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La rappresentanza in giudizio del contribuente ricorrente e dell’Ente impositore

1. Capacità a stare giudizio del contribuente

L’art.11 D.Lgs. 546/1992, disciplina la capacità processuale, disponendo che le parti diverse dall'ufficio del Ministero delle finanze  e  dall'Ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso possono stare in giudizio personalmente o mediante procuratore generale o speciale, da nominare con scrittura privata autenticata ovvero con atto pubblico (c.d. rappresentanza volontaria). Qualora, si tratti di procura speciale conferita ad un legale, la sottoscrizione può essere da questi certificata ai sensi dell’art. 83 c. 3 c.p.c..

La procura speciale, ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica, può esser conferita, anche a mezzo di scrittura privata non autenticata, ai seguenti soggetti:

a)      al coniuge;

b)      ai parenti;

c)      agli affini entro il quarto grado.

Dalla rappresentanza volontaria si distingue la c.d. rappresentanza legale, che si verifica, quando è la legge a sottrarre  il potere di stare in giudizio, come nel caso dell’incapace. Risultano applicabili gli artt. da 75 ad 81 c.p.c..

Le persone giuridiche stanno in giudizio per il tramite del loro legale rappresentante pro-tempore secondo  le disposizioni di legge e di statuto (cfr. art. 75 c. 3 c.p.c.); le associazioni ed i comitati, sforniti di personalità giuridica, per mezzo delle persone indicate nell’atto costitutivo ai sensi dell’art. 36 c.c.  (cfr. 75 c. 4 c.p.c.); il singolo imprenditore, sta in giudizio personalmente ovvero a mezzo dell’institore.

 

2. Capacità a stare in giudizio degli uffici dell’Amministrazione finanziaria

L’art. 11 c. 2 stabilisce che l’ufficio del Ministero delle Finanze  nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio direttamente o mediante l’ufficio del contenzioso della Direzione Regionale o compartimentale sopraordinata, prevedendo quindi una rappresentanza legale alternativa[1].

A seguito dell’attuazione del D.Lgs. 300/1999,  i relativi rapporti giuridici delle direzioni “fiscali” del Ministero dell’Economia e delle Finanze, poteri e competenze sono stati trasferiti  alle Agenzie Fiscali (ex art. 57). In merito alle modificazioni all’assetto delle competenze poste in essere con atti  interni, la Consulta ha ribadito che tali modificazioni non possono costituire nocumento  alle  ragioni  del  cittadino-contribuente incombendo sull’autorità  incompetente  investita  della  notifica  di  atti ovvero posta a conoscenza dell’esercizio di diritti da parte dello stesso di comunicare ed informare il notificante dell’errore nel quale è incorso[2].

In giurisprudenza, in un primo momento si è ritenuto  che unico rappresentante ex lege dell’Agenzia fosse il suo Direttore Generale, secondo i principi del diritto civile. In un secondo momento, è stata riconosciuta la legittimazione passiva ed attiva agli uffici periferici – ed ai loro direttori – delle Agenzie, in base a quanto previsto dall’art. 57 c. 1 D. Lgs. 300/1999.

In virtù della normativa sopracitata si ha che:

a)      la notifica della sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale va effettuata presso l’ufficio locale dell’Agenzia;

b)      la notifica della sentenza emessa dalla Commissione tributaria regionale va effettuata presso l’ufficio locale dell’Agenzia, a meno che lo stesso non si sia avvalso del patrocinio dell’Avvocatura dello stato (facoltà prevista per il giudizio di appello). In quest’ultimo caso la notifica dovrà essere indirizzata all’Ufficio dell’avvocatura distrettuale intervenuto in giudizio;

c)      la notifica del ricorso per Cassazione può esser proposta alternativamente o congiuntamente  nei confronti dell’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate che nei confronti dell’Agenzia delle entrate – sede centrale -[3].

Pertanto, viene superato l’orientamento giurisprudenziale  per il quale  la legittimazione degli uffici locali dell’Agenzia  è limitata ai soli giudizi dinanzi le Commissioni tributarie, mentre per il grado di legittimità, unica legittimata è la sede centrale in persona del Direttore pro-tempore[4].

Nel caso degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, che sono articolati in aree di livello dirigenziale, la partecipazione alle udienze è assicurata dal dirigente capo-area o da un suo delegato, mentre l’Ufficio del contenzioso della direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate interviene nella persona del capo settore competente in materia di contenzioso o di un suo delegato.

Ai  fini della legittimazione processuale non è richiesto il rilascio di una  procura speciale da parte del direttore dell’ufficio locale delle Entrate, la sottoscrizione degli atti, essendo l’ufficio rappresentato organicamente dal direttore o da altro soggetto del competente reparto a ciò delegata[5].

