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Il ricorso per ottemperanza 

1. Profili generali

L’istituto dell’ottemperanza[1], introdotto nell’ordinamento giuridico con l’art. 4, n.4 della L. 31 marzo 1889, n. 5992 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, rappresenta una delle innovazioni più rilevanti della riforma del 1991-1992, attuata con L. delega 30 dicembre 1991, n. 413, la quale al punto l) dell'art. 30 poneva, quale criterio direttivo, la previsione dell'esecuzione coattiva delle decisioni anche a carico dell'Amministrazione soccombente.

L’istituto disciplinato dall’art. 70 del D.Lgs. 546/1992 è teso a garantire l'effettività delle sentenze emanate dalle Commissioni tributarie a favore del contribuente (ad es. la corresponsione di un rimborso di tributi risultanti indebiti,  il pagamento delle spese del giudizio tributario liquidate a proprio favore), ed è finalizzato ad ottenere il coatto adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza stessa.

Il ricorso in ottemperanza si caratterizza, rispetto al procedimento di esecuzione di natura civile oltre che per la snellezza, celerità e minori costi anche perché non sempre è possibile procedere al pignoramento dei beni nei confronti dell’Amministrazione a causa dell’esistenza di somme vincolate[2].

Il presupposto per l’instaurazione del giudizio di ottemperanza è l’esistenza di una  sentenza della commissione tributaria “passata in giudicato”[3], cioè quando non sia più impugnabile con i mezzi ordinari (appello o ricorso per  cassazione) o quando la Cassazione si sia pronunciata in via definitiva senza disporre il rinvio ad altro giudice.

 

2. Proposizione del ricorso

 La procedura inizia mediante  ricorso da depositare in “doppio originale” e senza necessità di preventiva notifica all’Ente impositore:

-         alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata;

-         alla segreteria della commissione tributaria regionale, in ogni altro caso.

Uno degli originali verrà in seguito comunicato d’ufficio a cura della stessa segreteria all’Amministrazione tenuta a provvedere.

 

3. Giudice competente

La CTP è competente, per la cognizione dei giudizi di ottemperanza, nei seguenti casi:

-         la sentenza da questa emessa sia divenuta definitiva in mancanza di impugnazione;

-         il giudizio di appello si conclude con una dichiarazione  di inammissibilità, di improcedibilità  o di estinzione dell’appello medesimo. In queste ipotesi la sentenza di primo grado resta ferma, e non viene sostituita da quella di appello (che costituisce un giudicato formale e non sostanziale), posto che il merito delle questioni non viene affatto esaminato. Salvo, che per il capo contenente la condanna alle spese, che assume il valore di giudicato sostanziale e costituisce un titolo esecutivo autonomo, e va perciò fatto valere in sede di ottemperanza, esso solo, dinanzi alla Commissione regionale[4].

La CTR è competente, per la cognizione dei giudizi di ottemperanza, nei seguenti casi:

-         quando la decisione della commissione di primo grado sia stata appellata e la commissione regionale si sia pronunciata sull’appello con sentenza passata in giudicato;

-         qualora in appello sia stata confermata la sentenza di primo grado[5];

-         quando la Corte di Cassazione, in applicazione dell’art. 384 c. 1 c.p.c., decide questioni di merito.

In merito ai profili di legittimità costituzionali, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione,  sollevati dalla Commissione provinciale di Milano con  ordinanza  depositata  il  22  ottobre   2007 con la quale la Commissione censurava l’art. 70 del D.lgs. 546/92 nella parte in cui non consente al contribuente vittorioso in primo grado di richiedere, in pendenza di  appello  o  di  termine  per  proporre  appello, l'ottemperanza  agli  obblighi  derivanti  dalla  sentenza  non  passata  in giudicato emessa dalla Commissione tributaria provinciale, mentre  l'Amministrazione finanziaria, può, invece, procedere al  recupero delle somme dovute, in via esecutiva, anche sulla  base  della  sentenza  di primo grado, si è pronunciata la Corte Costituzionale con sent. n. 316 del 30 luglio 2008.  Il giudice della leggi ha dichiarato  la  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimità costituzionale dell'art. 70 sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, e la manifesta inammissibilità  delle  questioni  di  legittimità costituzionale del medesimo art. 70 sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24.

