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Le parti del processo tributario. Legittimazione ad agire e rappresentanza processuale

1. Profili generali

L’Ente locale, può essere parte del processo tributario sia nella qualità di parte resistente in quanto soggetto impositore (e quindi soggetto legittimato a contraddire), sia nella qualità di parte ricorrente (soggetto legittimato ad agire) laddove il contenzioso abbia da oggetto una pretesa impositiva erariale.

In base all’art. 10 del D.Lgs. 546/1992[1] i soggetti aventi la capacità di essere parte del processo tributario sono:

-   dal lato attivo: il ricorrente (legittimato attivo), che si identifica con  il contribuente, che ricorre avverso un atto impositivo recante una pretesa tributaria;

-   dal lato passivo:  l’ente impositore (l’Ente locale, l’Agenzia delle entrate subentrate all’ufficio del ministero delle Finanze[2] o del Territorio o delle Dogane) o l’Agente della riscossione[3] (legittimato passivo), che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto, titolare della pretesa tributaria.

L’Ente impositore assume la qualifica di parte necessaria del giudizio[4], in considerazione della natura impugnatoria del processo tributario, mentre dal lato attivo per esser parte del processo è necessario che sussista la legittimazione ad agire (legitimatio ad causam[5]), ossia è necessario che sussista un interesse concreto ed attuale.

E’ opportuno esaminare distintamente la posizione dell’Ente impositore da quella del contribuente ricorrente, poiché con riferimento alle parti diverse dall’Ente locale (e dall’Amministrazione finanziaria) in attuazione della delega contenuta nelle lettere i) e t) dell’art. 30 L. 413/1991 è  previsto l’obbligo dell’assistenza tecnica da parte di un difensore abilitato.

 

2. Legittimazione ad agire

L’art.100 c.p.c. prescrive che “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”.

Il difetto di legittimazione ad agire, ancorchè non dedotto dalle parti,  è rilevabile, anche d’ufficio,  in ogni stato e grado del processo tributario[6], salvo che sul punto si sia formato il giudicato interno.

La carenza di legittimazione comporta la nullità degli atti compiuti, in quanto concerne “la regolarità del contraddittorio e la sua valida instaurazione”.

Il ricorso proposto nei confronti dell’Ente impositore non legittimato è improponibile e non è idoneo a costituire il rapporto processuale. Tale vizio determina la nullità dell’impugnazione e quindi:

a)      non è emendabile con ordine di rinnovazione della notificazione medesima;

b)      non è sanabile per effetto della costituzione in giudizio dell’ente impositore;

c)      non opera l’integrazione del contraddittorio che presuppone un processo ritualmente instaurato nei confronti dell’Ente legittimato ad causam[7].

 

3. Legittimazione processuale

La legittimazione processuale  (c.d. legitimatio ad processum) rappresenta la capacità di agire nel processo ossia di esercitare il diritto di azione.

In base all’art. 81 c.p.c. “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno puo' far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”, mentre l’art. 75 c.p.c. stabilisce che “possono stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere”.

Di norma legitimatio ad causam e legitimatio ad processum coincidono. Tuttavia vi sono casi in cui la parte che ha la legitimatio ad causam non può stare in giudizio personalmente (ad. es. minori  o falliti).

 

4. Legittimazione passiva: Ente locale ed Agente della riscossione

Nel caso in cui il contenzioso abbia ad oggetto tributi locali il ricorso andrà proposto dalla parte ricorrente:

a)      nei confronti dell’Ente locale impositore, qualora la causa petendi riguardi la debenza del tributo;

b) nei confronti dell’Agente della riscossione, per vizi propri dell’atto di riscossione  ad esso riferibili o del procedimento esecutivo[8]. L’Agente della riscossione è parte del processo tributario qualora l’oggetto della controversia è relativa all’impugnazione di atti ed errori direttamente allo stesso  riferibili[9]. Tale  posizione  è  stata  confermata   dalla   sezione  tributaria della Cassazione con la sentenza n. 3242 del  14  febbraio  2007, con la  quale  viene  affermato  che  “il  concessionario  del  servizio  di riscossione è  parte  del  processo  tributario  (non  ogni  volta  che  sia impugnato un atto da lui formato, ma solo) quando oggetto della controversia sia l’impugnazione di atti viziati da errori a lui direttamente  imputabili, ossia solo nel caso di vizi propri della cartella di pagamento e dell’avviso di mora[10].

In linea generale si può affermare che fino alla formazione del ruolo legittimato passivo è l’Ente locale in quanto la causa pretendi riguarda l’accertamento del rapporto tributario, mentre dalla formazione della cartella di pagamento legittimato passivo è l’Agente della riscossione. Infatti, la  fase  della riscossione si articola in due sottofasi, la prima  delle  quali  –  che  si conclude con la consegna dei ruoli – compete all’Ente creditore,  mentre  la seconda – che inizia con la formazione  della  cartella  di  pagamento  –  è attribuita all’Agente. La suddivisione comporta, sul  piano  processuale,  la  necessità  della corretta individuazione, da parte  del  ricorrente,  della  controparte.