 

3. Capacità a stare in giudizio dell’Ente locale

L’Ente locale che ha emesso l’atto impugnato o non  ha emesso l’atto richiesto e  nei cui confronti viene presentato il ricorso assume la qualifica di  parte del processo tributario. Ciò consente all’Ente di espletare tutte quelle attività contemplate dal D.Lgs. 546/1992, per l’esercizio delle quali non viene richiesto la formale costituzione in giudizio[6].

La rappresentanza dell’Ente locale nel processo tributario è stata influenzata dai numerosi interventi normativi succedutisi nel tempo, che hanno profondamente inciso sulla “fisionomia”, sulla “autonomia” e sulla “organizzazione” degli Enti locali:

-         le leggi c.d. Bassanini (L. 59/1997, L. 127/1997, D.Lgs. 112/1998) – che nel  quadro del riordinamento e di una distribuzione organica delle funzioni tra Stato, Regioni, Enti locali ed autonomie funzionali e nello spirito di un ampio decentramento amministrativo e della semplificazione dei procedimenti - posero l'esigenza di una nuova riforma organica degli Enti locali che trovò espressione nella L. 265/1999.  Con tale normativa il legislatore effettuò un'opera di razionalizzazione ed armonizzazione della normativa vigente, fissando il principio di sussidiarietà ed affidando nell'art. 31 la delega al Governo a procedere alla raccolta ed al coordinamento di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di ordinamento degli Enti locali, mediante la sistemazione armonica in un codice che garantisse coerenza logica ai diversi interventi normativi succedutisi nel tempo;

-         il D.Lgs. 267/2000 – testo unico degli Enti locali (TUEL) -, emanato in attuazione della citata delega, che nel procedere alla riunione della normativa vigente in  materia ed al necessario coordinamento con i principi generali dell'ordinamento, ebbe quindi a dettare la  disciplina generale in ordine all'assetto istituzionale degli Enti locali. Si pose come legge organica di sistema, in attuazione del precetto costituzionale dell'art. 128 Cost., che affidava alle  leggi generali dello Stato la fissazione dei principi nell'ambito dei quali doveva esprimersi l'autonomia di  Province e Comuni;

-         la riforma del titolo V della parte II della Costituzione, che ha modificato l'assetto costituzionale degli Enti locali che ha riconosciuto agli stessi una loro posizione di autonomia statutaria;

-         la L. 131/2003, che ha conferito al governo la delega alla riforma del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali per dettare una nuova disciplina per le norme che contrastano con il sistema costituzionale, indicando tra i principi direttivi  “l’autonomia e le competenze costituzionali nonché la “valorizzazione della potestà statutaria e regolamentare”. Alla luce di tale dettato legislativo il D.Lgs. 267/2000 ha perso l’originaria connotazione di “legge organica di sistema” e nel contempo si è ulteriormente rafforzato il valore degli statuti locali nella gerarchia delle fonti.  

Dal processo di trasformazione sopra descritto conseguono due principi:

-         l’attribuzione delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo agli organi di governo e le  funzioni gestionali alla dirigenza;

-         il nuovo assetto della potestà statutaria degli enti locali, già riconosciuta nella L. 142/1990, quale modalità paradigmatica di esplicazione dell'autonomia dell'Ente.

Questi principi, già antecedentemente alla modifica apportata all’art. 11,  c. 3, D.Lgs. n. 546/1992, ad opera dell’art. 3-bis del D.L. n. 44/2005[7], convertito con modificazioni dalla L.  88/2005, sono stati frequentemente richiamati ed interpretati in maniera più o meno restrittiva sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza al fine di individuare il soggetto legittimato a rappresentare in giudizio l’Ente.

I contrapposti orientamenti che individuavano l’organo legittimato alla costituzione dell’Ente locale nel sindaco o presidente della provincia oppure nel dirigente traevano origine  dalle differenti interpretazione delle seguenti norme:

-         art.6 c. 2 del TUEL, che prevede che lo statuto dell’Ente nell’ambito dei principi fissati dal T.U. possa disciplinare i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’Ente anche in giudizio. Secondo l’orientamento che riconosceva la rappresentanza legale in capo al sindaco o presidente della provincia tale disposizione concerne la disciplina organizzativa della rappresentanza legale, ma non il riconoscimento della stessa che permane in capo al sindaco oppure al presidente della provincia;