L’art. 70 nel  disporre  che  il  giudizio  di ottemperanza da esso previsto  si  applica  solo  alle  sentenze  tributarie passate in giudicato,  detta  una  regola  identica  a  quella  vigente per le sentenze emesse dal giudice civile, mentre l'applicabilità del giudizio di ottemperanza a sentenze  non  ancora passate in giudicato è prevista, con norma  di  carattere  eccezionale,  dal quarto comma dell'art. 33 della legge  n.  1034  del  1971  (comma  aggiunto dall'art. 10 della legge 21 luglio  2000,  n.  205)  esclusivamente  per  le sentenze emesse dal tribunale amministrativo regionale  e  non  sospese  dal Consiglio di Stato.

Pertanto, con la norma denunciata il  legislatore  delegato  non  è incorso in  eccesso di delega, ma si è uniformato  sia  al  generale criterio direttivo dell'«adeguamento delle norme del processo  tributario  a quelle del processo civile», fissato dalla lett.  g)  del  c.  1 dell'art. 30 della legge di delegazione n. 413 del 1991, sia allo  specifico criterio della «previsione dell'esecuzione coattiva delle decisioni anche  a carico dell'Amministrazione soccombente», fissato dalla  lettera l) del medesimo comma 1. Infatti il criterio direttivo di  carattere  generale dettato dal legislatore delegante nel citato art. 30, c.1,  lett.  g), della  L. n.  413  del  1991,   è   quello   dell'adeguamento, e non quello dell'uniformità, delle norme del processo tributario a quelle  del  processo civile (ordinanze n. 303 del 2002, n. 330 del 2000 e n. 8 del 1999).

Pertanto, la violazione della legge è esclusa anche laddove questa nel prevedere l’adeguamento ai principi del processo civile ricomprendeva implicitamente secondo il giudice rimettente, anche i principi della provvisoria esecutività delle sentenze di primo o secondo grado, ciò in quanto il  legislatore,  nella  sua  discrezionalità,  può  escludere  detta applicazione per le sentenze  di  primo  grado,  anche  se  provvisoriamente esecutive (come già osservato dalla Corte, con le ordinanze n. 44 del 2006 e n. 122 del 2005, a proposito delle sentenze di  primo  grado  non ancora passate in giudicato emesse dall'autorità giudiziaria ordinaria).

Quanto alle questioni riferite agli articoli 3 e 24 della Costituzione, la Corte ha ritenuto che le stesse "sono manifestamente inammissibili". Alla base delle conclusioni della Consulta c'è la considerazione che il riconoscimento dell'applicabilità del giudizio di ottemperanza a sentenze tributarie non passate in giudicato e non provvisoriamente esecutive "comporterebbe l'introduzione nel sistema processuale, ad opera della Corte costituzionale, di una disciplina inedita e non costituzionalmente necessitata del giudizio di ottemperanza, il quale risulterebbe applicabile a prescindere sia dal requisito della provvisoria esecutività della sentenza…sia da quello dell'intervenuto passaggio in cosa giudicata…". Una tale disciplina del giudizio di ottemperanza, peraltro, puntualizzano i giudici, sarebbe intrinsecamente contraddittoria, perché creerebbe uno strumento processuale diretto a consentire l'esecuzione di una sentenza alla quale l'ordinamento non attribuisce efficacia esecutiva.

 

4. Contenuto del ricorso

Il ricorso, da depositare in duplice esemplare originale in bollo, deve contenere l'indicazione:

a)      del presidente della commissione tributaria cui è diretto;

b)      del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale;

c)      dell'ufficio del Ministero delle Finanze o dell'Ente locale nei cui confronti il ricorso è proposto;

d)      la sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza (a pena di inammissibilità);

e)      l’atto di messa in mora (nei soli casi in cui questo sia richiesto quale condizione di procedibilità) e la relata di notifica (a pena di inammissibilità);

f)        i motivi del ricorso e l’obbligazione giuridica che scaturisce dalla sentenza (a pena di inammissibilità);

g)      la sottoscrizione in originale dal difensore del ricorrente o della parte nei casi di difesa in proprio ammessi dalla legge.