Si possono avere , quindi, le seguenti situazioni:

a)      il ricorso ha ad oggetto l’atto impositivo emanato dall’Ente locale (l'avviso di liquidazione del tributo, il provvedimento che irroga le sanzioni, il ruolo, il rifiuto espresso o tacito di rimborso o  sgravio  di  tributi). Legittimato passivo è l’Ente impositore, mentre l’Agente della riscossione qualora chiamato in causa potrà eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva[11]. E’onere dell’Agente chiamare in  causa l’ufficio competente ai sensi dell’articolo 39 D.Lgs. 112/1999,  al  fine  di  evitare  gli  effetti  pregiudizievoli  di  una condanna;

b)      il ricorso ha ad oggetto l’atto della riscossione  emanato dall’Agente della riscossione, e concerne esclusivamente vizi propri  (errori collegati alla compilazione e alla intestazione della cartella di pagamento[12] o all’avviso di mora, ovvero alla notifica degli stessi[13]) senza eccezioni nel merito della pretesa impositiva. Legittimato passivo è l’Agente, pertanto  l’eventuale ricorso proposto solo avverso l’ufficio impositore è inammissibile[14]. Quest’ultimo laddove chiamato in causa potrà eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto trattasi di vizi  imputabili  all’attività riscossiva e, successivamente, laddove non chiamato già in causa, provvederà  a chiamare  in  causa  lo  stesso  Agente  della riscossione[15];

c)      il ricorso ha ad oggetto l’atto della riscossione  emanato dall’Agente della riscossione, ma concerne anche il merito della pretesa tributaria, ad esempio nel caso in cui non sono stati preventivamente notificati al contribuente atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato. Legittimati passivi sono sia l’Ente locale che l’Agente che sono inscindibilmente parti in causa. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo. Pertanto, l'impugnazione avverso l'avviso di mora emesso dal  concessionario  alla riscossione, deducendo l'omessa notifica della cartella  di  pagamento,  può essere promossa dal contribuente indifferentemente[16] nei  confronti  dell'ente creditore  o  del  concessionario  e  senza  che  tra  costoro  si  realizzi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla  sola  volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà  di  chiamare  in  causa l'ente creditore (allo scopo  di  renderlo  partecipe  della  responsabilità della gestione del processo)[17].

Qualora il ricorrente eccepisca la tempestività della notificazione della cartella di pagamento deve proporre ricorso anche nei confronti del concessionario.

Nei casi sopra esaminati è necessario prestare  particolare  attenzione  alla individuazione della commissione tributaria provinciale nei confronti  della quale il contribuente ha proposto ricorso, nel caso in cui l’Ufficio e l’Agente della riscossione hanno sede in due ambiti territoriali differenti. Al riguardo si rappresenta che, qualora il  contribuente  faccia  valere esclusivamente vizi inerenti alla pretesa erariale e  proponga  ricorso  nei confronti dell’Ufficio che ha formato il ruolo,  la  Commissione  tributaria provinciale competente si determina, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 546/1992,  con  riferimento  alla  sede  dell’Ufficio impositore e non alla sede dell’Agente della riscossione che  ha  notificato la cartella di pagamento contenente il ruolo. Di conseguenza, qualora la Commissione tributaria provinciale dinanzi alla quale sia stato  incardinato il ricorso venga individuata con riferimento  alla  sede  dell’Agente  della riscossione che ha notificato la cartella di  pagamento,  l’Ufficio  che  ha formato il ruolo potrà eccepire il difetto di competenza della commissione adita, secondo quanto previsto dall’art. 5 D.Lgs. 546/1992.  Al  riguardo,  le  sezioni  unite  della  Corte  di Cassazione, 16 gennaio 1986, n.  211,  con  riferimento  ad  un  fattispecie analoga, hanno affermato che nel caso di contestazione di  vizi  concernenti l’iscrizione a ruolo, “la competenza spetta alla Commissione nella cui circoscrizione  ha  sede  l'ufficio  fiscale  che   ha   emesso   il   detto provvedimento”.

Per contro, nella  diversa  ipotesi  in  cui  il  contribuente  presenti ricorso lamentando esclusivamente vizi relativi al procedimento di emissione e notificazione della  cartella  di  pagamento,  la  Commissione  tributaria provinciale competente va individuata in quella nella cui circoscrizione  ha sede l’Agente della riscossione. Pertanto,  qualora  il  contribuente  abbia proposto  ricorso  alla  Commissione  tributaria   provinciale   nella   cui circoscrizione ha sede l’ufficio che  ha  iscritto  a  ruolo,  quest’ultimo, nell’ipotesi in cui sia destinatario del ricorso,  potrà eccepire  l’incompetenza della commissione tributaria adita dal contribuente, oltre  che  il  proprio difetto di legittimazione passiva[18].

 

5. Il fallito

Ai sensi dell’art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge”. Pertanto, il fallito perde la legittimazione processuale attiva e passiva rispetto ai beni e diritti assoggettati a spossessamento e nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniali compresi nel fallimento, sta in giudizio il curatore.

Il curatore del fallimento, pur essendo l'organo  deputato ad assumere la qualità di parte nelle controversie inerenti la procedura fallimentare, non è fornito di una capacità processuale autonoma, bensì di una capacità che deve essere integrata dall'autorizzazione del giudice delegato, in relazione a ciascun grado del giudizio (art. 25, R.D. 267/1942). In mancanza di specifica autorizzazione per il singolo grado di giudizio, sussiste il difetto di legittimazione processuale[19], pertanto l’attività processuale del difensore nominato dal curatore è invalida e non suscettibile di sanatoria con autorizzazione rilasciata a posteriori se già accertata dal giudice.

Nel caso di disinteresse del curatore al rapporto tributario contestato è  riconosciuta la legittimazione processuale del fallito ad agire o resistere in giudizio[20].

Tale norma, va in ogni caso riletta alla luce dell’art. 24 Cost. in base alla quale “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

Consolidata giurisprudenza ha affermato la legittimazione processuale del fallito, in ordine a rapporti patrimoniali ricompresi nel fallimento, nel caso in cui si verifichi una situazione di totale disinteresse da parte della curatela, ravvisabile ad esempio, nell’omesso esercizio, da parte del curatore, del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell’atto impositivo[21]. A tali conclusioni è pervenuta, partendo dal principio che l’accertamento tributario i cui presupposti verificano prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente, il quale non è privato a seguito della dichiarazione di fallimento della qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi sanzionatori, che conseguono alla definitività dell’atto impositivo,

Il termine di impugnazione decorre dal momento in cui il fallito abbia conoscenza dell’atto impositivo, per effetto della rimessione in termini.