-         art. 50, c. 2 del TUEL, che dispone che il sindaco ed il presidente della provincia rappresentano l’Ente. Coloro che sostenevano che la rappresentanza cui si riferiva l’art. 11 c. 3 si riferisse alla rappresentanza legale traevano spunto per avallare la competenza del soggetto politico, mentre coloro che invece sostenevano che tale rappresentanza fosse quella politico istituzionale ne traevano le fondamenta per ritenere che la competenza fosse del dirigente;

-         art. 107 TUEL, che riconosce ai dirigenti la competenza all’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno. Secondo l’orientamento che riconosceva la rappresentanza legale in capo al sindaco o presidente della provincia tale disposizione non prevedeva tra le competenze riconosciute ai dirigenti  la rappresenta in giudizio dell’Ente locale;

-         art.16, c. 1, lett. f) del D.Lgs. 165/2001, che attribuisce ai dirigenti generali delle amministrazioni statali e non anche ai dirigenti degli Enti locali la legittimazione a promuovere e resistere  alle liti. Coloro che sostenevano che la rappresentanza in giudizio era da riconoscersi in capo al rappresentante legale dell’Amministrazione opinavano che nessuna norma di tale tenore riconosceva una uguale rappresentanza al dirigente dell’Ente locale;

-         art. 27 D.Lgs. 165/2001, il quale prevede che le Amministrazioni non statali, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguino ai principi dell'art. 4 i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità.

In giurisprudenza, si è consolidato l’orientamento secondo il quale l’Ente nell’ambito dell’esercizio della propria autonomia statutaria (subordinata soltanto alle leggi di principio e perciò conoscibile direttamente dal giudice), può stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale anche in giudizio secondo quanto previsto dall’art. 6 c. 2 del TUEL[8], e quindi prevedere nel proprio statuto:

-         il soggetto  a cui riconoscere la rappresentanza in giudizio;

-         l’ampiezza del potere di rappresentanza processuale riconosciuto, generale oppure limitato a determinate categorie di controversie;

-         le modalità procedurali relative all’autorizzazione a promuovere o resistere alle liti.

Il Consiglio di Stato con parere n. 2447 del 13 giugno 2003 richiesto dal ministero dell’Interno, ha affermato che “la rappresentanza dell’Ente spetta all’organo di vertice (Sindaco, Presidente della Provincia, etc.), salva ovviamente diversa disposizione degli statuti comunali e provinciali, ai quali spetta di stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’Ente, anche in giudizio (art. 6 c. 2 del D.Lgs. n.267 del 2000)”. Va osservato in proposito che osta ad una diversa soluzione non solo la difficoltà di distinguere la rappresentanza legale da quella processuale, ma anche lo stesso assetto normativo. Se è vero che l’art. 16 c. 1 lett. f) del D.Lgs. n. 29 del 1993 (così come modificato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 80 del 1998) espressamente dispone che i dirigenti generali promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e transigere, tale disposizione deve tuttavia essere letta in correlazione con il precedente art. 13, che nel testo originario prevedeva l’applicazione delle norme del capo II, relativo alla dirigenza, anche agli Enti locali. Tale articolo, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 7 novembre 1994, è stato infatti modificato dall’art. 8 del citato D.L.vo n.80 del 1998 il quale fa esclusivo riferimento alle “Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo” (si veda anche l’art. 13 del D.L.vo n. 165 del 2001). Inoltre, il citato parere va letto alla luce della susseguente giurisprudenza della Suprema corte di Cassazione. Quest’ultima con sentenza n. 10787 del 7 giugno 2004 ha precisato che “poiché  ai sensi dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267/2000 il Sindaco rappresenta il  comune spetta proprio a quest'organo (e, in caso di suo  impedimento,  al  sindaco nominato in base all'art. 46) la rappresentanza all'esterno dell'ente nelle liti attive e passive. Conseguentemente, unico competente  a  conferire  al difensore del comune la procura alla lite, secondo il vigente  testo  unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, è il  sindaco,  quale  capo dell'Amministrazione comunale. La legittimazione in questione non spetta ai dirigenti dell'Ente locale, né in base all'art. 6 né ai sensi dell'art.  107 dello  stesso  D.Lgs.. E’ da escludere, altresì, che lo  statuto  dell'ente  locale  previsto dall'art. 6 possa attribuire ai dirigenti  la  rappresentanza  in  giudizio dell'ente  medesimo.  Una  simile  previsione  sottrarrebbe   quel   potere all'organo (sindaco o presidente della provincia) cui la  legge  ha  invece inteso affidarlo e,  quindi,  renderebbe  sotto  tale  aspetto  lo  statuto illegittimo per violazione di legge con  conseguente  obbligo  del  giudice ordinario di disapplicarlo ai sensi dell'art. 5, L. 20 marzo 1865, n.  2248 allegato E. L'art. 6, c.2 del D.Lgs. n. 267/2000,  nel  disporre che “lo statuto stabilisce le norme fondamentali  dell'organizzazione  dell'ente  e specifica i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'Ente  anche in giudizio", non  consente  di  pervenire  a  una  diversa  soluzione  del problema. La norma, infatti, consente al comune  di  disciplinare,  con  lo statuto, "il regime  delle  autorizzazioni  a  promuovere  o  resistere  in giudizio", non anche di individuare i soggetti che  possono  rappresentare,  pure in giudizio, l'ente, essendo questa una  prerogativa  esclusiva  della legge”.  Pertanto, lo statuto può prevedere esclusivamente l'autorizzazione della giunta ovvero richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, ovvero ancora alternativamente l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto delle controversie. L'autorizzazione della giunta o la determinazione dirigenziale vanno considerati come atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza[9].

