Cass 23618/2004
RISOLUZIONE DEL CONTRATTO PER IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA E LA SOPPORTAZIONE DEL RISCHIO

L'estinzione dell'obbligazione avviene con l'esatto adempimento della medesima, quale modalità naturale e più importante di soddisfazione della pretesa creditoria. Infatti, dal punto di vista strutturale, l'obbligazione si presenta costituita dall'obbligo del debitore di adempiere esattamente a quanto dedotto in obbligazione e dal diritto di credito del creditore; entrambi sono posti in funzione l'uno dell'altro. E infatti, l'adempimento dell'obbligazione – decretandone l'estinzione – coincide con la soddisfazione dell'interesse del creditore e la conseguente realizzazione del diritto.

l codice civile prevede i modi di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento

1) la prestazione in luogo dell'adempimento o dazione in pagamento – c.d. datio in solutum – (art. 1197 c.c.) quando il debitore, con il consenso del creditore, esegue una prestazione diversa da quella dovuta, dedotta in obbligazione;
2) la novazione (art. 1230 c.c. et ss) che consiste nel fatto che le parti estinguono l'originaria obbligazione sostituendola con una nuova e diversa per l'oggetto o per il titolo, cioè per la causa per la quale la prestazione è dovuta. La novazione può riguardare anche la sfera soggettiva quando al debitore originario è sostituito un nuovo debitore: in tal caso i parlerà di novazione soggettiva (art. 1235 c.c.);
3) la remissione (art. 1236 c.c. et ss) consiste nella rinuncia volontaria del creditore al proprio diritto. L'obbligazione si estingue se la dichiarazione effettuata dal creditore viene comunicata al debitore e questi, entro un termine congruo, non dichiari di opporvisi;
4) la compensazione (art. 1241 c.c. et ss) è l'estinzione di due obbligazioni reciproche fra due soggetti reciprocamente obbligati; i debiti reciproci si estinguono se sussistono le condizioni previste dalla legge. Il codice distingue tre tipi di compensazione: quella legale, che si attua per legge; quella giudiziale, decisa dal giudice; e quella volontaria, stabilità per accordo fra le parti nel caso in cui manchino le condizioni per una delle due altre tipologie di compensazioni;
5) la confusione (art. 1253c.c. et ss) ha luogo quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono in capo alla medesima persona.

Un modo particolare di estinzione dell'obbligazione, fra quelli diversi dall'adempimento, è l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, disciplinata dall'art. 1256 c.c. e ss.(da tener distinta dalla difficoltà e/o eccessiva onerosità della prestazione).

 

 

CASS. CIV 23618/2004
Svolgimento del processo

Con citazione innanzi al tribunale di Milano del giorno 11 giugno 1993 la società ALFA spa conveniva in giudizio la società BETA spa per sentire dichiarare risolto per l'inadempimento della convenuta il contratto stipulato in data 2 marzo 1989 e per ottenere il risarcimento dei danni, che reclamava nella misura di diciannove miliardi di lire.

Assumeva che nel 1989, contestualmente all'acquisto da parte sua di uno stabilimento della BETA spa in Santhià, la società convenuta si era impegnata nei suoi confronti a considerarla sua fornitrice privilegiata di "ferritina", principio attivo impiegato nella produzione di specialità medicinale, ed aveva concluso un accordo in base al quale si era obbligata a rifornirsi presso essa società istante per il 50% del fabbisogno di quel prodotto per l'anno 1990.

Lamentava che nel dicembre 1991 la BETA spa le aveva comunicato l'intenzione di rinunciare, entro l'anno successivo, all'utilizzazione della ferritina di origine animale, che aveva sostituito nella preparazione del prodotto medicinale con altro principio attivo di derivazione sintetica.

Ravvisava in tale decisione della BETA spa un inadempimento del contratto, che qualificava di somministrazione, e ne chiedeva, perciò, la risoluzione con i danni, aggiungendo che negli anni 1989 e 1992 al medesimo contratto non era stato dato esatto adempimento dalla controparte, per cui anche in relazione a detto comportamento reclamava il risarcimento dei conseguenti danni.

La società convenuta contrastava la domanda; contestava che l'accordo fosse da qualificare come contratto di somministrazione;

negava che al contratto non fosse stato dato esatto adempimento;

eccepiva che il venir meno del suo fabbisogno di "ferritina" era stato determinato dal provvedimento del Ministro della Sanità, che aveva minacciato di revocare l'autorizzazione al commercio della specialità medicinale se per la sua produzione l'impiego del principio attivo di derivazione animale non fosse stato sostituito con altro di sintesi, ciò a seguito degli interventi diretti a contrastare la diffusione dell'encefalopatia spongiforme bovina ed a tutelare la salute pubblica dal rischio del morbo di Creutzfeld­ Jacob.

