell’avv. Francesco Vannicelli;

della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, del Collegio arbitrale, in persona del Presidente pro tempore, della A.C. Cesena S.p.a., della U.S. Triestina Calcio S.r.l., della Spezia Calcio S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio, sezione III ter, n. 5645/2007, depositata il 21 giugno 2007;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione della F.I.G.C., del C.O.N.I. e della Lega Nazionale professionisti; Visto l’appello incidentale proposto dalla F.I.G.C.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 21 ottobre 2008 relatore il Consigliere Roberto Giovagnoli;
Uditi gli avv.ti Pesce, Medugno e Angeletti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. del Lazio, la società sportiva A.C. Arezzo s.p.a. ha impugnato, chiedendo anche il risarcimento del danno subito, le decisioni succedutesi dinanzi alle corti di giustizia sportiva culminate con il lodo della Camera arbitrale, che ha sancito per l’Arezzo la penalizzazione di 6 punti in classifica nel campionato di calcio di serie B, stagione 2006/2007, penalizzazione rivelatasi poi decisiva per la retrocessione dell’Arezzo dalla serie B alla serie C1.

La penalizzazione è stata inflitta all’Arezzo a titolo di illecito sportivo, per fatti connessi alla vicenda della c.d. “calciopoli”, insorta nella stagione calcistica 2005/2006.

2. La vicenda è nata dall’intercettazione di una telefonata intercorsa il 16/5/05 tra il sig. Titomanlio, designato come guardalinee per la delicata partita Arezzo - Salernitana, disputata il precedente 14/5, e terminata con il risultato di 1 - 0, ed il sig. Meani, dirigente del Milan ed amico del primo, ove si riferisce di un incontro e di una conversazione intervenuta a Coverciano tra il medesimo Titomanlio ed il sig. Mazzei, vicecommissario della CAN ed incaricato della formazione fisica e tecnica degli assistenti di gioco, nel corso della quale il Mazzei avrebbe riservatamente rappresentato al proprio interlocutore di seguire

con attenzione la competizione sportiva; nel corso della telefonata, inoltre, il Titomanlio riferisce di un paio di episodi di giuoco da lui segnalati all’arbitro (che non li aveva ritenuti fallosi) inseriti in azioni di gioco che avrebbero potuto portare al pareggio della Salernitana.

3. Giova ancora evidenziare che l’Arezzo è stato sanzionato in ragione dell’applicazione della figura della c.d. responsabilità presunta prevista dal codice della giustizia sportiva, all’art. 9, comma terzo (pure oggetto di impugnativa innanzi al T.a.r. Lazio).

4. Il T.a.r. Lazio, con la sentenza n. 5645 del 2007, ha respinto il ricorso, dopo aver disatteso alcune eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti resistenti. In particolare, ha respinto le eccezioni di inammissibilità fondate sul difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, e sulla natura giuridica delle decisione emessa dal Collegio arbitrale.

5. Avverso tale sentenza ha proposto l’A.C. Arezzo s.p.a. ha proposto appello, chiedendo, in via cautelare, la sospensione.

Si costituita in giudizio la F.I.G.C. che ha spiegato anche appello incidentale, riproponendo le eccezioni di inammissibilità (fondate sul difetto di giurisdizione e sulla natura non provvedi mentale del lodo emesso dalla Camera di Conciliazione e arbitrato del C.O.N.I.).

Si sono costituiti in giudizio, sostenendo posizioni analoghe a quella della F.I.G.C., anche il C.O.N.I. e la Lega Nazionale Professionisti serie A e B.

6. Con ordinanza n. 4098/2007, emessa all’esito della camera di consiglio del 31 luglio 2007, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare volta alla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza proposta dall’appellante principale.

7. All’udienza del 21 ottobre 2008, la causa è stata trattenuta per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Appare opportuno premettere che il presente giudizio ha ormai ad oggetto soltanto il risarcimento del danno subito dall’A.C. Arezzo in conseguenza della penalizzazione inflitta che ha determinato, al termine della stagione 2006/2007, la retrocessione della società in serie C1.
L’A.C. Arezzo, infatti, ha già disputato il campionato 2007/2008 in serie C1 (anziché in serie B, come sarebbe avvenuto senza la penalizzazione). Gli atti impugnati hanno, quindi, prodotto conseguenze irreversibili, nel senso che - come del resto evidenziato, in sede di istanza cautelare, dallo stesso appellante principale - neanche una eventuale decisione favorevole di questo Giudice potrebbe restituire all’Arezzo il “bene della vita” (qui coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione dei 6 punti.