Il sindaco ha il potere di nominare un difensore, nel processo tributario, diverso da quello indicato dalla giunta in mancanza di una norma dello statuto comunale che attribuisca alla giunta la scelta nominativa del legale dell’Ente[10].  

A seguito delle modifiche all’art. 11,  c. 3, D.Lgs. 546/1992 viene riconosciuta la competenza a resistere in giudizio nel processo tributario per conto dell’Ente locale  oltre che al rappresentante legale dell’Amministrazione, anche al dirigente, o in mancanza al titolare della posizione organizzativa[11].

Viene, quindi, riconosciuto al dirigente dell’Ufficio tributi, oltre all’assistenza[12], anche la rappresentanza dell’Ente[13], pertanto lo stesso è legittimato a firmare tutti gli atti relativi alla difesa, ovvero la costituzione in giudizio ed il ricorso in appello.

La citata disposizione, per espressa previsione normativa si applica anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della citata legge. Con l’ulteriore precisazione che si applica ai soli giudizi dinanzi alle Commissioni tributarie e non anche al giudizio di cassazione, cui si applicano, invece, esclusivamente le norme dettate dal c.p.c., atteso il richiamo di queste da parte dell’art. 62, c. 2, del D.L.gs. 546/1992 e l’inesistenza in tale decreto di qualsiasi disposizione peculiare in ordine alle modalità di proposizione di detto ricorso[14]. Pertanto è inammissibile il ricorso per cassazione promosso dal dirigente dell’Ufficio tributi[15].

Dalle considerazioni sopra esposte consegue quanto segue:

-         il potere sia di costituirsi in giudizio che di rappresentare l’Ente in giudizio si configura ora come potere gestionale ora come riconducibile alle funzioni di indirizzo politico amministrativo, pertanto, viene lasciato all’autonomia degli Enti locali la scelta in merito all’organo cui compete la rappresentanza in giudizio che può essere il rappresentante legale o il dirigente. Gli Enti privi di tale figura, possono ricorrere al titolare di posizione organizzativa. E’ quindi opportuno che gli Enti individuino nell’ambito dei propri statuti l’organo cui compete la costituzione in giudizio. In caso di impedimento del sindaco o del presidente della provincia, il relativo potere di costituzione in giudizio spetta al vicesindaco oppure al vicepresidente della provincia[16];

-         la competenza in merito all’assegnazione all’esterno dell’incarico di difesa in giudizio dell’Ente si configura come potere strettamente gestionale;

-         il conferimento al difensore della procura nelle liti attive e passive è un’esplicazione della rappresentanza processuale. Quest’ultima è riconosciuta in capo al rappresentante legale dell’Ente (Cass. SS.UU. 10 dicembre 2002, n. 17550; Cass. SS.UU. 12 dicembre 2003 n. 19082), a differenza dalla rappresentanza sostanziale riconosciuta dall’art. 107 del D.Lgs. 267/2000 in capo ai dirigenti, salvo il caso in cui lo statuto oppure il regolamento dell’Ente – ma soltanto nel caso in cui lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare -, affidi la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza. Ove una disposizione statutaria in tal senso non esista la rappresentanza  processuale dell’Ente spetta al sindaco o presidente della provincia  i quali, in ogni caso, possono conferire a mezzo delega al dirigente del settore tributi la rappresentanza processuale dell’Ente con facoltà di rilasciare procura alle liti al difensore tecnico[17] ;

-         l’assistenza tecnica dell’Ente locale può essere effettuata anche da un proprio dipendente, al quale  devono essere riconosciuti tutti i poteri che la legge processuale tributaria attribuisce al difensore tecnico. La ratio è quella di evitare  il sistematico e costoso ricorso a professionisti esterni;