In merito alla difesa del contribuente deve applicarsi la normativa prevista dall’art. 12 del D.Lgs. 546/1992, pertanto nei casi in cui il  valore della lite supera euro 2.582,28, il contribuente deve ricorrere all’assistenza di un difensore abilitato. E’ opportuno che la procura originariamente conferita per il giudizio di merito includa la possibilità del giudizio di ottemperanza. In mancanza è richiesta un’apposita procura che dovrà essere antecedente alla proposizione del ricorso per l’ottemperanza.

Il contribuente può richiedere al giudice l'attuazione coattiva anche di singole parti della sentenza, rispetto alle quali si è formato il giudicato interno, allorquando l'Amministrazione, soccombente su alcune questioni, non propone specifica impugnazione della sentenza nei gradi successivi[6].

 

5. Termine di proposizione

Con riferimento all’ambito temporale per la proposizione del ricorso è necessario distinguere il caso in cui il termine per l’adempimento degli obblighi posti dalla sentenza a carico dell’Ufficio è previsto dalla legge, dal caso in cui manchi uno specifico termine legale.

Nel primo caso  il ricorso può essere proposto solo quando è scaduto il termine previsto dalla legge per l’adempimento degli obblighi posti dalla sentenza a carico dell’ufficio impositore, ad esempio il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto stabilito dalla Commissione tributaria provinciale deve essere rimborsato nei 90 giorni dalla notificazione (ex. c. 2 dell'art. 68 D.Lgs. 546/92).

Nel caso in cui, invece, manchi un termine legale di adempimento dell'obbligo, il ricorso è proponibile dopo il successivo inutile decorso di un termine di 30 giorni dalla costituzione in mora dell'Amministrazione, che non avviene automaticamente, ma mediante la notifica di un atto di diffida a  mezzo dell’ufficiale giudiziario[7] che deve contenere l'avvertimento che, in caso di persistente inadempimento, si procederà mediante giudizio di ottemperanza.  L’atto di messa in mora può essere sottoscritto direttamente dal contribuente senza l’intervento del difensore considerato la natura sostanziale e non processuale dello stesso.

Il ricorso è proponibile fino a quando l’obbligo non sia estinto, che con riferimento all’esecuzione del giudicato è da individuarsi, sulla base dell'art. 2946 e dell'art. 2953 c.c., nel termine prescrizionale decennale. Un’ipotesi particolare di estinzione dell'obbligo, è rappresentata  dall’acquiescenza al comportamento dell'ufficio, ad un obbligo adempiuto in maniera parziale ma con accettazione piena da parte del vincitore.

 

6. Procedimento

Una volta introdotto il giudizio di ottemperanza, la segreteria della commissione tributaria adita provvederà a comunicare all’Ente locale (o all’ufficio del Ministero dell’Economia e delle Finanze) interessato uno dei due originali del ricorso, i quali entro 20 giorni dalla data della comunicazione possono trasmettere mediante memorie, le loro osservazioni e produrre, in allegato alla citata memoria, i documenti comprovanti l’eventuale adempimento alla sentenza oggetto di ottemperanza.

Decorso il termine di 20 giorni, il presidente della Commissione assegna il procedimento alla sezione che ha emesso la sentenza da ottemperare. Il presidente di sezione fissa la data dell’udienza di trattazione in camera di consiglio del ricorso, non oltre il novantesimo giorno dal deposito in segreteria del ricorso per il giudizio di ottemperanza.

La segreteria comunica alle parti almeno 10 giorni prima la data dell’udienza di trattazione.

Nella udienza camerale di trattazione, il collegio sentite le parti, ed acquisiti i documenti necessari, adotta con sentenza i provvedimenti indispensabili per dare piena attuazione alla sentenza non ottemperata dall'Ente impositore, rispettando le forme amministrative dei provvedimenti da assumere ed il dispositivo della sentenza in ottemperanza.