La legittimità degli atti impugnati viene, quindi, in rilievo, in via indiretta, al fine di decidere sulla domanda risarcitoria proposta dall’A.C. Arezzo s.p.a.
Ciò premesso, si può ora procedere all’esame dei motivi di appello.

2. Risulta logicamente pregiudiziale l’esame delle eccezioni di inammissibilità respinte dal T.a.r. e riproposte, mediante appello incidentale, dalla F.I.G.C.

3. Va, in primo luogo, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, eccezione riproposta dalla F.I.G.C. nell’assunto che oggetto del gravame sia una sanzione disciplinare sportiva (consistente nella penalizzazione in classifica), destinata ad esaurire i propri effetti nell’ambito dell’ordinamento settoriale, con conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale, alla stregua anche di quanto disposto dall’art. 2, della legge n. 280/2003.

3.1. Occorre, a tal fine, ricostruire brevemente il quadro normativo e il dibattito giurisprudenziale sviluppatosi in ordine ai rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa.
Il d.l. n. 220/2003, conv. in l. n. 280/2003, (c.d. “salva calcio” o “blocca T.a.r.) stabilisce, all’art. 1, che

i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1, primo comma).
Dando applicazione al principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, il successivo art. 2 riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. L’art. 3 d.l. cit., infine, occupandosi specificamente della giurisdizione prevede che, “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso e' fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”.

3.2. Le norme appena riportate, nate con il preciso intento di arginare l’intervento della giustizia statale sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, hanno inteso tracciare una linea di confine netta tra i territori rispettivamente riservati all’ordinamento sportivo, e ai suoi organi di giustizia, e quelli nei quali è possibile l’intervento della giurisdizione statale, e del giudice amministrativo in particolare

Il legislatore non è, tuttavia, pienamente riuscito nel suo scopo chiarificatore.
Anche dopo del d.l. n. 220/2003, la linea di confine tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa è rimasta spesso incerta, come dimostrano le numerose divergenze interpretative che si riscontrano anche all’interno della giurisprudenza amministrativa.
Si tratta di difficoltà ermeneutiche che riflettono, del resto, la stessa complessità che si incontra nel tentativo di conciliare due principi che mostrano diversi momenti di potenziale conflitto: il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 18 della Costituzione) e il principio del diritto di azione e di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall’art. 24 Cost.

3.2. In questa indagine sui rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale si deve partire da una considerazione di fondo: quella secondo cui la "giustizia sportiva" costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.

3.3. Proprio alla luce di tale principio, oggi c’è sostanziale concordia sul fatto che siano riservate giustizia sportiva le c.d. controversie tecniche, (quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva) in quanto non vi è lesione né di diritti soggettivi, né di interessi legittimi.

3.4. Ugualmente, è ormai pacifico che siano riservate alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti l’ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 20004, n. 3917).
Nel testo dell’originario D.L. n. 220/2003 esse rientravano tra le questioni riservate all’ordinamento sportivo (art. 2, comma 1, lett. c). La soppressione in sede di conversione di tale categoria, costituisce chiaro indice della volontà del legislatore di non considerare indifferenti per l’ordinamento statale controversie, quali quelle inerenti, l’affiliazione delle società alle federazioni e i provvedimenti di ammissione ai campionati, trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni.

3.5. La questione si fa, invece, molto più delicata per le controversie c.d. disciplinari, le quali attengono alla irrogazione di provvedimenti di carattere punitivo nei confronti di atleti, associazioni e società sportive. In questo caso, è, infatti, frequente che il provvedimento punitivo adottato nell’ambito dell’ordinamento sportivo incida, almeno indirettamente, per i gravi effetti anche economici che comporta, su situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo, ma rilevanti per

l’ordinamento generale.
Il problema allora è se debba prevalere il valore dell’autonomia dell’ordinamento sportivo o quello del diritto di azione o di difesa in giudizio.
A favore della prima soluzione sembrerebbe deporre la formulazione letterale dell’art. 2 d.l. n. 220/2003 che riserva alla giustizia sportiva, senza alcuna ulteriore distinzione, “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
A favore della seconda lettura si può, tuttavia, invocare la parte finale dell’art. 1 d.l. n. 220/2003 che, nell’affermare solennemente il principio dell’autonomia sportiva, fa espressamente "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo".