-         con riferimento all’atto di autorizzazione alla lite, assume un ruolo essenziale lo statuto che regola il regime dell'esercizio della rappresentanza. Pertanto in ogni caso in cui lo stesso preveda l'autorizzazione della giunta ovvero richieda una preventiva determinazione del competente dirigente[18], ovvero ancora postuli alternativamente l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto delle controversie, l'autorizzazione della giunta o la determinazione dirigenziale vanno considerati come atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza. Nel caso in cui il potere di agire o resistere in giudizio è attribuito al sindaco o presidente della provincia, la determinazione dirigenziale si configura non come autorizzazione in senso proprio vista la rappresentanza legale attribuita al rappresentante legale dell’Ente, ma come una mera valutazione tecnica circa l’opportunità della lite.

Di conseguenza, i contribuenti nella gestione delle varie fasi in cui si articola il contenzioso tributario,  saranno tenuti a prendere conoscenza degli statuti ed atti normativi dell’Ente impositore.

4. Capacità a stare in giudizio dell’Agente della riscossione

L’agente della riscossione può stare in giudizio per mezzo del proprio rappresentante ovvero di un dipendente munito di specifica delega (art. 41 D.Lgs. 15 aprile 1999, n.112). 



[1] Circ. Min. Fin. n. 98/E del 23 aprile 1996.

[2] Cass. sez. trib. 13 febbraio 2009 n. 3559 per la quale “la costituzione delle Agenzie fiscali attraverso  la  quale  è  stata profondamente modificata la struttura organizzativa e l’attribuzione di competenze fra gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, non è suscettibile di  pregiudicare la  posizione  del  contribuente  che   abbia   errato   nell’individuazione dell’ufficio successivamente  dichiarato  competente  alla  trattazione  del contenzioso pendente, soccorrendo il principio del legittimo  affidamento  ex art. 10, L. n. 212/2000.  L’ordinamento dello  Stato,  nella  duplice  connotazione  di  Stato  di diritto e Stato sociale, deve garantire al cittadino-contribuente  non  solo la proporzionalità e limitazione dei mezzi con i quali la sfera giuridica di quest’ultimo è attinta dai provvedimenti della Pubblica  Amministrazione  ma, altresì, assicurare che l’organizzazione  amministrativa  sia  improntata  al rispetto della collaborazione e  buona  fede   agevolando  l’adempimento  dei doveri  e  l’esercizio  dei  diritti  dei  cittadini”.

[3] Cass. 28 febbraio 2008 n. 5219; Cass. 7 aprile 2008 n. 8841.