Gli atti del procedimento tributario debbono essere emessi nei confronti del soggetto esistente al momento dell'emissione e, quindi, nei confronti della società finché questa è in bonis. Con il fallimento la società non viene meno ma i suoi organi perdono la legittimazione sostanziale (art. 44 L. fallimentare - R.D. n. 267/1942) e processuale (art. 43 L. fallimentare) che viene assunta dalla curatela fallimentare la quale, per tale ragione, subentra nella posizione della fallita. Ciò comporta che sono opponibili alla detta curatela (salva la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2704 c.c. nella specie non contestati) gli atti formati nei confronti della società in bonis, mentre dopo la dichiarazione di fallimento gli ulteriori atti del procedimento tributario debbono indicare quale destinataria l'impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il curatore[22].

Dopo la chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo (art. 118, n. 3) e insufficienza dell’attivo (art. 118, n. 4) il debitore tornato in bonis riacquista il potere di disporre del proprio patrimonio e di esercitare le azioni relative, pertanto può esperire le azioni di rimborso nei confronti dell’Ente impositore, anche relative al periodo del fallimento.

Con riferimento alle ulteriori procedure concorsulali, la legittimazione a stare  in  giudizio è riconosciuta:

-         nel caso di concordato preventivo,  in capo all’imprenditore e non al commissario giudiziale;

-         nel caso di liquidazione, al liquidatore.

 

6. Il sostituto d’imposta

Il debitore di imposta "sostituito" non deve necessariamente partecipare a pena di nullità del giudizio (art. 102 c.p.c.), promosso dal sostituto di imposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ed avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di accertamento allo stesso notificato per omesso adempimento dell'obbligo di ritenute di acconto (ex art. 64 del DPR 29 settembre 1973, n. 600)[23]. Ove, invece, l’accertamento stesso sia stato effettuato nei confronti del debitore sostituito, la controversia deve svolgersi nel contraddittorio del sostituto[24], pur riconoscendo l’autonomia giuridica dei rapporti tra sostituto e Amministrazione finanziaria e fra sostituto e sostituito (Cass. n. 3252/1987), il primo a carattere pubblicistico il secondo a carattere privatistico.

In merito alla controversia promossa, dal sostituito d’imposta nei confronti del sostituto, relativamente “alla legittimità delle ritenute operate” ed al fine di pretendere il pagamento di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto o versato a titolo di ritenuta, ad un orientamento giurisprudenziale in base al quale sussisterebbe la giurisdizione delle commissioni tributarie[25] e la controversia deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, in litisconsorzio necessario con l’Amministrazione finanziaria[26], si contrappone un altro orientamento in base al quale le  controversie  tra  sostituto  e sostituito, relative all’esercizio del diritto  di  rivalsa  delle  ritenute alla  fonte  versate   direttamente   dal   sostituto,   volontariamente   o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice  tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario[27], e l’Amministrazione finanziaria non assume la veste di litisconsorte necessario[28].   

 

7. Litisconsorzio ed intervento

L’art.14, completa il quadro soggettivo del rapporto processuale, mutuando nel processo tributario, istituti propri del diritto processuale civile quali il litisconsorzio e l’intervento. Tali istituti tendono ad evitare i rischi che si formino giudicati contrastanti e che la sentenza sia inutiliter data[29], caso che si verifica allorquando in caso di litisconsorzio necessario la sentenza è pronunciata solo nei confronti di alcuni soggetti. In tal caso non produrrà effetti neanche verso coloro nei cui confronti è stata  pronunciata.

Si realizza il litisconsorzio quando vi è una pluralità di parti che interagiscono nello stesso rapporto processuale. Può essere necessario o facoltativo.

 

8. Litisconsorzio necessario

Il litisconsorzio necessario è disciplinato dall’art. 14 c. 1 D.Lgs. 546/1992 che mutua la previsione disposta dall’art. 102 c.p.c., stabilendo che “Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi”.

La Cassazione, in sede di composizione di contrasto di giurisprudenza, ha statuito che ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario ogni qualvolta che, per effetto della norma tributaria, o per l’azione esercitata dall’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia a oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato[30].

Pertanto il  fatto  che  l'impugnazione concerna la posizione comune ai  diversi  soggetti  obbligati  impone  -  in ragione della ricordata inscindibilità - un accertamento giudiziale unitario (con il conseguente litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti obbligati cui sia comune la posizione  dedotta  in  contestazione)  sulla  fattispecie costitutiva dell'obbligazione, il solo che possa  effettivamente  realizzare una giusta imposizione. Qualora, invece, colui che abbia proposto l'impugnazione abbia  dedotto  un  profilo  che  sia  proprio esclusivamente  della  sua  posizione  debitoria,  è  da  escludere  che  si determini quella situazione di inscindibilità cui, ai  sensi  dell'art.  14, c. 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, consegue il  litisconsorzio  necessario tra i soggetti obbligati,  e  potrà darsi solo un'ipotesi di intervento volontario nel processo degli (eventuali) altri destinatari dell'atto impositivo, giusta il c. 3 della citata norma.

Esemplificando si elencano alcune ipotesi di liticonsorzio:

-         mutamento della legittimazione processuale agli eredi in caso di morte del contribuente[31];

-         controversie catastali, allorquando si impugni il provvedimento di attribuzione di rendita catastale relativo ad un immobile in comproprietà;

-         controversia relativa alla ripartizione d’estimo tra più comproprietari di una medesima unità immobiliare;

-         controversie tra sostituito e sostituto per il pagamento di quella parte del credito che il sostituto convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta, da definirsi  in litisconsorzio necessario anche dell’Amministrazione finanziaria;