3.6. In giurisprudenza sono state sostenute entrambe le posizioni.

3.6.1. Alcune sentenze, soprattutto di primo grado, proprio dando rilevanza alla rilevanza esterna (in termini di incidenza si situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento generale) delle conseguenze derivanti dal provvedimento afflittivo irrogato dalla Federazione sportiva, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa anche sui ricorsi avverso le sanzioni disciplinari irrogate avverso società o singoli tesserati.

Così, proprio con specifico riferimento alle penalizzazioni di alcuni punti in classifica, si segnala T.a.r. Lazio, sez. III, 22 agosto 2006, n. 7331 secondo cui tale sanzione, determinando l’esclusione dalla graduatoria delle società ripescabili nel campionato nazionale, e la conseguente retrocessione della società di calcio, assumerebbe anche rilevanza esterna, incidendo sullo status del soggetto in termini non solo economici, ma anche di onorabilità.

A tale orientamento interpretativo (che afferma o nega la giurisdizione in base alla gravità delle conseguenze che derivano dal provvedimento punitivo) fa, del resto, esplicito riferimento la sentenza di primo grado oggetto del presente appello.

3.6.2. In senso opposto, si è pronunciato invece il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia con la nota sentenza 8 novembre 2007 n. 1048, secondo cui in materia disciplinare la giurisdizione statale è sempre esclusa, a prescindere dalle conseguenze ulteriori – anche se patrimonialmente rilevanti o rilevantissime – che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a quest’ultimo puramente riservati.
A sostegno di tale tesi si osserva che il legislatore del 2003 “ha operato una scelta netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto; e tale scelta l’interprete è tenuto ad applicare, senza poter sovrapporre la propria "discrezionalità interpretativa" a quella legislativa esercitata dal Parlamento” (C.G.A., sentenza 8 novembre 2007 n. 1048).

3.7. Tra le due diverse opzioni ermeneutiche, la seconda appare quella più aderente alla formulazione letterale degli artt. 2 e 3 d.l. n. 220/2003.
Tali norme, infatti, demandano in via esclusiva alla giustizia tutti i “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. Il legislatore non fa alcuna distinzione in ordine alla conseguenze patrimoniali che quelle sanzioni possono produrre.

Del resto, come è stato rilevato ((C.G.A., sentenza 8 novembre 2007 n. 1048), il legislatore allorché emanò il decreto legge n. 220 del 2003, non poteva certo ignorare che l’applicazione del regolamento sportivo – sia da parte dell’arbitro nella singola gara determinante per l’esito dell’intera stagione; sia da parte del giudice sportivo di primo o di ultimo grado – e l’irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari quasi sempre producono conseguenze patrimoniali indirette di rilevantissima entità.

Tuttavia a tali conseguenze non ha attribuito alcun rilievo ai fini della verifica di sussistenza della giurisdizione statuale; che, infatti, il legislatore ha radicato solo nei casi diversi da quelli, espressamente eccettuati, di cui all’art. 2, comma 1, del decreto legge citato.

3.8. Così inteso, tuttavia, il d.l. n. 220/2003 (conv. In l. n. 280/2003), dà luogo ad alcune perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della riserva a favore della “giustizia sportiva”: in particolare, non risultano manifestamente infondati quei dubbi di costituzionalità, prospettati anche dall’appellante principale, che evocano un possibile contrasto col principio della generale tutela statuale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (art. 24 Cost.), e con la previsione costituzionale che consente sempre

l’impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinnanzi agli organi di giustizia amministrativa (art. 103 e 113 Cost.).
Né sembra possibile procedere ad una interpretazione correttiva e costituzionalmente orientata della norme in esame: la strada dell’interpretazione “correttiva”, che poi è quella praticata dal T.a.r. Lazio con la sentenza appellata, finisce, infatti, per tradursi, di fronte ad una norma dalla chiara ed univoca portata precettiva, in una operazione di disapplicazione della legge incostituzionale, senz’altro preclusa a questo Giudice.