[4] Cass. sez. trib. 21 aprile 2004  n. 11551 per la quale “il ricorso per Cassazione del contribuente avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale in una lite pendente all'1 gennaio 2001, data di inizio della operatività delle Agenzie fiscali  (ex art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000) è inammissibile se proposto contro l'Agenzia fiscale locale che ha emesso l'atto impugnato o non ha emesso l'atto richiesto in quanto rivolto - in violazione dell'art. 366 c.p.c., c. 1, richiamato dall'art. 62, c. 2 D.Lgs. 546/1992- nei confronti di parte priva della legittimazione ad "causam" e ad "processum", ricavandosi dagli artt. 10 e 11 D.Lgs. 546/1992 che dette Agenzie sono legittimate a stare in giudizio soltanto davanti alle commissioni tributarie provinciali e regionali. Conformemente alla disciplina generale, il ricorso per Cassazione deve essere invece proposto, a pena di inammissibilità, nei confronti della Agenzia fiscale centrale unico ente dotato di personalità giuridica autonoma di diritto pubblico e capacità di stare in giudizio in sede di legittimità a mezzo del Direttore, che ne ha la rappresentanza - e notificato alla stessa presso la sede in Roma ai sensi dell'art. 144 c.p.c., secondo comma. Non assume rilevanza in contrario la circostanza che la notificazione sia avvenuta presso l'Avvocatura dello Stato - ove questa non risulti già costituita nei gradi di merito - in quanto alla rappresentanza obbligatoria del Ministero da parte dell'Avvocatura medesima è subentrata la facoltà delle Agenzie fiscali di avvalersi di detto patrocinio (art. 72 del D.Lgs. n. 300 del 1999) e poiché in ogni caso la eventuale ritualità della notifica non incide sugli effetti del vizio in questione, il quale inficia l'atto sul piano sostanziale, rendendolo inidoneo a costituire un valido rapporto processuale Inoltre, non possono riconnettersi effetti sananti, nell'interesse dell'ente effettivamente legittimato ma non evocato, all'assunzione effettiva della difesa nel giudizio da parte dell'Avvocatura erariale né alla costituzione in giudizio dell'Agenzia fiscale, in persona del Direttore generale "pro tempore", perché il vizio dell'impugnazione non riguarda la sola notificazione ma deriva sia dall'errata individuazione della parte (Ufficio locale dell'Agenzia del Territorio anziché Agenzia del Territorio) del giudizio di legittimità - che non si traduce in una delle cause di nullità previste dall'art. 164 c.p.c., c.1,  configurando invece un motivo di inammissibilità originaria del ricorso - sia dal fatto che l'Agenzia fiscale periferica è priva di soggettività esterna per quanto attiene al giudizio di Cassazione”. Conforme Cass. sez. trib. 8 aprile 2004 n. 15661; Cass. sez. trib. 11 novembre 2003 n. 15528 per la quale “con riguardo alle liti già pendenti alla data del 1° gennaio 2001, se è pur vero che, come ha affermato questa Corte, verificandosi un'ipotesi riconducibile all'istituto della successione nel processo a titolo particolare - art. 111 c.p.c. - , è consentita la "vocatio in jus" sia del solo Ministero dell'Economia e delle Finanze, sia di esso unitamente all'Agenzia delle Entrate (cfr. Cass. SS.UU. n. 6633/2003), e la facoltà di chiamare in giudizio il successore può essere esercitata anche con l'atto d'impugnazione e per la prima volta in sede di ricorso per cassazione (cfr., Cass. SS. UU. n. 6774/2003), è altrettanto vero che il contribuente che opti per quest'ultima soluzione, decidendo d'instaurare il giudizio di cassazione nei confronti direttamente della suddetta Agenzia fiscale, deve proporre il ricorso nei confronti dell'Agenzia in persona del suo direttore in Roma, con notifica presso l'Avvocatura Centrale dello Stato, ai sensi dell'art. 43 R.D. n. 1611/1933 e 144 c. 1 c.p.c., e non già, con intimazione del suddetto soggetto nella sua articolazione periferica, nella persona del direttore dell'ufficio, la cui legittimazione è limitata ai gradi di merito ex artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 546/92”. Cass. sez. trib. 24 settembre 2004  n. 19970 per la quale “dal 1° gennaio 2001 la notifica delle decisioni delle commissioni tributarie regionali utile ai fini del decorso del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere effettuata all'ufficio periferico dell'agenzia fiscale che è stato parte del giudizio, a meno che lo stesso ufficio non si sia fatto assistere dall'avvocatura dello Stato, nel qual caso la notifica deve essere effettuata presso la competente avvocatura distrettuale”; Cass. sez. trib. 26 gennaio 2004 n. 12075 per la quale “le Agenzie fiscali, che sono divenute esecutive dal 1° gennaio 2001 in forza delle disposizioni del D.lg. 30 luglio 1999, n. 300, possono avvalersi dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni, e rappresentano Enti in cui è confluita l'organizzazione amministrativa statale delle entrate tributarie e, non solo sono erette a persona giuridica pubblica distinta da quella dello Stato, ma sono titolari della facoltà di avvalersi di patrocinante in giudizio diverso dall'Avvocatura dello Stato, secondo l'art. 72 del D.lg. n. 300 del 1999, il quale opera quindi una abrogazione implicita dell'art. 21, comma 1, della L. 13 maggio 1999, n. 133, e identifica il destinatario della notificazione della sentenza impugnabile, al fine del decorso del termine ex art. 325, c. 2 c.p.c., nella figura dell'Ufficio che è stato parte nel giudizio di appello così come rappresentato in tale procedimento (che nel caso di specie è lo stesso Ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate costituito nel giudizio di secondo grado)”; Cass. sez. trib. 23 gennaio 2004 n. 15643,  per la quale “il trasferimento operato dal capo secondo del titolo quinto del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 di funzioni e rapporti inerenti le entrate tributarie dal Ministero dell'Economia e delle Finanze alle Agenzie fiscali, divenute operative a partire dal 1° gennaio 2001, ex art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000, ha determinato una ipotesi di successione fra Enti a titolo particolare, nel diritto controverso, ai sensi dell'art. 111 c.p.c.. Ne deriva, da un canto, che successivamente alla data (1° gennaio 2001) di inizio dell'operatività delle Agenzie predette, è rituale l'appello proposto nei soli confronti dell'Ufficio periferico dell'Agenzia fiscale subentrata nella titolarità dei rapporti giuridici, poteri e competenze in materia tributaria già di pertinenza dei dipartimenti, essendo valida la prosecuzione del processo direttamente nei confronti del solo ente successore a titolo particolare nel diritto controverso qualora, come nella specie, la successione avvenga "ex lege" e non sussista prova di un interesse contrario alla permanenza in giudizio del dante causa; e, dall'altro, che il ricorso per Cassazione avverso la relativa sentenza della Commissione Tributaria Regionale è inammissibile ove proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze ormai privo di legittimazione passiva e processuale non avendo conservato la qualità di parte e la veste di contraddittore necessario nel giudizio di merito e non essendo peraltro l'Agenzia fiscale un suo organo”; Cass. SS.UU. 16 dicembre 2004 n. 604;  Cass. sez. trib. 15 aprile 2004 n. 15659.