Il tribunale adito escludeva che il rapporto negoziale fosse da ascrivere nello schema del contratto di somministrazione e rigettava la domanda, ravvisando nel factum principia la causa della sopravvenuta incommerciabilità della "ferritina" di origine animale.

Il gravame principale della società soccombente era rigettato dalla Corte d'appello di Milano con sentenza pubblicata il 16 febbraio 2001, la quale, accogliendo l'appello incidentale della BETA spa, regolava in maniera ad essa più favorevole le spese del giudizio di primo grado.


I giudici d'appello consideravano assorbente la questione connessa all'intervento dell'autorità sanitaria nazionale e, pur evidenziando che il primo decreto ministeriale non recava lo specifico divieto di produzione del principio attivo di derivazione organica, rilevavano che gli adempimenti successivamente previsti perchè la ferritina potesse continuare ad essere impiegata nella preparazione del medicinale avevano comportato per la BETA spa la scelta aziendale di bandirne l'uso nella fabbricazione medicinale per l'impossibilità di attestare, attraverso gli esami clinici, l'assenza di qualsiasi pericolo per la salute, in ciò configurandosi la impossibilità sopravvenuta della prestazione della stessa società BETA spa.

Gli stessi giudici rilevavano che il rapporto negoziale intercorso tra le parti non concretava un contratto di somministrazione ed aggiungevano che le conclusioni, cui essi erano pervenuti, non sarebbero comunque mutate quando pure si fosse potuta attribuire al negozio la valenza di contratto di somministrazione.

Per la cassazione della sentenza la società ALFA srl in liquidazione ha proposto ricorso principale, affidato ad otto motivi.

Ha resistito con controricorso la società BETAspa, che ha proposto impugnazione incidentale sulla base di unica doglianza.

La società ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).

Con il primo motivo d'impugnazione ­ deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto, in particolare l'inapplicabilità del decreto ministeriale 7 giugno 1991 ­ la società ricorrente principale critica la impugnata sentenza perchè il giudice del merito avrebbe fondato la sua decisione su disposizioni in tema di prodotti di origine bovina, che nulla hanno a che vedere con la "ferritina" di derivazione equina.

Evidenzia, in particolare, che la disciplina di cui al predetto decreto ministeriale non riguardava la ferritina di origine equina e non pone alcuna limitazione o divieto per l'uso di tale principio attivo.

Il motivo non può essere accolto, perchè il giudice del merito non ha considerato soltanto la disciplina derivante dal decreto ministeriale 7 giugno 1991.

Evidenziando, piuttosto, che il decreto suddetto non recava uno specifico divieto di produzione del principio attiva, l'impugnata sentenza ha preso, tuttavia, in esame il quadro complessivo della normativa ministeriale e delle connesse comunicazioni di esecuzione e, in base ad esso, ha valutato che a carico delle aziende era stata introdotta una serie di obblighi, per il cui rispetto non era esigibile una specifica ed idonea condotta.
Conseguentemente ha ritenuto che tale complessiva disciplina (riferita ad un fenomeno definito di drammatica gravità) giustificava la scelta aziendale di bandire l'uso della ferritina di origine animale nella produzione di alcune specialità medicinali per l'assoluta impossibilità di accertare, attraverso gli esami clinici, l'assenza di qualsiasi pericolo per la salute umana.

Le argomentazioni di cui innanzi, logiche e coerenti, consentono di superare anche il quinto mezzo di doglianza, con il quale la società ricorrente deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione sulle conseguenze dell'applicabilità del decreto ministeriale 7 giugno 1991 al caso di specie.

Circa la scelta giustificata della società BETAdi non utilizzare più la ferritina di origine animale per l'impossibilità di accertarne l'innocuità dell'impiego, l'accertamento del giudice del merito è derivato, infatti, non dall'applicazione del decreto in questione, ma dall'indagine a più ampio spettro della complessiva disciplina della materia, sicchè la congruità della motivazione esposta in termini di contraddittorietà) non deve essere valutata in relazione al solo parametro di confronto del decreto ministeriale.

Allo stesso modo rileva questa Corte che non è fondato il sesto motivo dell'impugnazione, con il quale la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 115, 2 comma, cod. civ., assumendo che il giudice del merito avrebbe posto a fondamento della decisione il ritenere del tutto obbligata la scelta di bandire l'uso della ferritina.


La ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe fondato la motivazione sul punto della sentenza non sui documenti di causa, ma su pretesi fatti notori, onde le conclusioni della Corte milanese sarebbero la conseguenza di elementi indebiti ed erronei di valutazione, non previamente sollevati nè altrimenti verificati.

Sostiene che la BETA avrebbe effettuato una semplice operazione di marketing diretta a limitare i costi di produzione, onde non avrebbe potuto invocare un'inesistente impossibilità sopravvenuta o un interesse pubblico che i provvedimenti amministrativi esistenti tutelavano già direttamente e diversamente.

E' del tutto pacifico (ex plurimis: Cass., sez. un., n. 13045/97) che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico­ formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, per cui il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico­giuridico posto a base della decisione.

Nella specie, in applicazione della suddetta regola di giudizio, deve questa Corte rilevare che la censura è diretta ad ottenere in questa sede una inammissibile valutazione del materiale probatorio, diversa da quella esposta dal giudice del merito, che, sul punto dell'attribuzione della scelta aziendale di bandire l'impiego della ferritina animale all'assoluta impossibilità di accertarne, attraverso esami clinici, l'assenza di qualsiasi pericolo per la salute umana, ha proceduto ad un tipico accertamento in fatto, giustificato dall'aderenza alla disciplina complessiva della materia e dall'ammissibile ricorso al notorio,sicchè non sussiste la dedotta violazione dell'art. 115 cod. proc. civ..

Non è sindacabile, pertanto, la decisione relativamente al fatto che l'esclusione dell'impiego nella preparazione medicinale della ferritina di origine animale derivò dal fatto che sostanzialmente l'utilizzazione di essa era stata vietata dalla competente autorità.

Con il secondo mezzo di doglianza ­deducendo, in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione della norma di cui all'art. 112 stesso codice ­ la società ricorrente denuncia che il giudice d'appello, affermando che la disciplina circa l'uso della ferritina aveva connotato la prestazione della società BETA con profili di impossibilità, aveva pronunciato su eccezione non sollevata in causa.

Specifica che il giudice di primo grado aveva indicato nel factum principis la causa della sopravvenuta incommerciabilità del prodotto, dalla quale l'asserita impossibilità della prestazione sarebbe derivata, semmai, per essa società ALFA, ma non per la BETA, che, comunque, non l'aveva mai eccepita nè dimostrata.

Il motivo non è fondato.

In tema di vizio di ultra o extrapetizione costituisce principio pacifico (ex plurimis: Cass., n. 12471/2001; Cass., n. 18236/2002) che esso ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti limiti, la domanda proposta dalla parte.

Tale compito appartiene non soltanto al giudice di primo grado, ma anche a quello d'appello, che resta a sua volta libero di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data in prime cure con riferimento all'individuazione della causa petendi, dovendosi riconoscere a detto giudice il potere­ dovere di definire l'esatta natura del rapporto dedotto in giudizio onde precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste delle parti e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al suo esame.

Nella specie, sin dal primo grado del giudizio la società BETA aveva dedotto di non essere più obbligata nei confronti della società ALFA per il fatto che della ferritina di derivazione animale sostanzialmente era stata stabilita l'incommerciabilità, per l'inesistenza allo stato di misure idonee a documentarne l'innocuità per la


salute umana, ed in base a detta circostanza, valutata come factum principis, il tribunale aveva rigettato la domanda della società ALFA.

In appello la società BETA, vittoriosa in primo grado per l'accoglimento della sua difesa, non aveva bisogno di riproporre espressamente al giudice del gravame il fatto costitutivo della sua eccezione accolta, nella sua rilevanza di factum principis, per cui la diversa qualificazione, che il giudice di secondo grado nell'esercizio delle sue attribuzioni ha dato alla medesima circostanza ed allo stesso scopo di escludere la pretesa della società ALFA, non integra il dedotto vizio di violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., essendogli ciò consentito.

Con il terzo mezzo di doglianza ­ deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 1256, 1^ comma, cod. civ. sotto il profilo della mancata determinazione dell'eventuale dies a quo della impossibilità della prestazione, in relazione al comportamento del debitore ­ la società ricorrente censura l'impugnata sentenza perchè essa non avrebbe determinato nè il provvedimento, nè l'evento, nè il momento di decorrenza della ritenuta impossibilità, che non poteva essere soggettiva.

Aggiunge che la sentenza avrebbe violato la suddetta norma, perchè essa avrebbe dovuto considerato che la BETA, con la sua richiesta di modifica e con la lettera del 10 dicembre 1991, aveva dichiarato di non voler adempiere quando l'adempimento era sicuramente ancora possibile e lecito.