3.9. Tuttavia, nel caso di specie, il Collegio ritiene di poter decidere la presente controversia senza sollevare la questione di costituzionalità delle norme contenute negli artt. 2 e 3 d.l. n. 220/2003 (conv. in l. n. 280/2003).
Ciò in quanto, come sopra si è precisato, oggetto del presente giudizio non è più l’annullamento della sanzione disciplinare irrogata dalla Federazione all’Arezzo Calcio e delle decisioni che organi di giustizia sportiva che hanno respinto i ricorsi della società. Tali atti, infatti, hanno ormai prodotto effetti irreversibili (avendo l’Arezzo già disputato, in conseguenza della sanzione subita e della conseguente retrocessione, il campionato di serie C1, anziché quello di serie B).
Una eventuale decisione di annullamento pronunciata da questo Giudice non potrebbe comunque restituire all’A.C. Arezzo il “bene della vita” (coincidente con la permanenza in serie B) che la squadra avrebbe ottenuto senza la sanzione dei 6 punti.
La legittimità degli atti impugnati viene, pertanto, in rilievo solo in via indiretta ed incidentale, al fine di decidere sulla domanda risarcitoria, che a questo punto rappresenta l’oggetto esclusivo del presente giudizio.

3.10. Rispetto alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno subito da una società in conseguenza delle decisioni adottate da una Federazione sportiva o dagli organi della giustizia sportiva non può essere sostenuto il difetto assoluto di giurisdizione, invocando gli artt. 2 e 3 del più volte citato d.l. n. 220 del 2003.
A tale conclusione conducono le seguenti considerazioni.
In primo luogo, la domanda risarcitoria non è proponibile innanzi agli organi della giustizia sportiva (ai quali si può chiedere solo l’annullamento della sanzione).
Escludere la giurisdizione statale avrebbe, allora, la conseguenza di creare un vero proprio vuoto di tutela: i danni provocati dalle decisioni delle Federazioni sportive (o dalla Camera di Conciliazione e di Arbitrato del CONI) diventerebbero irrisarcibili, anche quando incidono (come spesso accade) su situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico generale.
Non si avrebbe più soltanto una questione processuale, involgente i rapporti tra giustizia sportiva e giurisdizione statale, ma si avrebbe una vera e propria deroga sostanziale all’applicazione dell’art. 2043 c.c., deroga priva di ogni plausibile giustificazione e sprovvista di fondamento normativo espresso.

3.11. In questo caso, tuttavia, l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme è possibile.
Da un lato, infatti, l’art. 2 d.l. cit., nel delimitare la riserva a favore dell’ordinamento sportivo, non fa alcun riferimento alle controversie risarcitorie.
Dall’altro, l’art. 3 prevede espressamente che, “esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

Infine, l’art. 1 d.l. n. 220 del 2003, nel sancire il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, fa proprio “salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”.
Ebbene, il Collegio ritiene che tali norme debbano essere interpretate, in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere. 3.12. Anche per le controversie risarcitorie opera, tuttavia, il c.d. vincolo della giustizia sportiva, e quindi potranno essere instaurate solo dopo che siano “esauriti i gradi della giustizia sportiva”, così come prevede l’art. 3.
In definitiva, anche se, secondo la vigente normativa, la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo prevista dall’art. 3 d.l. n. 220/2003 non include le domande volte all’annullamento delle sanzioni disciplinari, deve, tuttavia, ritenersi, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto normativo, che siano proponibili innanzi al Giudice amministrativo le domande volte ad ottenere il risarcimento del danno che tali sanzioni disciplinari hanno provocato incidendo anche su situazioni rilevanti per l’ordinamento generale della Repubblica.
Il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione.
Alla luce di tali considerazioni, deve, quindi, affermarsi la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dall’A.C. Arezzo, volta ad ottenere i danni subiti a causa della retrocessione in serie C1determinata dalla penalizzazione subita.
Il primo motivo dell’appello incidentale va, pertanto, respinto.