-         ricorso avverso un avviso  di  rettifica  della  dichiarazione  dei redditi di una  società  di  persone,  o  avverso  un  avviso  di  rettifica notificato ad un socio, in conseguenza della  rettifica  del  reddito  della società. In tali ipotesi ricorre una litisconsorzio  necessario  originario  tra tutti i soci e la società, purché il ricorso venga proposto  per  contestare il reddito della società  o  le  modalità  del  suo  accertamento[32];  ricorre, invece, litisconsorzio  necessario,  solamente  tra  i  soci, quando il ricorso introduttivo abbia ad oggetto  la  mera  ripartizione  del reddito, anche quando il socio contesti la propria qualità  (nel  qual  caso gli altri soci hanno interesse a contrastare la tesi del ricorrente, il  cui accoglimento determina un incremento del loro  carico  fiscale)[33]

Ne consegue che il ricorso deve esser proposto e notificato nei confronti di tutti i soggetti inscindibilmente collegati. L’inscindibilità tra più soggetti si riferisce ad una pluralità di soggetti che costituiscono un’unica parte del rapporto processuale, pertanto in assenza di uno dei soggetti viene meno il concetto di parte processuale, con la conseguenza che la controversia non può essere decisa limitatamente ai soggetti che hanno dato vita al rapporto processuale.

In quest’ultima ipotesi risulterebbe viziato l’intero procedimento qualora né il giudice di primo grado abbia disposto  la integrazione del contraddittorio e né il giudice di appello abbia provveduto a rimettere la causa al primo giudice[34] ai sensi dell’art. 59, c. 1, lett. b)  del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 354, c. 1 c.p.c.. Di conseguenza, il giudizio celebrato senza la partecipazione  di tutti i litisconsorzi necessari è nullo per violazione  del  contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. ed art. 111 Cost., c. 2. Trattasi  di  nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio[35].

 

8.1  Integrazione del contraddittorio

Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti sopra indicati,  i soggetti interessati alla prosecuzione del giudizio devono provvedere all’integrazione del contraddittorio, attraverso la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio e del provvedimento della Commissione che ordina l’integrazione del contraddittorio entro un termine[36] stabilito a pena di decadenza, la cui inosservanza determina l’estinzione del processo, per inattività delle parti,  a norma dell’art. 45 c. 1 del D.Lgs. 546/1992 (ex art. 14 c. 2).

Se la parte interessata non provveda alla notifica  dell’atto di chiamata del terzo ovvero vi provveda tardivamente il processo si estingue per inattività delle parti.

Se la parte interessata procede alla notifica  dell’atto di chiamata del terzo, dovrà provvedere a depositare in giudizio il ricorso entro il termine perentorio stabilito dal giudice, il quale una volta verificata la regolarità della notificazione del ricorso al liticonsorte, fisserà la data dell’udienza di trattazione, che sarà comunicata alle parti a cura della segreteria della Commissione tributaria. In caso di mancata integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 45, c. 1, il processo si estingue.

Il terzo chiamato in causa potrà:

a)      costituirsi in giudizio, con le forme previste per il resistente;

b)      non costituirsi in giudizio e quindi quest’ultimo proseguirà in sua assenza.

Invece, in ipotesi  di  litisconsorzio, per l'esistenza di  una  situazione  che  comporti  l'obbligo di chiamare in causa anche in  appello,  tutte le parti presenti nella  prima  fase del processo, ai  sensi  dell'art. 331 c.p.c., e' necessario che i rapporti dedotti in causa  siano  inscindibili,  non  suscettibili  di soluzioni differenti nei confronti delle  varie  parti  del  giudizio,  o  che  due  (o  più) rapporti dipendano logicamente  l'uno  dall'altro, o da un presupposto di fatto comune, in modo  tale  da  non consentire razionalmente l'adozione nei confronti delle diverse parti  di  soluzioni  non  conformi  perchè  comporterebbero  capi di decisione logicamente  in  contraddizione tra loro. Ne consegue che, quando il giudice di  primo  grado  adotti,  senza  contraddizioni insanabili, soluzioni diverse nei confronti di più parti, se ne deve dedurre l'insussistenza di alcuna ipotesi di litisconsorzio  necessario, nemmeno di carattere processuale, e l'applicabilità dell'art. 332 c.p.c., sulla impugnazione relativa alle cause scindibili.

La sentenza emessa in difetto di integrazione del contraddittorio è nulla.

 

9. Litisconsorzio facoltativo ed intervento

L’art.14 richiama l’ipotesi del litisconsorzio facoltativo attraverso gli istituti dell’intervento volontario e della chiamata in giudizio, sia su istanza di parte sia per ordine del giudice.

Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato oppure sono parti di un unico rapporto tributario controverso, ed il ricorso non sia stato presentato da tutti gli interessati o nei confronti di tutti i medesimi.

E’ da ritenersi inammissibile l’intervento di un terzo in quanto non sono applicabili al rito tributario gli artt. 344 e 404 c.p.c., in quanto incompatibile con le caratteristiche delle controversie tributarie che insorgono in via di impugnazione di determinati atti impositivi[37].

L’interveniente può costituirsi entro il termine previsto per la costituzione della parte resistente. Più in particolare, in caso di pubblica udienza, entro il termine di 20 giorni prima dell’udienza, di trattazione, mentre nel caso in cui non vi sia stata richiesta di trattazione in pubblica udienza, il termine è quello di 5 giorni liberi prima della camera di consiglio. La domanda di intervento, entro il termine ultimo per la costituzione, va notificata a tutte le parti costituite e poi va depositata presso la segreteria della Commissione tributaria. La Commissione tributaria non è tenuta  a dare alcun avviso o comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di intervento. Trovano applicazione le norme in tema di capacità di essere parti, di capacità di stare in giudizio e di assistenza tecnica.

Si ritiene ammissibile l’intervento principale nel caso di un soggetto che relativamente ad un’azione di rimborso esperita nei confronti dell’Ente locale, afferma di essere l’effettivo titolare del rimborso. Oppure l’intervento dell’Ente locale che afferma relativamente ad un certo tributo la non competenza dell’Amministrazione finanziaria.