[5] Cass. sez. trib. 30 dicembre 2009 n. 28036 per la quale “Deve  ritenersi  ammissibile  l'atto   d'appello proposto dal competente ufficio dell'agenzia delle entrate, recante in calce la firma di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare; finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque, l'usurpazione del potere d'impugnare  la sentenza di primo grado”.

[6] Nel caso in cui il D.Lgs. n. 546/1992 intende limitare un potere o una facoltà ai soli soggetti formalmente costituiti, adopera le parole “parti costituite”, in questi termini cfr. Ris. del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria  n. 10 del 7 ottobre 2003.

[7] Criticabile appare l’intervento di modifica di una norma processuale quale quella dettata dall’art. 11 c. 3, D. Lgs. n. 546/1992, effettuata con decreto legge. Così come altrettanto criticabile appare il riconoscimento di una duplice rappresentanza in capo sia al sindaco o presidente della provincia che al responsabile dell’ufficio tributi per le incertezze che che ne potranno derivare. Il mancato riconoscimento “in via esclusiva” della rappresentanza in giudizio in capo ai dirigenti, è stata un’occasione persa per confermare anche in questo settore il principio della legge Bassanini concernente la separazione dei poteri tra organo politico e dirigenti.

[8] Cass.SS.UU. 5 maggio 2005  n. 12868 per la quale “il riconoscimento della rappresentanza del Comune in capo al Sindaco ad opera dell'art. 50 D.Lgs. 267/00 non costituisce un principio inderogabile ed il potere riconosciuto agli statuti comunali dall'art. 6, co. 2, D.Lgs. 267/00 di specificare i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente anche in giudizio non è limitato alla disciplina organizzativa della rappresentanza legale, ma comprende l'individuazione del soggetto investito del potere di rappresentanza processuale, in via generale o per singole categorie di controversie”; TAR Campania Napoli sez. I 5 aprile 2006 n. 3977.

[9] CTR di Roma  88/34/07.

[10] Cass. sez. trib.  28 aprile 2006 n. 13333; Cass. 20 maggio 2004  n. 17936.

[11] Circ. Min. Int. n. 23 del 20 giugno 2005.

[12] Cass. sez. trib. 16 settembre  2005 n. 18419; Conforme Cass. sez. trib. 27 giugno 2003  n. 139 e 27 giugno 2003 n. 181 per le quali “non si verifica violazione ed erronea applicazione delle norme che disciplinano la rappresentanza in giudizio, quando i funzionari del Comune hanno svolto le funzioni di assistenza processuale o difesa tecnica, di cui all’art. 12 del D. Lgs. 546/1992”.

[13] In senso contrario CTR di Roma 25 ottobre 2007 n. 342 per la quale “l'art. 11 del D.Lgs. n. 546/1992, come modificato dall'art. 3-bis della L. 31 maggio 2005, n. 88  configura  un'ipotesi  legalmente  tipizzata,  nella quale, in relazione al processo tributario, l'ente  può  stare  in  giudizio senza il ministero di un difensore e pertanto  riguarda  e  disciplina  solo l'aspetto  processuale  dell'assistenza  tecnica  in  giudizio  introducendo un'eccezione alla regola che impone alle  parti  di  dotarsi,  in  qualsiasi processo,  dell'assistenza  tecnica  e  dell'ufficio  di  un  professionista abilitato, regolando in modo particolare l'esercizio del diritto  di  difesa dell'ente locale, in modo che la sua esplicazione risulti più  agevole,  con l'attribuzione della funzione difensiva al  dirigente  dell'ufficio  tributi anziché ad un legale”.

[14] Cass. sez. trib. 26 maggio 2004 n. 17955, Cass. sez. trib. 14 dicembre 2004 n. 3419;  Cass. sez. trib.  1 marzo 2006 n. 15847.

[15] Cass. sez. trib. ord. 25 gennaio 2007 n 6727.