3.13. La domanda risarcitoria, tuttavia, come prevede l’art. 3 cit., è proponibile solo dopo l’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva.
La necessità che siano esauriti i gradi della giustizia sportiva impone di distinguere due ipotesi.

3.13.1. La prima si verifica se gli organi della giustizia sportiva annullano la sanzione inflitta dalla Federazione: in tal caso, al Giudice amministrativo potranno essere chiesti i danni che si sono medio tempore prodotti nonostante l’annullamento della sanzione.
Considerato che il provvedimento fonte del danno è già stato annullato nell’ambito dell’ordinamento sportivo, il giudice non dovrà compiere alcuna valutazione incidentale sulla legittimità dello stesso, limitandosi a verificare l’an e il quantum del danno provocato.

3.13.2. La seconda ipotesi ricorre se la sanzione inflitta viene confermata dagli organi della giustizia sportiva.
Anche in tal caso, la domanda risarcitoria potrà essere comunque proposta innanzi al Giudice amministrativo, che, però, ricorrendo tale evenienza, dovrà procedere ad una valutazione incidentale della legittimità del provvedimento, allo scopo di decidere sulla domanda risarcitoria.

3.14. Si pone qui l’ulteriore problema di individuare l’atto fonte del danno che, come tale, deve essere oggetto del sindacato incidentale da parte del Giudice amministrativo.
L’esistenza del c.d. vincolo della giustizia sportiva, in forza del quale il ricorso giurisdizionale è proponibile solo dopo l’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva, fa sì che l’atto fonte del danno debba essere individuato nella decisione che esaurisce i gradi della giustizia sportiva, ovvero, come accade nel caso di specie, nella decisione del Collegio arbitrale istituito presso la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport.

E’ allora necessario, per delineare i limiti del sindacato giurisdizionale esercitabile dal Giudice amministrativo, capire quale sia la natura giuridica di tale decisione.

4. Si tratta proprio della questione oggetto del secondo motivo di appello incidentale, con il quale la F.I.G.C. deduce l’inammissibilità del ricorso sostenendo, appunto, che la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport ha natura di pronuncia arbitrale vera e propria e non di atto amministrativo.

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. Il Collegio non ignora, ma anzi condivide, l’orientamento giurisprudenziale proprio di questa Sezione, secondo cui la decisione della camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del C.O.N.I. non costituisce un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresenta la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo, benché emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale.

Si tratta, come specificato da Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2004, n. 3917, di una decisione emessa dal supremo organo della giustizia sportiva sulla base di principi e garanzie tipiche del giudizio arbitrale, ma che resta soggetta agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate all’ordinamento sportivo.

4.3. Tale qualificazione del lodo in termini di atto amministrativo non può essere, tuttavia, applicata alla presente fattispecie.
Nel caso in esame, infatti, la sanzione inflitta all’A.C. Arezzo, consistendo in una penalizzazione di classifica (da scontare nel campionato di serie B 2006/2007) non era arbitrabile ai sensi dell’art. 27.3 dello Statuto federale all’epoca vigente.

Come correttamente deduce l’appellante incidentale, la controversia, quindi, è stata portata all’esame della Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport solo a seguito di un apposito accordo compromissorio, di cui, del resto si dà atto sia nelle premesse del lodo (“all’udienza arbitrale del 24 novembre 2006, le parti accettando il regolamento della Camera senza alcuna riserva in ordine ai poteri del Collegio arbitrale, accettando altresì la designazione del Collegio arbitrale [...]”), sia nel verbale del della prima riunione del Collegio arbitrale (“preliminarmente le parti dichiarano di accettare, per quanto possa occorrere, la designazione dell’odierno collegio arbitrale, ogni eccezione rimossa”).