Si ritiene non ammissibile l’intervento delle associazione a tutela dei diritti dei contribuenti, in quanto carenti di un interesse giuridicamente rilevante[38]. Infatti, l’associazione, non è destinataria dell'atto impugnato[39] o parte del rapporto tributario controverso. A tali conclusioni è pervenuta la giurisprudenza nelle fattispecie relative all’opposizione ad un diniego di rimborso ai fini ICI[40], ed all’impugnazione dell’iscrizione a ruolo della TARSU e della cartella di pagamento fatta da un Comune[41].

Il litisconsorzio facoltativo trova applicazione, anche nelle ipotesi di obbligazione solidale. La   natura solidale dell'obbligazione, in forza della quale ciascuno dei  debitori  può  essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri (art. 1992 c.c.), esclude che tra i  predetti obbligati in solido si determini, ove agiscano congiuntamente in  giudizio, una situazione di inscindibilità delle cause  e  quindi  di  litisconsorzio necessario, regolata dall'art. 102 c.p.c.,  (e,  in sede di impugnazione, dall'art. 351 c.p.c.). Infatti, l'obbligazione solidale (dal  lato  passivo),  pur  avendo  ad oggetto una medesima  prestazione,  si  configura  come  una  pluralità  di rapporti giuridici di debito-credito tra loro distinti. Sicché, quand'anche le cause  concernenti  tali  rapporti siano state trattate in unico processo, le stesse mantengono la loro autonomia e la sentenza di esso conclusiva, pur formalmente unica, si risolve in tante pronunzie quante sono le cause  trattate: pronunzie che rimangono indipendenti le une dalle altre[42]. I principi sopra esposti valgono ovviamente anche per il caso - come quello in esame - di avvenuta riunione delle cause per connessione, essendo evidente che la riunione, finalizzata ad esigenze di speditezza ed economia processuale (oltre che  di  uniformità  di  decisioni),  lascia  inalterata l'autonomia dei giudizi anche per  quanto  concerne  la  posizione  assunta dalle parti in ciascuno di essi[43]-[44].

 



[1] Il successivo articolo 11, disciplina la capacità processuale.

[2] In base all’art. 57 D. Lgs. 300/1999, alle Agenzie Fiscali sono stati trasferiti i relativi rapporti giuridici delle direzioni “fiscali” del Ministero dell’Economia e delle Finanze, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna Agenzia”. Pertanto nei  processi  introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 la legittimazione   appartiene   soltanto   all'Agenzia"   (la   quale   "puo' semplicemente avvalersi  del   patrocinio  dell'Avvocatura dello Stato") mentre "ai procedimenti  introdotti  anteriormente alla data predetta... si deve...   fare riferimento  ai  principi enunciati dalle SS.UU. 29 aprile 2003,  n.  6633  e  5  maggio  2003,  n.  6774,  con  la  precisazione (contenuta infine  al  punto  4.3  della  sentenza  n.  3116/2006)  che  "la proposizione dell'appello   esclusivamente   da   parte   dell'Agenzia,  senza esplicita menzione   dell'ufficio   finanziario   periferico   che  era  parte originaria, ha  comportato  la  conseguente  estromissione di quest'ultimo", e b) che  "il  ricorso  per  cassazione può essere proposto anche nei confronti dell'ufficio periferico dell'Agenzia   (che   e'   subentrata    all'ufficio periferico del  Ministero...  e  ne  esercita,  in  via  esclusiva,  i poteri, curando il relativo contenzioso) e, ovviamente, ad esso notificato". Il  ricorso  deve  essere  dichiarato  inammissibile  allorquando  proposto soltanto contro   il   Ministero,   il   quale   e'   privo   di  qualsivoglia legittimazione passiva   (sia   sostanziale   che   processuale)   in   ordine all'oggetto dello  stesso,  costituito  dal provvedimento di diniego impugnato emesso da  un  ufficio  locale  dell'Agenzia  delle  Entrate,  la quale e' una persona giuridica pubblica diversa dal Ministero (Cass. sez. trib. 13 ottobre 2006 n. 22101).

[3] L’art. 3 c. 1 D.L. 203 del 30 settembre 2005, convertito dalla L. n. 248 del 2 dicembre 2005, ha previsto con decorrenza dal 1 ottobre 2006, la soppressione del sistema di affidamento  in concessione  ad enti privati  della riscossione e l’affidamento delle relative funzioni all’Agenzia delle entrate che le esercita mediante una società per azioni a totale capitale pubblico “Equitalia Spa” (già  Riscossione S.p.A ) i cui Soci sono "l'Agenzia delle Entrate", con una partecipazione pari al 51% del capitale sociale e "l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - I.N.P.S.", con una partecipazione pari al 49% del capitale sociale. Il fine di Equitalia è quello di dare impulso all'efficacia della riscossione riducendo i costi. Essa ha inoltre il compito di ottimizzare il rapporto con il contribuente e contribuire all'equità fiscale.

[4] Cass. SS.UU. 15 dicembre 2005 n. 3118.

[5] Mentre la legitimatio ad causam riguarda la legittimazione ad instaurare il giudizio, la legitimatio ad processum concerne l’idoneità della parte a compire atti processuali.

[6] Cass. sez. trib. 30 ottobre 2007 n. 22918.

[7] Cass. sez. trib. 26 marzo 2002  n. 4336; Cass. sez. trib. 28 gennaio 2004 n. 1511.

[8] Cass. sez. trib. 15 gennaio 2002  n. 6450 per la quale “in caso di impugnazione di cartella esattoriale, la legittimazione passiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l'impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo”; Cass. sez. trib. 26 aprile 2005 n. 14668; Cass. sez. trib. 17 dicembre 2001 n. 11667.

[9] Circolare n.98/E del 23 aprile 1996.