Il giudice può solo precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato, ma non può attribuire un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire[8] o in generale provvedere in relazione a profili cognitivi estranei all’individuazione del contenuto e della portata del giudicato[9]. Infatti, in base al principio derivante dall'art. 70, c. 7, D.Lgs. 546/1992 la Commissione, investita della domanda per l'adozione dei provvedimenti necessari all'ottemperanza, deve attenersi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza, tenuto conto della relativa motivazione, e senza modificarne il contenuto[10].

Il Collegio, inoltre, può delegare un proprio componente, o nominare un commissario, per l'attuazione dei provvedimenti da adottare[11].

In tale ipotesi fissa un termine entro il quale il componente delegato od il commissario "ad acta" debbono compiere i provvedimenti attuativi della sentenza ineseguita. Il commissario è un organo ausiliario del giudice dell’ottemperanza pertanto non deve osservare le direttive degli organi amministrativi dell’Ente impositore.

Al commissario spetta un compenso determinato nella sentenza secondo i criteri fissati dalla L. 319/1980 relativo alla disciplina dei  compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria.

Avverso gli atti emessi dal commissario ad acta le parti possono proporre impugnazione innanzi al giudice di ottemperanza che li può modificare o revocare.

Il giudizio di ottemperanza ha termine  con la concreta esecuzione del giudicato, cui consegue la dichiarazione con ordinanza da parte del Collegio della chiusura del procedimento di ottemperanza.

E’ bene evidenziare, che l’esecuzione della sentenza di ottemperanza a mezzo del commissario ad acta è fonte di danno erariale da parte del funzionario preposto, relativamente alle spese connesse al compenso del commissario[12] ed agli ulteriori interessi maturati fino alla liquidazione.

 

7. Impugnazione delle sentenze in materia di ottemperanza

Avverso le sentenze pronunciate in sede di giudizio di ottemperanza, l’unico mezzo esperibile è rappresentato dal ricorso in Cassazione[13], che ai sensi dell’art. 70 u.c. D.Lgs. 546/1992 è ammesso “per inosservanza delle norme sul  procedimento”.

Il ricorso per Cassazione avverso le sentenze emesse nell'ambito di un giudizio di ottemperanza consente un pieno sindacato sulla correttezza in diritto della sentenza impugnata, e non è limitata alla sola verifica del rispetto del procedimento, ossia del rito previsto per il giudizio di ottemperanza[14]. Pertanto,  contro di esse è proponibile ricorso per Cassazione anche per violazione di legge in applicazione dell’art.111 Cost., come ad esempio in caso di mancanza della motivazione che costituisce un requisito essenziale della sentenza[15].

 

8. Alternatività e complementarietà con la procedura esecutiva ordinaria

Il giudizio di ottemperanza può essere non solo alternativo ma anche complementare al processo civile di esecuzione [16].

Qualora il contribuente intenda ricorrere anziché al giudizio di ottemperanza alla procedura esecutiva dovrà seguire la normativa prevista dal codice di procedura civile, che si configura certamente meno celere, ed efficace e più costosa.

In caso di procedura ordinaria, l'art. 14 del D.L.  31 dicembre 1996, n. 669, come modificato dall’art. 144 della  L. 23 dicembre 2000, n. 388, prevede il  differimento   degli   ordinari   termini   per   l’effettuazione dell’ingiunzione (precetto)  del  creditore  -  atto  prodromico  all’inizio dell’esecuzione forzata -  nei  confronti  delle  Pubbliche  Amministrazioni,  disponendo che nel caso in cui il soggetto debitore sia un’Amministrazione dello Stato o  altro Ente pubblico non economico[17], il termine per l’adempimento spontaneo dell’obbligo di pagamento è di 120 giorni, dalla notificazione del titolo esecutivo[18]. Quest’ultimo è rappresentato dalla copia della sentenza spedita in forma esecutiva rilasciata dalla segreteria della commissione che l’ha emessa a richiesta della parte o del suo difensore tecnico a norma dell’art. 475 c.p.c. e recante  la seguente clausola “Repubblica Italiana in nome della legge Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti”.