La doglianza non è fondata.

Quanto al rilievo ultimo circa la diversa interpretazione che il giudice del merito avrebbe dovuto dare della richiesta di modifica e della lettera suddetta ­ a parte il rilievo che sul punto la censura non realizza il requisito dell'autosufficienza, poichè la ricorrente il non riproduce in ricorso il tenore letterale dei due documenti, di essi non offrendo il contenuto neppure con la successiva memoria­ osserva questa Corte che anche l'interpretazione delle dichiarazioni unilaterali, che, allo stesso modo dell'esegesi del contratto, consiste nell'accertamento della volontà del dichiarante, si risolve in un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, vizi questi che la ricorrente neppure espone in modo adeguato, laddove si limita soltanto a richiedere in questa sede una diversa valutazione degli scritti.

Quanto, poi, alla pretesa omessa indicazione del momento di decorrenza e dei provvedimenti genetici della ritenuta sopravvenuta impossibilità della prestazione, osserva questo giudice di legittimità che la sentenza di secondo ha avuto cura di precisare che la suddetta impossibilità andava individuata nel quadro della normativa ministeriale e delle connesse comunicazioni, queste collocate in uno specifico contesto temporale ben definito.

Con il quarto motivo d'impugnazione ­ deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 1256, 1^ comma, cod. civ. in quanto il giudice d'appello aveva ritenuto realizzata la fattispecie dell'impossibilità in assenza di un'impossibilità oggettiva di adempimento, quando, invece, in essa avrebbe dovuto ravvisare una impossibilità soggettiva ­ la società ricorrente svolge i seguenti profili:

  1. la impossibilità sopravvenuta non doveva essere intesa "in senso ampio", con riferimento alle difficoltà di controlli sulla ferritina e di acquisizione di dichiarazioni provenienti da terzi;

 

  1. la nozione di impossibilità, fatta propria dalla sentenza impugnata, non rappresenta una reale situazione d'impossibilità, la quale, invece, deve presentare i requisiti dell'assolutezza e dell'oggettività;
  1. non è condivisibile nè sufficiente l'argomentazione del giudice del merito secondo la quale l'interesse generale e la sua tutela possono prescindere da una normativa vincolante sulla salute pubblica ed essere invece affidati ad una valutazione di opportunità, extra legale ed apodittica, basata su pretesi fatti notori.

 

Rileva, anzitutto, questo giudice di legittimità che è esatta la statuizione del giudice del merito, che ha collegato l'esonero di responsabilità della società BETA dalle obbligazioni assunte all'impossibilità in cui la società ALFA si era venuta a trovare di poterle fornire la ferritina idonea ad essere trasformata in medicinale.

Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che la motivazione sul punto, che il giudice del merito ha basato sulla disposizione di cui all'art. 1256, 1^ comma, cod. civ., deve meglio essere precisata (art. 384, 2^ comma, cod. proc. civ.), nel senso che la sopravvenuta impossibilità d'impiego della ferritina animale ha operato non solo

per la società ALFA (alla quale le sopravvenute disposizioni vincolanti dell'autorità sanitaria hanno reso impossibile la prestazione di fornitura di ferritina animale idonea alla sua trasformazione medicinale), ma ha spiegato i suoi effetti anche a favore della società BETA, nei cui confronti non poteva ravvisarsi alcun obbligo di controprestazione, venendo a tal fine in evidenza anche la norma di cui all'art. 14 63 cod. civ..

Infatti, mentre l'impossibilità giuridica dell'utilizzazione del bene per l'uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le previste modalità, quando derivi da disposizioni inderogabili già vigenti alla data di stipulazione del contratto, rende nullo il contratto medesimo per l'impossibilità dell'oggetto, a norma degli artt. 1346 e 1418 cod. civ. (Cass., n. 5103/99; Cass., n. 6676/92), è da considerare, invece, che, nella diversa situazione del tipo di quella in esame, è pacifico il principio secondo cui, per il combinato disposto degli art. 1256 e 1463 cod. civ., l'obbligazione del soggetto, la cui prestazione è divenuta per causa a lui non imputabile impossibile, costituisce causa di estinzione dell'obbligazione, sicchè colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione nè può agire con l'azione di risoluzione allegando l'inadempimento della controparte (ex plurimis:

Cass., n. 17464/2003; Cass., n. 16375/2002; Cass., n. 11121/2002; Cass., n. 1037/99).
Per il resto, non può essere accolto nessuno dei tre profili di doglianza, i quali denunciano un preteso vizio di motivazione in ordine alla ritenuta impossibilità sopravvenuta della prestazione rilevante ai sensi dell'art.
1463 cod. civ, che, costituendo questione di fatto rimessa al giudice del merito, sfugge all'esame della Corte regolatrice quando sia stata decisa con argomentazioni coerenti e non illogiche, siccome è avvenuto nella concreta fattispecie.