[10] Conforme Cass. sez. trib. 17 settembre 2001 n. 11667,  secondo  la  quale  “il ricorso  avverso  l’avviso  di  mora,  qualora  tale  atto  venga  impugnato esclusivamente per vizi propri,  deve  essere  proposto  nei  confronti  del concessionario per la riscossione dei  tributi,  senza  che  sia  necessario integrare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs.  31  dicembre 1992, n. 546, nei confronti dell’ente impositore; Cass. 10 settembre 2007 n. 18972.

[11] Con la sentenza n. 22529 del 26 ottobre 2007, i  giudici di legittimità, richiamando i principi di  diritto  enunciati  nella  citata sentenza n. 16412 del 2007, hanno affermato che il contribuente che  impugni l’avviso di  mora  sostenendo  il  venir  meno  del  debito  tributario  per prescrizione    ben    può    notificare    il    ricorso     esclusivamente all’Amministrazione, senza coinvolgere l’Agente della riscossione.

[12] In virtù dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 la cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri.

[13] Cass. sez. trib. 6 maggio 2002 n. 6450; CTR Lazio 9 marzo 2004 n. 2; CTR Lazio 25 ottobre 2004 n. 77.

[14] Cass. sez. trib.  21 gennaio 2007 n. 3242; Cass. sez. trib.  8 febbraio 2006 n. 2798; CTR  Roma 16 gennaio 2007 n.   17  per la quale non può essere accolta la richiesta di integrazione del contraddittorio o di un rinvio al primo grado, per l’integrazione del contraddittorio poiché a norma dell’art. 102 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio può essere ordinata tra soggetti tutti ugualmente legittimati, attivi o passivi, all’azione.

[15] Al riguardo la Corte di cassazione ha  affermato che la chiamata di terzi nel processo tributario può essere  effettuata  dal resistente con l’atto di costituzione in  giudizio,  a  pena  di  decadenza, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del ricorso (Cass.  sez. trib. 26 novembre 2007 n. 24563; Cass.  sez. trib.  20 luglio 2007 n. 16119; ; Cass.  sez. trib.  13  maggio  2003 n.  7329;  Circ.  n.  98/E  del  23  aprile  1996,  a  commento dell’articolo 23 D.Lgs. 546/1992).

[16] L’Avvocatura generale dello Stato nel parere espresso con nota  n. 65100P del 14 maggio 2008 ha evidenziato che la sentenza n. 16412 del 2007 può  essere  interpretata  nel senso  che  “la  …  affermata  indifferenza  nella   individuazione   del destinatario del ricorso del contribuente - e quindi  la  ammissibilità  del ricorso stesso pur se notificato al solo ufficio - si  configuri  unicamente nel caso di impugnativa di atto consequenziale del  concessionario  che  sia fondata sulla  allegazione  della  mancata  notifica  dell’atto  presupposto costituente esercizio del potere impositivo dell’Amministrazione, quale  che sia la domanda in concreto proposta, e cioè sia richiesto annullamento in sé dell’atto del concessionario per effetto del predetto  vizio  procedurale, sia in impugnativa anche dell’atto presupposto non notificato”.

[17] Cass. SS.UU 25 luglio 2007  n. 16412 che nel caso di  specie  ha  cassato  la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che  la  mancata  notifica  della cartella di pagamento non determinasse la nullità  dell'avviso  di  mora  e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso  introduttivo  del  contribuente avverso l'avviso di mora.  

[18] Circ. n. 51/E del 17 luglio 2008 Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso  Riscossione - Legittimazione processuale –  Motivi  di  ricorso  concernenti l'attività dell’agente della riscossione – Istruzioni operative.

[19] CTC  30 ottobre 2006  n. 8644; Cass. sez. trib. 26 ottobre 1987 n. 7810; Cass. sez. trib. 22 luglio 2005 n. 15392.

[20] Cass. sez. trib. 15 marzo 2006 n. 5671 per la quale “il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso la propria tutela, anche in materia tributaria, alla luce dell'interpretazione  sistematica  del combinato disposto degli  artt. 43 della L. fallimentare e 10 del D.Lgs. 546/1992, in conformità ai principi del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa. Il termine per impugnare l'avviso di accertamento decorre dal  momento  in cui quest'ultimo sia stato portato a conoscenza del fallito stesso”. Conforme Cass. 18 maggio 2007 n. 11572; Cass. 22 marzo 2006 n. 6392 e n. 6393;  Cass. sez. II civ. 5 novembre 1990 n. 110612. Contra Cass.SS.UU. 19 gennaio 1970 n. 100.

[21] Cass. sez. trib.  24 febbraio 2006 n. 4235; Conforme Cass. sez. I 19 dicembre 1994 n. 3094 che ha stabilito che “nel caso di mancato interesse del curatore alla controversia tributaria e di mancata notifica dell’avviso di accertamento al fallito, questo conserva la capacità di impugnare ed il termine decorre dal momento in cui l’accertamento stesso sia portato a sua conoscenza”. Cass. sez. trib. 16 aprile 2007 n. 8990; Cass. sez. trib. 19 febbraio 2000 n. 1901; Cass. sez. trib.  3667/1997, 14987/2000, 6937/2002;  Cass. sez. trib. 3 aprile 2003 n. 5202; Cass. sez. trib. 23 giugno 2003 n. 9951; Cass. sez. trib.  14 maggio 2002 n. 6937; Cass. sez. trib.  8 marzo 2002 n. 3427.

[22] Cass. sez. trib. 5 aprile 2007  n. 12893.

[23] Contra Cass. sez. trib. 27 settembre 2000 n. 12814.

[24] Cass. sez. trib. 12 maggio 1999  n. 12991.

[25] Cass. SS.UU. 6 giugno 2003  n. 9074; Cass. SS.UU. ord. 19 febbraio 2004 n. 3343.