Nella pendenza del citato termine il creditore non può procedere all'esecuzione forzata nei confronti delle suddette amministrazioni ed enti.

Trascorsi i 120 giorni andrà notificato all’Amministrazione il precetto ordinario[19], che consiste nell’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non inferiore di 10 giorni, con l’esplicito avvertimento che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.).

Il precetto deve contenere a pena di nullità:

-         l'indicazione delle parti;

-         l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo se questa è fatta separatamente, o la trascrizione integrale del titolo stesso, quando è richiesta dalla legge. Il titolo, infatti, può essere notificato o contestualmente alla notifica del precetto o anteriormente;

-         la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione;

-         la sottoscrizione della parte, se essa sta in giudizio personalmente oppure del difensore.

Il ricorrente dovrà nominare un avvocato iscritto all’albo, almenochè non possegga i requisiti previsti dall’art. 82 c.p.c., poiché pur potendo sottoscrivere personalmente l’atto di precetto (art. 480 c.p.c.) potrebbe trovarsi ad affrontare la procedura esecutiva in caso di mancato pagamento da parte dell’Amministrazione ovvero il giudizio di opposizione introdotto dall’Ente.

Qualora perduri l’inadempimento dell’Amministrazione occorre dar seguito all’esecuzione forzata, che inizia con il pignoramento.

Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l'assegnazione. L'ordinanza che dispone ai sensi dell'art. 553 c.p.c. l'assegnazione dei crediti in pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all'esazione delle somme assegnate.

Di fronte alla sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro la pubblica amministrazione non è in linea di principio, diversa da quella di ogni altro debitore, sicchè anche nei confronti di quest’ultima è esperibile l’azione di esecuzione forzata[20].  Inoltre, la mera provenienza delle somme da entrate tributarie e la mera iscrizione di tali entrate nel bilancio dell'Ente pubblico si rivelano entrambi elementi inidonei a giustificare l'impignorabilità delle somme in questione, la quale può derivare soltanto da uno specifico vincolo di destinazione imposto per legge da un provvedimento amministrativo. Una volta, infatti, che l'entrata tributaria si sia tradotta in danaro, quest'ultimo non si distingue più, nelle casse dell'Ente, rispetto ad entrate di natura privatistica, mentre l'iscrizione dell'entrata nel bilancio preventivo dell'Ente non può costituire impedimento al soddisfacimento del diritto del creditore[21].

In merito al procedimento espropriativo  da instaurare nei confronti della pubblica amministrazione,  la problematica che si pone è rappresentata dall’individuazione dei fondi pignorabili. E’ possibile procedere alternativamente con due modalità:

a)      espropriazione mobiliare o immobiliare presso il debitore (art. 513 e ss c.p.c.);

b)      espropriazione presso terzi (art. 543 e ss. c.p.c.).

Quest’ultima procedura si ritiene più rapida e sicura. Infatti, ai sensi dell’art. 24-bis. della L. 29 ottobre 1987, n. 400 è possibile eseguire a carico degli enti pubblici, il pignoramento presso terzi delle somme affluite nelle contabilità speciali loro intestate, assumendo la veste di terzo, in tal caso, l’azienda o tesoriere dell’Ente contro il quale si procede. Sarà pertanto quest’ultimo soggetto a rilasciare la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. e ad assumere l’obbligo di vincolare l’ammontare per cui si procede rendendo la somma indisponibile da parte dell’Amministrazione[22].

Eventuali vincoli di destinazione dovranno esser fatti valere esclusivamente dall’Amministrazione esecutata con l’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c., e fintantoché non sia emessa l’ordinanza di assegnazione; successivamente resta possibile soltanto l’opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento di assegnazione, ma sempre a condizione, ovviamente, che esso presenti vizi propri[23].

 



[1] Si veda la Circ. Agenzia delle Entrate  n. 5/E del 4 febbraio 2003 - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso -.

[2] ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs 267/2000 (TUEL) “l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifica preventivamente gli importi delle somme impignorabili  destinate a:  

a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi;

b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso;

c) espletamento dei servizi locali indispensabili”.