Nella quale l'indagine del giudice del merito doveva essere diretta (siccome esattamente è avvenuto) a verificare l'oggettiva ed assoluta impossibilità della società ALFA di consegnare ferritina certificata come idonea ad evitarne un uso pericoloso per la salute pubblica; ma non doveva anche essere rivolta a controllare se la società BETA aveva sospeso l'impiego della sostanza potenzialmente nociva per sua determinata scelta ovvero per doveroso comportamento impostole d'autorità.

L'infondatezza del quarto motivo dell'impugnazione principale, derivante anche dalla integrata motivazione in diritto in base al combinato disposto delle norme di cui agli art. 1256 e 1463 cod. civ., comporta che non può essere accolta neppure l'impugnazione incidentale, con la quale, in unico motivo, la società BETA spa ­ deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. 1256, 1^ comma, cod. civ.­ critica la impugnata sentenza nella parte in cui il giudice d'appello non aveva confermato la motivazione della sentenza di primo grado relativamente all'incidenza decisiva del factum principis sopravvenuto della disposta incommerciabilità della ferritina di origine animale quale circostanza integrante l'ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione di essa società BETA.

E' appena il caso di aggiungere, infatti, che la sopravvenuta impossibilità, che ai sensi dell'art. 1256 cod. civ. estingue l'obbligazione, è quella che concerne direttamente la prestazione e non quella che rende non più esigibile la controprestazione (Cass., n. 9304/94), per cui la tesi in diritto prospettata, dalla ricorrente incidentale non tiene conto del fatto che l'estinzione dell'obbligazione per il corrispettivo a carico della società BETA era derivata dall'interruzione del nesso di sinallagmaticità.

Con gli ultimi due motivi dell'impugnazione principale la società ALFA critica la impugnata sentenza nella parte in cui il giudice del merito aveva escluso che il rapporto negoziale dedotto in lite potesse essere qualificato come contratto di durata secondo lo schema prevalente della somministrazione e nella parte in cui non aveva ad essa riconosciuto il danno derivato dall'inesatta e parziale esecuzione nel periodo 1989/1992.

In ordine alla prima delle due ultime doglianze assume che alla diversa qualificazione del contratto avrebbero dovuto indurre la complessa operazione economica intervenuta tra le parti, gli accordi successivi ricognitivi ed applicativi, il comportamento successivo delle parti, per cui denuncia che al riguardo sussisterebbero la violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti (art. 1362, 1^ e 2^ comma, 1363, 1366, 1367 e 1566 cod. civ.) ed il vizio di insufficiente motivazione.

Il motivo non può essere accolto.


La Corte territoriale, con ampia ed esaustiva motivazione, ha spiegato perchè fosse da confermare la qualificazione che al contratto aveva dato il tribunale.

L'interpretazione che ne ha data, la quale consiste nell'accertamento della volontà dei contraenti e si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, ma non è superabile con la critica che ne fa la ricorrente, che vorrebbe dare ingresso in questa sede alla ricostruzione della volontà negoziale mediante una diversa valutazione dei documenti e degli elementi di fatto già esaminati (ex plurimis: Cass., n. 4085/2001).

All'accoglimento del suddetto motivo, tuttavia, la società ricorrente neppure avrebbe interesse: il giudice del merito ha chiarito come la conclusione di rigetto della domanda della società ALFA spa non sarebbe mutata quand'anche tra le parti in causa fosse intercorso un contratto di somministrazione e la società ricorrente non spiega in questa sede quale situazione di vantaggio ad essa deriverebbe dalla diversa qualificazione negoziale.

L'ultima doglianza, con cui si denuncia il travisamento del fatto e l'omessa ed insufficiente motivazione sul calcolo delle quantità, è del tutto generica in quanto essa non precisa quale sarebbe stato l'impegno documentale precedente e quale l'accordo transattivo; non presenta il carattere dell'autosufficienza, laddove rimanda ai dati risultanti alla pagina 35 della conclusionale della controparte;

comunque si risolve nella riproposizione in questa sede di una tipica quaestio facti.

In conclusione, i ricorsi sono rigettati e la spese del giudizio di Cassazione, stante la reciproca soccombenza, sono interamente compensate.

P. Q. M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

 

 

 

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