[26] Cass. SS.UU. 13 giugno 2002 n. 18158; Cass. sez. trib. 20 magio 1991 n. 5664; Cass. 10 ottobre 1994 n. 8277; Cass. SS.UU. 7 maggio 1996 n. 4223; Cass. SS.UU. 12 gennaio 2007 per la quale “Tale principio non soffre  deroga  né  quando  la  controversia stessa sia insorta soltanto fra  sostituito  e  sostituto  né  quando  siano scaduti  i  termini  per  chiedere  la  restituzione  delle  somme   versate all'Amministrazione  finanziaria,  in  quanto  tale  scadenza  incide  sulla fondatezza e sull'ammissibilità dell'azione da proporre innanzi  al  giudice tributario, ma è priva di effetti circa la giurisdizione sullo  stesso,  non essendo prevista alcuna giurisdizione  residuale  dell'Autorità  giudiziaria ordinaria a seguito  dell'improponibilità,  inammissibilità  o  infondatezza della domanda devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario”.

[27] Cass. SS.UU. 26 giugno 2009  n. 15031 per la quale “le liti tra sostituto e sostituito hanno ad  oggetto  la legittimità della rivalsa (sia in  relazione  all’an  che  in  relazione  al quantum) del sostituto nei confronti del sostituito ed entrambi, se è  stato versato  più  di  quanto  dovuto  (o  è  stato  effettuato  erroneamente  un versamento  totalmente  non   dovuto)   possono   richiedere   il   rimborso all’amministrazione finanziaria ai sensi del D.P.R. n. 602  del  1973,  art. 38, impugnando poi dinanzi al giudice  tributario  l’eventuale  rifiuto.  Ne deriva che sia il sostituto che il sostituito, chiamati in causa dinanzi  al giudice  ordinario  per  errori  di  calcolo  che  non  abbiano  inciso  sui versamenti a favore del  fisco,  non  hanno  titolo  per  adire  il  giudice tributario. Se invece si tratta di lite che abbia effetti nei confronti  del

fisco (quando il sostituto abbia  versato  una  ritenuta  non  dovuta  o  in eccesso, rivalendosi o non rivalendosi  sul  sostituito)  il  rimedio  della richiesta di rimborso consente una efficace tutela dei diritti.     Anche quando il sostituto convenga in giudizio  il  sostituito,  perchè, dopo avere versato la ritenuta, erroneamente abbia omesso di  esercitare  la

rivalsa, la controversia riguarda esclusivamente  le  parti  in  causa  (non rilevano profili sanzionatori, di cui all’art. 14, violazione degli obblighi di esecuzione di ritenute alla fonte, che attengono ai rapporti autonomi nei confronti dell’amministrazione finanziaria e  che  trovano  applicazione  in forza di un apposito provvedimento amministrativo, che va impugnato  dinanzi al giudice tributario). Nel caso inverso, in cui l’azione sia  proposta  dal sostituito nei confronti del sostituto che  asseritamente  abbia  effettuato una ritenuta (rectius: rivalsa) indebita o eccessiva, se  l’errore  sussiste ed  abbia  comportato  un  versamento  indebito,  lo  stesso  sostituto  può richiedere  il  rimborso  all’amministrazione  finanziaria,  impugnando  poi l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario”.

[28] Cass. SS.UU. 26 giugno 2009 n. 15032.

[29] Cass. sez. trib. 7 luglio 1987 n. 5903.

[30] Cass. SS. UU. 18 gennaio 2007  n 1052; Cass.SS.UU. 18 gennaio 2007 n. 1057.

[31] Cass. Sez.I civ. 12 luglio 2001  n. 9418;

[32] CTR Roma 20 maggio 2009 n.3 in base alla quale in  tema  di accertamento di redditi prodotti in forma associata le posizioni dei soci e della società sono inscindibili poiché l'accertamento è unico e, sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario, tutte le parti  devono  partecipare allo stesso giudizio. Poiché nel caso esaminato, nel giudizio  di  primo  grado  la  società  non  ha partecipato al giudizio,  pur  essendo  litisconsorte  necessario, sussiste una  violazione  del  principio  del  contraddittorio  e  quindi  le condizioni di cui  all'art.  59  D.Lgs. n. 546/92,  che  impone  di rimettere   la   causa   alla   Commissione   tributaria   provinciale   per l'integrazione del contraddittorio. Cass. sez. trib. n.31 luglio 2009 n. 17799 per la quale “il ricorso tributario proposto contro un solo avviso di rettifica da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società sia i soci, sichhè tutti qusti soggetti devono esser partee dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi”.

[33] Cass. SS.UU. 4 giugno 2008 n. 14815 per la quale “quando ricorra un' ipotesi di litisconsorzio necessario originario, il giudice tributario deve attenersi alle seguenti regole: a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi dell'art. 29 D.Lgs. n. 546/1992, se sono tutti pendenti dinanzi allo stessa commissione (la facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall'art. 39, c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la necessità di integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dall'art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. b) Se, invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento, o avendola ricevuta, non l'abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l'integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992)”.  Cass. sez. trib. 25 giugno 2009 n. 14980 per la quale “la celebrazione del processo tributario avente ad oggetto  la  rettifica del reddito di società di persone nei confronti soltanto di alcuni dei  soci deve essere dichiarata nulla per violazione  del  litisconsorzio  necessario con  rimessione  del  giudizio  alla  commissione   tributaria   provinciale competente”.

[34] La Corte di cassazione,  in più occasioni, ha sottolineato come le Commissioni tributarie siano giudici sia dell'atto che del rapporto (Cass. SS.UU.  25 maggio 2005 n. 10958; Cass. sez. trib. 19 febbraio 2004 n. 3309).

[35] Cass. SS.UU. 4 giugno 2008 n. 14815.

[36] Tale termine in virtù dell’art. 307 c. 3 c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69/2009,  non potrà essere inferiore ad un mese né superiore a tre (anziché di sei mesi previsti dalla norma ante riforma).

[37] Cass. sez. trib.  18 giugno 1988 n. 4178; CTC  31 gennaio 2000 n.  3555.