4.4. Dalla qualificazione della decisione della Camera di Conciliazione in termini di vero e proprio lodo arbitrale (e non di atto amministrativo, come è, invece, per il lodo pronunciato su controversie arbitrabili ai sensi dello Statuto federale), discende che tale atto può formare oggetto di impugnazione nei soli limiti consentiti dal codice di procedura civile.
In particolare, il lodo rituale è soggetto al regime di impugnazione per le cause di nullità, tassativamente indicare nell’art. 829 c.p.c.;
il lodo irrituale, invece, se avente origine da convenzioni arbitrali stipulate, come nella fattispecie, successivamente al 3.3.2006, è sottoposto ai motivi di impugnazione previsti dall’art. 808 ter c.p.c. (norma introdotta dal d.lgs. n. 40/2006), ai quali, secondo la tesi prevalente, si aggiungono, comunque, le ordinarie impugnative negoziali (incapacità, errore, violenza, dolo, eccesso di mandato, violazione di norme imperative).
Il dubbio circa la natura rituale o irrituale dell’arbitrato oggi deve essere risolto, in base a quanto previsto dall’art. 808 ter c.p.c., a favore della natura rituale del lodo. Con tale norma, infatti, il legislatore ha chiarito che la scelta in favore di un arbitrato che abbia esito in un lodo irrituale (come tale non destinato agli effetti di cui all’art. 824 bis c.p.c.), oltre a richiedere una forma scritta, deve essere espressa: in caso contrario, ogni dubbio sulla qualificazione come rituale o irrituale dell’arbitrato prescelto dalle parti deve sciogliersi a favore della natura riturale e della conseguente integrale applicabilità della disciplina legale, anche per quel che riguarda il regime di impugnazione di cui all’art. 827 c.p.c.
E’ stato così superato per tabulas il precedente maggioritario orientamento giurisprudenziale che, invece, in caso incertezza sulla individuazione della species di arbitrato, optava per la natura irrituale in considerazione del favor della competenza giurisdizionale, a cui le parti eccezionalmente derogherebbero con il deferimento ad arbitri rituali del potere di decidere la controversia.

4.5. Da quanto detto deriva che il lodo oggetto del presente giudizio debba essere qualificato come lodo rituale e, quindi, soggetto ai motivi di impugnazione tassativamente indicati nell’art. 829 c.p.c.
Emerge allora l’inammissibilità sotto questo profilo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (e della relativa domanda risarcitoria), non essendo state con esso spiegate censure riconducibili ad alcuna delle tipologie dei vizi a critica vincolata ammesse avverso la pronuncia arbitrale.

L’unico motivo che potrebbe essere ricondotto alla cause di nullità previste dall’art. 829 c.p.c. è, soltanto, quello con cui si fa valere la inesistenza del lodo per difetto di rituale sottoscrizione. L’appellante principale sostiene che il lodo è stato deliberato in Roma in data 24/11/2006, ma poi è stato sottoscritto dai vari arbitri in diversi luoghi e differenti date.

Anche tale motivo non è, tuttavia, suscettibile di accoglimento: esso, infatti, è stato proposto muovendo dal dichiarato presupposto che nel caso di specie venga in considerazione o un provvedimento amministrativo collegiale (per il quale sarebbe necessaria la contestualità tra deliberazione e sottoscrizione) o un lodo irrituale (perché, deduce l’appellante, anche i negozi giuridici dovrebbero essere sottoscritti appena deliberati nel contenuto).

La censura è invece inammissibile con riferimento al lodo rituale, dato che non rientra in nessuno dei motivi di nullità tassativamente indicati nell’art. 829 c.p.c. E non potrebbe essere diversamente, dato che per il lodo rituale, la possibilità di una sottoscrizione non contestuale da parte degli arbitri è espressamente prevista dall’art. 816, u.c. c.p.c. Tale possibilità è ulteriormente confermata dall’art. 823 n. 8) c.p.c.: tale norma, richiedendo, come requisito del lodo, l’indicazione della data delle sottoscrizioni, ammette implicitamente l’eventualità di una sottoscrizione con date diverse.

E’ appena il caso di aggiungere, peraltro, che anche qualificando la decisione impugnata come atto amministrativo collegiale o come lodo irrituale, il motivo andrebbe respinto in quanto nessuna norma impone la contestualità della sottoscrizione da parte di coloro che hanno preso parte all’atto.

4.6. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere accolto l’appello incidentale proposto dalla F.I.G.C. e, per l’effetto, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio devono essere integralmente compensate fra le parti ricorrendo giusti motivi, in considerazione della complessità e della novità delle questioni esaminate.

P .Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

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