[16] Cass. sez. I 11 ottobre 1999 n. 1380.

[17] Cass.SS.UU. – ord. 5 febbraio 2004 n. 5463 per la quale “ferma  la spettanza della rappresentanza processuale al sindaco (cfr., Cass. SS.UU. 10 dicembre 2002, n. 17550; Cass. 10 maggio 2001 n. 186; Cass. 11 maggio 2001 n. 6546; Cass. 30 maggio 2000 n. 7190; Cass. 5 aprile 2002 n. 4845; Cass. 10 febbraio 2003, n. 1949; Cass. 20 febbraio 2003, n. 2583; Cass. 12 dicembre 2003, n. 19082)  la procura al difensore rilasciata dal funzionario responsabile del servizio tributi, ma in virtù di delega sindacale all'esercizio del potere suddetto, giusta atto notarile, costituisce pur sempre il concretamento, ancorché per il tramite del delegato, di prerogative proprie del delegante. Ben vero, la rappresentanza processuale, per consolidato orientamento giurisprudenziale, non può essere validamente conferita a soggetti che siano privi di poteri di rappresentanza sostanziale relativamente ai rapporti costituenti oggetto del giudizio di cui trattasi (v., per tutte, la sentenza delle Sezioni unite 8 maggio 1998, n. 4666). Ma questa condizione preclusiva del conferimento deve essere esclusa nella fattispecie, atteso che la delega è avvenuta in favore del dipendente responsabile dell'«Ufficio tributi», con riguardo ai rapporti di competenza di tale ufficio (ossia quelli in materia di entrate, ivi compresi, quindi, i rapporti concernenti tributi quali la TOSAP), e che siffatta responsabilità costituisce espressione di poteri dirigenziali del settore, sicché, rispetto al funzionario titolare, può considerarsi operante la disposizione, chiaramente attributiva di poteri di rappresentanza sostanziale, dell'art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000 (recante il testo unico delle leggi sulle autonomie locali) dedicato alle «funzioni e responsabilità della dirigenza». Questa norma, infatti, individuati i dirigenti nei dipendenti cui sia affidata la responsabilità della «direzione degli uffici e dei servizi» (c. 1, prima parte), espressamente dispone che ad essi spettino «tutti i compiti» coerenti con tale responsabilità, «compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno» (c. 2, prima parte), competenza, questa, chiaramente concernente la gestione sostanziale di rapporti con i terzi in nome e per conto dell'amministrazione, così da legittimare la delega della correlata rappresentanza processuale, da parte del sindaco, quale titolare, per legge, della medesima. D'altra parte la specificazione (compiuta col richiamo limitativo ai soli affari di competenza dell'Ufficio - tributi) dei rapporti con riguardo ai quali è avvenuto il conferimento di poteri di rappresentanza processuale consente di escludere ogni elemento di indeterminatezza della delega sindacale al dirigente e di negare che, nei termini esposti, si sia realizzata una surrettizia sostituzione del legale rappresentante dell'ente, attraverso un negozio in frode alla legge, la quale nega, come riferito, il potere rappresentativo del dirigente, per conferirlo esclusivamente al sindaco”. Conforme Cass. sez. trib. 24 novembre 2004 n. 22197; Cass. sez. trib. 2 settembre 2004 n. 17708; Cass. sez. trib. 12 agosto 2004 n. 15639 in base alla quale “Ai sensi dell'art. 11, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre  1992,  n. 546, e dell'art. 15, comma 2-bis, del  decreto  citato,  il  Sindaco  solo legittimato a stare in  giudizio,  può  farsi  assistere  nel  giudizio  da funzionari comunali,  che  sono  pienamente  abilitati  a  sottoscrivere  - beninteso in  nome  dell'organo  rappresentativo  e  non  già  dell'ufficio ricoperto - tutti gli atti necessari per lo svolgimento della  funzione  di assistenza  ad  essi  specificamente  demandata,  compreso  il  potere   di sottoscrivere gli atti introduttivi o di costituzione  in  giudizio  (nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto valida la costituzione del Comune nel giudizio di appello effettuata con atto  sottoscritto  dal  funzionario responsabile dell'Ufficio tributi non in virtù dell'ufficio  ricoperto,  ma in quanto delegato dal sindaco alla difesa dell'ente)”. Contra Cass. 11 giugno 2003 n. 17360 .

[18] Cass. sez. trib. 6 settembre 2006 n.  19196 per la quale “l’autorizzazione alla lite quale atto essenzialmente gestionale e tecnico da parte della giunta non è più necessario ai fini della proposizione e della resistenza alle liti”.

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