[38] Cass. sez. trib. 9 gennaio 2004 n.  139 che in tema di legittimazione a proporre ricorso di un ente esponenziale di una indefinita categoria di contribuenti ha affermato che tali enti non possono neppure svolgere un intervento adesivo dipendente, a tutela delle ragioni del contribuente ricorrente, a norma dell'art. 105 c.p.c., atteso che l'interesse che legittima un tale intervento deve essere giuridicamente rilevante e qualificato e non può consistere in una utilità di puro fatto; Cass. sez. trib.  06 settembre 2004 n. 17934  secondo cui  in tema di contenzioso tributario, non è ammessa la tutela dei cosiddetti interessi diffusi; Cass. sez. trib. 23 luglio 2009 n. 17194 per la quale “sulla disciplina generale dall’art. 105 c.p.c. prevale  la disciplina speciale del contenzioso tributario. Con  riguardo  alla posizione processuale della  ONLUS  (Cass.  nn.  139/2003, 181/2003, Cass. n. 139/04, Cass. n. 12598/04, Cass. n. 1909/08) la legge attribuisce qualifica di ricorrente  nel  processo  tributario  al  soggetto destinatario  dello  specifico  atto  amministrativo  secondo  la  tipologia elencata nel D.Lgs. n. 546 del 1992,  art.  19  e  tali  atti  contengono  o l’esplicitazione di una  richiesta  fiscale  nei  confronti  di  uno  o  più soggetti ben individuati, o il rifiuto della restituzione di somme richieste da chi le abbia versate, od ancora il rifiuto di agevolazioni nei  confronti di specifici soggetti con la conseguenza che non vi è spazio  di  intervento per gli enti esponenziali, che  agiscono  per  la  tutela  di  un’indefinita categoria di interessati, ai quali non sono diretti gli atti impugnabili,  e dunque, non hanno  legittimazione  sostanziale  a  proporre  opposizione  né autonomamente  nè   congiuntamente  al  contribuente  destinatario  dell’attoimpugnato. Questi principi non meritano rivisitazione  critica  neppure  alla luce delle  disposizioni  a  tutela  di  consumatori  ed  utenti  che  hanno attribuito  una  generale  “legitimatio  ad   agendum”   alle   Associazioni rappresentative in virtù della L. n. 281 del 1998 predisponendo  un  sistema di tutela collettiva inibitoria e emendativa poi trasfuso negli artt. 139  e 140 Codice di Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005). Al di là della natura  degli  interessi  diffusi  che  sono  chiamati  a garantite tali enti esponenziali con interventi comunque  esperibili  avanti all’AGO (e dunque in sedi diverse da quella appartenente alla  giurisdizione tributaria) e contro "violazioni seriali di massa" che hanno  nel  caso  ben poco da spartire con  atti  fiscali  singolari  od  al  più  litisconsortili (estranei alla classe che dovrebbe altrimenti ricomprendere tutti i soggetti passivi di imposta per genere di tributo e modalità di esazione),  è  appena il caso di soggiungere che la titolarità della  rappresentative  action  non spetta a qualsiasi tipo di aggregazione o comitato di consumatori ed  utenti ma solo alle associazioni ufficiali  che  siano  state  inserite  in apposito elenco ministeriale dopo  la  verifica  dei  prescritti  requisiti, avendo  il  legislatore  -  come  è  noto  -  preferito  ad  un  modello  di legittimazione processuale "aperta" un modello di legittimazione processuale "selettiva"  e  precostituita   sottoposta   alla   preventiva   valutazione dell’autorità amministrativa”.

[39] Cass. sez. trib.  27 giugno 2003 n. 181.

[40] Cass. sez. trib.  4 dicembre 2003 n.  18541.

[41] Cass. sez. trib.  8 luglio 2004 n. 12598.

[42] Cass.  sez. lav. 24 aprile 2001 n.  6043; Cass. sez. II 26 marzo 2001 n. 4364 per la quale “l'obbligazione solidale passiva non fa sorgere un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo a litisconsorzio necessario nemmeno in sede di impugnazione, per cui non è necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei debitori che siano rimasti estranei al giudizio anche solo nella fase di appello per essere stata la sentenza impugnata pronunciata pure nei loro confronti”.

[43] Cass.  SS.UU.  3 dicembre 1992 n. 12885;  Cass.  sez. II 23 maggio 200 n. 6733.

[44] Cass. sez. trib . 13 novembre 2008  n. 27071 in base alla quale “quando l’imposta di registro o l’INVIM  gravino  solidalmente  su più soggetti (come si verifica, in ipotesi di compravendita  immobiliare,  a carico di tutte le parti contraenti, per il primo di detti tributi, ovvero a carico dei comproprietari - venditori, per  il  secondo)  ed  uno  solo  dei coobbligati  insorga  avverso  l’accertamento  in   rettifica,   gli   altri coobbligati per il medesimo tributo - in base alla previsione dell’art. 1306 c.c., comma 2, che opera, sul piano processuale, in deroga ai comuni  limiti soggettivi del giudicato - possono soltanto far valere,  contro  la  pretesa dell’Amministrazione  finanziaria  nei  loro  confronti  diretta  (e  salva, comunque, l’irripetibilità di quanto spontaneamente versato),  il  giudicato formatosi a favore del coobbligato che abbia  impugnato  l’accertamento  (v. Cass. 19850/05, 1225/95, 7053/91)”. Cass. sez. trib. 18 marzo 2003  n. 3926 in base alla quale  “l'art.  1306  c.c.  incide  soltanto  sul  piano sostanziale, cioè riconosce al debitore che non abbia presentato tempestivo ricorso il diritto di opporre all'Amministrazione la sentenza ottenuta  dal condebitore più diligente; non incide invece sul  piano  processuale,  cioè non consente  a  chi  non  si  sia  autonomamente  rivolto  alla  giustizia tributaria di inserirsi nella procedura  contenziosa  aperta  da  un  altro soggetto”.

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