[3] ai sensi dell’art. 324 c.p.c. “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più assoggettata né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4) e 5) dell’art. 395”.

[4] Cass. sez. trib. 21 gennaio 2004 n. 18266.

[5] In tal senso CTP di Napoli sez. XX 14 gennaio 2003 n. 328. In senso difforme CTR Campania Sez I sent. 18 novembre 2002 n. 1813.

[6] Cass.  sez. trib. 1 luglio 2003 n. 358.

[7] La messa in mora rappresenta un presupposto processuale e si differenzia dalla messa in mora di cui all’art. 1219 c.c. poiché deve esser eseguita a mezzo ufficiale giudiziario.

[8] Cass. sez. trib. 15 ottobre 2004 n. 22188.

[9] Cass. sez. trib. 18 marzo 2005 n. 1368, che ha cassato la sentenza di merito di rigetto del ricorso per ottemperanza, in quanto l’Amministrazione aveva opposto in compensazione ex art. 56 della L. fallimentare, propri crediti tributari. Infatti, l'eccezione di compensazione giudiziale implica un accertamento del credito del creditore in bonis ed il predetto accertamento si connota necessariamente di aspetti cognitivi che travalicano i limiti di competenza del giudizio di ottemperanza.

[10] Cass. sez. trib. 27 gennaio 2005 la quale in tema di giudizio d'ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, passate in giudicato, ha ritenuto che “la decisione del giudice tributario il quale, nel silenzio serbato dai giudici sulla domanda di pagamento degli interessi formulata dal contribuente, consideri il ricorso accolto nel suo complesso, compresa la richiesta di pagamento degli interessi, avuto riguardo alla natura meramente accessoria di tale obbligazione e alla compatibilità di tale interpretazione del giudicato sia con il dispositivo che con la sua motivazione, costituisce una corretta applicazione del principio derivante dall'art. 70, c. 7, D.Lgs. 546/1992”.

[11]  Cass. sez. trib.  13 ottobre 2006  n. 24196 per la quale “il provvedimento con cui la Commissione tributaria, nel giudizio di ottemperanza, adotta i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza in luogo dell’ufficio che li ha omessi e nomina un commissario ad acta, al quale fissa un termine per i necessari procedimento attuativi, determinando il compenso a lui spettante, ha  natura di sentenza, tale essendo espressamente qualificato dall’art. 70 c. 7 del D.Lgs. 546/1992 e non  può pertanto essere successivamente modificato dallo stesso giudice che lo ha emesso”. 

[12] Corte dei Conti sez.  giurisd. per la Puglia 12 marzo 1998 n. 5.

[13] Cass. sez. trib.  21 novembre 2002  n. 7312; Cass. sez. trib. 2 febbraio 2004 n. 15084 per la quale “l'art. 70 c. 10 D.Lgs.  546/1992,  nello stabilire che  contro  la  sentenza  conclusiva  del  giudizio di ottemperanza davanti alle   Commissioni   Tributarie   e'  ammesso   soltanto  ricorso  per Cassazione per  inosservanza  delle  norme  sul procedimento, va inteso, come le altre    espresse    previsioni   normative   che   avverso   provvedimenti giurisdizionali aventi  carattere  decisorio  non  ammettono  altro  mezzo  di impugnazione che  il  ricorso  per  Cassazione, nel senso che quest'ultimo, ai sensi dell'art.  111  Cost., e' sempre consentito per violazione di legge, con riferimento tanto alla   legge   regolatrice   del   rapporto   sostanziale controverso che a quella regolatrice del processo”. 

[14] Cass sez. trib.   28 ottobre 2004  n. 22565; Cass. sez. trib. 23 settembre 2003 n. 4126; Cass. sez. trib. 15 aprile  2004 n. 15655 per la quale “nel processo tributario, la sentenza che dichiari l'inammissibilità del giudizio di ottemperanza, nella specie in ragione del contenuto della pronuncia di cui si richiede l'esecuzione e della ritenuta conseguente insussistenza del presupposto per l'esperibilità del giudizio, esula dal novero di quelle a contenuto attuativo, contemplate dall'art. 70, comma, 7, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, e non è quindi soggetta ai limiti di impugnazione previsti dal successivo comma 10. Ne consegue che avverso di essa, se emanata, come nel caso di specie, dalla Commissione tributaria regionale - in sede di giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di un precedente giudicato della Commissione tributaria centrale - è esperibile, trattandosi di pronuncia in unico grado, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, cost. e dell'art. 362 c.p.c.”.

[15] Cass. sez. trib. 27 gennaio 2005 n. 4596; Cass. sez. trib. 26 settembre 2003 n. 7801.

[16] Cass. sez. trib. 23 settembre 2003 n. 4126; Cass.SS.UU. 17 dicembre 1993 n. 1593. In giurisprudenza amministrativa Cons. Stato sez. VI 30 ottobre 200  n. 480; Cons. Stato V 30 ottobre 2001  n. 5788; Cons. Stato sez. IV 28 aprile 2000  n. 4125 in base alla quale “il giudizio di ottemperanza ben può essere proposto congiuntamente all’ordinaria procedura esecutiva, avuto riguardo alla loro concorrenza a tutelare le garanzie del creditore”.

[17] Cass. sez. III 16 novembre 2005 n. 23084 per la quale “in tema di esecuzione forzata nei confronti della P.A., la disposizione di cui all'art. 14 d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, che prevede il decorso del termine dalla notificazione del titolo esecutivo prima che sia notificato il precetto, si applica anche agli enti locali, che possono essere ricondotti tra gli enti pubblici non economici, ai quali si riferisce la norma citata, che costituiscono una serie di enti definibile mediante tratti comuni anche agli enti locali. Nè rileva che le disposizioni suddette non siano state inserite nel testo unico sull'ordinamento degli enti locali, giacchè quest'ultimo contiene la disciplina specifica degli enti stessi, non anche le discipline che ad essi sono applicabili, perchè inserite in contesti normativi validi per una più ampia gamma di enti, mentre rileva, a favore dell'interpretazione ricomprensiva degli enti locali, la funzione della norma di realizzare un ragionevole contemperamento tra interesse del singolo (al compimento dell'esecuzione) e interesse generale ad un'ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche”.

[18] Corte giustizia Comunita' Europee Sez. I Sent. 11 settembre 2008 n. 265 per la quale “il regime speciale, previsto dall'art. 14, D.L. n. 669/1996, circa il differimento degli ordinari termini per l'effettuazione dell'ingiunzione (precetto) del creditore - atto prodromico all'inizio dell'esecuzione forzata - nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni debitrici non è incompatibile con la disciplina prevista dalla Direttiva n. 2000/35/CE in materia di contrasto ai ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali. Depongono in favore di tale conclusione, da un lato, il criterio ispiratore dell'invocata normativa comunitaria giusta la quale si ha riguardo alla celerità nella formazione del titolo esecutivo e non già ai tempi per l'esecuzione forzata e, dall'altro, dall'insussistenza di una lesione effettiva alle ragioni del creditore che permangono tutelate in modo idoneo e conforme ai principi espressi dal diritto comunitario”.

[19] Ai sensi dell’art. 14, c. 1-bis del D.L. 669/96 1-bis. “gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono essere notificati a pena di nullità presso la struttura territoriale dell'Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati e contenere i dati anagrafici dell'interessato, il codice fiscale ed il domicilio. Il pignoramento di crediti di cui all'articolo 543 del codice di procedura civile promosso nei confronti di Enti ed Istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d'ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell'esecuzione della sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa. Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l'assegnazione. L'ordinanza che dispone ai sensi dell'articolo 553 del codice di procedura civile l'assegnazione dei crediti in pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all'esazione delle somme assegnate”.

[20] Corte cost. 21 luglio 1981 n. 138.

[21] Cass. sez. I 4 aprile 1997 n. 7864.

[22] Cass. SS.UU. 4 febbraio 1988 n. 4136.

[23] Cass. sez. II 25 novembre 1987 n. 6262; Cass. sez. I 6 aprile 1994  n. 7993.